3 Novembre, 2015

 

Commentando la sentenza della Consulta n. 225/2014 (1), abbiamo concluso che, d’ora in avanti, non sarebbe stato più possibile dubitare della legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 160 e 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), che contemplano la natura solo dilatoria della transazione fiscale in materia di IVA.

Infatti, seppur con una qual certa “sofferenza” nel “partorirlo”, la Seconda Sezione Civile della Corte d’Appello di Catanzaro, con il decreto depositato in data 15 settembre 2014 – che, a quanto consta a chi scrive, dovrebbe essere il primo pronunciamento successivo alla decisione della Corte delle leggi – ha riformato la decisione del Tribunale di Cosenza, riconoscendo la fondatezza del reclamo dell’Agenzia delle entrate, con conseguente revoca della dichiarazione di omologazione di un concordato preventivo che aveva stabilito la falcidia del credito IVA e di quello afferente le ritenute operate e non versate.

Sembra opportuno fornire rapidi accenni alla decisione de qua che, in punto di diritto, offre spunti interessanti in virtù dei quali, come si dirà nel corso del presente intervento, si finisce per inquadrare la questione in esame anche da diversi profili e punti di vista, tutti poi “assorbiti” nel decisum della Corte Costituzionale.

La questione posta all’attenzione del giudice del gravame calabrese afferisce appunto all’impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate di un decreto, emesso dal Tribunale di Cosenza, con il quale si dava corso alla omologazione di una proposta di concordato preventivo, con cui il debitore, quanto ai crediti tributari (in particolare, quelli per IVA e per ritenute non versate), non offriva alcuna garanzia del loro integrale versamento, anzi ne prevedeva la loro riduzione in misura significativa (2).

In particolare il suddetto Tribunale, dopo aver respinto l’opposizione dell’Ufficio erariale che si era soffermato sul (noto) principio del divieto di falcidia dei crediti erariali, quale precondizione dell’ammissibilità del concordato preventivo, omologava la proposta concordataria nel presupposto che:

la soluzione prospettata dall’Agenzia opponente, oltre ad aggravare le possibilità di accesso del debitore alla procedura concordataria, finiva in fatto per inficiare la pretesa sostanziale del fisco, poiché la inammissibilità avrebbe condotto ad una dichiarazione di fallimento, nell’ambito della cui procedura il fisco aveva prelazione di rango molto basso [nn. 18) e 19) dell’ordine di cui all’art. 2778 c.c.];

era del tutto ingiustificata l’affermata contrarietà della disposta falcidia con la normativa comunitaria, poiché l’art. 182-ter della legge fallimentare, pur nella sua versione modificata, non sembrava atto ad incidere sulla disciplina generale delle cause di prelazione;

la disposizione introdotta con la modifica dell’art. 186-ter della legge fallimentare si poneva in contrasto con quella dell’art. 160, secondo comma, della stessa legge, ma in forza della regola “lex posteriori derogat legi priori”, doveva ritenersi prevalente la regola di cui all’art. 160 della legge fallimentare e la falcidiabilità in esso prevista, per cui solo per la presenza della transazione fiscale, subprocedimento del tutto eventuale, veniva stabilito il divieto;

la delineazione prospettata dall’Agenzia opponente finiva con l’alterare l’ordine dei privilegi stabilito dalla legge (3).

[-protetto-]

In forza di tali principi, il concordato veniva omologato e, di conseguenza, fatto oggetto di tempestivo reclamo da parte dell’Agenzia delle entrate che ne eccepiva la illegittimità, sia in relazione agli arresti della Corte di Giustizia europea che di quella di legittimità nazionale.

In virtù di tali decisioni, infatti, non poteva che doversene sussumere la conseguente illegittimità, stante l’ammissibilità, quanto all’IVA e alle ritenute, della sola dilazione e non mai della relativa falcidia, anche in considerazione della natura sostanziale (e non meramente processuale) delle norme di disciplina dell’istituto oggetto della controversia.

Quanto, invece, alla società interessata dalla procedura e al commissario giudiziale nominato nella stessa, costoro – in sostanza all’unisono – hanno sostenuto nel giudizio di reclamo la natura di norma eccezionale del richiamato art. 182-ter della legge fallimentare, nonché posto una suggestiva questione di legittimità costituzionale, con riferimento alla (presunta) violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (4).

Orbene, il giudice del reclamo incentra la propria attenzione sulla problematica attinente alla natura del credito relativo all’IVA e alle ritenute non versate, e alla sua ipotetica disponibilità (anche) all’interno della procedura concordataria, con conseguente valutazione della portata e dell’efficacia della norma di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare, se “intranea” o “estranea” all’istituto generale del concordato, per come delineato dagli artt. 160 e segg. della legge fallimentare.

Procede, così, partendo dall’esame della decisione emessa dalla Consulta con la citata sentenza n. 225/2014, cui la questione de qua è stata, tuttavia, sottoposta “in termini rovesciati”, vertendosi sulla ritenuta incostituzionalità della norma di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare, a tenore degli artt. 3 e 97 Cost., perché, nel consentire solo la dilazione e non la falcidiabilità del credito nascente (anche) dall’IVA, si finirebbe con il realizzare un risultato non efficiente, se non addirittura dannoso, per l’Amministrazione finanziaria, che si troverebbe discriminata rispetto agli altri creditori (5).

In sostanza, la questione pone alla sua base l’interpretazione sia dei poteri del legislatore in materia, e dunque dell’ambito di disponibilità del tributo, sia della natura della norma, di cui viene prospettata la portata generale e non limitata all’ipotesi della transazione fiscale. Inoltre tale prospettazione, nell’evidenziare quale elemento discriminatorio (contrastante con l’art. 3 Cost.) proprio la differente disciplina sulla falcidiabilità in ambito fallimentare e in ambito concordatario, evidenzia in toto il vero cuore della vicenda: il rigetto della paventata incostituzionalità risolve tutti i profili di censura che il decreto reclamato rivolge all’applicabilità dell’art. 182-ter della legge fallimentare a tutti i casi di concordato (con o senza transazione fiscale), giacché sottolinea la razionalità e legittimità di una simile disciplina generale, in ambito concordatario, e giustifica la deroga che essa apporta sulla disciplina delle cause di prelazione.

Superato, dunque, lo scoglio della illegittimità delle disposizioni suddette, con il decreto in esame il Collegio catanzarese evidenzia che il profilo di una ingiustificata diversità di trattamento non è rilevato tra l’art. 160 e l’art. 182-ter della legge fallimentare, ossia tra la possibilità di falcidia in caso di “mero” concordato preventivo, e di “non falcidia” nel caso di concordato con transazione fiscale, ma è posta tra la impossibilità di falcidia del credito IVA rispetto a quello di altri creditori privilegiati (anche di grado poziore), e ciò in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare.

L’assunto interpretativo su cui poggia il citato decreto altro non è che quello fatto proprio dalla Corte delle leggi, secondo cui l’applicazione delle due norme ai fini della disciplina del concordato con riguardo ai crediti erariali indicati non può che essere unitaria. Non è, quindi, ammissibile un’interpretazione in cui sarebbe rimesso alla scelta del debitore – e non del creditore – accedere o meno alla falcidiabilità del credito, dovendosi, invece, privilegiare la ratio basata sull’esistenza di una generalizzata operatività del principio d’indisponibilità della pretesa erariale (6).

Pertanto, la compatibilità delle norme in esame con quelle comunitarie deriva tutta dall’affermazione dell’indisponibilità dell’IVA in ambito concordatario e trova in tale ambito la sola deroga ammissibile, relativa alla dilazionabilità del suo pagamento. Invece, la potenziale falcidiabilità dello stesso credito in caso di fallimento risponde non ad una deroga codificata nello specifico, ma all’esimente (quasi si tratti di una sorta di forza maggiore) connessa all’impossibilità di una riscossione integrale e, dunque, ad una fattispecie di rinuncia necessitata e postuma all’accertamento dell’indisponibilità di risorse sufficienti (7).

Quanto, poi, alla ricostruzione della norma di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare quale disposizione sostanziale attinente ad ogni tipo di concordato, indipendentemente dalla modalità prescelta dal debitore, la Corte territoriale del capoluogo calabrese individua la presenza di altri riferimenti normativi, quale, ad esempio, l’art. 7 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, relativo al ripiano del sovraindebitamento, secondo cui, quanto ai crediti aventi ad oggetto tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, si riunifica sia la dizione adoperata per l’art. 183-ter della legge fallimentare che quella dell’art. 160 della stessa legge: tanto allo scopo di confortare e confermare la piena complementarietà delle norme che disciplinano le condizioni per l’ammissibilità e fattibilità del concordato.

Né a giustificare una diversa interpretazione potrebbe valere il richiamo alla relazione governativa di presentazione dell’art. 12 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, operata dal primo giudice nel provvedimento reclamato (8): da tale richiamo detto giudice fa, infatti, derivare l’assunto che, al pari degli altri, anche il credito erariale sarebbe falcidiabile.

In realtà, ad avviso del giudice del reclamo, un eventuale paragone potrebbe operare solo all’interno di quel tertium genus rappresentato dalle tradizionali categorie di creditori privilegiati cui fa cenno la Consulta, e alle quali non appartiene il credito IVA, stante il regime di indisponibilità al quale lo stesso è assoggettato, trovando l’unico limite, conforme alla norma sovranazionale, nell’esimente costituita dal fallimento, alla cui sola presenza può legittimarsene una sua falcidia (9).

Laddove la Corte d’Appello manifesta tutta la sua “sofferenza” nella scelta verso la decisione emessa è nel passaggio motivazionale in cui viene evidenziato che, almeno inizialmente, si è palesato il possibile contrasto delle norme richiamate con i principi costituzionali, e soprattutto, con quello di uguaglianza, potendosi profilare una vera e propria “superprotezione” (tale è il termine testuale adottato) del credito in oggetto rispetto ad altri che, come quelli nascenti dal rapporto di lavoro, hanno una portata costituzionale, e sui quali la falcidia può comunque abbattersi (nei limiti sanciti per i crediti assistiti da privilegio).

Tale ricostruzione che, in sostanza, sulla scorta delle doglianze rilevate dal commissario giudiziale e dalla società richiedente il concordato, avrebbe portato ad una (ad avviso di chi scrive, palesemente infondata) questione di illegittimità in senso opposto a quella rilevata, quale giudice rimettente, dal Tribunale di Verona, nel giudizio conclusosi con la già citata sentenza n. 225/2014 della Corte Costituzionale è però venuta meno proprio in forza delle indicazioni provenienti dalla Consulta. In forza di tali indicazioni, pertanto, il principio dell’indisponibilità del credito IVA, quale principio di derivazione comunitaria, non può non imporre, anche per il legislatore nazionale, un’interpretazione unitaria delle norme che consenta di cogliere la specialità della disciplina, in modo da renderla né irragionevole né immotivata (10).

Non vi è, pertanto, alcuna disparità di trattamento e, dunque, latente disuguaglianza tra le svariate tipologie di crediti (potenzialmente falcidiabili) rispetto a quelli costituenti, come l’IVA, entrate proprie di derivazione comunitaria, e ciò in forza (e grazie, anche) ai principi e alle indicazioni rese dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 225/2014.

Avv. Sergio La Rocca

(1) Cfr. Corte Cost. 25 luglio 2014, n. 225, in Boll. Trib., 2014, 1344, con nota di S. La Rocca, Il concordato preventivo e la transazione fiscale: la Corte Costituzionale conferma l’inammissibilità della falcidia dell’IVA; si veda altresì, in terminis, A. Russo, L’infalcidiabilità del credito IVA, secondo la Consulta, e il rapporto tra la transizione fiscale e il concordato preventivo, ivi, 2015, 12.

(2) La peculiarità o quasi anomalia dell’esaminata vicenda è rappresentata dal fatto che il Tribunale aveva concesso la possibilità di un “ripensamento” alla società in crisi giacché, dopo l’approvazione di una precedente proposta nel corso dello stesso procedimento, in cui i crediti erariali erano integralmente da soddisfare, un momento (processualmente parlando) prima dell’omologazione del concordato la società instante chiedeva e otteneva dal Tribunale l’autorizzazione a presentare una nuova proposta, in forza della quale i crediti di lavoro erano integralmente soddisfatti, mentre per gli ulteriori crediti, tra cui quelli tributari per IVA e per ritenute non versate, se ne prevedeva una rilevante falcidia.

(3) Sul punto, sottolinea la Corte d’Appello nel decreto in esame, «anche la relazione che aveva accompagnato la modifica della disciplina del concordato preventivo aveva messo in luce la necessità di adeguarne i principi a quanto previsto per quello fallimentare, prevedendo per entrambi la possibilità di falcidia dei crediti, muniti di privilegio speciale o generale, per la parte incapiente, ossia non coperta dal (presumibile) ricavato dei beni su cui il privilegio è accordato, tale dovendo ritenersi il limite entro il quale la falcidia fosse esclusa».

(4) E’ proprio dal “fascino” di tale questione paventata che il giudice di appello afferma che la sua decisione sarebbe stata certamente diversa laddove medio tempore non fosse sopraggiunta la pronuncia della Consulta.

(5) Per tale caso, infatti, l’erario sarebbe esposto, in caso di procedura fallimentare, alle regole generali sull’ordine dei privilegi, anche se comportanti una falcidia maggiore di quella prospettabile con un concordato.

(6) Infatti la Corte d’appello assume che, in una simile ottica, già la sola possibilità di consentire un pagamento dilazionato sembrerebbe costituire una deroga (necessariamente espressa) all’indisponibilità: il che significa che, in assenza di deroghe, tale principio opera nella sua pienezza come prius in tutte le altre norme.

(7) Viene così ricostruita la distinzione degli effetti, quanto al destino del gettito IVA, conseguenti all’ipotesi di un concordato (con o senza transazione fiscale) in cui è possibile la sola dilazione del pagamento del tributo indiretto, rispetto al caso di fallimento dell’impresa o dell’imprenditore, caso in cui, quale effetto cogente della decozione e dell’estinzione del soggetto giuridico, nella sua veste di contribuente, si rende possibile o meglio necessaria una rinuncia alla riscossione del tributo, conseguenza necessitata all’accertamento dell’indisponibilità di risorse sufficienti per il soddisfacimento (anche o solo, a seconda dei casi) di detto credito erariale.

(8) Secondo il Collegio di prime cure la modifica al piano di cui all’art. 160 della legge fallimentare, nel prevedere che anche i creditori privilegiati possano non essere soddisfatti integralmente, avrebbe inteso eliminare una «illogica disparità di trattamento rispetto al concordato fallimentare».

(9) «Sembra dunque assai più consona ed armonica una lettura che investa il complesso della disciplina della fattispecie, con i suoi limiti ed i suoi principi, nella quale espressamente si coglie la linea di discrimine costituita dal fallimento rispetto a ciò che può avvenire prima di esso, sì che un problema di armonizzazione si pone tra ciò che è impossibile prima e che diviene possibile poi; sotto tale profilo, come già detto, è del tutto ragionevole che l’omogeneità di trattamento debba porsi tra la procedura di ripiano del sovraindebitamento e a quella delle due norme con riguardo alle condizioni che attengono alla fattibilità giuridica del concordato, concordato (con o senza transazione), e non tra istituti tipici di una crisi nella quale nessuna possibilità di superamento appare praticabile»: così, sul punto, testualmente il decreto in esame.

(10) Conclude così la Corte d’Appello nell’annotato decreto che «V’è peraltro da rilevare che la previsione della possibilità di una falcidia all’interno del concordato, mentre comporta un’irragionevole discriminazione rispetto alla disciplina (del tutto speculare) del sovrainidebitamento, a livello più generale si pone come una rinuncia – totale o parziale poco rileva – alla riscossione dell’imposta, fatto che la Corte Europea ha già censurato, posto che gli interessi sovranazionali cui la disciplina risponde non consente che essi possano venire a patti con la finalità, tutta interna, di agevolare sistemi concordati di superamento della crisi dell’impresa».

 

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – transazione fiscale – Falcidia del credito IVA – Inammissibilità – Dilazione del relativo pagamento – Ammissibilità.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – transazione fiscale – Dilazione del pagamento dell’imposta – Ammissibilità – Pagamento integrale dell’imposta – Resta dovuto.

La natura dell’IVA quale risorsa propria dell’Unione europea spiega i vincoli esistenti per gli Stati membri nella gestione e riscossione di tale imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e la formulazione dell’art. 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di una specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, esclude la falcidiabilità del credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la dilazione del pagamento, di modo che la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo.

A nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari è riconducibile il credito IVA, per il quale esiste una disciplina eccezionale attributiva di un trattamento peculiare e inderogabile, che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio di grado postergato, qual è appunto l’IVA, in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione.

[Corte d’Appello di Catanzaro, sez. II (Pres. Majore, rel. Romano), decr. 15 settembre 2014, ric. Agenzia delle entrate c. Centro più s.r.l.]

PREMESSO IN FATTO – Con decreto depositato il 24 febbraio 2014 il Tribunale di Cosenza omologava il concordato preventivo presentato dalla “Centro più” srl, esponendo che: – la detta società aveva presentato, in data 19 settembre 2012, ricorso per l’ammissione alla procedura concordataria, corredata dalla documentazione prevista ex lege; – la proposta, senza transazione fiscale, da realizzarsi tramite cessione dei beni, prevedeva il pagamento integrale dei crediti di lavoro, il pagamento parziale (nella misura del 9%) dei crediti tributari ed il pagamento parziale (nella misura del 4%) dei crediti chirografari; – il Tribunale aveva invitato il debitore ad adeguare la proposta alle disposizioni di cui all’art. 182-ter l.f., soprattutto per la parte relativa alla falcidia dei crediti per tributi ed imposte; – la società provvedeva nel senso richiesto, presentando una seconda proposta comportante il pagamento integrale dei crediti erariali, e parziale per gli altri, in particolare nella misura del 16,60% di quelli di lavoro; – dopo l’ammissione alla procedura, la proposta riceveva il voto favorevole del 94% dei creditori chirografari; – nel costituirsi in vista dell’udienza fissata per l’omologazione, la società ricorrente aveva criticato il principio della non falcidiabilità dei crediti d’imposta, ed aveva chiesto al Tribunale l’autorizzazione a sottoporre a voto la proposta originaria; – rivedendo l’originaria impostazione, il Tribunale aveva ritenuto condivisibile la prospettazione della ricorrente, cui assegnava dieci giorni per modificare nuovamente la proposta; – il debitore aveva provveduto nel senso indicato, proponendo il pagamento integrale dei crediti di lavoro mediante vendita dei beni non gravati da ipoteca, quello parziale dei crediti per tributi erariali e locali mediante vendita dei beni ipotecati a garanzia degli stessi, e parziale anche dei crediti chirografari tramite le risorse messe a disposizione dai soci, e tanto entro diversi termini rispettivamente indicati; – le operazioni di voto, tenutesi a seguito del deposito della relazione del Commissario giudiziale, avevano indicato una maggioranza favorevole pari all’88,50% del chirografari; – in esito alla fissazione, da parte del Tribunale, dell’udienza per la discussione del concordato, l’Agenzia delle Entrate proponeva opposizione, rilevando la inammissibilità del concordato in quanto contrario alle disposizioni sulla falcidiabilità dei crediti erariali.

Sulle dette premesse, il Tribunale di Cosenza, dopo aver respinto, o comunque ritenuta priva di effetti, la eccezione di tardività della costituzione dell’opponente, cui non poteva riconnettersi alcuna inammissibilità, respingeva del pari la pretesa dell’Agenzia delle Entrate secondo la quale il divieto di falcidia dei crediti erariali costituiva precondizione dell’ammissibilità del concordato preventivo. Argomentava in proposito il primo giudice: a) che la soluzione prospettata, oltre ad aggravare le possibilità di accesso del debitore alla procedura concordataria, finiva in fatto per inficiare la pretesa sostanziale del fisco, poiché la inammissibilità avrebbe condotto ad una dichiarazione di fallimento, nell’ambito della cui procedura il fisco aveva prelazione di rango molto basso (nn. 18 e 19 dell’ordine di cui all’art. 778 c.c.); b) che era del tutto ingiustificata l’affermata contrarietà della disposta falcidia con la normativa comunitaria, poiché, per un verso, l’art. 182-ter l.f., pur nella sua versione modificata, non sembrava atto ad incidere sulla disciplina generale delle cause di prelazione; per altro verso, la Corte di Giustizia, nella richiamata decisione della causa 174/07 (1), aveva ritenuto contraria alla disciplina comunitaria la “generale ed indiscriminata rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili”; infine, perché per le cause di prelazione e loro ordine, stabiliti dalle leggi nazionali, mai erano stati avanzati dubbi di contrasto con la disciplina comunitaria, pur godendo in esse il fisco di un ordine di preferenza assai basso; c) che la disposizione introdotta con la modifica dell’art. 186-ter l.f. si poneva in contrasto con quella dell’art. 160 comma 2 della stessa legge, ma che (se mal non s’è interpretato il provvedimento), in forza della regola “lex posteriori derogat legi priori”, doveva ritenersi prevalente la regola di cui all’art. 160 l.f. e la falcidiabilità in esso prevista, cui solo per la presenza della transazione fiscale, subprocedimento del tutto eventuale, veniva stabilito il divieto; d) che la delineazione prospettata dall’Agenzia opponente finiva con l’alterare l’ordine dei privilegi stabilito dalla legge; e) che anche la relazione che aveva accompagnato la modifica della disciplina del concordato preventivo aveva messo in luce la necessità di adeguarne i principi a quanto previsto per quello fallimentare, prevedendo per entrambi la possibilità di falcidia dei crediti, muniti di privilegio speciale o generale, per la parte incapiente, ossia non coperta dal (presumibile) ricavato del bene su cui il privilegio è accordato, tale dovendo ritenersi il limite entro il quale la falcidia fosse esclusa.

Per tali ragioni, il Tribunale omologava il concordato come proposto ed approvato, adottando i provvedimenti consequenziali.

Avverso la decisione proponeva reclamo l’Agenzia delle Entrate, che eccepiva l’illegittimità della pronuncia a tenore della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006, poiché la falcidia aveva ad oggetto un tributo di natura comunitaria, non disponibile dagli Stati membri. L’art. 186-ter l.f. d’altra parte espressamente prevedeva che “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate la proposta può prevedere solo la dilazione del pagamento”, e ciò in aderenza a quelli che erano i principi sanciti dalla direttiva comunitaria. In tal senso si era peraltro espressa la Cassazione Civile, con la sentenza n. 22931/2011 (2), di cui la reclamante riportava ampi stralci.

La disposizione in questione, inoltre, secondo il reclamante, non poteva ritenersi riferita al solo concordato con transazione fiscale, poiché in tal modo sarebbe stato rimesso alla mera volontà del debitore la possibilità di optare o meno per un pagamento totale dei crediti tributari, a seconda appunto che la proposta concordataria si fosse o meno servita dello strumento della transazione fiscale. E ciò, oltre alle altre, già svolte considerazioni, doveva convincere per la natura sostanziale della disposizione e non per la sua mera efficacia processuale all’interno di uno specifico “tipo” di concordato.

Anche nel valutare il rapporto tra l’art. 182-ter e l’art. 160 della l.f., il Tribunale di Cosenza aveva operato una trasposizione del piano del discorso da quello della specialità della disciplina adottata con riferimento alla riscossione integrale dell’Iva a quello della graduazione dei crediti, così giungendo a negare possibile la prima (riscossione integrale) in forza della disciplina della seconda (graduazione dei crediti): in realtà, per come chiarito dalla Cassazione nella già citata sentenza 22931/2011, l’art. 160 l.f. andava inteso come norma attributiva di un regime aggiuntivo rispetto a quello imposto ex lege “ancorato al valore dei beni oggetto della garanzia”, così sostanzialmente negandosi che tra le due norme potesse esservi un’intima contraddizione.

Analoghe considerazioni valevano per il credito relativo a ritenute operate e non versate, coperti dalla stessa normativa e dai medesimi principi.

Si costituivano la “Centro più” srl e il Commissario Giudiziale nominato nella procedura di Concordato, che si opponevano entrambi al reclamo. La prima rilevava in particolare come la normativa comunitaria mai avesse inteso affermare la irriducibilità del credito Iva, e come la soluzione prospettata fosse addirittura dannosa per l’erario, posto, in caso di fallimento, in una posizione deteriore rispetto al concordato; in subordine paventava la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale con riferimento alla violazione del principio di uguaglianza.

Il Commissario Giudiziale ribadiva i medesimi argomenti, richiamando la cospicua giurisprudenza di merito, che giudicava eccezionale la norma di cui all’art. 182-ter l.f., poiché limitata appunto al contesto della transazione fiscale e non ripetuta all’interno della disposizione di cui all’art. 160 c.p.c., mentre una diversa interpretazione andava a derogare sull’ordine dei privilegi, sacrificando interessi di sicura portata costituzionale (nel caso, il credito dei lavoratori alla loro mercede).

Acquisito il fascicolo della procedura, all’udienza del 25 giugno 2014 la causa veniva riservata per la decisione.

RITENUTO IN DIRITTO – Il reclamo, e l’intera questione prospettata dalle parti, investe la problematica attinente alla natura del credito relativo all’imposta sul valore aggiunto e alle ritenute non versate, ed alla sua disponibilità (anche) all’interno della procedura concordataria, con conseguente valutazione della portata e dell’efficacia della norma di cui all’art. 182-ter l.f., se intranea o estranea all’istituto generale del concordato delineato agli artt. 160 e ss. l.f.

Il decreto reclamato affronta tutti gli aspetti indicati, partendo dalla delineazione delle attività che, a tenore della disciplina comunitaria, sarebbero inibite allo Stato e dunque alla compatibilità della norma con il principio della indisponibilità dell’imposta, rilevando in conseguenza la soggezione della stessa al regime generale previsto dall’art. 160 l.f. quanto alla falcidiabilità, rispetto alla quale la norma speciale di cui all’art. 182-ter l.f. vedrebbe limitata la sua efficacia al caso contemplati da quell’articolo, ossia al concordato con transazione fiscale. La delibazione finale si risolve nel giudizio di ammissibilità e/o inammissibilità del concordato preventivo, all’interno dei poteri attribuiti al giudice di sindacabilità della “fattibilità giuridica” del concordato, così come delineati dalla sentenza Cass. Civ. SS.UU. 1521/2013 (3).

La problematica è stata oggetto di svariate pronunce di merito, di segno contrapposto, ed è stata di recente oggetto anche di (nuovo) esame da parte della Consulta (sent. 25 luglio 2014 n. 225 (4)), cui la questione è stata sottoposta in termini rovesciati, ossia sulla ritenuta incostituzionalità della norma di cui all’art. 182-ter l.f., a tenore degli artt. 3 e 97 della Carta fondamentale, perché, nel consentire solo la dilazione e non la falcidiabilità del credito nascente (anche) dall’Iva, realizzerebbe un risultato non efficiente e dannoso per l’amministrazione, che si troverebbe discriminata rispetto agli altri creditori, ed esposta, in caso di procedura fallimentare, alle regole generali sull’ordine dei privilegi, anche se comportanti una falcidia maggiore di quella prospettabile con un concordato. Sebbene la questione sembri differente da quella in esame, va rimarcato come essa ponga alla base dell’iter motivazionale un’interpretazione sia dei poteri del legislatore in materia, e dunque dell’ambito di disponibilità del tributo, sia della natura della norma indicata, di cui viene prospettata la portata generale e non limitata alla ipotesi della transazione fiscale. Inoltre, la detta prospettazione, nel porre come elemento discriminatorio (e dunque contrastante con l’art. 3 Cost.) proprio la differente disciplina sulla falcidiabilità in ambito fallimentare ed in ambito concordatario, tocca sicuramente quello che è il cuore della vicenda; difatti, il rigetto della incostituzionalità risolve tutti i profili di censura che il decreto reclamato rivolge all’applicabilità dell’art. 182-ter l.f. a tutti i casi di concordato tout court, poiché sottolinea la razionalità e legittimità di una simile disciplina generale, in ambito concordatario, e giustifica la deroga che essa apporta sulla disciplina delle cause di prelazione. Non può sottacersi che la Corte si pronuncia, peraltro, in un caso in cui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale riguardava un concordato preventivo con transazione fiscale contenente la falcidia del credito, che il giudice a quo ritiene, de iure condito, inapplicabile alla disciplina del concordato tout court e non solo a quella del concordato con transazione fiscale.

In primo luogo, la sentenza muove dell’esame delle due censure mosse dal remittente: secondo la prima “il disposto degli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., poiché, conducendo alla declaratoria de plano di inammissibilità della proposta di concordato contenente una transazione fiscale che non preveda l’integrale pagamento dell’IVA, non consentirebbe all’amministrazione finanziaria di valutare, in concreto, la convenienza del piano che prospetti un grado di soddisfazione del credito tributario in misura pari al valore delle attività del debitore e non inferiore a quanto ricavabile dalla vendita in sede di liquidazione fallimentare, così ledendo il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione che obbliga la stessa a seguire criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse”; “con la seconda censura, il rimettente lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., deducendo che la disciplina impugnata riserverebbe all’amministrazione finanziaria un trattamento deteriore rispetto agli altri creditori privilegiati, non consentendole di poter accettare, in relazione al credito IVA, un pagamento inferiore all’importo del tributo ma superiore a quanto ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore”. La valutazione prospettata dal remittente, secondo la Corte, si fonda “su una lettura delle norme impugnate che si pone contro una disciplina – qual è quella della transazione fiscale, come ridisegnata nel 2008, al culmine della riforma delle procedure concorsuali – che per il legislatore nazionale è stata un’opzione che non poteva non risentire degli obiettivi introdotti con le decisioni e le direttive del Consiglio dell’Unione europea a partire dagli anni ‘70, in tema di armonizzazione dell’IVA comunitaria, e dei principi elaborati, in sede applicativa, dalla Corte di giustizia UE e dal giudice interno di legittimità”.

Si è già detto” prosegue la Corte “che è la natura dell’IVA quale «risorsa propria» dell’Unione europea a spiegare i vincoli per gli Stati membri nella gestione e riscossione dell’imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e, nella specie, la formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare, che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, ha escluso la falcidiabilità del credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la dilazione del pagamento.

Infatti, la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo. È pacifico, altresì, che la disciplina censurata ha formalizzato la soluzione accolta dalla giurisprudenza di legittimità e dalla normativa secondaria di settore già nel vigore della precedente formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare, che escludeva dall’oggetto dell’accordo fiscale i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea.

Perciò “la previsione di una deroga al principio di indisponibilità della pretesa tributaria normativamente circoscritta alla sola dilazione di pagamento dell’IVA non è irragionevole e si giustifica – sul piano prognostico – proprio per il persistere, in capo all’amministrazione finanziaria, della possibilità di riscuotere il tributo in futuro, con la contestuale approvazione di un piano di concordato idoneo a consentire il graduale superamento dello stato di crisi dell’impresa”.

Le considerazioni che precedono conducono alla non fondatezza della censura rivolta alla disciplina della transazione fiscale in relazione all’art. 3 Cost., sollevata in base ad argomentazioni che parimenti denunciano la disparità di trattamento dell’amministrazione finanziaria rispetto alle altre categorie di creditori, i quali, ad avviso del rimettente, in base al novellato art. 160 della legge fallimentare possono optare per la soluzione concordataria quando al loro credito sia attribuito un grado di soddisfazione non inferiore a quello realizzabile sul ricavato in sede di liquidazione. Anche in questo caso, infatti, la prospettazione del Tribunale rimettente fa leva su una simmetria normativa con i crediti privilegiati di altra natura, e sul possibile soddisfacimento parziale degli stessi «in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione» (art. 160, comma 2, della legge fallimentare). Un siffatto ragionamento attua, tuttavia, un accostamento fra i trattamenti differenziati che la disciplina del concordato fallimentare riserva alle diverse categorie di creditori, e segue un approccio ricostruttivo che non è condivisibile, in considerazione della più volte sottolineata peculiarità della regolamentazione della transazione fiscale del credito IVA. In particolare, il tertium comparationis evocato dal giudice a quo concerne i crediti privilegiati non tributari, per i quali la falcidiabilità in sede di concordato preventivo è ammessa, in generale, dal citato art. 160, comma 2, della legge fallimentare. Tra tale disciplina e quella specificamente dettata per il credito IVA, si frappone, ancora, il regime previsto dalla seconda parte dell’art. 182-ter, comma 1, della legge fallimentare, per i crediti tributari (o contributivi) assistiti da privilegio – per i quali «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore […]» – e per i crediti tributari (o contributivi) aventi natura chirografaria, per i quali «il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole».

A nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari è riconducibile il credito IVA, per il quale esiste una disciplina eccezionale attributiva di un «trattamento peculiare e inderogabile» (Corte di cassazione, sez. civ.. n. 22931 del 2011), che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio di grado postergato (qual è appunto l’IVA), in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione”. “La questione, pertanto”, conclude la Corte, “non è fondata, non essendovi profili di intrinseca irragionevolezza nella disciplina dettata dal disposto degli artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare, la quale, ai fini dell’ammissibilità del piano di concordato contenente una proposta di transazione fiscale, regolamenta diversamente il credito erariale IVA, riservando ad esso un trattamento necessariamente differenziato non solo rispetto ai crediti privilegiati in generale, ma anche nei confronti degli altri crediti tributari assistiti da privilegio. Oltre che sull’inammissibile raffronto tra fattispecie normative eterogenee – che riflette, come si è detto, un’opzione del legislatore interno necessitata dalla peculiare disciplina dell’IVA derivante dalle regole comunitarie – la non fondatezza della questione riposa, altresì, sul rilievo che la norma interna in materia di transigibilità del credito IVA è, di per sé, disciplina eccezionale rispetto al principio dell’indisponibilità della pretesa erariale”.

Il complesso dell’articolata decisione consente di individuare dei punti fermi che prescindono dalla peculiarità del caso ivi trattato.

Intanto la Corte chiarisce uno dei dati che costituisce oggetto di diversa valutazione e dunque di interpretazione, circa i limiti della disponibilità del credito di IVA. Il giudice a quo asserisce infatti che sia solo la generale rinuncia all’accertamento dell’imposta ad essere in contrasto con la normativa sovranazionale, e non la eventuale, singola valutazione sulla convenienza di una riscossione parziale, evenienza che in più occasioni la Corte di Giustizia ha ritenuto legittima ed esente da censure, facendo a tale fine richiamo alla decisione della Corte Europea del 29 marzo 2012 nella causa C-500/2010 (5). La Consulta ritiene incongruo il richiamo che, a tal fine, si fa alla decisione, posto che in essa l’ammissibilità della chiusura delle liti fidali, prevista nell’art. 16 della l. 289/2002, è vista come norma eccezionale, dettata anche in vista della necessaria armonizzazione col principio della giusta durata dei processi, e volta, sotto ben definiti condizioni e presupposti (esaurimento di due gradi di giudizio con soccombenza in entrambi dell’amministrazione), a definire non l’accertamento dell’imposta, ma il contenzioso. Quel che sembra dunque fondare il discrimine tra atti consentiti e atti non consentiti al legislatore nazionale (o, il che è lo stesso, tra compatibilità e distonia rispetto alla norma comunitaria) è la incertezza e/o la non accertabilità del credito d’imposta, la cui sicura esistenza, per contro, non consente alcuna cedibilità della pretesa, che non è difatti contemplata nell’art. 160 l.f. ed è limitata alla sola dilazione nei casi dell’art. 182-ter l.f. Né sono in proposito dirimenti le differenze tra concordato preventivo e fallimento che, come rimarcato nell’ordinanza di rimessione, sono state giustificate a livello europeo con la raccomandazione n. 2007/C/272/05 della Commissione europea, secondo la quale il fallimento produce un’eccezione alla regola (dell’integrale recupero degli aiuti di Stato), costituendo “un’esimente per lo Stato membro che non effettua l’integrale recupero dell’aiuto illegale nei confronti del soggetto fallito”, condizione che giustifica “la ragionevolezza della diversa disciplina in base alla quale alla dichiarazione di fallimento consegue inevitabilmente la riduzione del credito IVA”.

Inoltre il profilo di ingiustificata diversità di trattamento (che ha sollecitato l’intervento della Corte Costituzionale) non è rilevato tra l’art. 160 e l’art. 182-ter l.f., ossia tra la possibilità di falcidia in caso di “mero” concordato preventivo, e “non falcidia” nel caso di concordato con transazione fiscale, ma è posta tra la impossibilità di falcidia del credito Iva rispetto a quello di altri creditori privilegiati (anche di grado poziore) e ciò in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 160 e 182-ter l.f., non soltanto, dunque, non letti in alternativa, ma altresì mai considerati come opzioni diverse, anche al fine della valutazione di costituzionalità. Tale base interpretativa (l’unitarietà delle due norme al fine della disciplina tout court del concordato con riguardo ai crediti erariali della specie indicata) è fatta propria dalla Corte, tant’è che la esclusione del vulnus costituzionale non passa attraverso la dicotomia tra due sistemi, all’interno dei quali sarebbe rimesso alla scelta del debitore – e non del creditore – accedere o meno alla falcidiabilità del credito, ma sull’esistenza di una generalizzata operatività del principio d’indisponibilità della pretesa erariale. In una simile ottica, già la sola possibilità di consentire un pagamento dilazionato sembra costituire deroga (necessariamente espressa) all’indisponibilità, il che significa che, in assenza di deroghe, tale principio opera nella sua pienezza come prius in tutte le altre norme.

Non è perciò conforme alla delineazione che supporta la decisione della Consulta pretendere di sottrarre l’art. 160 l.f. ad un simile principio, non contenendo tale norma alcuna deroga in proposito, necessaria attesa la fonte della indisponibilità anzidetta.

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Sembra dunque che la compatibilità con la norma comunitaria passi attraverso l’affermazione dell’indisponibilità dell’imposta, che opera in ambito concordatario, e che trova in esso una sua deroga solo quanto alla dilazione di pagamento, mentre la falcidiabilità dello stesso credito, che deriva dal fallimento, risponde non ad una deroga codificata nello specifico, ma all’esimente (una sorta di forza maggiore) connessa all’impossibilità di una riscossione integrale, e dunque ad una fattispecie di rinuncia necessitata e postuma all’accertamento dell’indisponibilità di risorse sufficienti.

Va considerata altresì la presenza di altri riferimenti normativi che fanno ritenere che la norma di cui all’art. 182-ter l.f. rivesta carattere di norma sostanziale attinente ad ogni tipo di concordato, indipendentemente dalla modalità prescelta dal debitore; rilevante è, in tal senso, la norma di cui all’art. 7 della L. n. 3/2012, relativa al ripiano del sovraindebitamento, il quale vede testualmente unificate, per i crediti aventi ad oggetto “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea”, sia la dizione adoperata nell’art. 182-ter l.f. che quella dell’art. 160 l.f., a rimarcare la complementarietà delle due norme con riguardo alle condizioni che attengono alla fattibilità giuridica del concordato, oltre che la ratio di un’unica ed omogenea disciplina di tutti i casi di superamento “concordato” della crisi. Si potrebbe certamente obiettare che la completezza della dizione adoperata nella L. 3/2012, posta a confronto con la “incompletezza” dell’art. 160 l.f. (ove non compare alcun riferimento ai tributi costituenti risorsa dell’Unione Europea), può a contrario indicare una diversa voluntas di separata considerazione di quei tributi; e tuttavia non può sottacersi che l’art. 182-ter l.f. abbia fatto riferimento, fin dalla novella del 2005, che ha modificato la stessa impostazione del concordato, al piano di cui all’art. 160 l.f., così ponendo – come peraltro rimarcato dalla lettura che se n’è fatta dalla Corte di legittimità, oggi confermata dalle argomentazioni della Consulta – un rapporto di complementarietà della disciplina ivi portata, con la previsione della “massima estensione” dell’accordo fattibile sui crediti dell’erario, limitata, in tutti i casi di chiusura concordata della crisi, alla sola dilazione.

A parere di questa Corte non giova ad una diversa interpretazione della fattispecie nemmeno il richiamo, di segno totalmente contrario, che il decreto impugnato fa alla relazione governativa di presentazione dell’art. 12 del d.l. 169/2007; secondo tale relazione, la modifica al piano di cui all’art. 160 l.f., nel prevedere che anche i creditori privilegiati possano non essere soddisfatti integralmente, intenderebbe eliminare una “illogica disparità di trattamento rispetto al concordato fallimentare”; da tale richiamo il primo giudice inferisce, dunque, che, al pari degli altri, anche il credito erariale de quo sarebbe falcidiabile. In realtà, l’ambito di paragone può operare solo all’interno di quel tertium genus rappresentato dalle tradizionali categorie di creditori privilegiati cui fa cenno la Consulta, ed alle quali non appartiene il credito relativo all’Iva, atteso il regime di indisponibilità cui lo stesso risulta soggetto; né si tien conto, con riguardo allo specifico credito, che la esimente costituita dal fallimento, che rende conforme alla norma sovranazionale la falcidia, non può operare in assenza del fallimento, ed in funzione di meri interessi privatistici, espressamente esaltati nel nuovo assetto concordatario. Sembra dunque assai più consona ed armonica una lettura che investa il complesso della disciplina della fattispecie, con i suoi limiti ed i suoi principi, nella quale espressamente si coglie la linea di discrimine costituita dal fallimento rispetto a ciò che può avvenire prima di esso, sì che un problema di armonizzazione si pone tra ciò che è impossibile prima e che diviene possibile poi; sotto tale profilo, come già detto, è del tutto ragionevole che l’omogeneità di trattamento debba porsi tra la procedura di ripiano del sovraindebitamento e a quella del concordato (con o senza transazione), e non tra istituti tipici di una crisi nella quale nessuna possibilità di superamento appare praticabile.

V’è infine da rilevare, sebbene ciò non sia certo dirimente, che una tale interpretazione sta assumendo la connotazione di un indirizzo in via di consolidamento, almeno nella giurisprudenza di legittimità (si fa riferimento alla decisione della Suprema Corte del 30 aprile 2014 n. 9541 (6)), le cui pronunce peraltro registrano la diversità di orientamenti nella giurisprudenza di merito (così ad esempio Corte d’Appello Venezia 7 maggio 2013 (7)). Invero, anche a questa Corte è apparso inizialmente possibile un contrasto con i principi costituzionali, e soprattutto con il principio di uguaglianza, in senso opposto a quello ritenuto dal Tribunale di Verona (giudice remittente nella questione di legittimità costituzionale respinta), potendosi profilare una superprotezione del credito de quo rispetto ad altri che, come, quelli nascenti dal rapporto di lavoro, hanno una portata costituzionale, e su cui la falcidia può abbattersi (sempre nei limiti sanciti per i crediti assistiti da privilegio). La prospettazione è però venuta meno nel momento in cui s’è ritenuto, sulla scorta delle autorevoli indicazioni provenienti dalla Consulta, che la natura e la portata di quello specifico credito ne comportasse la indisponibilità anche per il legislatore nazionale, sì da imporre una interpretazione del complesso normativo che, tenendo conto di quei principi, cessasse così di apparire distonico e consentisse di cogliere la specialità della disciplina, non irragionevole né immotivata. V’è peraltro da rilevare che la previsione della possibilità di una falcidia all’interno del concordato, mentre comporta un’irragionevole discriminazione rispetto alla disciplina (del tutto speculare) del sovraindebitamento, a livello più generale si pone come una rinuncia – totale o parziale poco rileva – alla riscossione dell’imposta, fatto che la Corte Europea ha già censurato, posto che gli interessi sovranazionali cui la disciplina risponde non consente che essi possano venire a patti con la finalità, tutta interna, di agevolare sistemi concordati di superamento della crisi dell’impresa.

Nel riformare il giudizio di omologazione, ritiene la Corte che gli atti vadano rimessi al Tribunale di Cosenza, e ciò non soltanto in analogia a quanto disposto dall’art. 22 l.f., ma anche perché la procedura registra la non consueta presenza di due proposte di concordato, entrambe approvate dalla maggioranza dei creditori, la seconda delle quali, peraltro, presentata sulla scorta delle indicazioni dello stesso Tribunale.

Il notevole contrasto di interpretazioni ed il sopravvenire di decisioni in materia fa ritenere conforme a giustizia l’integrale compensazione delle spese del grado.

P.Q.M. – La Corte d’Appello di Catanzaro, 2^ Sezione Civile, definitivamente pronunciando sul reclamo proposto da Agenzia delle Entrate contro Centro Più srl, Commissario Giudiziale e nei confronti del P.M., avverso il decreto del 24 febbraio 2014, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:

1) revoca la dichiarazione di omologazione del concordato preventivo della Centro Più srl;

2) dispone rimettersi gli atti al Tribunale di Cosenza per ogni consequenziale provvedimento;

3) dichiara interamente compensate tra le parti le spese del grado.

 

(1) Corte Giust. CE 11 dicembre 2008, causa C-174/07, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 4 novembre 2011, n. 22931, in Boll. Trib., 2012, 619.

(3) Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521, in Boll. Trib. On-line.

(4) In Boll. Trib., 2014, 1344.

(5) In Boll. Trib. On-line.

(6) In Boll. Trib. On-line.

(7) In Boll. Trib. On-line.

 

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