5 Dicembre, 2017

ICI SUGLI IMMOBILI INAGIBILI:
LA CORTE DI CASSAZIONE CONFERMA L’APPLICABILITÀ
DELLA RIDUZIONE DEL 50 PER CENTO ANCHE SENZA LA RICHIESTA DEI PROPRIETARI

L’annotata pronuncia rappresenta la piena conferma di recenti sentenze “gemelle” emesse dalla stessa Suprema Corte nel 2015 (1) sulla medesima fattispecie di riduzione al 50 per cento di ICI [ma la regola vale anche – come ben si sa – per l’IMU, in virtù di quanto disposto dalla normativa di quest’ultimo tributo (2)] sugli immobili inagibili, a norma dell’art. 8, primo comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.
Anche in questa occasione, paradossalmente, il Supremo Collegio ha ribaltato il giudizio espresso dalle Commissioni tributarie di merito, espressesi per l’inapplicabilità della riduzione tariffaria in assenza di una domanda ad hoc del proprietario dell’immobile inagibile, malgrado la produzione da parte di questi di tutta la richiesta documentazione tecnica circa lo stato dell’immobile posseduto! I giudici di merito hanno in sostanza difeso la prassi consolidata della nostra burocrazia, secondo cui ogni diritto del contribuente, anche rilevato d’ufficio, è di regola subordinato a una sua domanda per la concessione del beneficio pur comprovato per tabulas.
Ma c’è un’altra ragione alla base del comportamento e delle convinzioni delle Commissioni di merito: c’è la miope e distorta interpretazione di una regola, più volte ribadita dalla stessa Suprema Corte, in base alla quale, in genere, i benefici fiscali possono essere riconosciuti con onere della prova dei presupposti e requisiti per ottenerli a carico del contribuente (3); ma un conto è la presentazione di tutta la documentazione necessaria e prevista dalla legge per ottenere il beneficio, un altro conto, invece, è accompagnare tale produzione con l’ovvia, implicita e conseguente richiesta di concessione dell’esenzione o della riduzione.
Per giungere a questa logica deduzione, i Massimi Giudici hanno richiamato – e la circostanza ci appare eccezionale – la legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), troppo spesso ignorata e sottovalutata, che all’art. 10 dispone che al contribuente non possa essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore (e per comprovare l’inagibilità di un immobile la normativa richiede la produzione di precise e concordanti documentazioni tecniche), per cui la domanda del beneficio non solo non è richiesta dalla legge (vedasi a riguardo l’art. 23 Cost.), ma si ricava ed emerge da tutto il procedimento messo in atto.
Ciò detto, sul caso specifico in rassegna, ancora una volta andiamo a esprimerci sul tema generale della prevista applicazione dell’ICI (e, oggi, dell’IMU) sui fabbricati inagibili o inabitabili; applicazione ridotta sì, ma sempre ingiustificata: l’applicazione di tributi sui ruderi rappresenta un insulto all’art. 53 Cost. e al suo principio-cardine dell’aggancio dell’imposizione fiscale a una manifestazione di “capacità contributiva”. Ma quale “capacità contributiva” esprime per il suo sfortunato proprietario il possesso di un immobile inagibile, inabitabile per accertamento tecnico, e di fatto non utilizzabile?!
Soltanto spese di conservazione e di salvaguardia per possibili responsabilità economiche e penali (si pensi solo al crollo di una parte del rudere, a un incendio di un giardino abbandonato e invaso da erbacce, etc.).
In catasto, immobili del genere sono considerati come unità collabenti, classificati nella categoria “fittizia” F/2, senza rendita catastale, “in quanto non producono reddito”. E non producono reddito, ma solo spese, anche gli immobili condannati al pagamento di ICI e di IMU al 50 per cento.
Solo che non è consentito, in catasto, chiedere di passare alla categoria F immobili già iscritti in altre categorie (4); l’iscrizione è permessa solo per nuovi immobili, non ancora accatastati e ciò ci sembra assurdo, non consentendo variazioni in pejus per immobili divenuti nel tempo inabitabili e inutilizzabili.
Cade dunque la possibilità, da taluno vagheggiata, di realizzare addirittura l’esenzione dall’ICI/IMU di tali fabbricati attraverso operazioni catastali. L’unica strada percorribile diventa allora una strada costosa per i già provati e sfortunati proprietari: la previa demolizione del rudere, che lo rende intassabile come tale, ma che lo diventa come “area fabbricabile”!
Insomma, un’evidente e ingiustificata iniquità, che il legislatore è riuscito a risolvere solo per i fabbricati terremotati, notoriamente e giustamente sottratti all’imposizione (5) e che, al contrario, dovrebbe diventare legge generale e giusta per tutti gli immobili inagibili e inutilizzati.

Dott. Eugenio Righi

(1) Ved. Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, nn. 12014 e 12015, entrambe in Boll. Trib. On-line, e anche in Corr. trib., 2015, 2536, con nota di M. DEL VAGLIO, Per fruire della riduzione del 50% dell’ICI (IMU) non è obbligatoria l’istanza preventiva del contribuente.
(2) La riduzione tariffaria del 50 per cento per l’IMU è stata confermata dall’art. 13, terzo comma, lett. b), del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), integrato dall’art. 4 della legge 26 aprile 2012, n. 44, con disposizione sostanzialmente conforme a quella contenuta nell’art. 8 del D.Lgs. n. 504/1992: la riduzione è disposta «per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare dichiarazione sostitutiva ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente». Sono esenti dall’imposta a norma dell’art. 7, primo comma, lett. g), «i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente al periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività predette».
(3) Giurisprudenza costante: ved., per tutte, Cass., sez. trib., 14 gennaio 2011, n. 774, in Boll. Trib., 2011, 557; e Cass., sez. trib., 11 giugno 2003, n. 9309, ivi, 2003, 730.
(4) Così A. JOVINE, L’attribuzione della rendita catastale e la tutela dei cittadini, Sant’Arcangelo di Romagna, 2013, 74; dalla lettura della sentenza annotata si rileva, invece, che l’Agenzia del territorio aveva accolto la richiesta di variazione della classificazione del fabbricato in questione da D/4 (case di cura, ospedali, ambulatori) a F/2 (unità collabente).
(5) Si vedano le leggi speciali emanate per i recenti terremoti dell’Aquila, di Amatrice e degli altri Comuni coinvolti nel sisma del 24 agosto u.s.

IL NUOVO ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE
IN MERITO AL RICONOSCIMENTO DELLA RIDUZIONE DELL’ICI PER UN FABBRICATO INAGIBILE

Nell’annotata sentenza i Giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del contribuente avente a oggetto un avviso di accertamento emesso dal Comune per omesso versamento parziale dell’ICI; in particolare, l’ente impositore aveva disconosciuto l’applicazione dell’agevolazione della riduzione dell’imposta al 50 per cento per i fabbricati inagibili, in quanto il contribuente non aveva presentato richiesta per usufruire di tale beneficio.
Al riguardo, l’art. 8, primo comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prevede che «L’imposta è ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni», sottoponendo tale agevolazione a un onere alternativo per il contribuente: «L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare dichiarazione sostitutiva ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15».
Nel caso di specie il contribuente, in sede di liquidazione dell’imposta, aveva provveduto al pagamento della medesima al 50 per cento, ritenendo sussistere per il fabbricato soggetto a tassazione i requisiti previsti dalla norma; tuttavia non aveva né richiesto la predisposizione della perizia né aveva presentato un’autocertificazione attestante l’inagibilità dell’immobile. Di conseguenza, il Comune aveva notificato l’avviso di accertamento per integrare il restante 50 per cento dell’imposta ritenuta dovuta e non versata.
Ciò nonostante il contribuente, mediante una lettura non formalistica bensì sostanzialistica della norma, rivendicava la conoscenza di fatto dello stato dell’immobile da parte del Comune: infatti il fabbricato in questione versava in stato di abbandono, posto che il Comune aveva dato una concessione edilizia a scopo di ristrutturazione; tuttavia il contribuente, dopo aver effettuato una serie di lavori di demolizione, a seguito della scadenza della concessione edilizia, fu costretto ad interrompere i lavori e, a far data dal 27 novembre 1998, l’immobile era ridotto a rudere. Pertanto il soggetto passivo aveva ritenuto direttamente applicabile l’agevolazione, e aveva provveduto al pagamento dell’ICI al 50 per cento.
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre dettato, come principio generale, che in tema di ICI e nelle ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto non utilizzato, l’imposta vada ridotta al 50 per cento ai sensi dell’art. 8, primo comma, del D.Lgs. n. 504/1992, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità – accertabili dall’ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente – permangano per l’intero anno il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale.
Tuttavia nell’annotata sentenza la Corte di Cassazione sposta la funzione delle summenzionate attività informative da onere del contribuente attinente alla validità della dichiarazione – come si potrebbe evincere dal senso letterale della norma – a un onere di tipo probatorio superabile dallo stato di fatto e avente comunque una funzione precipuamente probatoria.
La Corte afferma infatti che «erroneamente il giudice di appello ha rigettato il ricorso ritenendo non provato lo stato di inagibilità dell’immobile, peraltro mai contestato dal Comune»; in tal modo la Corte di Cassazione considera la dichiarazione o l’accertamento dell’inagibilità e/o inabitabilità come verifica di uno stato di fatto e non come condizione formale di accesso all’agevolazione, sottoponendo pertanto detto elemento alla regola di specifica contestazione, e giungendo di conseguenza alla conclusione che qualora non sia stato esplicitamente contestato si tratti di fatto pacifico.
Da ciò consegue che la Suprema Corte ritiene rilevante e determinante l’essenza dello stato di fatto in cui si trova il fabbricato, diversamente da quanto si potrebbe evincere da un’interpretazione meramente letterale della norma de qua.
A ulteriore sostegno della propria tesi la Corte richiama il: «principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (art. 10, comma 1, Legge n. 212/2000), di cui è espressione anche la regola secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore (art. 6, comma 4, Legge n. 212/2000)».
Questo principio è tratto da una norma di carattere primario, la legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente); com’è noto, nonostante il proprio posizionamento nel sistema delle fonti come legge ordinaria, allo Statuto dei diritti del contribuente è stata riconosciuta, dalla stessa Suprema Corte, la valenza di norma di principio. Trattasi, infatti, di giurisprudenza costante l’affermazione che le norme contenute in tale Statuto abbiano «un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo statuto sia perché costituiscono “principi generali dell’ordinamento tributario”» (1); non solo tali norme sono da considerarsi prevalenti ma la Suprema Corte assegna loro anche uno specifico valore ermeneutico, come si legge nella medesima sentenza testé citata: «qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata».
È sulla base di quest’ultima funzione che la Suprema Corte ha effettuato un’interpretazione adeguatrice della norma.
Peraltro l’elemento innovativo della sentenza in esame non è tanto il contenuto della decisione o il ragionamento logico seguito dalla Corte di Cassazione – già presente in precedenti pronunce (2) – bensì le basi probatorie su cui essa ha fondato la presunzione di conoscenza dello stato di fatto dell’immobile da parte del Comune; queste invero inducono a pensare a un ulteriore favor nei confronti del contribuente.
In questo caso infatti l’onere probatorio è stato considerato soddisfatto non già da una specifica dichiarazione/autocertificazione da parte del contribuente o constatazione dello stato dell’immobile da parte del Comune con perizia richiesta dal contribuente, bensì sulla base di tre concorrenti motivi: 1) la scadenza della concessione edilizia in data 28 luglio 1998, senza ulteriori concessioni di permessi edificatori; 2) l’istanza di variazione della destinazione da D4 a Unità Collabente presentata in data 13 febbraio 2007 all’Agenzia del territorio la quale ha dichiarato l’immobile unità collabente; 3) le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio richiesta dalla Commissione tributaria regionale in analogo giudizio relativo ad altro anno d’imposta.
Procedendo alla disamina degli elementi posti a base della decisione, il primo risulta essere un elemento che non indica direttamente lo stato di fatto, ma permette di arguirlo solo mediante un ragionamento inferenziale; per quanto riguarda gli ulteriori due motivi essi sono entrambi temporalmente successivi al momento del sorgere dell’obbligo impositivo (in quanto l’imposta era relativa all’ICI per l’anno 2002) e aventi l’uno natura amministrativa e l’altro giudiziale, non conoscibili quindi dal Comune nel momento di applicazione dell’imposta.
La debole base argomentativa della Corte di Cassazione è la novità di questa pronuncia; tuttavia tale orientamento non è però estraneo a un processo di estensione dei doveri di collaborazione tra enti impositori e contribuenti, in merito alla verifica dello stato di fatto previsto dalla clausola contenuta nel primo comma dell’art. 8 del D.Lgs. n. 504/1992, volta alla riduzione della base imponibile.
Ripercorrendo infatti la giurisprudenza della Suprema Corte si trova una prima pronuncia in cui si afferma che «quanto al centrale thema decidendum, il ricorso deve essere rigettato sulla base dell’esegesi letterale della fondamentale norma dell’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Secondo la richiamata disposizione occorre che vi sia una dichiarazione (“dichiarati”) di inagibilità o inabitabilità, cui consegua (congiuntiva “e”) non la non utilizzabilità in astratto, bensì la inutilizzazione in concreto (“di fatto inutilizzati”). Orbene, mancava nella fattispecie la prova del presupposto principale: la dichiarazione conseguente all’accertamento dell’inagibilità o della inabitabilità da parte dell’ufficio tecnico comunale. Tale dimostrazione incombeva alla parte contribuente, non solo per i noti principi regolatori dell’onere della prova, ma ancor più perché veniva invocata una normativa di carattere sostanzialmente agevolativo, tale dovendosi considerare la riduzione dell’ICI del 50 per cento (art. 8, comma 1, citato)» (3).
Risulta evidente come in questa prima pronuncia la Corte di Cassazione sottolinei la essenzialità della dichiarazione di inagibilità come momento formale prodromico all’accesso al trattamento agevolativo, al di là della prova dello stato di fatto comunque sottoposta a un rigoroso onere interamente gravante sul contribuente, senza alcun riferimento a un obbligo di collaborazione del soggetto accertatore.
Il suddetto orientamento della Corte di Cassazione muta nella successiva pronuncia alla luce di una lettura maggiormente sistematica, basata sul principio di collaborazione e buona fede per come stabilito dall’art. 10 della citata legge n. 212/2000 entrata in vigore nel 2000 e come interpretato dalla Suprema Corte medesima già dalle sue prime pronunce.
La Corte di Cassazione infatti riconosce nella sentenza n. 23531 del 2008 (4) la responsabilità del Comune il quale: «fin dal 1992, aveva revocato la licenza per l’esercizio della sala cinematografica, in seguito alla accertata inagibilità del locale, e che era noto in città che la sala era rimasta inutilizzata … Pertanto, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (art. 10, comma 1, L. n. 212 del 2000), di cui è espressione anche la regola secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore (art. 6, comma 4, L. n. 212 del 2000), deve ritenersi che nessun altro onere probatorio gravasse sul contribuente». In tale caso la prova fornita era però una dichiarazione mediante la quale il Comune affermava direttamente l’inagibilità dell’immobile, una prova sicuramente più forte e specifica di quella contenuta nella sentenza qui in commento, dov’era semplicemente scaduta la concessione edilizia.
Successivamente l’orientamento della Suprema Corte si è dimostrato altalenante, affermando a volte la necessità del presupposto formale: «la riduzione d’imposta consegue, secondo la norma citata, non alla semplice richiesta (in denunzia, originaria o rettificativa, o in corso di giudizio), ma all’emissione di apposita dichiarazione amministrativa d’inagibilità o inabitabilità degl’immobili (se di fatto non utilizzati), rilasciata previo accertamento dell’ufficio tecnico comunale; ovvero alla produzione di dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’art. 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15. Il ricorrente peraltro non deduce di avere “evidenziato il mancato utilizzo” dei fabbricati mediante esibizione della documentazione suddetta» (5). Altre volte affermando i principi sopra esposti: «si precisa che è irrilevante la mancata presentazione della richiesta di fruizione del predetto beneficio, specie se il contribuente (come accaduto nella fattispecie) presenti perizia di parte, costituente prova idonea in ordine allo stato di inagibilità anche in mancanza di denuncia e richiesta del beneficio in questione» (6); o ancora: «… erroneamente il giudice di appello ha rigettato il ricorso ritenendo non provato lo stato di inagibilità dell’immobile. Infatti l’Ordinanza sindacale n. 413 del 1991 costituiva prova adeguata e sufficiente che l’immobile fosse in condizioni di inagibilità e tale stato, in mancanza di prova in ordine all’eventuale restauro, deve ritenersi esistente anche per gli anni successivi al 1991 con diritto all’esenzione invocata. Infatti la permanenza dello stato di inagibilità che esclude il pagamento dell’ICI in misura integrale doveva ritenersi esistente anche se il contribuente non aveva presentato richiesta di usufruire del beneficio della riduzione del 50% prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 1, tanto più che il contribuente aveva presentato perizia di parte» (7).
Da tale analitica disamina risulta un’evoluzione della giurisprudenza orientata verso un maggior favore per il contribuente, sottolineando i sempre più stringenti obblighi di collaborazione da parte degli enti impositori i quali, prima di notificare un avviso di rettifica, sono tenuti a controllare lo stato di fatto non solo risultante ma anche desumibile dalle informazioni in proprio possesso. Si richiede al Comune non solo una prova lampante della inagibilità e/o inabitabilità dell’immobile ma altresì l’esercizio di un ragionamento inferenziale volto a desumere da elementi certi e in proprio possesso conclusioni ragionevolmente deducibili.
Al riguardo non si può sottacere un orientamento della giurisprudenza amministrativa, ovviamente non applicabile nel processo tributario, ma dettante comunque una tendenza presente nell’ordinamento, la quale ha riconosciuto il danno “da disturbo”, proprio derivante da comportamenti non necessari, da parte della pubblica Amministrazione, che comportino un ulteriore dispendio di risorse da parte del soggetto amministrato (8).
Sebbene le sopra richiamate pronunce muovano sicuramente nella giusta direzione, in ossequio ai principi dello Statuto dei diritti del contribuente, di responsabilizzare la pubblica Amministrazione evitando che essa richieda un onere eccessivo al contribuente in un’ottica di collaborazione, sarebbe auspicabile che il legislatore, sulla base della recente giurisprudenza della Suprema Corte, fornisca più precisi limiti per quanto riguarda la prova necessaria a corroborare la presunzione di conoscenza in capo al soggetto impositore. In tal modo si persegue la realizzazione di un altro fondamentale principio: la certezza del diritto.

Avv. Laura Rosa

(1) Ved. Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, in Boll. Trib., 2004, 1339, su cui cfr. M.V. SERRANÒ, Sulla «sostanziale superiorità» della fonte statutaria nella sentenza della Cassazione n. 7080/2004, ibidem, 1293.
(2) Cfr., per tutte, Cass., sez. VI, 9 gennaio 2015, n. 120, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass., sez. trib., 14 gennaio 2005, n. 661, in Boll. Trib., 2005, 1424.
(4) Così Cass., sez. trib., 12 settembre 2008, n. 23531, in Boll. Trib. On-line.
(5) Così Cass., sez. trib., 2 luglio 2009, n. 15554, in Boll. Trib. On-line.
(6) Così Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, n. 12014, in Boll. Trib. On-line.
(7) Così Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, n. 12015, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261, in Cons. Stato, 2004, I, 561.

ICI – Fabbricati inagibili o inabitabili – Riduzione dell’imposta del 50 per cento prevista dall’art. 8 del D.Lgs. n. 504/1992 – Spetta – Mancata richiesta del contribuente – Irrilevanza.

In tema di ICI, qualora l’immobile sia dichiarato o comunque risulti oggettivamente inagibile o inabitabile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 8, primo comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente poiché, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Chindemi, rel. Meloni), 21 settembre 2016, sent. n. 18453, ric. Domino s.r.l. c. Comune di Verbania]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Il Comune di Verbania aveva notificato alla società Domino srl un avviso di accertamento per il recupero dell’imposta ICI relativamente all’anno 2002, in riferimento ad una unità immobiliare in corso di ristrutturazione.
La società Domino srl impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Verbania sul presupposto che trattavasi di immobile inagibile.
La CTP di Verbania respinse il ricorso con sentenza confermata su appello del contribuente dalla Commissione Tributaria regionale del Piemonte.
Secondo i giudici di appello infatti il contribuente non aveva avanzato richiesta al Comune di inapplicabilità dell’imposta e denunciato le condizioni di inagibilità dell’immobile ex art. 8 D.Lgs. 504/1992.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte ha proposto ricorso per cassazione la società Domino srl con tre motivi ed il Comune di Verbania ha resistito con controricorso e memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con il primo motivo di ricorso la società Domino srl lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 57 D.Lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 c. 1 nr. 3 c.p.c. perché il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che la ricorrente avesse introdotto in grado di appello domande o eccezioni nuove non proposte in prima istanza mentre, al contrario, lo stato di permanente ed assoluta inagibilità dell’immobile erano già stati eccepiti in primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso la società Domino srl lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 1 D.Lgs. 504/1992, in relazione all’art. 360 c. 1 nr. 3 c.p.c. perché il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che non fosse applicabile la riduzione prevista dall’art. 8 comma 1 D.Lgs. 504/1992, e quindi dovuto il pagamento dell’ICI in misura integrale in quanto la ricorrente non aveva presentato richiesta di usufruire del beneficio della riduzione del 50% prevista dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. 504/1992 sebbene il Comune fosse stato a conoscenza dello stato di inagibilità ed inutilizzabilità dell’immobile.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.Lgs. 504/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. perché il giudice di appello ha erroneamente ritenuto dovuto il pagamento dell’ICI in misura integrale sebbene l’immobile fosse improduttivo di reddito e tale condizione fosse nota al Comune di Verbania.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto in ordine a tutti i motivi proposti.
In ordine al primo motivo risulta dalla sentenza appellata che nel giudizio di appello la società ha svolto eccezioni ed argomenti difensivi già risultanti nel ricorso di primo grado.
In ordine al secondo e terzo motivo, tra loro connessi, premesso che in tema di ICI e nella ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l’imposta va ridotta al 50 per cento, ai sensi dell’art. 8 primo comma del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità – accertabili dall’ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente – permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, erroneamente il giudice di appello ha rigettato il ricorso ritenendo non provato lo stato di inagibilità dell’immobile, peraltro mai contestato dal Comune di Verbania.
Infatti, al contrario, era perfettamente noto al Comune di Verbania che l’immobile fosse in condizioni di grave inagibilità considerato che lo stesso Comune, scaduta la concessione edilizia in data 28/7/1998, non aveva concesso alcun permesso edificatorio sicché nessun intervento edilizio poteva essere eseguito.
Infatti la permanenza dello stato di inagibilità che esclude il pagamento dell’ICI in misura integrale doveva ritenersi esistente anche se la contribuente non aveva presentato richiesta di usufruire del beneficio della riduzione del 50% prevista dall’art. 8 comma 1 d.lgs. 504/1992, tanto più che tale stato era noto al Comune e risulta confermato dalla istanza di variazione della destinazione da D4 a Unità Collabente presentata in data 13/2/2007 all’Agenzia del Territorio la quale ha dichiarato l’immobile unità collabente.
Lo stato di inagibilità infine risulta confermato dal CTU nominato dalla CTR del Piemonte sezione 36 in analogo giudizio tra le parti, attualmente pendente davanti a questa Corte relativamente all’ICI dovuta per l’anno di imposta 2001, per cui tale perizia di ufficio costituisce prova idonea in ordine allo stato di inagibilità anche in mancanza di denuncia e richiesta del beneficio di cui all’art. 8, sopra indicato.
A tal riguardo tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1), di cui è espressione anche la regola secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore (L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 4), deve ritenersi che nessun altro onere probatorio gravasse nella fattispecie sul contribuente (23531/2008 (1)).
Sul punto si è pronunciata questa Corte con Sez. 5, Sentenza n. 12015 del 10/6/2015 (2) secondo la quale “In tema di ICI, qualora l’immobile sia dichiarato inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nella misura del 50 per cento anche in assenza di richiesta del contribuente poiché, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune”.
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio e la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con accoglimento del ricorso introduttivo.
Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito, stante l’evolversi della vicenda processuale, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del Comune di Verbania.

P.Q.M. – Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il Comune di Verbania al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in 1.700,00 complessivamente oltre spese accessorie.

(1) Cass. 12 settembre 2008, n. 23531, in Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.

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