La rubrica dell’art. 24 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 è dedicata ai “motivi aggiunti”.
Una tale facoltà, la presentazione di ulteriori motivi di impugnazione rispetto a quelli contenuti nel ricorso originario, è collegata a una qualche novità inerente i fatti oggetto di discussione che possa insorgere nel corso del processo (1).
Anche il codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (2), prevede all’art. 43 (3) una tale possibilità. Il ruolo di tale istituito è tuttavia del tutto diverso. In ambito amministrativo la semplice percezione dell’esistenza di un provvedimento di cui sia «evidente l’immediata e concreta lesività per la sfera giuridica dell’interessato» (4) avvia in capo a questi il decorso del termine per l’impugnazione. Tale criticità circa la piena e integrale conoscenza dei fatti e delle circostanze contenuti nel provvedimento lesivo e in quelli ad esso collegati, necessario antecedente per articolare la linea difensiva in relazione all’effettivo contenuto del provvedimento impugnato, non si verifica in campo tributario. In quest’ambito l’avvio del processo è infatti legato alla notifica di uno dei provvedimenti indicati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 ovvero dall’inutile decorso del termine previsto per la restituzione dei tributi chiesti a rimborso.
Questi atti, come dispongono gli artt. 37 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, devono essere emessi «in base ai risultati dei controlli e delle ricerche effettuati». I medesimi, così come prevede l’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), debbono contenere «i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione». Se in essi si fa riferimento ad un altro atto, come ad esempio un processo verbale di constatazione, quest’ultimo deve essere allegato al provvedimento impositivo salvo che, come aggiungono l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e l’art. 56 del D.P.R. n. 633/1972, l’Ufficio non ne riproduca il contenuto essenziale o dello stesso il contribuente non ne abbia già piena e legale conoscenza.
Ciò significa che il contribuente è in grado di conoscere i fatti e i presupposti giuridici posti a fondamento della pretesa impositiva fin dal momento in cui riceve la notifica del relativo atto. Una tale conoscenza, estesa agli atti attraverso i quali si è sviluppata la procedura di accertamento, gli assicura (rectius, gli dovrebbe assicurare) dunque l’immediato e pieno esercizio del diritto di difesa (5).
Se a questo si aggiunge il fatto che, a differenza di quanto avviene in ambito amministrativo, l’Ufficio resistente non può modificare la motivazione dell’atto impugnato in sede di costituzione in giudizio e non può indicare nuovi e diversi fatti costitutivi rispetto a quelli contenuti nel provvedimento impugnato (6), emerge che nessuna novità capace di incidere sulla integrità della tutela giurisdizionale può oggettivamente insorgere nel corso del processo.
In sede di appello l’immutabilità del contendere è ribadita dall’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 secondo cui «non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio». In tale contesto l’Amministrazione finanziaria non può pertanto «mutare i termini della contestazione deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento» (7).
Identico divieto vale per il ricorrente la cui difesa non può basarsi, a pena di inammissibilità, «su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere» (8).
Ciò significa che, fatte salve le eccezioni rilevabili d’ufficio, l’Amministrazione finanziaria e il contribuente non possono dedurre o allegare circostanze di fatto o motivi di diritto diversi da quelli posti a base dell’atto impositivo, divenuti oggetto del contendere in seguito alla presentazione del ricorso (9).
Niente di anomalo in quanto anche nel processo civile, per evitare che «si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte», la domanda finale deve «risultare comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio» (10). Trattandosi di una preclusione processuale, è escluso qualsiasi rilievo alla eventuale accettazione del contraddittorio da parte dell’avversario in ordine ad una irrituale modificazione degli elementi oggettivi della domanda, e cioè del petitum e della causa petendi (11).
Gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972 sull’integrazione o rettifica in aumento di un accertamento confortano queste considerazioni. Ciò può avvenire, si legge, soltanto in seguito «alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi».
Secondo un recente pronunciamento della Corte di Cassazione (12), nell’ambito di questa espressione rientrano tutti quegli elementi di novità che possono anche semplicemente indurre a una diversa valutazione di quanto già in possesso dell’Amministrazione finanziaria. In questi termini, il requisito in parola non sarebbe integrato soltanto dalla sopravvenuta conoscenza di dati contabili non conosciuti e non conoscibili da parte dell’Amministrazione finanziaria al momento della verifica, ma anche da quegli elementi che consentono di valutare diversamente gli elementi di fatto sulla base dei quali è stato emesso il precedente avviso di accertamento.
Non è questa la sede per approfondire l’analisi di tale non condivisibile argomentazione sulle condizioni dell’accertamento integrativo: se i poteri ivi previsti possano cioè essere esercitati sulla base di una nuova e differente valutazione dei dati e documenti già a disposizione dell’Amministrazione finanziaria.
In questo contesto è sufficiente rilevare che il concetto di novità a cui fa riferimento la norma tributaria è quanto mai ampio, essendo tale significato attribuibile, nell’ottica della Corte di Cassazione, anche a una rivalutazione o a una diversa lettura di quanto già utilizzato per l’emissione del precedente avviso di accertamento.
Ciò conferma che i confini del processo tributario sono rigorosamente rappresentati dal contenuto dell’avviso di accertamento, a nulla potendo valere il fatto che nel corso del giudizio l’Ufficio possa allegare ragioni diverse che modifichino o integrino la motivazione dell’atto, anche in via meramente alternativa. La facoltà di produrre documenti, ivi compresi quelli acquisiti a mente dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, non può quindi incidere sul contenuto e sui confini della pretesa impositiva, e questo anche se i nuovi documenti così prodotti mirano ad una diversa lettura dei fatti già utilizzati dall’Ufficio.
Questo però non significa che l’istituto dei motivi aggiunti di cui all’art. 24 del D.Lgs. n. 546/1992 sia un istituto inutile in quanto nessuna novità può insorgere dopo che l’accertamento è stato impugnato. Tutt’altro.
L’art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992 dispone che l’ente impositore deve costituirsi in giudizio entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso e che in tale contesto deve proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Deve altresì allegare la documentazione che offre in comunicazione.
Questa documentazione, che può essere depositata anche nei termini di cui al successivo art. 32, e cioè «fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione», può intervenire a sostegno del contenuto della pretesa impositiva ovvero per contrastare le ragioni contro di essa addotte dal ricorrente.
La norma non dice se i documenti così prodotti devono rappresentare fatti o circostanze già riscontrati al momento della emissione del provvedimento oppure possono essere stati acquisiti anche successivamente, dopo cioè la presentazione del ricorso, magari per resistere al medesimo.
Di certo la norma deve essere letta insieme all’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992 laddove si dispone che, unitamente al ricorso e ai documenti comprovanti la spedizione o la consegna del medesimo, il ricorrente deve depositare nella segreteria della Commissione tributaria l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato.
Come si è visto, può succedere che la motivazione dell’atto impugnato faccia riferimento ad altri atti di cui l’Ufficio abbia preferito riprodurne il contenuto essenziale, piuttosto che allegarli.
Può dunque succedere che fra i documenti così prodotti vi siano anche quelli “riprodotti”, come tali non conosciuti dal ricorrente nella loro interezza al momento della presentazione del ricorso. In relazione a questi documenti, il ricorrente deve essere evidentemente posto nella condizione di esercitare il proprio diritto di difesa sulla base del loro effettivo contenuto (13).
Lo vuole il principio di correttezza, trasparenza e buona fede che, giusta l’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), deve caratterizzare il rapporto fra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria.
Se è pur vero che la «logica del risultato» è sottesa più o meno esplicitamente ad ogni processo, la medesima non può essere così predominante da sovvertire le esigenze di garanzia e di tutela dei singoli contribuenti. Verrebbero lesi i basilari canoni costituzionali quali quelli sul buon andamento dell’azione pubblica e quello sulla certezza del diritto (oltre naturalmente al diritto di difesa).
Lo vuole, ancora, il principio sulla tutela del contraddittorio per cui il ricorrente deve poter impostare la sua difesa sulla base della integrale conoscenza degli atti del procedimento.
Il secondo comma dell’art. 24 del D.Lgs. n. 546/1992, laddove dispone che in caso di deposito in giudizio di documenti non conosciuti dal ricorrente è ammessa l’integrazione dei motivi del ricorso, garantisce la piena attuazione di questi principi. I motivi così aggiunti attraverso la notifica di un atto con il tipico contenuto del ricorso «entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito» (14) dovranno necessariamente riferirsi ai documenti così prodotti, non potendosi evidentemente consentire alcuna riapertura dei termini originari di impugnazione in relazione a supposti vizi collegabili a quanto già conosciuto al momento del ricorso (15). Così come avviene in ambito civilistico, nessun effetto sanante potrebbe avere, a questo proposito, l’eventuale accettazione del contraddittorio da parte dell’Amministrazione finanziaria (16).
La documentazione così depositata nel corso del processo potrebbe contenere la narrazione, anche in via indiretta, di un fatto storico fino ad allora non conosciuto.
Una tale circostanza ben potrebbe essere utilizzata per contestare, attraverso un’eccezione di merito, l’efficacia costitutiva della fattispecie fatta valere dall’Amministrazione finanziaria nella sua veste di parte attrice, sia pure soltanto sul piano sostanziale. E questo non solo per arricchire l’illustrazione di un vizio già denunciato, ma anche per proporre una domanda del tutto diversa da quella inizialmente introdotta con il ricorso originario.
Nel processo civile, in cui è ammessa la sola emendatio libelli e non la mutatio, ciò sarebbe vietato.
In quello tributario, che è pur sempre un giudizio di impugnazione della pretesa avanzata con l’atto impositivo (17), nel momento in cui si consente l’integrazione dei motivi di ricorso in esito alla produzione in giudizio di documenti non conosciuti dal ricorrente, si consente a questi di allegare nuove cause petendi e dunque autonomi thema decidendum rispetto a quelli originari (18). Sotto questo aspetto, ogni vizio che viene dedotto contro l’atto impugnato identifica una distinta causa petendi a sostegno della domanda di annullamento, totale o parziale che sia.
Competerà eventualmente al ricorrente strutturare queste causae petendi in via concorrenziale, alternativa o subordinata.
In conclusione, laddove la produzione di documenti non conosciuti dal contribuente al momento della presentazione del ricorso dovesse consentire una diversa valutazione dei fatti e delle ragioni posti alla base del provvedimento impugnato, il ricorrente potrebbe utilizzare questa nuova conoscenza non solo per integrare le ragioni della sua impugnazione, ma anche per modificarla (19).
Se così non fosse, l’alternativa sarebbe un irrimediabile vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost. Nella specie, aggravato dal singolare paradosso per cui la produzione documentale in parola consentirebbe al giudice di conoscere nella sua interezza l’atto impugnato e gli elementi utilizzati dall’Amministrazione finanziaria per redigerlo, ma sarebbe obbligato tuttavia a giudicarlo alla luce delle ragioni addotte dal ricorrente sulla base della conoscenza che questi ne aveva al momento della notifica, come tale incompleta.
Avv. Bruno Aiudi
(1) Se così non fosse, se cioè l’integrazione dei motivi di ricorso non fosse subordinata all’effettivo riscontro di una tale circostanza, sarebbe come dire che il termine previsto per la proposizione del ricorso sarebbe meramente ordinatorio e non decadenziale.
(2) Da ultimo modificato dal D.Lgs. 17 febbraio 2017, n. 13 e dal D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 46.
(3) Art. 43 (Motivi aggiunti): «1. I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini. 2. Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile. 3. Se la domanda nuova di cui al comma 1 è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’articolo 70».
(4) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 agosto 2017, n. 4129, in Boll. Trib. On-line: «la “piena conoscenza”, cui fa riferimento l’art. 41, comma 2, cod. proc. amm., non può essere intesa quale conoscenza integrale del provvedimento che si intende impugnare e delle sue motivazioni; per individuare il dies a quo di decorrenza basta infatti la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente l’immediata e concreta lesività per la sfera giuridica dell’interessato, al fine di garantire l’esigenza di certezza giuridica connessa alla previsione di un termine decadenziale per l’impugnativa degli atti amministrativi, senza che ciò possa intaccare il diritto di difesa in giudizio ed al giusto processo, garantiti invece dalla congruità del termine temporale per impugnare, decorrente dalla conoscenza dell’atto nei suoi elementi essenziali e dalla possibilità di proporre successivi motivi aggiunti».
(5) L’obbligo di idonea e completa motivazione previsto dall’art. 7 della legge n. 212/2000, afferma Cass., sez. trib., 31 gennaio 2018, n. 2382 (in Boll. Trib. On-line), è volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione, sicché l’Ufficio accertatore non può integrare il contenuto della detta motivazione in corso di causa.
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 7 maggio 2014, n. 9810, in Boll. Trib. On-line: la motivazione dell’avviso di accertamento presidiata dall’art. 7 della legge n. 212/2000 ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an e il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa.
(7) Ved. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Boll. Trib., 2014, 1646, con nota di A. RUSSO, Filtro al ricorso in cassazione avverso le sentenze del giudice tributario: i principi di diritto.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 3 luglio 2015, n. 13742, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 13 marzo 2015, n. 5072, in Boll. Trib. On-line, secondo cui «l’oggetto della contesa è delimitato in via assoluta proprio dall’atto impugnato e l’amministrazione non può addurre altri profili rispetto a quelli che hanno formato la motivazione dell’atto impositivo impugnato».
(10) Cfr. Cass., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Boll. Trib. On-line.
(11) Così Cass., sez. II, 31 maggio 2017, n. 13769, in Boll. Trib. On-line, il giudice può rilevare d’ufficio la tardiva proposizione di una domanda nuova, dovendosi escludere, alla luce del regime delle preclusioni, che alla mancata opposizione della controparte consegua la tacita accettazione del contraddittorio in ordine a tale domanda.
(12) Ved. Cass., sez. trib., 13 settembre 2017, n. 21237, in Boll. Trib., 2018, 301, con nota di F. LEONE, Interpretazione estensiva da parte della Corte di Cassazione dei “nuovi elementi” che possono giustificare l’emissione di un accertamento integrativo, secondo la quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA il presupposto per l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento precedentemente emesso, mediante la notificazione di un nuovo avviso, è costituito, ai sensi degli artt. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, e 57, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, i quali possono avere anche carattere non strettamente contabile, ma tale da indurre ad una rivalutazione dei documenti contabili già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, «sempre che per detti elementi ricorra il requisito della novità e sia stata fornita la chiara indicazione della fonte dalla quale sono stati acquisiti».
(13) Sarebbe del tutto irragionevole, sostiene Comm. trib. prov. di Firenze, sez. XXXV, 1° febbraio 2017, n. 268, in Boll. Trib. On-line, se si consentisse all’Amministrazione finanziaria di allegare in giudizio i fatti fondanti la pretesa impositiva e, per contro, non si permettesse al ricorrente di presentare motivi aggiunti.
(14) Nell’ipotesi in cui sia stata fissata l’udienza di trattazione, precisa il terzo comma dell’art. 24, l’interessato deve dichiarare alla Commissione che intende proporre motivi aggiunti; in tal caso quest’ultima rinvia l’udienza per consentire al ricorrente di procedere con la notifica dell’atto di integrazione.
(15) È dunque da escludere che il ricorrente, successivamente alla preposizione del ricorso, possa ampliare l’oggetto della domanda o addurre nuovi motivi a sostegno della domanda già proposta se non in relazione ad una precisa attività processuale della controparte, consistente nel deposito di documenti non conosciuti: così G. GALLUZZI, Commento all’art. 24 del D.Lgs. 546/1992, in AA.VV., Il nuovo processo tributario. Commentario, Milano, 2004, 303.
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 7 luglio 2017, ord. n. 16803, in Boll. Trib. On-line; l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall’art. 24, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’Amministrazione finanziaria di accettazione del contraddittorio nel merito.
(17) Così Cass., sez. trib., 20 aprile 2016, n. 7927, in Boll. Trib. On-line; il processo tributario, in quanto diretto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato.
(18) Contra A. FINOCCHIARO – M. FINOCCHIARO, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 497, secondo i quali, «chiesto l’annullamento solo parziale del provvedimento impugnato, il ricorrente non può, in sede di integrazione dei motivi, sollecitare l’annullamento totale dello stesso provvedimento». Ciò in quanto la norma «permette alla parte esclusivamente di indicare nuovi motivi di censura nell’ambito della domanda già formulata con il ricorso introduttivo».
(19) La motivazione ha il compito di spiegare al destinatario dell’atto impositivo quali siano i fattori che hanno determinato la scelta dell’Amministrazione finanziaria. Quanto così esposto deve evidentemente corrispondere alla realtà dei fatti; se, invece, fra la forma e quanto esattamente avvenuto esiste un divario, nel senso che una determinata circostanza di fatto non è stata menzionata nel contesto della motivazione, occorre distinguere tra la mera dimenticanza formale e l’errore nella rappresentazione della realtà. In quest’ultimo caso l’emergenza di quanto così trascurato rappresenta la prova del difettoso operato dell’Amministrazione: nuovo vizio, dunque, nuova domanda.