1 Giugno, 2018

Come è noto, in materia di imposta di registro la responsabilità per il versamento del tributo trova la propria disciplina nell’art. 57 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (già art. 55 del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634), a norma del quale oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto e ai soggetti nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati nel pagamento del tributo i contraenti, le parti in causa e coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere gli atti e le denunce (1).
La solidarietà nel pagamento dell’imposta incontra precisi limiti normativi, di natura soggettiva e oggettiva, che sono contenuti nella stessa disposizione del citato art. 57 del D.P.R. n. 131/1986. In particolare, per quanto riguarda più direttamente il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, il quarto comma di tale norma esclude la solidarietà dell’imposta complementare dovuta per fatto imputabile a una sola delle parti che, conseguentemente, ne risponde in maniera esclusiva (2).
Affinché operi tale limitazione di responsabilità è necessario che ricorrano due requisiti.
Il primo è che il pagamento abbia ad oggetto un’imposta complementare. Ebbene, la natura giuridica dell’imposta dovuta a seguito della intervenuta decadenza da agevolazioni fiscali è certamente quella di imposta complementare. Tale qualificazione, oramai pacifica (3), trova il suo fondamento nell’art. 42 del TUIR. Tale disposizione definisce come “principale” l’imposta «applicata al momento della registrazione» e come suppletiva o complementare quella applicata in un momento successivo, precisando, altresì, che è suppletiva quella volta a correggere errori e omissioni dell’Ufficio finanziario, mentre si definisce «complementare l’imposta applicata in ogni altro caso». Nel caso di specie, la richiesta aveva ad oggetto proprio il pagamento del tributo conseguito alla revoca di un’agevolazione sulla c.d. “prima casa”: in particolare, l’Ufficio finanziario aveva contestato le caratteristiche di lusso dell’immobile per il quale si era fruito dell’agevolazione.
In merito al secondo requisito, la norma, ai fini dell’addebito della responsabilità solidale del pagamento, richiede che l’imposta complementare scaturisca da un “fatto imputabile” a una sola delle parti contraenti, nel qual caso la responsabilità del pagamento graverà soltanto su questa. La nozione di “fatto imputabile” è ampia: vi rientrano, ad esempio, la presentazione di una domanda di condono che generi una maggiore imposta (4); la decadenza da un’agevolazione per la mancata presentazione di certificati o documenti richiesti quale conditio sine qua non per la sua fruizione; la rivendita nel quinquennio, senza il riacquisto, dell’immobile, e così via.
Nel caso all’esame della Corte di Cassazione, la questione ha riguardato le caratteristiche non di lusso che la normativa espressamente richiede per poter fruire del beneficio de quo. Infatti ai sensi dell’art. 1, nota 2-bis, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta l’atto traslativo deve avere ad oggetto “case di abitazione non di lusso”. In merito a tale requisito si ricorda che fino al 31 dicembre 2013 una simile qualificazione trovava il suo fondamento nel D.M. 2 agosto 1969, mentre a decorrere dal 1° gennaio 2014 la qualificazione di immobile “non di lusso” è collegata sic et simpliciter alla categoria catastale di appartenenza (5).
Probabilmente, proprio in considerazione del fatto che una simile qualificazione è legata a dati oggettivi che neanche devono essere oggetto di una espressa dichiarazione da parte dell’acquirente, e dei quali l’alienante non può non essere a conoscenza (considerato che è proprio lui il titolare del bene oggetto dell’atto traslativo), la Corte di Cassazione ha negato che l’addebito riguardasse in maniera esclusiva la parte acquirente. In definitiva può ipotizzarsi che secondo la Suprema Corte il venditore debba intendersi onerato di un obbligo di vigilanza nei confronti della sussistenza del requisito medesimo, visto che esso non può ricollegarsi a specifici comportamenti dell’altra parte, come nel caso, ad esempio, del mancato trasferimento della residenza nell’immobile acquistato con l’agevolazione.
Tuttavia, non può omettersi di segnalare che proprio il precedente (6) a cui la Suprema Corte si richiama suggerisce più di una perplessità.
I giudici della Corte di Cassazione, infatti, nella parte finale della motivazione dell’annotata sentenza, segnalano che la conclusione sarebbe stata diversa nel caso in cui ci fosse stata una vera e propria dichiarazione mendace da parte del soggetto acquirente così come si era verificato nella fattispecie oggetto di esame nel richiamato precedente. In quest’ultimo ricorreva un’analoga ipotesi di decadenza da un’agevolazione sulla c.d. “prima casa” per avere l’Ufficio finanziario ritenuto l’immobile di lusso in quanto presentava una superficie utile complessiva superiore a 240 mq. in contrasto con la dichiarazione resa dall’acquirente che aveva enunciato una superficie inferiore. Proprio in considerazione di ciò la Suprema Corte aveva ritenuto fondata l’argomentazione sollevata dal venditore che aveva contestato ogni responsabilità nel pagamento della maggiore imposta chiedendo, per l’effetto, l’applicazione dell’art. 57, quarto comma, del D.P.R. n. 131/1986.
Sebbene le motivazioni siano piuttosto stringate, ciò che sembra emergere dalle due sentenze è che solo laddove ricorra un’attività positiva della parte acquirente (come nel caso della presentazione di un’autonoma dichiarazione, poi risultata mendace) la stessa non possa che essere imputata al medesimo autore che, quindi, ne è direttamente responsabile, non ricorrendo alcun onere di controllo da parte del venditore. Diversamente, invece, nel caso in esame, dove non si rinviene nessuna specifica e positiva attività da parte del compratore in merito alla natura non di lusso dell’immobile acquistato, se non quella formula di stile contenuta nel rogito e volta a fruire dell’agevolazione medesima.
Ebbene, a parte che, come è già stato perspicuamente osservato, si fa dipendere «l’applicabilità o meno di una norma da un evento accidentale e comunque estraneo alla sfera volitiva dei contraenti, quale è la formulazione che il notaio rogante abbia inserito nel contratto in ordine alla richiesta di agevolazioni» (7), si deve segnalare che una simile statuizione non appare in linea con le conclusioni raggiunte dallo stesso Collegio proprio in materia di “dichiarazione mendace”.
Va, infatti, ricordato che la Suprema Corte, seppure al diverso fine di decidere se fare applicazione della sanzione contenuta nel quarto comma della nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, ha precisato che per «dichiarazione mendace deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni soggettive ed oggettive, previste dalla legge. In particolare va evidenziato che l’applicazione dell’aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (né tantomeno, dell’ufficio) ma solo un diritto soggettivo dell’acquirente, la cui funzione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell’atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la dichiarazione dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell’agevolazione».
In definitiva, nella ricostruzione offerta dalla Suprema Corte, la mera richiesta di fruizione del beneficio è di per sé dichiarazione (seppur implicita) della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento del beneficio medesimo, per cui, ove tali condizioni non dovessero sussistere, la dichiarazione deve considerarsi “dichiarazione mendace” (8).
Ciò posto, delle due l’una: o si ritiene che in presenza di una dichiarazione mendace (anche se implicita, come quella che si rinviene nella richiesta di un beneficio quando ne difettano i presupposti) il responsabile sia esclusivamente l’autore della stessa ovvero, qualora si tratti di requisiti oggettivi come, nel caso di specie, quelli relativi alla natura non di lusso dell’immobile, che la responsabilità si estenda sempre all’altra parte per aver questa con il suo comportamento, anche se puramente omissivo, avallato la dichiarazione non veritiera dell’altro contraente (9).
È di tutta evidenza che solo nel primo caso può trovare applicazione la deroga prevista nel quarto comma del citato art. 57, e quindi escludersi ogni responsabilità dell’altra parte.

Dott. Annalisa Pace
Università di Teramo

(1) Si tratta di un’ipotesi di coobbligazione solidale per la quale, come di recente la stessa Corte di Cassazione è tornata a rammentare, l’Amministrazione finanziaria non è vincolata né dal beneficio dell’ordine né dal beneficio di previa escussione: da ultimo cfr. Cass., sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9126, in Boll. Trib. On-line. Il novero dei coobbligati è stato ampliato aggiungendo con l’art. 1, comma 46, lett. b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al citato art. 57 il comma 1-bis che ha previsto la solidarietà anche degli agenti immobiliari di cui all’art. 10, primo comma, lett. d-bis), e, successivamente, con l’art. 1, comma 15, lett. a), n. 1), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, è stato aggiunto il comma 1-ter secondo il quale l’utilizzatore dell’immobile concesso in locazione finanziaria è solidalmente obbligato al pagamento del tributo per l’immobile, anche da costruire o in corso di costruzione, acquisito dal locatore per la conclusione del contratto.
(2) Identica la disposizione già contenuta nel quarto comma del previgente art. 55 del D.P.R. n. 634/1972. Diverso, invece, il tenore dell’art. 93 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, a norma del quale erano tenute solidalmente al pagamento tutte le parti contraenti, indipendentemente dalla natura principale, complementare o suppletiva dell’imposta. Ovviamente, nell’ipotesi in cui all’accertamento in funzione della decadenza si cumuli anche un accertamento di maggior valore, per quest’ultimo vi sarà una responsabilità solidale dell’alienante: sul punto cfr. ris. 10 marzo 1989, n. 310650, in Boll. Trib., 1989, 676.
(3) Va rammentato che necessitò un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per chiarire una volta per tutte che l’imposta richiesta a seguito della intervenuta decadenza dai benefici tributari ha natura di imposta complementare: si ved. Cass., sez. un., 21 novembre 2000, n. 1196, in Boll. Trib., 2001, 1590, con nota di G. AIELLO, L’acquisto della prima casa e i termini di decadenza per il recupero delle imposte normali. Intervengono le Sezioni Unite della Corte; da ultimo in senso conforme cfr. Cass., sez. trib., 6 febbraio 2009, n. 2950; Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13594; e Cass., sez. trib., 27 novembre 2006, n. 25078; tutte in Boll. Trib. On-line. A tale orientamento si è uniformata anche l’Amministrazione finanziaria: sul punto ved. circ. 14 agosto 2002, n. 69/E, in Boll. Trib., 2002, 1175.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 16 luglio 2010, n. 16743, in Boll. Trib. On-line.
(5) La riduzione di aliquota non trova applicazione agli immobili appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9: cfr. l’art. 1, primo comma, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, come modificato dall’art. 10 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23.
(6) Cass., sez. trib., 24 giugno 2016, n. 13141, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. GHINASSI, Decadenza da agevolazioni fiscali e responsabilità solidale del venditore per imposta di registro, in Riv. dir. trib., 2017, suppl. on-line.
(8) Così Cass., sez. VI, 25 giugno 2013, n. 15959, in Boll. Trib. On-line.
(9) Una fattispecie simile è quella che ha riguardato il contraente che ha avallato di fatto la dichiarazione non veritiera dell’altro contraente in merito alla qualificazione di soggetto IVA: sul punto cfr. Comm. trib. centr., sez. XII, 17 giugno 1994, n. 2243, in Boll. Trib. On-line.

Imposta di registro – Edilizia – Agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” – Decadenza dai benefici per causa non imputabile in via esclusiva all’acquirente – Responsabilità solidale del venditore ex art. 57, primo comma, del D.P.R. n. 131/1986 – Sussiste – Emissione della cartella di pagamento nei confronti del venditore dell’immobile – Legittimità.

Allorquando la decadenza dai benefici fiscali sulla c.d. “prima casa” sia dovuta ad una circostanza non imputabile in via esclusiva ad un determinato comportamento dell’acquirente, come nel caso in cui le caratteristiche dell’immobile siano di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, opera in capo al venditore la solidarietà dell’obbligazione tributaria di cui all’art. 57, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per il pagamento dell’imposta complementare di registro dovuta a seguito della revoca delle citate agevolazioni per l’acquisto della c.d. “prima casa”, con conseguente legittimità della cartella di pagamento emessa nei confronti del venditore.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Chindemi, rel. Botta), 30 novembre 2016, sent. n. 24400, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La controversia concerne l’impugnazione di una cartella esattoriale che ingiungeva il pagamento di un preteso credito dell’Ufficio conseguente ad un avviso di liquidazione per revoca dell’agevolazione “prima casa”, che il contribuente, venditore dell’immobile in questione, contestava per asserito vizio di motivazione, rilevando comunque la necessità che l’Ufficio procedesse in via principale nei confronti dell’acquirente. L’Ufficio opponeva che la cartella era stata emessa sulla base di un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione ed affermava che la cartella era stata notificata anche all’acquirente debitore principale. La Commissione adita accoglieva il ricorso sulla base della favorevole sentenza ottenuta dalla medesima Commissione dal coobbligato solidale in ordine all’eccepita decadenza triennale nella quale sarebbe incorso l’amministrazione.
L’appello dell’Ufficio era respinto, con la sentenza in epigrafe, la quale confermava la decisione di prime cure affermando: «il contribuente in quanto parte venditrice non è tenuto al pagamento».
Avverso tale sentenza l’amministrazione propone ricorso per cassazione con tre motivi. Il contribuente resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, con la quale ribadisce le proprie difese in particolare con riferimento a quanto dedotto dall’amministrazione con il terzo motivo di ricorso.

MOTIVAZIONE – 1. Preliminarmente in ordine alla richiesta formulata da parte ricorrente circa la riunione con il ricorso R.G. 22332/12 che sarebbe pendente innanzi a questa Corte tra l’amministrazione e l’acquirente dell’immobile – sig. I.G. – si osserva che non sussistono le condizioni necessarie per disporre la richiesta riunione in quanto il citato ricorso è stato già deciso con la sentenza n. 13315 del 2016 (1), che ha rigettato il ricorso del sig. I.

2. Con il primo motivo, l’amministrazione denuncia la nullità della sentenza impugnata per il fatto che essa sarebbe «carente sia dei motivi in fatto ed in diritto, sia delle richieste delle parti».

2.1. Il motivo non è fondato in quanto la sentenza presenta, sia pur in forma sintetica, tutti i necessari elementi richiesti dalla legge.

3. Con il secondo motivo, l’amministrazione denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21, d.lgs. n. 546 del 1992” insistendo sulla propria eccezione relativa alla definitività dell’avviso di liquidazione sulla cui base è stata emessa la cartella oggetto del giudizio eccezione, riportando poi, a sostegno della correttezza della procedura seguita, la relata di notifica e la motivazione del predetto atto impositivo.

3.1. Il motivo è inammissibile in quanto estraneo alla ratio decidendi della sentenza impugnata per quanto riportato in narrativa.

4. Con il terzo motivo, l’amministrazione denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 57, d.P.R. n. 131 del 1986” per aver il giudice di merito erroneamente affermato che la parte venditrice non fosse tenuta al pagamento dell’imposta di registro.

4.1. Il motivo è fondato in quanto nel caso di specie la decadenza dai benefici “prima casa” era dovuto a circostanza (le caratteristiche di lusso dell’immobile ai sensi del d.m. 2 agosto 1969) non imputabile in via esclusiva ad un determinato comportamento dell’acquirente (come avrebbe potuto essere una eventuale sua dichiarazione mendace sulla sussistenza dei presupposti del trattamento agevolato: in merito alla dichiarazione mendace v. Cass. n. 13141 del 2016 (2)). Operava, quindi, in capo al venditore la solidarietà dell’obbligazione tributaria di cui al citato art. 57, comma 1.

5. Pertanto deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, rigettati i restanti; la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M. – LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.

(1) Cass. 28 giugno 2016, n. 13315, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 24 giugno 2016, n. 13141, in Boll. Trib. On-line.

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