25 Ottobre, 2016

SOMMARIO: 1. Le disattese aspettative di mutamento dell’ordinamento della giurisdizione tributaria – 2. Il profilo del giudice tributario identificato con la riforma del 1996 – 3. I pochi, e poco incisivi, interventi del legislatore – 4. Il prossimo esame della Corte Costituzionale – 5. Il problema e il dubbio sulla limitata portata dell’art. 6 della Cedu e l’ulteriore richiamo dell’art. 111 Cost. – 6. L’inderogabile esigenza dell’“apparenza” di una piena indipendenza e imparzialità del giudice.

1. Le disattese aspettative di mutamento dell’ordinamento della giurisdizione tributaria

Con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, e in attuazione della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, il legislatore ha apportato varie novità nell’ambito del processo tributario (tra l’altro prontamente oggetto della circolare 29 dicembre 2015, n. 38/E) (1) e ha introdotto (2) poche modifiche all’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria contenuto nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545.
L’intervento, secondo le prime osservazioni pervenute dalla dottrina, ha sostanzialmente deluso le aspettative di chi sperava in cambiamenti più incisivi nell’ambito del sistema della giustizia tributaria, soprattutto in tema di professionalità e terzietà del giudice e in considerazione del fatto che le cifre in gioco innanzi le Commissioni tributarie sono spesso rilevanti, oltre che connesse a materie complesse, oggetto di continue evoluzioni giurisprudenziali e aggiustamenti normativi. Eppure, tali aspettative avevano trovato un rafforzamento nel fatto che le Sezioni Unite Civili, in occasione della sentenza n. 8053/2014 (3) (con la quale si affermava l’ammissibilità dei filtri al ricorso per cassazione e quindi l’inesistenza di un giudizio di legittimità “speciale” per le controversie tributarie), avevano argomentato, con espresso richiamo alla legge delega citata, incidentalmente intorno l’«irrinunciabile professionalizzazione del giudice quale elemento determinante della tutela giurisdizionale dei diritti (e in ciò sembra rientrare, a pieno titolo, la previsione dell’art. 10, comma 1, lettera b), n. 8, della ricordata legge n. 23 del 2014, circa la doverosa ispirazione del legislatore delegato all’adozione di misure volte al “rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica” nel quadro di una prospettiva di crescita dello spessore della tutela giurisdizionale del contribuente con l’assicurata terzietà dell’organo giudicante)».
Il D.Lgs. n. 156/2015, invece, si è tradotto in un lieve restyling dell’ordinamento tributario brevemente descritto nel prosieguo del presente scritto e, come vedremo, poco mutano le identità e le qualità dei Collegi e dei singoli membri che compongono gli stessi.

2. Il profilo del giudice tributario identificato con la riforma del 1996

Per potere meglio comprendere dove trovasse residenza l’auspicato (maggiore) cambiamento e prima di fare cenno alle (poche) incisioni normative, è bene rivedere sinteticamente il quadro sui connotati, soggettivi e culturali, rivestiti dai Collegi giudicanti.
Questi ultimi si sono distinti finora per una composizione estremamente eterogenea e, soprattutto, per il fatto di godere della presenza di (pochi) giudici ordinari e amministrativi e di un largo novero di soggetti dotati di una forma mentis e soprattutto di una cultura molto vicina ad una delle due parti in causa, quindi talvolta alla parte privata e talvolta alla parte pubblica.
Il “bagaglio” professionale dei giudici è infatti collocabile in posizioni estremamente contrapposte: da un lato liberi professionisti (generalmente, avvocati e commercialisti), dall’altro, ufficiali della Guardia di finanza cessati dalla posizione di servizio effettivo, avvocati dello stato a riposo, dipendenti delle Amministrazioni pubbliche e dell’Amministrazione finanziaria in pensione (artt. 4 e 8 del D.Lgs. n. 545/1992).
In un tale assetto, l’effetto sostanziale è quello di decisioni che dipendono molto dalla prevalenza, “interna” al singolo Collegio, del tipo di esperienza professionale dei relativi componenti.
Queste ultime considerazioni, ruotanti intorno all’eterogeneo dato culturale dei Collegi, sembrano già autonomamente sufficienti ad indicare un sistema di giustizia estremamente claudicante sotto il profilo della costante affidabilità delle decisioni intraprese, evidentemente suscettibili di oscillazioni derivanti dalla formazione del singolo Collegio; tuttavia, anche osservando il rapporto tra occupazione abituale del singolo giudice e compatibilità con la funzione giudicante, si evince come l’ordinamento processuale tributario abbia presentato più di qualche lacuna: infatti, proprio la barriera ex lege del processo che ci interessa, cioè l’art. 8 del D.Lgs. n. 545/1992 (norma evidentemente finalizzata al tentativo di preservare quel requisito di imparzialità che ogni giudice del nostro ordinamento deve vantare) non si è distinta per particolare successo, visto sia l’intervento di un successivo “aggiustamento” normativo sia il frequente contenzioso sviluppatosi intorno la stessa disposizione e in tema di incompatibilità derivanti da attività di consulenza, assistenza o rappresentanza (4).
Oltre questo profilo prettamente “giudiziale”, quello – latu sensu – “amministrativo” assunto dalle Commissioni tributarie non è poi rimasto esente da critiche, stante lo stretto legame che esiste tra le Commissioni tributarie e una delle parti normalmente in causa: il Ministero dell’economia e delle finanze.
Non può, infatti, non rilevarsi il potere di quest’ultimo di istituire nuove Commissioni, di adeguare il numero delle sezioni interne a ciascuna Commissione, di proporre al Presidente della Repubblica la nomina dei componenti delle Commissioni (5), di disporre il relativo trattamento economico, di applicare le sanzioni disciplinari deliberate dal Consiglio di Presidenza (che, come è facilmente intuibile, costituisce una sorta di Consiglio Superiore della Magistratura del processo tributario), laddove questo organo è stato poi costituito dallo stesso Ministero e ivi ha sede. Al fatto della retribuzione dei giudici da parte del Ministero dell’economia si aggiunge poi la circostanza che gli stessi Collegi sono assistiti da personale amministrativo inquadrato in tale Ministero.
In tale contesto, e senza mettere in discussione la correttezza e la buona fede dei giudici tributari, i descritti legami (sia con la parte privata sia con la parte pubblica) non hanno reso sufficientemente apparente “a monte” l’imparzialità di questo tipo di giustizia ed è proprio su questo aspetto che ci si attendeva un intervento radicale da parte del legislatore, dato che i tratti della giustizia tributaria sembravano, come detto, destinati a cambiare grazie all’indirizzo dettato dalla legge delega n. 23/2014 (6).
Infatti, in primis, al primo comma dell’art. 10 della citata legge n. 23/2014 di tale fonte si indicava la necessità dell’emanazione di «norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante», mentre nei successivi punti volti all’incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria si prevedevano (tra l’altro) specifici interventi riguardanti:
– «l’eventuale composizione monocratica dell’organo giudicante in relazione a controversie di modica entità e comunque non attinenti a fattispecie connotate da particolari complessità o rilevanza economico-sociale, con conseguente regolazione, secondo i criteri propri del processo civile, delle ipotesi di inosservanza dei criteri di attribuzione delle controversie alla cognizione degli organi giudicanti monocratici o collegiali, con connessa disciplina dei requisiti di professionalità necessari per l’esercizio della giurisdizione in forma monocratica» [art. 10, lett. b), n. 2];
– il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle Commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica [art. 10, lett. b), n. 8].
La (adottata) locuzione «terzietà» sembrava addirittura prefigurare il passaggio delle competenze ad un dicastero diverso da quello dell’economia e delle finanze, tant’è che in dottrina veniva sottolineato come il naturale approdo del giudice tributario potesse individuarsi in quello del Ministero della giustizia e questo nonostante non fossero mancate in passato ipotesi di una gestione affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (7).

3. I pochi, e poco incisivi, interventi del legislatore

Sennonché, a fronte di un cambiamento che sembrava imminente, il D.Lgs. n. 156/2015 ha espresso delle modifiche che hanno finito con il tradire le attese, poiché tali novità non ricadono in maniera rilevante sul criticato profilo attribuito alla magistratura tributaria e, inoltre, come prontamente sottolineato da autorevole dottrina, sembrano essere state disattese le direttive contenute nell’art. 10, primo comma, lett. b), al n. 1, della legge delega n. 23/2014, concernente «la distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie» e al n. 6, in riferimento ai «criteri di determinazione del trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie» (8).
Tra le (poche) novità “annotabili” si segnalano solo:
– la necessità del possesso, da parte dei giudici non togati, di laurea in materie giuridiche o economico-aziendali;
– l’incompatibilità, a rivestire il ruolo di giudice, per chi ricopra incarichi direttivi o esecutivi nei movimenti politici e non solo nei partiti;
– l’introduzione di un criterio di rotazione degli incarichi direttivi analogo a quello già previsto per la magistratura ordinaria (9), inteso a stabilire un incarico, solo quadriennale, attribuibile dal Presidente della Commissione regionale o provinciale (eventualmente rinnovabile solo per altri quattro, previa valutazione positiva del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria);
– l’istituzione, all’interno di ogni Commissione provinciale o regionale, di sezioni specializzate in ordine a questioni controverse che saranno individuate con provvedimento del Consiglio di presidenza di cui sopra;
– il divieto (già, invero, denunciato dalla giurisprudenza amministrativa) (10) di svolgimento, da parte dei giudici, di attività di consulenza tributaria o di difesa dei contribuenti nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria o nelle controversie tributarie, sia direttamente che indirettamente, attraverso forme associative;
– la (ri) disciplina ex novo delle sanzioni disciplinari (11) irrogabili ai giudici per comportamenti non conformi a doveri e dignità del proprio ufficio.
Alla luce di queste lievi modifiche, è facile notare come se, da un lato e nel processo che ci interessa, non si intravedono affatto nuovi profili di “terzietà”, dall’altro, la “professionalità” sembra confinata solamente ad un mero “restringimento” dei titoli di studio, utili ad assumere l’incarico di giudice tributario, mentre appare ancora un’ipotesi lontana l’esercizio di una funzione “a tempo pieno” da parte di quest’ultimo.

4. Il prossimo esame della Corte Costituzionale

A questo punto quel cambiamento, auspicato da più parti, sull’ordinamento della giurisdizione tributaria sembra quindi (ancora una volta) rinviata a data da destinarsi, salvo che le “sorprese” non siano poi indotte da un intervento della Corte Costituzionale.
Infatti, come si ricorderà, l’ordinanza n. 280/2014 della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia (12), riacutizzando indirettamente alcune perplessità fornite in passato da vari studiosi, ha posto in discussione la costituzionalità del processo tributario, allineandosi ad alcune delle osservazioni sviluppate dalla dottrina senza approfondirne o addirittura discostandosi da altre; ad esempio, è stato ritenuto manifestamente infondato (in chiave di eventuale violazione di precetti costituzionali) il tema della garanzia della preparazione giuridica del giudice tributario: questo grazie al richiamo del fatto che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto non incompatibile (con la sussistenza di indipendenza e imparzialità) la mancanza di una specifica preparazione giuridica di alcuni componenti dell’organo giudiziario, salvo il caso di assenza di garanzie di preparazione tecnica di esso nel suo complesso (13).
È stata, al contrario, rimessa all’attenzione del Giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale di numerosi articoli del D.Lgs. n. 545/1992 (cioè della fonte normativa lievemente incisa dal legislatore) e dell’art. 6 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ponendo il dubbio sull’indipendenza e sulla imparzialità dei giudici tributari e quindi sulla violazione degli artt. 101 e 111 Cost. nonché, per il tramite dell’art. 117 Cost., dell’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo; tale ultima osservazione è stata posta con riferimento alle attribuzioni e al trattamento economico dei giudici tributari, nonché alla carenza dei mezzi personali a loro disposizione e alla possibilità di disporre del personale ausiliario, invece riservato all’Amministrazione finanziaria, e quindi alla carenza di autonomia finanziaria delle Commissioni tributarie.
Le argomentazioni, presenti nell’ordinanza de qua, sostanzialmente stigmatizzano l’attuale inquadramento della giustizia tributaria che, come hanno ricordato i giudici, si concretizza «attraverso una apposita Direzione, in uno dei Dipartimenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, addirittura, si tratta dello stesso Dipartimento delle Finanze nel quale si trovano altre Direzioni, equiordinate, quali la Direzione agenzie ed enti della fiscalità».
In buona sostanza, le critiche espresse hanno ruotato intorno al legame che esiste tra le Commissioni tributarie e il Ministero dell’economia e delle finanze, strettamente collegato – a sua volta – con il principale (e abituale) protagonista delle liti tributarie, cioè l’Agenzia delle entrate.
La citata ordinanza n. 280/2014 della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ha, infatti, puntualmente rimarcato, in ordine alla tutela dell’apparenza di indipendenza, evidentemente ritenuta lesa, che «la Giustizia Tributaria è inquadrata, sia pure con garanzie di autonomia previste da norme dirette, nello stesso plesso ministeriale dell’amministrazione che emana gli atti da controllare e la articolazione amministrativa che vi è preposta è “parallela” a quella preposta alle Agenzie che emanano gli atti da controllare».

5. Il problema e il dubbio sulla limitata portata dell’art. 6 della Cedu e l’ulteriore richiamo dell’art. 111 Cost.

Le motivazioni dianzi espresse dimostrano come la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia sia dell’avviso che la configurazione della giustizia tributaria ex D.Lgs. n. 545/1992 non sembrerebbe in linea con le norme di rango primario di cui all’art. 6 della Cedu e all’art. 111 Cost.
Il richiamo all’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (14) comporta però l’assunzione di un elemento ingombrante sull’intera questione poiché detta norma racchiude, al suo interno, un dato letterale che corrisponde al divieto di svolgere ingerenza nelle controversie estranee:
– alla materia della “fondatezza della accusa penale”;
– ai diritti e doveri di “carattere civile”.
Si spiega così perché sia sempre stata difficoltosa l’applicazione del citato art. 6 ad un processo come quello tributario che, molto spesso, dispone (da un lato) sulla legittimità di sanzioni chiaramente connotate da una funzione punitiva ma che (dall’altro) non corrispondono ad una “accusa penale” propriamente intesa; deve, a tal proposito, annotarsi che la Corte di Strasburgo, inizialmente, ha adottato una stretta interpretazione letterale della norma tant’è che le liti tributarie sono state ritenute – da quest’organo – avulse dalle disposizioni di cui all’art. 6 della predetta Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo; a riguardo, il caso maggiormente citato in dottrina è il “Ferrazzini vs Italia” del 12 luglio 2001, ove la decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo – in specie – si concentrava fondamentalmente sull’assunto che «la materia fiscale rientra ancora nell’ambito delle prerogative del potere di imperio, poiché rimane predominante la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività» (15).
Successivamente la stessa Corte ha avviato una interpretazione progressivamente estensiva della suindicata norma (16), ma – nonostante la presenza di tali spiragli e nella consapevolezza di quanto sia ancora incerta la possibilità di invocare l’art. 6 della Convenzione europea – la più volte citata Commissione provinciale di Reggio Emilia si è preoccupata di emettere l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale facendo leva sull’argomentazione che se, ai sensi degli artt. 111 e 3 Cost., tutti i processi debbono essere ugualmente “giusti”, le norme della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo devono applicarsi come parametri interposti di costituzionalità e quindi indirettamente ai processi tributari, indipendentemente dal fatto che nel processo si controverta di sanzioni.
Il percorso motivazionale offerto dai giudici emiliani, volto sostanzialmente a “filtrare” l’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo attraverso l’art. 111 Cost., impone comunque un confronto tra le due norme e, susseguentemente, la constatazione che – mentre la disposizione di dubbia applicabilità nel processo tributario, cioè l’art. 6 della citata Convenzione sia dotata di un valore aggiunto rispetto all’art. 111 Cost., quale l’espressa indicazione della necessità di “indipendenza” del giudice – la norma costituzionale esula da quest’ultimo elemento, facendo riferimento solo alle figure della “imparzialità” e della “terzietà” che attengono all’insussistenza di un interesse del giudice e che connotano un profilo maggiormente soggettivo.

6. L’inderogabile esigenza dell’”apparenza” di una piena indipendenza e imparzialità del giudice

Come accennato, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia si è molto soffermata sull’intreccio “parentale” con una delle parti in causa, ma è bene ribadire che questo è solo uno dei principali elementi di “lontananza” del giudizio tributario da un processo “di rango” quale quello civile (che pur costituirebbe il modello di ispirazione del primo); a sommesso avviso di chi scrive, de iure condito, è altrettanto rilevante la circostanza dell’estraneità del principale protagonista del processo tributario – cioè del giudice preposto dalla legge – dal corpo di giudici di carriera a tempo pieno.
Il mancato impiego di questi ultimi nei Collegi giudicanti tributari trova probabilmente giustificazione nella scelta del legislatore di non appesantire il lavoro della magistratura ordinaria ma è indubbio che la “panacea” della nomina di giudici ai quali è permesso lo svolgimento e la continuazione della propria attività privata, ha comportato problematiche troppo frequenti; non è sembrata sufficiente, infatti, la previsione normativa di un sistema di incompatibilità tra lo svolgimento di alcune attività professionali (o il possesso di determinati titoli) e la carica di giudice tributario. La fragilità di tale barriera e la atipicità della variegata platea dei difensori tributari è stata oggetto di severe analisi da parte della dottrina (17); ad esempio, una fonte più che autorevole (18) – esprimendo una serie di critiche alla atipicità del processo tributario – rimarcava che «un processo giurisdizionale è veramente tale se i suoi protagonisti (il giudice e le parti) sono professionalmente idonei: qui, invece, il giudice non è un giudice togato e le parti non sono necessariamente difese da avvocati. Insomma abbiamo un processo senza giudici e senza avvocati». Ancora, in tempi recenti, “rispolverando” una vecchia questione a riguardo dei soggetti patrocinanti innanzi le Commissioni, è stato evidenziato come occorrerebbe, al difensore, non solo la competenza professionale nella materia che forma oggetto del processo, ma quella competenza processuale che appartiene, invece, allo specifico patrimonio culturale della classe forense (19).
Ora, indipendentemente dagli esiti che sortirà il provvedimento emanato dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, ad avviso di chi scrive, il problema della imparzialità e della indipendenza del giudice non può essere “confinato” – come oggi accade – al caso specifico trattato e quindi al rapporto, di incompatibilità, che il singolo membro del Collegio giudicante può occasionalmente intrattenere con il singolo processo; occorre, in altre parole, che i rimedi rinvenibili in istituti come l’“astensione” e la “ricusazione” abbiano un carattere assolutamente residuale, necessitando invece un sistema in cui i predetti requisiti di “imparzialità” e “indipendenza” trovino residenza “a monte” dell’apparato giudiziale de quo; a tal proposito, possono citarsi le esperienze formatesi oltre i confini nazionali e, in particolare, presso la giurisprudenza anglosassone, ove la necessarietà dell’imparzialità del giudice ovvero l’esigenza di non incorrere in una “judicial disqualification” per effetto di una contaminazione di tale principio, viene accentuata con l’affermazione «It is necessary not only to do justice, but to see that justice is done», indubbiamente intesa a sancire il limite secondo il quale nessuno può essere giudice in una propria causa (20).
Da notare che la descritta indefettibilità dell’“apparenza” di imparzialità e indipendenza del giudice, quale parametro necessario agli occhi di ogni qualsivoglia interessato, era già stata richiamata dal TAR del Lazio (21) proprio in un caso riguardante la discutibile compatibilità di un giudice tributario “part time”, laddove il giudice amministrativo affermava l’impossibilità dell’interessato a svolgere detto compito: «in funzione dell’interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull’incompatibilità, polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza d’imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie».

Avv. Antonino Russo

(1) In Boll. Trib., 2016, 58.
(2) Ved. art. 11 del D.Lgs. n. 156/2015.
(3) Cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Boll. Trib., 2014, 1647, con nota di A. RUSSO, Filtro al ricorso in cassazione avverso le sentenze del giudice tributario: i principi di diritto.
(4) Si ricorda soprattutto Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 466, in Boll. Trib. On-line, ove l’organo giudicante, indicando l’“estrema latitudine” dell’art. 8 del D.Lgs. n. 545/1992, sanciva che «qualsiasi forma di consulenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario» ricomprendendosi nella predetta attività privatistica anche la prestazione «sporadica, occasionale, o meramente accessoria alla principale». Si vedano anche Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3760; Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1478; Cons. Stato, sez. IV, 23 ottobre 2009, n. 6519; e TAR Campania, sez. IV, 7 maggio 2009, n. 2454; tutte in Boll. Trib. On-line.
(5) I componenti delle Commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze previa deliberazione del Consiglio di presidenza (art. 9, primo comma, del D.Lgs. n. 545/1992). Diversamente da quanto previsto dalla previgente disciplina, dal 1° gennaio 2016 i trasferimenti e le progressioni in carriera avverranno con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, senza la necessità di ricorrere ad un Decreto del Presidente della Repubblica. Con le modifiche apportate all’art. 9 del D.Lgs. n. 545/1992, l’utilizzo del Decreto del Presidente della Repubblica sarà infatti limitato all’ammissione nel ruolo unico dei giudici tributari.
(6) Denominata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”.
(7) Cfr. M. CONIGLIARO, Contenzioso tributario: dalla delega fiscale una timida e alquanto vaga proposta di riforma, in il fisco, 2014, 1979.
(8) Cfr. C. GLENDI, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di Decreto delegato sul contenzioso, in Corr. trib., 2015, 2467; l’Autore rimarca come manchi nello schema de quo «qualsiasi disposizione in grado di eliminare la presenza nelle commissioni tributarie di primo o secondo grado, spesso in ruoli apicali, di chi fa parte, al contempo, delle sezioni semplici e delle Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a giudicare su pronunce delle stesse commissioni alle quali appartengono».
(9) Ved. art. 45 del D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160.
(10) Ved. nota n. 3.
(11) Al novellato art. 15 del D.Lgs. n. 545/1992 sono previste le seguenti sanzioni: 1) l’ammonimento, nel caso di lievi trasgressioni; 2) la censura per: a) i comportamenti che, in violazione dei doveri dell’ufficio, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti; b) la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge; c) i comportamenti che, a causa dei rapporti comunque esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento ovvero a causa di avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di imparzialità; d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, o di chiunque abbia rapporti con il giudice nell’ambito della Commissione tributaria, ovvero nei confronti di altri giudici o di collaboratori; e) l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro giudice; f) l’omessa comunicazione al Presidente della Commissione tributaria da parte del giudice destinatario delle avvenute interferenze; g) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; h) la scarsa laboriosità, se abituale; i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza; l) l’uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti; m) la reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti; 3) la sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni nel caso di: a) reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; b) comportamenti che, in violazione dei doveri dell’ufficio, arrecano grave e ingiustificato danno o indebito vantaggio a una delle parti; c) uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiustificati, se abituale e grave; d) frequentazione di persona che consti essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subito condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposta ad una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l’intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali persone; 4) l’incapacità a esercitare un incarico direttivo nel caso di interferenza nell’attività di altro giudice tributario, da parte del Presidente della Commissione o della Sezione, se ripetuta e grave; 5) la rimozione dall’incarico nei casi di recidiva in trasgressioni di cui ai predetti punti 3 e 4.
(12) Cfr. Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 14 ottobre 2014, ord. n. 280, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cfr. Corte europea dei Diritti dell’Uomo 3 luglio 2012, Ibrahim Gürkan v. Turkey, in Boll. Trib. On-line.
(14) Diritto a un equo processo «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti»; da notare che anche l’art. II-107, par. 2, del Trattato costituzionale europeo del 29 ottobre 2004, stabilisce che «ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostruito per legge».
(15) Cfr. Corte europea dei Diritti dell’Uomo 12 luglio 2001, Ferrazzini c. Italia, in Dir. prat. trib., 2002, II, 211.
(16) Una prima fondamentale tappa è avvenuta in occasione dei responsi sulle sanzioni amministrative che hanno formato la materia del contendere dei casi Janosevic vs. Svezia e Västberga Taxi Aktiebolag vs. Svezia (rispett. Corte EDU 23 luglio 2002, ric. n. 34619/97 e Corte EDU 23 luglio 2002, ric. n. 36985/97, inedite); le relative conclusioni hanno indotto l’Organo giudicante ad individuare nella natura punitiva della sanzione tributaria la sufficienza a «dimostrare che i ricorrenti sono stati interessati da un’accusa penale ai sensi dell’art. 6 della Convenzione». Nel 2006 la Corte di Strasburgo ha invece affrontato il caso Jussila vs Finlandia, concernente il divieto processuale allo svolgimento della prova orale, in sostanza della “prova testimoniale”, quale mezzo istruttorio a difesa della presunta illegittimità di un avviso di accertamento elevato da funzionari dell’Amministrazione finnica. La decisione che ne è seguita, pur concretizzandosi in un provvedimento di rigetto che sotto il profilo della motivazione non interessa il presente tema, ha affermato comunque che la certezza intorno la natura punitiva della sanzione irrogata permette l’applicabilità dell’art. 6 della citata Convenzione europea, stante il profilo “latu sensu” penale di tale tipo di sanzione. Il caso Jussila ha offerto l’occasione per individuare nella decisione della Corte l’affermazione che l’interesse erariale non rileva in alcun modo ma che è il nesso causale tra la deterrenza che connota la sanzione e la singola violazione ad assurgere ad elemento utile a dichiarare l’applicabilità dell’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.
(17) Cfr. U. PERRUCCI, Decreto giustizia e processo tributario, in Boll. Trib., 2014, 1465; G. VERNA, Una mini riforma del decreto sul contenzioso tributario: strumento per un giusto processo, ibidem, 1045; ed E. FLORESTANO, Spigolature, non necessariamente organiche, sul tema del giusto processo tributario, ivi, 2011, 250.
(18) Cfr. F. TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 11.
(19) Cfr. S. CANTELLI, Cittadini-contribuenti e avvocati tributaristi: figli di un processo minore?, in il fisco, 2014, 3651.
(20) Per un approfondimento ved. L. PRENDINI, Imparzialità ed apparenza di imparzialità del giudice. L’esperienza inglese, in Int’l Lis, 2008, 38.
(21) Cfr. TAR Lazio, sez. I, 7 febbraio 2006, n. 132, in Boll. Trib. On-line.

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