24 Febbraio, 2017

I signori Pasquale Romano e Anna Maria Osella (i nomi sono ovviamente di fantasia, diversi da quelli reali) giungono avanti alla Corte di Cassazione per due controversie di contenuto simile, se non identico (1).
Entrambi hanno acquistato l’abitazione invocando i benefici sulla c.d. “prima casa”, entrambi non hanno trasferito la residenza in tale immobile entro il termine posto dalla legge. Entrambi hanno sostenuto che questo mancato/tardivo trasferimento era stato determinato da una forza maggiore; costituita nel caso della signora Osella dall’imprevedibile necessità di opere di manutenzione straordinaria, nel caso del signor Romano dall’altrettanto imprevedibile fallimento del costruttore/venditore e dalle conseguenti difficoltà. Entrambi possiamo immaginarceli seccati se non angosciati dal ritardato ingresso nella casa acquistata, forse con sacrifici.
Su entrambi piomba l’Agenzia delle entrate che li dichiara decaduti dai benefici “prima casa” e chiede il pagamento dell’imposta di registro nella misura “ordinaria”, un bell’esborso che aggiunge il danno alle beffe. Entrambi i contribuenti ricorrono alla giustizia tributaria ed ottengono sentenze favorevoli dai giudici di merito, ma l’Amministrazione finanziaria impugna e le loro liti finiscono entrambe in Cassazione.
Dove le strade dei nostri due amici si separano.
Il signor Romano si imbatte nell’implacabile applicazione alla lettera della legge “dura lex sed lex”; con una prima sentenza un Collegio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (2) afferma che l’ingresso entro il termine nella casa acquistata è un requisito indefettibile per godere del beneficio, dicono i giuristi una esigenza obbiettiva. Se non si verifica, è inutile stabilire perché le cose sono andate così, sono andate così e tanto basta, il fisco ha diritto ad incassare l’imposta di registro nella misura piena. Il signor Romano dunque soccombe e si vede cadere in testa la tegola di una sentenza che respinge il suo ricorso di primo grado; e dunque dovrà pagare imposte intere, interessi e sanzioni.
La signora Osella invece è fortunata, si imbatte in un diverso Collegio della medesima Sezione Tributaria che con una seconda sentenza (3) respinge il ricorso dell’Amministrazione finanziaria. Afferma tale sentenza che ciò che rileva non è il fatto obbiettivo del mancato ingresso nella nuova abitazione, bensì il mancato adempimento di un obbligo di legge, ed il mancato adempimento non sussiste quando l’obbligato non era in condizione da poter adempiere a causa di una forza maggiore (detto in latinetto: “ad impossibilia nemo tenetur”).
Forse il contrasto verrà sottoposto alle Sezioni Unite che diranno la loro indirizzando le pronunce future, ma le due citate sentenze resteranno ferme ed immutabili a maggior scorno del signor Romano che si domanderà “ma proprio a me doveva capitare?” (e magari se la piglierà con l’incolpevole avvocato), mentre la signora Osella potrà rallegrarsi doppiamente, ed essere contenta di non essersi nemmeno costituita nel giudizio di cassazione.
Per concludere esprimo la mia opinione. Avendo dovuto ristrutturare una casa per andare ad abitarci, ovviamente sono favorevole alla sentenza più mite nei confronti del contribuente.
Ma entrambe le sentenze mi paiono logiche e intrinsecamente coerenti. Sono entrambe “perfette”.
Rispondono però a due logiche diverse che nella Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ora si compongono, ora – per fortuna più raramente – si contrappongono; come è affiorato anche nell’evoluzione del pensiero della stessa Corte circa l’ambito in cui l’emanazione di un atto impositivo deve essere preceduto da un contraddittorio fra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente.
Appartiene alla prima logica una maggior attenzione alle esigenze fiscali non a torto viste come esigenze fondamentali della società civile, la ricerca di soluzioni che non diano spazio a difese pretestuose e di difficile valutazione (4).
La seconda logica muove in un’ottica più garantista, più attenta alle concrete conseguenze che un indirizzo troppo rigido può determinare su posizioni soggettive di contribuenti che tentano, come nei casi in esame, di soddisfare esigenze primarie della vita (la casa di abitazione).
Quando queste due pulsioni non si compongono, al commentatore non resta che ricorrere all’antico brocardo “habent sua sidera lites” (5): ogni causa, come ogni uomo, nasce sotto una stella che ne influenza il destino.

Prof. Mario Cicala
Presidente della Commissione
Tributaria Regionale della Toscana

(1) Le vicende sono state segnalate in Italia Oggi del 30 aprile 2016 con un commento di D. ALBERICI.
(2) Si tratta di Cass., sez. trib., 10 febbraio 2016, n. 2616, in Boll. Trib., 2016, 793.
(3) Ossia la pronuncia resa da Cass., sez. trib., 27 aprile 2016, n. 8351, in Boll. Trib., 2016, 796.
(4) La citata sentenza n. 2616/2016 enuncia esplicitamente una simile preoccupazione.
(5) Contro cui P. CALAMANDREI scrisse parole di irato disprezzo in Elogio dei giudici scritto da un avvocato, ed. 1935.

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