15 Luglio, 2016

1. Premessa

Le Sezioni Unite della Suprema Corte riconoscono l’impugnabilità degli atti tributari dei quali il contribuente sia venuto “comunque a conoscenza”, stabilendo che nei casi in cui quegli atti non siano stati validamente notificati non è più necessario attendere la notifica dell’atto “tipico” successivo per impugnare, unitamente a quest’ultimo, l’atto precedente non notificato.
Fino ad oggi si tendeva ad escludere tale possibilità, ritenendosi che l’impugnazione contestuale dell’atto non notificato con l’atto “tipico” successivo notificato costituisse l’unica via di accesso alla tutela giurisdizionale (una sorta di “percorso obbligato”) per il contribuente che scopriva di essere stato destinatario di un atto tributario mai validamente notificato.
Tale assunto scaturiva da una rigorosa interpretazione dell’art. 19, terzo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a norma del quale «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo».
Nell’annotata sentenza, invece, la Corte di Cassazione afferma che «una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contestarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe diventare in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori».
In realtà, non è attraverso la sola lettura costituzionalmente orientata di quella disposizione che il Supremo Collegio è giunto a riconoscere l’impugnabilità degli atti tributari “comunque venuti a conoscenza del destinatario”, ma attraverso una serie di considerazioni logiche e giuridiche che certamente meritano di essere analizzate.

2. La vicenda processuale

Una società in accomandita semplice impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale una cartella di pagamento per IVA, interessi e sanzioni relativi all’anno d’imposta 2003, asserendo che la stessa non le era mai stata notificata e di essere venuta a conoscenza della sua esistenza soltanto attraverso l’estratto di ruolo rilasciato dall’agente della riscossione, dal quale risultava, tra gli altri elementi, che quella cartella sarebbe stata notificata nel maggio del 2006.
Il giudice di prima istanza dichiarava inammissibile il ricorso ritenendo che l’atto effettivamente opposto dalla società non fosse la cartella di pagamento, bensì l’estratto di ruolo, ovvero un «atto interno all’Agente della riscossione, non rientrante tra quelli tassativamente indicati dal primo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992».
La decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale.
I giudici di secondo grado, pur riconoscendo che l’atto impugnato era la cartella di pagamento, ritenevano doversi escludere che il rilascio dell’estratto di ruolo potesse, di fatto, riaprire i termini di impugnazione di quell’atto, motivo per il quale non poteva che confermarsi la decisione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
Né a diversa soluzione si poteva giungere, secondo il Collegio d’appello, ove si volesse ritenere che la società avesse impugnato anche l’estratto di ruolo, visto che tale atto non solo non rientra nel «novero di quelli impugnabili ai sensi dell’art. 19 citato», ma difetta del requisito della «coattività della prestazione tributaria ivi espressa» e, in ogni caso, resta salva per il contribuente la possibilità di denunciare l’inesistenza della notifica della cartella di pagamento in sede di «gravame avverso eventuali e specifici atti realizzativi del credito fiscale».
Avverso la sentenza di appello la società proponeva ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo di impugnazione con il quale denunciava la violazione dell’art. 115 c.p.c., deducendo che l’estratto di ruolo può certamente essere oggetto di ricorso dinanzi ai giudici tributari «perché esso costituisce parziale riproduzione del ruolo, atto considerato impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 546/1992, avendo peraltro la giurisprudenza di legittimità affermato che va riconosciuta la possibilità di ricorrere avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che essa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. 546/1992».
La società, inoltre, si doleva del fatto che i giudici di merito non avessero in alcun modo preso in considerazione la denunciata omissione di (valida) notifica della cartella di pagamento, nonostante l’agente della riscossione non avesse affatto contestato tale denuncia, né fornito prova della sua regolare notifica.
Nel corso della discussione del ricorso per cassazione, il Collegio della VI Sezione sollecitava l’intervento compositivo delle Sezioni Unite, segnalando che «nell’ambito di un panorama giurisprudenziale in materia di atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari piuttosto composito e articolato, è negli ultimi anni emerso nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità uno specifico contrasto tra alcune pronunce secondo le quali il ruolo non è autonomamente impugnabile in quanto atto “interno”, che può essere impugnato solo con l’atto impositivo nel quale viene trasfuso e a mezzo del quale viene notificato, ed altre pronunce che hanno invece affermato l’autonoma impugnabilità del ruolo».

3. La (ri)qualificazione della opposizione

Prima di procedere all’esame delle motivazioni e delle considerazioni in diritto svolte dalla Suprema Corte in ordine alla questione principale risolta dalla pronuncia in commento, ovvero se sia impugnabile un atto tributario comunque venuto a conoscenza del destinatario, prima e a prescindere dall’impugnazione dell’atto tipico successivo, vogliamo dare conto di alcune precisazioni, di carattere strettamente processuale, che hanno consentito al Massimo Collegio di affrontare e prendere in esame la suddetta questione nonostante l’impropria formulazione dell’unico motivo di censura dedotto nel ricorso per cassazione.
In tal senso la Suprema Corte ha preliminarmente evidenziato la necessità di definire «l’ambito e la reale portata attraverso un’attività interpretativa (della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione) resa imprescindibile innanzi tutto per le diverse qualificazioni della opposizione proposta dalla contribuente, ma anche per il rischio di una non univoca attribuzione di significato a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, potenzialmente inducente ambiguità non solo terminologica ma anche concettuale».
Per comprendere la ragione per la quale si è ritenuto di preliminarmente definire l’ambito e la portata della sentenza di appello e del ricorso per cassazione, occorre leggere per intero e con attenzione la sentenza che si annota.
Di primo acchito, infatti, non si coglie immediatamente il motivo per il quale, secondo la Corte di Cassazione, occorre “schematicamente considerare” che la società, sin dal ricorso introduttivo del giudizio, ha impugnato la cartella di pagamento – della quale era venuta a conoscenza solo a seguito di rilascio dell’estratto di ruolo – deducendo che la medesima non le era stata mai validamente notificata.
Tale precisazione, invece, risulterà di assoluto rilievo poiché, come vedremo, la circostanza che fosse la cartella di pagamento l’atto impugnato dalla ricorrente, non il ruolo o l’estratto di ruolo, è poi risultata decisiva perché la Corte si potesse pronunciare per l’accoglimento del ricorso per cassazione nonostante la impropria formulazione della censura da parte della ricorrente.
In tal senso, dopo avere ribadito che secondo la Commissione tributaria provinciale quella proposta dalla società «costituiva sostanzialmente una inammissibile impugnazione dell’estratto di ruolo», anche se «formalmente qualificata come opposizione alla cartella», i Supremi Giudici hanno evidenziato che la contribuente aveva contestato in appello la «non impugnabilità dell’estratto di ruolo affermata dai primi giudici», ma si era anche esplicitamente «doluta della ritenuta inammissibilità dell’opposizione» oggetto del ricorso alla Commissione tributaria provinciale e l’aveva riproposta, ribadendo «le questioni, domande e richieste formulate nell’atto introduttivo» e insistendo per la «declaratoria di nullità e improduttività di qualsiasi effetto giuridico della cartella di pagamento impugnata».
La Commissione tributaria regionale, dal canto suo, aveva (ri)affermato l’inammissibilità dell’opposizione «sia se qualificata come opposizione alla cartella di pagamento sia se qualificata come opposizione avverso l’estratto di ruolo».
Fatte tali precisazioni, e sottolineato nuovamente come la ricorrente avesse agito in giudizio per ottenere la declaratoria di nullità della cartella di pagamento in quanto ad essa non validamente notificata, le Sezioni Unite hanno osservato che la fondatezza di quella censura doveva essere valutata «anche eventualmente rimettendo in discussione la formale qualificazione della opposizione proposta».
Dovendo motivare una decisione di accoglimento del ricorso, i Supremi Giudici hanno precisato che, a tal fine, si rendeva necessaria una riqualificazione della opposizione poiché, come abbiamo visto illustrando l’unico motivo del ricorso per cassazione, nell’eccepire la violazione dell’art. 115 c.p.c. la ricorrente aveva dedotto esclusivamente ragioni a sostegno della impugnabilità dell’estratto di ruolo.
La Corte di Cassazione, dunque, ha potuto (e voluto) “salvare” il ricorso per cassazione valorizzando la doglianza della ricorrente relativa alla dichiarata inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, declaratoria confermata dalla sentenza di appello nella quale, come abbiamo appena visto, la Commissione tributaria regionale aveva giudicato inammissibile la domanda della contribuente «sia se qualificata come opposizione alla cartella di pagamento sia se qualificata come opposizione avverso l’estratto di ruolo».
Rifacendosi alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale «la Corte di Cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto», le Sezioni Unite hanno conclusivamente affermato la «fondatezza – nei termini sopra riportati – del motivo in esame nella parte in cui la ricorrente si duole della ritenuta inammissibilità della opposizione proposta per far valere l’invalidità della notifica della cartella di pagamento della quale essa era venuta a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo».
Insomma, riassumendo in termini estremamente sintetici, la questione che la Suprema Corte ha risolto con l’annotata pronuncia, riconoscendo l’impugnabilità degli atti tributari comunque venuti a conoscenza del destinatario, non era stata nemmeno accennata nell’unico motivo di ricorso per cassazione, e tuttavia il Collegio ha (opportunamente, a nostro avviso) ritenuto che fosse giunto il momento di affrontare e risolvere tale fondamentale questione e ha scelto di superare ogni ostacolo di carattere formale pur di affermare il principio di diritto massimato.
Nella sentenza in commento, dunque, si riscontra una “disponibilità” del Supremo Collegio che tante, troppe volte è mancata negli ultimi anni nei quali, viceversa, sono aumentate a dismisura le pronunce di inammissibilità dei ricorsi per cassazione.
Decisioni, queste ultime, in cui è risultata assai evidente l’esigenza di smaltire in tutta fretta, sbrigativamente, il fardello delle migliaia di ricorsi pendenti piuttosto che fornire univoche e soddisfacenti soluzioni giuridiche a questioni pure di grande interesse (1).

4. L’esatta definizione di “ruolo” ed “estratto di ruolo”

In via “ulteriormente preliminare” il Supremo Collegio ha ritenuto di dover fare chiarezza sul significato da attribuire a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”.
In dottrina già da tempo era stata segnalata la necessità di fare chiarezza sul significato da attribuire ai suddetti termini (2), evidenziando l’equivoco cui potevano dare luogo le stesse pronunce di legittimità che ammettevano (talvolta) o negavano (il più delle volte) l’impugnabilità dell’“estratto di ruolo” in assenza di notifica della cartella di pagamento.
In particolare, era stato rilevato dai Supremi Giudici (3) come possa proporsi ricorso al giudice tributario «avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, atteso l’indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, “ex” art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale (ormai allo stato esclusiva del giudice tributario), comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico».
Ciò, precisava la Corte di Cassazione, in considerazione del fatto che «recentemente è stato statuito che anche l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla Commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall’art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass. n. 724/2010)» (4).
Leggendo le massime delle richiamate pronunce, invece che il loro testo integrale come è sempre opportuno fare, si poteva essere indotti a ritenere che la stessa Corte, facendo esplicito riferimento all’“estratto di ruolo”, si fosse pronunciata in quelle occasioni anche per l’autonoma impugnabilità del documento “estratto di ruolo” rilasciato dall’agente della riscossione (5), mentre il suddetto termine non poteva che essere inteso se non alla stregua di “parziale riproduzione del ruolo”, ovvero parziale riproduzione di quell’“elenco di debitori e debiti formato dall’ente impositore” che è il “ruolo”, senza dubbio impugnabile per espressa previsione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.
Con l’annotata sentenza le Sezioni Unite fanno definitiva chiarezza al riguardo, precisando che, alla luce di quanto previsto dagli artt. 10, 11 e 12 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, «il ruolo è un atto amministrativo impositivo proprio ed esclusivo dell’“ufficio competente” (cioè dell’ente creditore impositore), quindi atto che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale».
Inoltre, prosegue la Suprema Corte, «in quanto titolo esecutivo», il ruolo «non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore (mai del concessionario della riscossione), ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile».
Ed infatti, l’agente della riscossione, in forza del ruolo ricevuto, redige la “cartella di pagamento” che, a norma dell’art. 25, secondo comma, del citato D.P.R. n. 602/1973, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.
Inoltre, l’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 annovera espressamente il “ruolo” e la “cartella di pagamento” tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie e il successivo art. 21 stabilisce che «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo».
Da tali disposizioni, conclude il Supremo Collegio, si evince che: il ruolo è un atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è un atto impugnabile e il termine iniziale per calcolare i «sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato» coincide con quello di «notificazione della cartella di pagamento»; entro il suddetto termine il debitore può impugnare entrambi gli atti (“ruolo” e “cartella di pagamento”) contemporaneamente ovvero anche solo quello dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e, quindi, che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso.
Il documento denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso agente della riscossione che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente.
La Corte di Cassazione inoltre, riprendendo quanto testualmente affermato dal Consiglio di Stato in un recente arresto (6), precisa che l’“estratto di ruolo” – formato e consegnato soltanto su richiesta del debitore – costituisce semplicemente un «elaborato informatico formato dall’esattore, sostanzialmente contenente gli elementi della cartella di pagamento», quindi anche gli “elementi” del ruolo afferenti quella specifica cartella.
Alla luce di quanto precede, emerge in tutta evidenza la differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo”, termini, precisa la Suprema Corte, «talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi»: il primo (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); il secondo è (e resta sempre) solo un “documento” formato dall’agente della riscossione, che non contiene (né per sua natura può contenere) alcuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
L’inidoneità dell’“estratto di ruolo” a contenere una qualunque pretesa impositiva comporta indiscutibilmente la sua non impugnabilità per difetto di interesse del debitore a chiederne e ottenerne l’annullamento giurisdizionale, non avendo alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato.

5. L’impugnabilità degli atti comunque conosciuti

Tanto chiarito sulle differenze (formali e) sostanziali tra “ruolo” ed “estratto di ruolo”, la Suprema Corte ha sottolineato, per l’ennesima volta, che nel caso di specie la ricorrente si è sempre doluta dell’invalida notificazione della cartella di pagamento, motivo per il quale, ai fini della decisione, occorreva «affrontare la (diversa) questione della ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l’estratto di ruolo), con la precisazione che le considerazioni che saranno esposte in proposito devono intendersi riferibili anche all’impugnazione del ruolo, attesa la coincidenza della notificazione della cartella con quella del ruolo».
In primo luogo, ha osservato il Supremo Collegio, se deve escludersi, per quanto detto in precedenza, l’interesse del debitore ad impugnare il documento “estratto di ruolo”, può invece sussistere il legittimo interesse ad impugnare il “contenuto” di quel documento, ovvero gli “atti” in esso indicati: 1) la cartella di pagamento; 2) il ruolo.
Atti entrambi impugnabili, come ricordato, per espressa previsione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, entro il termine di sessanta giorni dalla (valida) notifica.
Ma quid iuris quando il contribuente sia venuto a conoscenza della loro esistenza attraverso l’“estratto di ruolo” e non attraverso una “valida” notifica del ruolo?
Nel caso in esame, come abbiamo visto, la Commissione tributaria regionale aveva escluso l’ammissibilità dell’impugnazione sia che la si ritenesse rivolta contro l’“estratto di ruolo”, trattandosi di atto non impugnabile, sia che la si ritenesse rivolta contro la cartella di pagamento, «ancorché per asserito difetto di notifica», nell’assunto che la consegna dell’“estratto di ruolo” non può «comportare la riapertura dei termini di impugnazione» della cartella medesima.
Tale affermazione è stata giudicata non condivisibile dalla Suprema Corte secondo un ragionamento che possiamo così schematizzare: 1) i termini di impugnazione di un atto non possono che decorrere dalla “valida notifica” dello stesso; 2) se la notifica è viziata (o se si assume che lo sia) non può certamente negarsi al destinatario l’interesse e il diritto di “provocare la verifica” della validità della notifica di un atto del quale non sia venuto a conoscenza in termini per l’impugnazione a causa di anomalie di quella notifica; 3) tale verifica non può che essere “provocata” attraverso l’impugnazione dell’atto che il destinatario asserisce non essergli stato mai validamente notificato; 4) tale impugnazione giammai può condurre a una riapertura dei termini di impugnazione, «posto che, ove l’atto risultasse validamente notificato, nessuna “riapertura” sarebbe ovviamente ipotizzabile all’esito della verifica, mentre, ove l’atto non risultasse (validamente) notificato, i termini non avrebbero neppure iniziato a decorrere».
Fermo ed indiscutibile, dunque, il diritto del contribuente di far valere l’invalidità della notifica di un atto tributario attraverso l’impugnazione dello stesso, occorre stabilire il «momento a partire dal quale è possibile far valere tale invalidità», visto che, a norma del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, quel contribuente dovrebbe attendere la (valida) notifica dell’atto successivo per poter impugnare, unitamente a quest’ultimo, l’atto precedente non validamente notificato (7).
Tale previsione, sottolinea la Cassazione, costituisce il “precipitato” del principio secondo cui la natura recettizia dell’atto tributario lo rende impugnabile solo a seguito di notifica al contribuente.
Un principio che, tuttavia, oggi può essere rivisto (e superato) alla luce dei recenti arresti del Supremo Collegio con i quali è stata riconosciuta l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portano comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa impositiva, senza necessità che essi siano espressi in forma autoritativa (8).
Il ragionamento delle Sezioni Unite, la vera e propria “svolta” dell’annotata sentenza, è il seguente: se si ammette l’autonoma e immediata impugnabilità di qualsiasi atto che porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa impositiva, «prescindendo dal fatto che tale atto sia direttamente rivolto al contribuente e si manifesti in forma autoritativa … a fortiori, si può prescindere dal fatto che quell’atto risulti notificato al contribuente».
Quella giurisprudenza, insomma, attraverserebbe «(di fatto superandola) la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente».
Secondo la Suprema Corte quella questione (natura recettizia dell’atto amministrativo e sua impugnabilità solo a seguito di valida notifica) risulterebbe “ampiamente superata” anche dalla giurisprudenza di legittimità che ha ripetutamente affermato che «la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio (ovvero l’inesistenza) di tale notificazione è irrilevante ove essa abbia raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato l’atto in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo» (9).
Ovviamente, precisa subito dopo il Supremo Collegio, «la natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione, essendo l’inammissibilità dell’utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza una delle più rilevanti conseguenze connesse alla natura recettizia dell’atto, onde l’omessa notificazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio (nella specie l’atto tributario) comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, con pregiudizio della stabilità dei relativi effetti».
Tuttavia, proseguono le Sezioni Unite, «se è vero che, come sopra rilevato, non è sufficiente la prova della “piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini [di impugnazione, n.d.a.], ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge, è anche vero che ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto, appunto, la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza».
Di qui la conclusione secondo cui «una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contestarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe diventare in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori».
Ma vi è un’ulteriore considerazione, molto importante, che fanno i Supremi Giudici: la possibilità per il contribuente di “conoscere legittimamente” attraverso il c.d. “estratto di ruolo” le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle di pagamento potrebbe rappresentare un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra Amministrazione e contribuente soltanto se la conoscenza (comunque avvenga, anche attraverso l’estratto di ruolo) di un atto che il contribuente avrebbe avuto il diritto di impugnare (e che non è stato impugnato in quanto non conosciuto perché malamente notificato) ne consentisse l’immediata impugnazione, non certo se allo stesso contribuente si continui a negare l’accesso alla tutela giurisdizionale subordinandolo alla notifica di un ulteriore atto dell’Amministrazione finanziaria (tipico e autonomamente impugnabile, aggiungiamo noi).
Per non dire del fatto, soggiunge la Corte, che dare quella possibilità al destinatario di un atto tributario «è funzionale anche al buon andamento della pubblica Amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, i rischi di decadenza dell’Amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine».
Alla luce delle considerazioni e delle motivazioni che precedono, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, riconoscendo l’ammissibilità dell’impugnazione di una cartella di pagamento (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dall’agente della riscossione, e per l’effetto ha cassato la sentenza d’appello e rimesso la causa alla Commissione tributaria regionale affinché, evidentemente, possa verificare se effettivamente la cartella di pagamento fosse stata o meno “validamente” notificata.

6. Brevi riflessioni

Chiariamo subito che la riconosciuta impugnabilità degli atti tributari “comunque venuti a conoscenza del destinatario” va salutata con grande favore perché essa ha certamente il pregio di agevolare l’accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale.
Tuttavia, nelle motivazioni che hanno condotto a tale riconoscimento c’è qualche affermazione che non convince.
Il fatto che la giurisprudenza di legittimità abbia riconosciuto l’impugnabilità anche di atti tributari “atipici” non conduce affatto a ritenere “superata” la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo (tributario), e men che mai “superata”, con essa, la questione della impugnabilità di tali atti solo a seguito di valida notifica.
Osserviamo, allora, che nella sentenza della Suprema Corte n. 3773/2014 (10), espressamente richiamata nell’annotata pronuncia, non si afferma mai, nemmeno per sottinteso, che l’impugnabilità degli atti tributari “atipici” va riconosciuta (qualunque forma essi abbiano assunto, pure se non rivolti direttamente al contribuente) anche «a prescindere dal fatto che risultino notificati al medesimo contribuente».
Semmai, ad avviso di chi scrive, nella suddetta sentenza n. 3773/2014 si ribadisce un principio di segno opposto, affermandosi, con riferimento all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, che «la tassatività di detta elencazione [degli atti impugnabili, n.d.a.] va riferita non tanto ai singoli atti nominativamente indicati, ma piuttosto alla individuazione di “categorie” di atti, considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti».
È del tutto evidente che la giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto l’impugnabilità anche degli atti tributari “atipici” è giunta a tale determinazione sempre valorizzando gli “effetti giuridici” prodotti da quegli atti.
E quegli effetti giuridici, come viene ribadito anche nella sentenza in esame, si producono soltanto con la notificazione dell’atto, qualificata espressamente condizione di efficacia dell’atto amministrativo di imposizione tributaria.
Del resto, nella stessa sentenza che si annota il Supremo Collegio, pur sostenendo che la richiamata giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3773/2014) avrebbe «attraversato (di fatto superandola) la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente», è poi costretto a fare “marcia indietro”, ribadendo che gli atti tributari hanno e non possono non avere “natura recettizia”, ciò che rende inapplicabile ad essi l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione.
Poiché, tuttavia, accade di frequente che anche in assenza di valida notifica della cartella di pagamento l’agente della riscossione proceda con la successiva attività di recupero, anche forzoso, del credito tributario o adotti le incisive misure cautelari previste dalla legge a tutela dello stesso, non si può negare alla parte interessata la «possibilità di far valere l’invalidità della notifica di una cartella della quale (a causa di detta invalidità) sia venuta a conoscenza oltre i previsti termini di impugnazione».
Pertanto, la Corte ha optato per una soluzione che potremmo definire di “compromesso”, affermando che la “piena conoscenza” dell’atto tributario, tipico o atipico che sia, lo rende impugnabile, anche se «non fa decorrere i termini di impugnazione in danno del contribuente», a tal fine occorrendo una valida notifica.
Una soluzione che, al di là di qualche forzatura motivazionale, non possiamo che apprezzare, rivelandosi, come riconoscono le stesse Sezioni Unite, un opportuno “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
Se ancora ce ne fosse bisogno, la sentenza in commento certifica inequivocabilmente che quello sbilanciamento esiste e, aggiungiamo noi, troppo spesso incide negativamente sui diritti dei cittadini.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) La tendenza della Suprema Corte a dare una “impietosa sforbiciata dell’arretrato” è stata denunciata già da diverso tempo dalla dottrina più autorevole, venendo definita una sorta di “progetto Erode” da F. BRIGHENTI, Ricorso per cassazione: attenzione all’inedita tagliola dell’autosufficienza documentale, in nota a Cass., sez. trib., 8 gennaio 2010, ord. n. 135, e Cass., sez. trib., 26 novembre 2009, ord. n. 24940, in Boll. Trib., 2010, 1139.
(2) Ci sia consentito richiamare D. CARNIMEO, L’autonoma impugnabilità del ruolo e dell’estratto di ruolo, in Boll. Trib., 2013, 1025, in nota a Cass., sez. trib., 20 marzo 2013, n. 6906, che coglie l’occasione «per chiarire, se ve ne fosse bisogno, che ruolo ed estratto di ruolo non sono la stessa cosa, ma, soprattutto, che la loro impugnabilità non è sempre subordinata alla notifica della cartella di pagamento. Tutt’altro. Il ruolo, come abbiamo visto, è un “elenco di debitori e debiti formato dall’ente impositore per essere consegnato ad un soggetto terzo (un tempo l’esattore, oggi Equitalia s.p.a.), affinché provveda all’esazione anche coattiva delle somme iscritte”. L’estratto di ruolo, invece, è una “parziale riproduzione” del ruolo, è formato dall’agente della riscossione e contiene l’indicazione delle somme dovute dal singolo debitore».
(3) Cass., sez. trib., 6 luglio 2010, ord. n. 15946, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass., sez. trib., 19 gennaio 2010, n. 724, in Boll. Trib. On-line.
(5) Del resto ancora oggi, nel dare notizia dell’annotata sentenza, la stampa specializzata continua a titolare: “Ricorsi su estratto di ruolo, decisione di buon senso” (cfr. A. IORIO, in Il Sole 24 Ore del 7 ottobre 2015, 41); “Cartelle esattoriali, il contribuente può impugnare anche l’estratto di ruolo” (cfr. riquadro su D. ALBERICI, in Italia Oggi del 3 ottobre 2015, 22); ingenerando nel lettore l’idea che possa impugnarsi dinanzi al giudice tributario anche l’estratto di ruolo rilasciato dall’agente della riscossione, a prescindere dall’esistenza di una valida notificazione della prodromica cartella di pagamento.
(6) Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209, in Giurisd. amm., 2014, 1101.
(7) Ricordiamo in subiecta materia Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, in Boll. Trib., 2007, 1555, con nota di L. FERLAZZO NATOLI – G. INGRAO, Nullità degli “atti successivi’’, non preceduti dalla notifica degli “atti presupposto’’, in cui si chiarisce definitivamente che «in materia tributaria la nullità dell’atto consequenziale notificato (nella specie, avviso di mora) per l’omessa notifica di un atto presupposto (nella specie, cartella di pagamento) può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli, facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria; spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa».
(8) Accanto alle pronunce richiamate nella sentenza in commento, recentemente si è espressa nello stesso senso anche Cass., sez. VI, 28 novembre 2014, n. 25297, in Boll. Trib. On-line.
(9) La stessa Suprema Corte nell’annotata sentenza cita «tra le più recenti Cass. n. 654 del 2014 e n. 8374 del 2015 [ossia Cass., sez. trib., 15 gennaio 2014, n. 654, e Cass., sez. trib., 24 aprile 2015, n. 8374, entrambe in Boll. Trib. On-line], principio presupposto già da s.u. n. 19854 del 2004 [ossia Cass., sez. un., 5 ottobre 2004, n. 19854, in Boll. Trib., 2004, 1753]».
(10) Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773, in Boll. Trib. On-line.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Cartella di pagamento e/o ruolo non validamente notificati di cui si acquisisca notizia attraverso l’estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Possibilità di fare valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia venuto a conoscenza senza dover attendere la notifica di un atto tipico successivo – Sussiste.
Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e/o ruolo non validamente notificati di cui si acquisisca notizia attraverso l’estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Possibilità di fare valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia venuto a conoscenza senza dover attendere la notifica di un atto tipico successivo – Sussiste.
Imposte e tasse – Riscossione – Ruolo – Natura – È un atto amministrativo impositivo proprio ed esclusivo dell’Ufficio finanziario, che con la sua rituale sottoscrizione diviene titolo esecutivo e costituisce il presupposto indefettibile della successiva attività dell’agente della riscossione.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Ruolo e cartella di pagamento – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Termine di impugnazione del ruolo – Coincide con quello di impugnazione della cartella di pagamento e decorre dalla notifica della cartella stessa – La nullità della cartella non comporta necessariamente la nullità del ruolo, mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità della cartella.
Imposte e tasse – Riscossione – Ruolo e cartella di pagamento – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Termine di impugnazione del ruolo – Coincide con quello di impugnazione della cartella di pagamento e decorre dalla notifica della cartella stessa – La nullità della cartella non comporta necessariamente la nullità del ruolo, mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità della cartella.
Imposte e tasse – Riscossione – Estratto di ruolo – Costituisce un elaborato informatico formato dall’agente della riscossione, contenente gli elementi della cartella di pagamento e del relativo ruolo – Rilascio su richiesta del contribuente – Effetti e conseguenze.
Imposte e tasse – Riscossione – Ruolo ed estratto di ruolo – Natura e differenze – Il primo è un provvedimento potestativo dell’ente impositore contenente una pretesa economica, mentre il secondo è solo un documento informatico ricognitivo elaborato dall’agente della riscossione che non contiene alcuna pretesa impositiva.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Esclusione – Inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia autonoma e/o nuova pretesa impositiva diretta o indiretta – Carenza di interesse al suo annullamento giurisdizionale da parte del debitore – Consegue – Eventuale ed ipotetica contestazione dell’attività certificativa dell’agente della riscossione – Irrilevanza.
Imposte e tasse – Riscossione – Estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Esclusione – Inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia autonoma e/o nuova pretesa impositiva diretta o indiretta – Carenza di interesse al suo annullamento giurisdizionale da parte del debitore – Consegue – Eventuale ed ipotetica contestazione dell’attività certificativa dell’agente della riscossione – Irrilevanza.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Termine per l’impugnazione – Decorre dalla valida notificazione dell’atto impugnabile – Diritto ed interesse del contribuente di chiedere la verifica della validità della notifica dell’atto di cui non sia venuto a conoscenza nei termini per l’impugnazione a causa di anomalie della notifica stessa – Sussistono – Riapertura dei termini di impugnazione – Esclusione e irrilevanza – Se l’atto impugnabile non è stato validamente notificato i relativi termini d’impugnazione non iniziano a decorrere.
Procedimento – Notificazione dell’atto impositivo – Nullità della notificazione – Impugnazione dell’atto – Comporta la sanatoria della nullità ex art. 156 c.p.c. solo se il raggiungimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo.
Imposte e tasse – Accertamento e riscossione – Notificazione dell’atto impositivo – Nullità della notificazione – Impugnazione dell’atto – Comporta la sanatoria della nullità ex art. 156 c.p.c. solo se il raggiungimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo.
Imposte e tasse – Accertamento e riscossione – Atti impositivi – Natura ricettizia – Sussiste – Effetti giuridici – Decorrono dalla data di avvenuta comunicazione del provvedimento e non dalla sua data di adozione.
Imposte e tasse – Accertamento e riscossione – Atti impositivi – Natura ricettizia – Sussiste – Istituto della “piena conoscenza” ai fini della decorrenza del termine di impugnazione – Inapplicabilità – Utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza dell’atto – Inammissibilità – Omessa comunicazione dell’atto tributario ricettizio nei modi di legge – Mancato decorso del termine di impugnazione – Consegue – Inoppugnabilità dell’atto invalidamente notificato – Esclusione.
Procedimento – Ricorsi – Impugnazione dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – Non costituisce l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque venuto a conoscenza – Facoltà del destinatario di far valere la suddetta invalidità senza dover attendere la notifica di un atto successivo autonomamente impugnabile – Sussiste.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Cartella di pagamento e/o ruolo non validamente notificati di cui si acquisisca notizia attraverso l’estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Necessità di attendere la notifica di un ulteriore atto autonomamente impugnabile – Esclusione.
Imposte e tasse – Riscossione – Atti impugnabili – Cartella di pagamento e/o ruolo non validamente notificati di cui si acquisisca notizia attraverso l’estratto di ruolo – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Necessità di attendere la notifica di un ulteriore atto autonomamente impugnabile – Esclusione.
Procedimento – Ricorsi – Impugnazione della cartella di pagamento e/o del ruolo per mancanza di valida notificazione proposta senza attendere la notifica di un successivo atto autonomamente impugnabile – Non determina un aggravio del contenzioso bensì un effetto deflativo.
Imposte e tasse – Riscossione – Impugnazione della cartella di pagamento e/o del ruolo per mancanza di valida notificazione proposta senza attendere la notifica di un successivo atto autonomamente impugnabile – Non determina un aggravio del contenzioso bensì un effetto deflativo.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Possibilità per il contribuente di far valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto precedente non validamente notificato senza la necessità di attendere la notifica di un successivo atto autonomamente impugnabile – Sussiste – Rallentamento dell’azione di prelievo – Non si configura – Diminuzione del possibile danno derivante da azioni esecutive portate avanti sulla base di pretese illegittime – Consegue.
Imposte e tasse – Riscossione – Possibilità per il contribuente di far valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto precedente non validamente notificato senza la necessità di attendere la notifica di un successivo atto autonomamente impugnabile – Sussiste – Rallentamento dell’azione di prelievo – Non si configura – Diminuzione del possibile danno derivante da azioni esecutive portate avanti sulla base di pretese illegittime – Consegue.
Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Statuizione di inammissibilità o declinatoria di giurisdizione o di competenza da parte del giudice – Mancanza di potestas iudicandi in relazione al merito della controversia – Consegue – Argomentazioni di merito inserite ad abundantiam nella sentenza – Irrilevanza – Onere o interesse del soccombente di impugnare le argomentazioni di merito – Non sussiste.
Procedimento – Giudizio di cassazione – Accoglimento del ricorso per un motivo di diritto diverso da quello prospettato dal ricorrente – Ammissibilità – Limiti e condizioni.

È ammissibile l’impugnazione della cartella di pagamento e/o del ruolo che non siano stati validamente notificati e di cui il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dall’agente della riscossione, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di fare valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.
A norma dell’art. 10, lett. b), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il “ruolo” è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’Ufficio finanziario ai fini della riscossione a mezzo dell’agente della riscossione, ed a norma dell’art. 11 del medesimo decreto «nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi», di talché esso costituisce un atto amministrativo impositivo proprio ed esclusivo dell’Ufficio competente, e cioè dell’ente creditore impositore, quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale, e che, una volta sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da un suo delegato a norma dell’art. 12 del citato D.P.R. n. 602/1973, diviene titolo esecutivo e viene consegnato «al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce» come previsto dal successivo art. 24 del medesimo decreto, con la conseguenza che esso non solo è un atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore e mai dell’agente della riscossione ma che, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del predetto agente, della quale costituisce presupposto indefettibile.
L’art. 19, primo comma, lett. d), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, elenca espressamente tra gli “atti impugnabili”, e quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione, il ruolo e la cartella di pagamento, mentre la seconda parte del primo comma dell’art. 21 del medesimo decreto dispone espressamente che la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo; da tali disposizioni si evince pertanto che il ruolo è un atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento, che è un atto impugnabile, che il termine iniziale per calcolare i sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato, fissati a espressa pena di inammissibilità dalla prima parte dello stesso art. 21 per l’impugnazione di qualsiasi atto impugnabile, coincide con quello della notificazione della cartella di pagamento, e che entro il suddetto termine perciò il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse può impugnare entrambi gli atti, il ruolo e la cartella di pagamento, contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e, quindi, che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo, mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso.
Il documento denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso agente della riscossione che lo rilascia, non è specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente, viene formato e quindi consegnato soltanto su richiesta del debitore e costituisce semplicemente un elaborato informatico formato dall’esattore sostanzialmente contenente gli elementi della cartella di pagamento e perciò anche gli elementi del ruolo afferente quella cartella, senza che peraltro il suo rilascio sia idoneo ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta della copia degli originali della cartella stessa, della sua notificazione e degli atti prodromici.
La differenza sostanziale tra il ruolo e l’estratto di ruolo è che il ruolo, atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità e ai termini perentori di impugnazione, è un provvedimento proprio dell’ente impositore e quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto, mentre l’estratto di ruolo è e resta sempre solo un documento, ossia un elaborato informatico contenente gli elementi della cartella di pagamento e pertanto unicamente gli elementi di un atto impositivo, formato dall’agente della riscossione, che non contiene né per sua natura può contenere alcuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
La inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia autonoma e/o nuova pretesa impositiva, diretta o indiretta, comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato, e peraltro anche l’eventuale contestazione dell’attività certificativa dell’agente della riscossione in sé considerata avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell’estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.
I termini di impugnazione di un atto non possono che decorrere dalla valida notificazione dell’atto medesimo e pertanto il destinatario dell’atto ha l’interesse e il diritto di provocare la verifica della validità della notifica dell’atto del quale egli non sia venuto a conoscenza in termini per l’impugnazione a causa di anomalie di tale notifica, di talché è da escludere che l’impugnazione volta innanzitutto a provocare tale legittima verifica possa giammai condurre ad una riapertura dei predetti termini, posto che ove l’atto risultasse validamente notificato nessuna riapertura sarebbe ovviamente ipotizzabile all’esito della verifica, mentre ove l’atto non risultasse validamente notificato i termini non avrebbero neppure iniziato a decorrere.
In conformità con la previsione letterale dell’art. 1334 c.c., ai sensi del quale gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati, si deve ritenere che la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio ovvero l’inesistenza di tale notificazione è irrilevante ove essa abbia raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato l’atto in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo, considerato altresì che la natura non processuale dell’atto impositivo non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale e quindi all’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per gli atti processuali, con la conseguenza che l’impugnazione dell’atto impositivo da parte del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della relativa notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., sempreché il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo previsto dalle singole leggi d’imposta.
Gli atti tributari, innanzitutto in ragione della loro indubbia incidenza sul patrimonio del destinatario, sono da sempre considerati atti recettizi, nei quali pertanto le misure di partecipazione sono elementi costitutivi dell’efficacia giuridica, per cui l’effetto giuridico non decorre dalla data di adozione del provvedimento, ma dalla data di avvenuta comunicazione dello stesso.
La natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione, essendo l’inammissibilità dell’utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza una delle più rilevanti conseguenze connesse alla natura recettizia dell’atto, onde l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio tributario comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, con pregiudizio per la stabilità dei relativi effetti.
Una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.
La possibilità per il contribuente di conoscere legittimamente attraverso il c.d. “estratto di ruolo” le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle di pagamento potrebbe rappresentare un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente soltanto se la conoscenza, attraverso il predetto estratto di ruolo, di un atto che il contribuente avrebbe avuto il diritto di impugnare e che non è stato impugnato in quanto non conosciuto perché malamente notificato, ne consentisse l’immediata impugnazione, ma non certo se al contribuente, che a causa dell’invalidità di una notificazione della quale era onerata l’Amministrazione sia stato espropriato del proprio diritto di accedere alla tutela giurisdizionale, si continui a negare tale accesso, subordinandolo alla notifica di un ulteriore atto da parte dell’Amministrazione stessa, senza contare che in alcuni casi potrebbe anche non esservi un ulteriore atto prima di procedere ad esecuzione forzata sulla base del ruolo, e che comunque in tal modo la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente sarebbe ancora una volta rimessa alle determinazioni dell’Amministrazione circa i modi e i tempi della notifica dell’eventuale atto successivo, mentre nel frattempo aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso all’iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta; per altro verso, inoltre, la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non validamente notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo che potrebbe essere a sua volta malamente notificato, è funzionale anche al buon andamento della pubblica Amministrazione, perché contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, nonché i rischi di decadenza dell’Amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine.
L’impugnazione della cartella di pagamento per mancanza di valida notificazione proposta non unitamente all’impugnazione dell’atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l’impugnazione della cartella, ancorché ritardata, interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell’atto successivo, mentre la proposizione anticipata di essa potrebbe evitare l’emissione e la notifica, quindi l’impugnazione, dell’atto successivo, e perciò indurre un possibile effetto deflativo.
È da escludere che dalla impugnabilità di un atto nel quale risulti esternata una ben definita pretesa impositiva possa derivare un rallentamento dell’azione di prelievo, che non sia quello strettamente e legittimamente derivante dall’interesse e dal diritto costituzionalmente presidiato del contribuente di contrastare la possibilità di un prelievo illegittimo, considerato che posticipare il momento in cui il contribuente può far valere l’illegittimità della pretesa non serve a sveltire l’azione di prelievo, ma solo ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive in ipotesi portate avanti sulla base di pretese illegittime.
Qualora il giudice di merito, dopo una statuizione di inammissibilità o declinatoria di giurisdizione o di competenza con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata, dovendo a fortiori ritenersi infondata l’impugnazione che sostanzialmente censuri l’omessa pronuncia sul merito da parte del giudice che si sia spogliato della relativa potestas iudicandi con una statuizione di inammissibilità.
La Corte di Cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio di una eccezione in senso stretto.

[Corte di Cassazione, sez. un. (Pres. Rovelli, rel. Di Iasi), 2 ottobre 2015, sent. n. 19704, ric. Rigante G. di R.G. & C. s.a.s. c. Equitalia Sud s.p.a.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – (Omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Con unico motivo, deducendo “ai sensi dell’art. 62 comma 1 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 360 n. 3 c.p.c.”, nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente censura la decisione impugnata innanzitutto affermando che l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso dinanzi alle Commissioni Tributarie perché esso costituisce parziale riproduzione del ruolo, atto considerato impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 546/1992, avendo peraltro la giurisprudenza di legittimità affermato che va riconosciuta la possibilità di ricorrere avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che essa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. 546/92 atteso l’indubbio interesse del destinatario a chiarire la sua posizione rispetto a tale pretesa e quindi ad invocare la tutela giurisdizionale. La ricorrente si duole inoltre del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso ogni valutazione in ordine alle circostanze dalla medesima evidenziate con riguardo alla dedotta omissione di (valida) notifica della cartella, pur non avendo la convenuta contestato tali circostanze né tanto meno fornito alcuna prova dell’avvenuta notifica della suddetta cartella.
In particolare, rilevato che, dopo un primo infruttuoso tentativo di notifica presso la sede della società contribuente – dove la stessa era risultata sconosciuta –, veniva effettuata ulteriore notifica “per irreperibilità assoluta” con deposito dell’atto presso il Comune e affissione dell’avviso di deposito, la ricorrente evidenzia la mancanza di prova della comunicazione alla società, mediante raccomandata, dell’avvenuto deposito dell’atto presso il Comune nonché la mancanza dell’attestazione della impossibilità di effettuare la notificazione al legale rappresentante della suddetta società, il quale risultava individuato e nominato nell’atto da notificare.
Le censure esposte sono fondate esclusivamente nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.
Prima di passare al relativo esame, tuttavia, è necessario definirne l’ambito e la reale portata attraverso un’attività interpretativa (della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione) resa imprescindibile innanzitutto per le diverse qualificazioni – ferma restandone la sostanza – della opposizione proposta dalla contribuente, ma anche per il rischio di una non univoca attribuzione di significato a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, potenzialmente inducente ambiguità non solo terminologica ma anche concettuale. In proposito occorre innanzitutto schematicamente considerare che, come emergente da quanto sopra riportato, la società ricorrente ha impugnato la cartella esattoriale a suo carico – della quale era venuta a conoscenza solo a seguito di rilascio dell’estratto di ruolo da parte del concessionario – deducendo che la medesima non era stata validamente notificata. I primi giudici hanno sostenuto che quella proposta, anche se formalmente qualificata come opposizione alla cartella, costituiva sostanzialmente una inammissibile impugnazione dell’estratto di ruolo, atto interno dei concessionario. Il contribuente ha contestato in appello la non impugnabilità dell’estratto di ruolo affermata dai primi giudici, si è doluto della ritenuta inammissibilità dell’opposizione e l’ha riproposta, ribadendo “le questioni, domande e richieste formulate nell’atto introduttivo” e insistendo per la “declaratoria di nullità e improduttività di qualsiasi effetto giuridico della cartella di pagamento impugnata”. I giudici d’appello hanno affermato l’inammissibilità della proposta opposizione, sia se qualificata come opposizione avverso la cartella sia se qualificata come opposizione avverso l’estratto di ruolo, e la società ha proposto ricorso per cassazione contestando la affermata inammissibilità dell’opposizione proposta ed altresì dolendosi del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di trarre le conseguenze dagli elementi circa l’invalidità della notifica della cartella addotti dalla medesima ricorrente e non contestati dalla controparte.
Come è evidente, al di là di mere qualificazioni, la ricorrente ha agito in giudizio nell’intento di ottenere attraverso la proposta opposizione (comunque qualificata) la declaratoria della nullità della cartella emessa a suo carico in quanto non validamente notificata e ricorre oggi dinanzi a questo giudice per ottenere l’annullamento della decisione impugnata laddove ha ritenuto inammissibile la suddetta opposizione. Occorrerà pertanto valutare la fondatezza della censura anche eventualmente rimettendo in discussione la formale qualificazione della opposizione proposta, alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale la corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (v. Cass. n. 3437 del 2014; 6935 del 2007; 19132 del 2005; 4939 del 1998).
Tanto premesso, prima di procedere oltre occorre, in via ulteriormente preliminare, fare chiarezza sull’oggetto della analisi che seguirà, perciò intendersi sul significato da attribuire a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, e ciò non per mera esigenza definitoria fine a se stessa ma perché la comprensibilità di qualunque discorso passa per l’utilizzo di un linguaggio comune, quindi per la condivisione convenzionale del significato dei termini utilizzati, e la stessa correttezza di qualsivoglia soluzione giuridica impone che sia preventivamente individuato con precisione il concreto “oggetto” del problema da risolvere. Ne consegue che per decidere se un atto (volgarmente) detto “estratto di ruolo” sia stato o meno impugnato (e se sia o meno impugnabile) occorrerà identificare in fatto e, poi, qualificare in diritto l’oggetto concreto della disamina, al fine di evitare che si possa confondere l’”estratto di ruolo” con il “ruolo” e, soprattutto, che si possa in qualche modo ridurre, attesa la nota anfibologia di ogni documento, ad uno solo i due oggetti (“documento” e suo “contenuto”) come se si trattasse di della mera diversità di nome dello stesso oggetto.
Il “ruolo”, come noto, ha una sua precisa definizione legislativa, posto che, per il vigente testo dell’art. 10, lett. b), del d.p.r. n. 602 del 1973, esso è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” e che, per l’art. 11 del medesimo d.p.r., “nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi”.
A norma del successivo articolo 12, l’ufficio competente “forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”; nel ruolo “devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”; “il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato” e “con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”, cioè costituisce titolo esecutivo.
Dai riprodotti dati normativi discende che il “ruolo” è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell’“ufficio competente” (cioè dell’ente creditore impositore), quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale (cfr. le norme sopra richiamate laddove si precisa che esso deve indicare le “somme dovute” in “riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento” o, “in mancanza” di questo, la “motivazione” del debito).
In quanto titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un suo delegato, giusta il dettato del primo comma dell’art. 24 d.p.r. n. 602 del 1973, viene consegnato “al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”, esso pertanto non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore (mai del concessionario della riscossione), ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile.
Il concessionario della riscossione, a sua volta, in forza del ruolo ricevuto, redige “in conformità al modello approvato” (oggi dall’Agenzia delle Entrate) “la cartella di pagamento” (che, per il secondo comma dell’art. 25 d.p.r. n. 602 del 1973, “contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”) e provvede (ai sensi del successivo art. 26) alla “notificazione della cartella di pagamento” al debitore.
L’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 elenca espressamente tra gli “atti impugnabili” (quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione), alla lett. d) del primo comma, “il ruolo e la cartella di pagamento”, mentre la seconda parte del primo comma dell’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 546, dispone espressamente che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.
Da tali disposizioni si evince pertanto che: il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è atto impugnabile; il termine iniziale per calcolare i “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato” (fissati a espressa “pena di inammissibilità” dalla prima parte del medesimo art. 21 per l’impugnazione di qualsiasi “atto impugnabile”) coincide con quello della “notificazione della cartella di pagamento”; entro il suddetto termine pertanto il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti (“ruolo” e “cartella di pagamento”) contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti né di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso.
Il “documento” denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente. Esso – che viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore – costituisce (v. Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014) semplicemente un “elaborato informatico formato dall’esattore … sostanzialmente contenente gli … elementi della cartella …”, quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella (il C.d.S., peraltro, ha affermato l’inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici).
Da quanto sopra esposto emerge con sufficiente chiarezza la differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l’“estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico … contenente gli … elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.
La inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l’esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Peraltro, anche l’eventuale contestazione dell’attività certificativa del concessionario in sé considerata – ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell’estratto e quanto risultante dal ruolo – avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell’estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.
Fatta – si spera – la chiarezza terminologica e concettuale necessaria al prosieguo dell’analisi della questione in esame, si può in astratto convenire con i giudici di primo grado e d’appello laddove hanno affermato la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, tra l’altro perché “atto interno dell’Agente della riscossione” (così la sentenza di prime cure come riportata nella sentenza d’appello). E deve inoltre precisarsi che il contrasto giurisprudenziale per il quale la causa è stata rimessa a queste sezioni unite non riguarda l’impugnabilità dell’estratto di ruolo (documento tale definito dal concessionario che lo rilascia) bensì l’impugnabilità del ruolo, atto impositivo proprio dell’ente impostore disciplinato dalle norme sopra richiamate.
Tuttavia, come già evidenziato, al di là di ogni formale qualificazione, il ricorrente nella specie si è sempre doluto della invalida notificazione della cartella (e quindi anche del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella ex art. 21 d.lgs. n. 546 citato) e di questo atto – non del documento rilasciatogli dal concessionario – ha chiesto l’annullamento.
Pertanto occorrerà in questa sede affrontare la (diversa) questione della ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l’estratto di ruolo), con la precisazione che le considerazioni che saranno esposte in proposito devono intendersi riferibili anche alla impugnazione del ruolo, attesa la coincidenza della notificazione della cartella con quella del ruolo.
3. Escluso, sulla base di quanto si è fin qui esposto, l’interesse del richiedente ad impugnare il documento “estratto di ruolo”, può ovviamente sussistere un interesse del medesimo ad impugnare il “contenuto” del documento stesso, ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati.
I suddetti atti (iscrizione del richiedente in uno specifico “ruolo” di un determinato ente impositore per un preciso “credito” di quest’ultimo; relativa cartella di pagamento fondata su detta iscrizione; notificazione della medesima – e del ruolo – ai richiedente nella data indicata nell’estratto di ruolo ricevuto) risultano univocamente impugnabili per espressa previsione del combinato disposto dei già richiamati articoli 19, lett. d), e 21, primo comma d.lgs. n. 546 citato. E ovviamente nessun problema in ordine alla impugnabilità dei medesimi si pone quando essi sono stati (validamente) notificati, sussistendo il diritto e l’onere dell’impugnazione con decorrenza dal momento della relativa notificazione (momento che per il ruolo e la cartella, come rilevato, è il medesimo ai sensi dell’art. 21 d.lgs. 546 citato), mentre profili di problematicità potrebbero ravvisarsi nell’ipotesi – ricorrente nella specie – di impugnazione di cartella della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo e non attraverso (valida) notifica.
Nella specie i giudici d’appello hanno escluso l’ammissibilità dell’impugnazione della cartella di pagamento sul rilievo che la richiesta al concessionario di copia dell’estratto di ruolo non può comportare la riapertura dei termini per impugnare una cartella non tempestivamente opposta (ancorché per asserito difetto di notifica).
L’affermazione non è condivisibile. Premesso infatti in linea generale che i termini di impugnazione di un atto non possono che decorrere dalla (valida) notificazione dell’atto medesimo e che pertanto il destinatario dell’atto ha l’interesse (e il diritto) di provocare la verifica della validità della notifica dell’atto del quale egli non sia venuto a conoscenza in termini per l’impugnazione a causa di anomalie di tale notifica, è da escludere che l’impugnazione volta innanzitutto a provocare tale legittima verifica possa giammai condurre ad una “riapertura” dei suddetti termini, posto che, ove l’atto risultasse validamente notificato, nessuna “riapertura” sarebbe ovviamente ipotizzabile all’esito della verifica, mentre, ove l’atto non risultasse (validamente) notificato, i termini non avrebbero neppure iniziato a decorrere.
Posta pertanto come indiscutibile la possibilità per il contribuente di far valere l’invalidità della notifica di una cartella della quale (a causa di detta invalidità) sia venuto a conoscenza oltre i previsti termini di impugnazione, dubbi potrebbero ravvisarsi soltanto in relazione alla individuazione del momento a partire dal quale è possibile far valere tale invalidità, e ciò in ragione del disposto del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato, secondo il quale la mancata notifica degli atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato “ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.
Tale previsione costituisce il precipitato di un principio – per anni considerato immanente al sistema tributario – secondo il quale la natura recettizia dell’atto tributario lo rende impugnabile solo a seguito di notifica al contribuente, essa sola costituente (secondo alcuni) manifestazione dell’esercizio della funzione impositiva, di talché gli atti espressivi di tale funzione verrebbero a giuridica esistenza solo in quanto notificati.
In proposito, tuttavia, occorre dare conto del fatto che nell’ultimo decennio in numerose pronunce di questa Corte, anche a sezioni unite, si è ripetutamente affermata l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità che essi siano espressi in forma autoritativa (v. tra le molte s.u. n. 16293 del 2007 nonché da ultimo s.u. n. 3773 del 2014, secondo la quale è impugnabile la comunicazione con la quale l’Agenzia neghi la sussistenza del diritto patrimoniale che il creditore del creditore di imposta intende pignorare, rilevando che nella specie l’atto – ancorché non diretto in forma autoritativa nei confronti del contribuente – ha natura indubbiamente tributaria comportando l’accertamento della sussistenza di crediti di imposta).
La giurisprudenza sopra richiamata, ammettendo l’autonoma ed immediata impugnabilità di qualsivoglia atto porti comunque legittimamente a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (prescindendo dal fatto che tale atto sia direttamente rivolto al contribuente e si manifesti in forma autoritativa, quindi, a fortiori, prescindendo dal fatto che esso risulti notificato al medesimo contribuente) attraversa (di fatto superandola) la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente.
Tale questione risulta peraltro ampiamente superata anche dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità che, in conformità con la previsione letterale dell’art. 1334 c.c. – ai sensi del quale gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati –, ha ripetutamente affermato che la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio (ovvero l’inesistenza) di tale notificazione è irrilevante ove essa abbia raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato l’atto in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (v. tra le più recenti Cass. n. 654 del 2014 e n. 8374 del 2015), principio presupposto già da s.u. n. 19854 del 2004 (seguita da numerose altre), secondo la quale la natura non processuale dell’atto impositivo non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale – essendovi in proposito espresso richiamo nella disciplina tributaria – e quindi all’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per gli atti processuali, con la conseguenza che l’impugnazione dell’atto impositivo da parte del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della relativa notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., (sanatoria operante solo se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere impositivo).
Tanto premesso, occorre rilevare che nel diritto amministrativo, prima che l’art. 14 l. n. 15 del 2005 introducesse, nella l. n. 241 del 1990, l’art. 21-bis (recante disposizioni in materia di “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo”), era assolutamente pacifica l’inapplicabilità della regola generale dettata dall’art. 1334 c.c. (espressamente prevedente – come già rilevato – una incidenza della mancata conoscenza da parte del destinatario dell’atto sulla efficacia del medesimo), valendo l’opposto principio secondo il quale l’esercizio unilaterale del potere produce effetti innovativi della precedente situazione giuridica senza bisogno di comunicazione al destinatario, salvo che la legge disponga espressamente in senso diverso o la recettizietà sia sicuramente desumibile dal tipo di atto. È quindi solo con la citata riforma del 2005 che trova espressa legittimazione il criterio c.d. “della qualità degli effetti”, secondo cui sono recettizi i provvedimenti “limitativi della sfera giuridica dei privati”.
Gli atti tributari – certo innanzitutto in ragione della indubbia incidenza sul patrimonio del destinatario – sono invece da sempre considerati atti recettizi. In tali atti pertanto le misure di partecipazione sono elementi costitutivi dell’efficacia giuridica, per cui l’effetto giuridico non decorre dalla data di adozione del provvedimento, ma dalla data di avvenuta comunicazione dello stesso.
E indubbiamente la natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione, essendo l’inammissibilità dell’utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza una delle più rilevanti conseguenze connesse alla natura recettizia dell’atto, onde l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio (nella specie l’atto tributario) comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, con pregiudizio per la stabilità dei relativi effetti.
Da quanto sopra esposto circa l’origine storica e la disciplina connessa alla natura recettizia degli atti amministrativi in generale e degli atti tributari in particolare emerge che la recettizietà è essenzialmente e innanzitutto posta a presidio e tutela dei destinatario dell’atto, impedendo che l’atto recettizio, siccome negativamente incidente sulla sfera patrimoniale del contribuente, possa produrre i suoi effetti prima che siano scaduti i termini per impugnare, termini da calcolare a decorrere dalla conoscenza dell’atto, che non può essere ritenuta se non a seguito dell’avvenuto espletamento del procedimento all’uopo previsto dalla legge. Tuttavia, se è vero che, come sopra rilevato, non è sufficiente la prova della “piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge, è anche vero che ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto, appunto, la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. sul punto tra le altre s.u. n. 3773 del 2014 nonché Cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza (eventualmente attraverso un atto “atipico”, in quanto ad esempio non manifestato in forma “autoritativa” oppure privo delle indicazioni previste dal secondo comma dell’articolo 19 citato).
Ove poi volesse ritenersi che l’indiscutibile recettizietà dell’atto tributario sia (al di là delle sue origini storiche e della relativa disciplina positiva) intesa (anche) ad una sorta di “salvaguardia” dell’amministrazione, nel senso che la notifica manifesterebbe univocamente la volontà dell’amministrazione di “esternare” l’atto, così evitando l’impugnazione di “atti interni”, di carattere meramente procedimentale, rispetto ai quali non si sia completata la volontà dell’ente, è agevole replicare, a tacer d’altro, che nella specie l’iter procedimentale era assolutamente concluso e l’ente impositore aveva univocamente manifestato la volontà di “esternare” l’atto, avendo definito la pretesa tributaria, formato il ruolo costituente titolo esecutivo e richiesto al concessionario l’emissione e notificazione di cartella.
Né, d’altro canto, potrebbe ragionevolmente sostenersi che la recettizietà dell’atto tributario comporti la spettanza all’amministrazione del potere di stabilire, attraverso la scelta del momento di notifica dell’atto, (non solo quando esternare la propria volontà impositiva ma anche e soprattutto) quando consentire al destinatario di impugnare tale volontà impositiva, eventualmente già formatasi e portata all’esterno al punto da dare l’avvio ad un procedimento esecutivo e produrre effetti che comunque il contribuente ha interesse a contrastare.
Una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 citato (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone pertanto di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.
Una diversa lettura della norma in esame (nel senso che l’impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all’impugnazione di un atto successivo notificato) comporterebbe infatti una abnorme ed ingiustificata disparità tra i soggetti del rapporto tributario. È infatti da considerare che mentre le notifiche degli atti processuali vengono valutate immediatamente dal giudice nel processo e, se non valide e tempestive, non producono alcun effetto in danno del destinatario, con riguardo agli atti impositivi l’invalidità delle relative notifiche produce come unico effetto immediato (non l’intervento del giudice ma) l’impossibilità per il destinatario di conoscere l’atto e quindi di promuovere il controllo giurisdizionale sul medesimo, e non interrompe quindi (ma rende anzi più “fluido”, in mancanza di contestazioni) il procedimento di imposizione e riscossione avviato dall’amministrazione, procedimento che potrebbe pertanto proseguire indisturbato fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione senza che il contribuente abbia avuto mai modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione, e ciò non per fatto al medesimo contribuente addebitabile, bensì in ragione della invalidità di notifiche delle quali è onerata l’amministrazione e che sono nella sua piena determinazione sia con riguardo ai tempi di intervento sia con riguardo alle relative modalità (ad esempio indicazione di nominativi e recapiti) sia con riguardo alla valutazione della espletata attività di notificazione (in relazione al successivo controllo del buon esito della medesima ed alle determinazioni circa la necessità o meno di riprendere il procedimento notificatorio).
In simile situazione, la possibilità per il contribuente di conoscere legittimamente attraverso il c.d. estratto di ruolo le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle potrebbe rappresentare un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra amministrazione e contribuente soltanto se la conoscenza – attraverso l’estratto di ruolo – di un atto che il contribuente avrebbe avuto il diritto di impugnare (e che non è stato impugnato in quanto non conosciuto perché malamente notificato) ne consentisse l’immediata impugnazione, non certo se al contribuente – che a causa dell’invalidità di una notifica della quale era onerata l’amministrazione sia stato espropriato del proprio diritto di accedere alla tutela giurisdizionale – si continui a negare tale accesso, subordinandolo alla notifica di un ulteriore atto da parte dell’amministrazione, senza considerare che: in alcuni casi potrebbe anche non esservi un ulteriore atto prima di procedere ad esecuzione forzata sulla base del ruolo; la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente sarebbe ancora una volta rimessa alle determinazioni dell’amministrazione circa i modi e i tempi della notifica dell’eventuale atto successivo; nel frattempo aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso alla iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta; tale pregiudizio, nonché quello derivante da un eventuale completamento della esecuzione senza possibilità per il contribuente di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice, potrebbero essere eventualmente fatti valere poi solo coi tempi e i modi di un’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione.
Per altro verso, la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non (validamente) notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo (che potrebbe essere a sua volta malamente notificato) è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, i rischi di decadenza dell’amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine.
Né può ritenersi che la riconosciuta impugnabilità del ruolo e della cartella non (validamente) notificati dei quali il contribuente sia venuto a conoscenza tramite l’estratto di ruolo espongano ai rischi di dilatazione del contenzioso e rallentamento dell’azione di prelievo, come da taluno paventato.
In proposito è infatti appena il caso di rilevare che l’impugnazione della cartella per mancanza di (valida) notificazione proposta non unitamente alla impugnazione dell’atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l’impugnazione della cartella, ancorché “ritardata”, interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell’atto successivo, mentre la proposizione “anticipata” di essa potrebbe evitare l’emissione e la notifica (quindi l’impugnazione) dell’atto successivo e perciò indurre un possibile effetto deflativo. Tanto premesso, è però indubbio che anche un eventuale (modesto) incremento del contenzioso non potrebbe giustificare una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto si siano già prodotti. È infine da escludere che dalla impugnabilità di un atto nel quale risulti esternata una ben definita pretesa tributaria possa derivare un “rallentamento” dell’azione di prelievo, che non sia quello strettamente (e legittimamente) derivante dall’interesse e dal diritto costituzionalmente presidiato del contribuente di contrastare la possibilità di un prelievo illegittimo, dovendo rilevarsi che posticipare il momento in cui il contribuente può far valere l’illegittimità della pretesa non serve a “sveltire” l’azione di prelievo ma solo ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive in ipotesi portate avanti sulla base di pretese illegittime.
4. Alla luce di quanto fin qui esposto deve conclusivamente affermarsi la fondatezza – nei termini sopra riportati – del motivo in esame nella parte in cui la ricorrente si duole della ritenuta inammissibilità della opposizione proposta per far valere l’invalidità della notifica della cartella di pagamento della quale essa era venuta a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo. Deve invece affermarsi l’infondatezza del motivo in esame nella parte in cui la ricorrente sostiene che i giudici d’appello, trascurando ogni valutazione sia in ordine alle circostanze di fatto offerte dalla contribuente con riguardo alla dedotta omissione di notifica della cartella sia in ordine alla mancata contestazione delle suddette circostanze ad opera della controparte, sarebbero incorsi in “difetto di attività del giudice che si risolve nella nullità della sentenza per insufficiente motivazione”.
In proposito, infatti, anche ritenendo di poter prescindere dalla impropria formulazione della censura, deve evidenziarsi che i giudici d’appello hanno dichiarato l’inammissibilità della proposta opposizione e che queste sezioni unite hanno ripetutamente affermato che, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza) con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (così SU n. 3840 del 2007 e numerose altre successive), dovendo a fortiori ritenersi infondata l’impugnazione che, come nella specie, sostanzialmente censuri (sia pure attraverso incongrui riferimenti normativi) l’omessa pronuncia sul merito da parte del giudice che si sia spogliato della relativa potestas iudicandi con una statuizione di inammissibilità.
Dall’argomentare che precede discende l’accoglimento, nei limiti e nei termini sopra esposti, del ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Puglia in diversa composizione perché provveda a decidere la controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto: “È ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.
Il giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte a Sezioni Unite accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla C.T.R. Puglia in diversa composizione.

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