6 Giugno, 2017

SOMMARIO: 1. PREMESSA – 2. GERMANIA – 3. OLANDA – 4. SPAGNA – 5. PORTOGALLO – 6. DANIMARCA – 7. REGNO UNITO – 8. FRANCIA – 9. ITALIA; 9.1. L’art. 166 del TUIR; 9.2. Evoluzione normativa; 9.2.1. Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1; 9.2.2. Il D.M. 2 agosto 2013; 9.2.3. Il D.M. 2 luglio 2014; 9.2.4. Il Provvedimento dell’Agenzia delle entrate; 9.2.5. Il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 – 10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

1. PREMESSA

La mancanza di una Direttiva comunitaria in materia di exit taxation ha comportato il delinearsi di un panorama europeo non omogeneo sul tema in questione. Nonostante il processo di armonizzazione negativo innescato dalla Corte di Giustizia europea nei confronti delle diverse discipline interne, è rimessa a ogni singolo Stato la facoltà di conformare la propria legislazione ai principi generali sanciti dalla Corte. Si avrà dunque che non tutti gli Stati prevedono l’attuazione di un’imposta nel caso di trasferimento di residenza e, qualora sia prevista, le condizioni per la sua applicazione possono differire a seconda del Paese.

2. GERMANIA

La disciplina tedesca in merito alla tassazione in uscita prevede che l’exit tax venga applicata:
• agli azionisti persone fisiche detentori di partecipazioni rilevanti;
• nel trasferimento di un bene di impresa;
• nel caso di trasferimento della sede di una persona giuridica.

Exit tax applicata agli azionisti persone fisiche

Successivamente alla decisione della CGUE nel caso de Lasteyrie du Saillant, la Commissione europea ha inviato un parere motivato alla Germania (1) nel quale si richiedeva a quest’ultima di abolire le previsioni riguardanti la tassazione in uscita contenute nell’art. 6 della legge sulla tassazione applicabile ai rapporti internazionali (Außensteuergesetz, abbreviato AStG), poiché ritenute incompatibili con quanto stabilito dal TFUE.
Il suddetto art. 6, prima della modifica apportata dal governo tedesco con decorrenza dall’anno 2007, prevedeva l’applicazione di un’exit tax a un soggetto persona fisica:
1. residente sul territorio tedesco per almeno dieci anni consecutivi;
2. che possedeva, direttamente o indirettamente, partecipazioni rilevanti (2);
3. che decideva di trasferire la propria residenza all’estero (3).
La disciplina tedesca prevedeva la possibilità, per il contribuente, di rateizzare il pagamento dell’imposta per un periodo massimo di cinque anni dietro prestazione di adeguate garanzie. Nel caso di cessione delle azioni in tale periodo si avrebbe avuto un adeguamento delle rate.
Come già anticipato, con l’approvazione delle legge finanziaria del 2007, la Germania ha modificato la disciplina in ambito di tassazione in uscita per le persone fisiche detentrici di azioni rilevanti. Con la nuova disciplina risulta soggetta ad exit tax anche la detenzione di partecipazioni in società estere, ma la novità principale è contenuta nel quinto comma del paragrafo 6 dell’AStG. Tale comma stabilisce che, nel caso in cui il contribuente sia cittadino di uno Stato membro dell’Unione o appartenente al SEE e lo Stato di destinazione lo assoggetti ad un’imposizione paragonabile a quella tedesca, si avrà una sospensione dell’imposta senza la necessità di prestare idonee garanzie e senza che vengano applicati interessi. Lo stesso paragrafo prevede inoltre i casi in cui si ha la revoca di tale sospensione (4). Il terzo comma invece specifica che la tassazione in uscita non deve essere applicata nei casi di trasferimento temporaneo, cioè quei casi in cui il contribuente, nei cinque anni successivi al suo trasferimento, sposta nuovamente la sua residenza in Germania. Il termine di cinque anni può essere raddoppiato qualora il trasferimento sia dovuto a motivi lavorativi e ci sia la volontà, da parte del contribuente, di rientrare in Germania. In linea con quanto affermato dalla Corte europea nella sentenza N (5), la nuova disciplina tedesca sostiene che, ai fini del calcolo dell’imposta, è necessario prendere in considerazione eventuali diminuzioni di valore delle partecipazioni successive al trasferimento. Si avrà dunque che se la plusvalenza da alienazione è inferiore rispetto a quella rilevata al momento del trasferimento, si deve tenere conto di tale diminuzione in quanto ciò che rileva è solamente l’utile effettivo da cessione. Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario che tale diminuzione non sia riconosciuta anche dallo Stato di destinazione e che sia dovuta a cause oggettive e non a una corporate action. L’ultimo comma del paragrafo 6 stabilisce inoltre l’obbligo da parte del contribuente di informare l’Ufficio competente qualora si verifichi una delle cause che revocano la sospensione e prevede che, entro il 31 gennaio di ogni anno, lo stesso contribuente informi l’Amministrazione tedesca sulla titolarità delle partecipazioni e sul suo domicilio estero, con riferimento all’anno concluso, allo scopo di poter usufruire del diritto alla proroga.
L’exit tax prevista per le persone fisiche titolari di partecipazioni rilevanti risulta, ad oggi, invariata rispetto alle modifiche analizzate in precedenza.

Exit tax applicata al trasferimento di un bene di impresa

La tassazione dei prelevamenti di beni aziendali (separation taxation) è stata introdotta in Germania con la legge sulle misure di accompagnamento fiscale all’introduzione della Società europea e recante modifiche di altre norme fiscali (Gesetz über steuerliche Begleitmaßnahmen zur Einführung der Europäischen Gesellschaft und zur Änderung weiterer steuerlicher Vorschriften, abbreviato SEStEG) emanata il 7 dicembre 2006 (6). La succitata legge è andata a modificare l’art. 4, par. 1, della legge relativa alle imposte sui redditi (Einkommensteuergesetz, abbreviato EStG), aggiungendo che «l’esclusione o la limitazione del potere impositivo della Repubblica federale di Germania in relazione all’utile risultante dall’alienazione o dall’utilizzo di un bene economico sono considerate equivalenti ad un prelevamento di beni aziendali destinato a finalità estranee all’esercizio dell’impresa». Ciò significa che il trasferimento ad una stabile organizzazione estera di un bene di impresa da parte di un contribuente tedesco è da considerarsi equiparato all’alienazione, e quindi l’eventuale plusvalenza deve essere assoggettata a tassazione al momento del trasferimento. Il SEStEG ha inoltre introdotto anche l’art. 4 nell’EStG, nel quale si prevede, su richiesta del contribuente, la possibilità di sospendere temporaneamente il pagamento dell’imposta rateizzandolo in cinque anni. Il primo comma prevede infatti che, nel caso di prelevamento di un attivo di una società tedesca con conseguente assegnazione ad una stabile organizzazione estera dello stesso soggetto, è possibile, dietro richiesta dello stesso, istituire una posta compensativa in bilancio di importo pari alla differenza tra il valore contabile e il valore di mercato dell’attivo al momento del trasferimento. Tale posta viene estinta progressivamente nell’anno di creazione e nei quattro successivi nella misura di un quinto. Il secondo paragrafo, nel secondo periodo, stabilisce inoltre che si avrà un’estinzione integrale della posta di compensazione nei casi in cui:
• il bene trasferito esca dal patrimonio dell’impresa;
• il bene trasferito venga trasferito in una stabile organizzazione situata in un Paese non appartenente all’Unione europea;
• non vengano rispettati gli obblighi informativi e di registrazione.
Come avviene nel caso di exit tax applicata agli azionisti persone fisiche, anche per i trasferimenti di beni d’impresa qualora l’attivo trasferito all’estero dovesse ritornare alla società residente sul territorio tedesco entro i 5 anni dal trasferimento, si avrà l’estinzione della posta compensativa in modo fiscalmente neutrale.
La rateizzazione dell’imposta non risulta invece possibile qualora la perdita dei diritti di tassazione da parte dello Stato tedesco sui beni trasferiti sia dovuta a una riorganizzazione transfrontaliera. In tale ipotesi infatti le plusvalenze latenti danno luogo ad imposizione immediata.
Quanto descritto fin qui è da considerarsi valido anche nel caso in cui il bene d’impresa appartenga a una persona giuridica. Infatti le disposizioni sino a qui analizzate le ritroviamo anche nell’art. 12 della legge tributaria tedesca sulle imposte sulle società (Körperschaftsteuergesetz, abbreviato KStG) (7).
Il quadro normativo delineato è stato successivamente modificato a seguito della pronuncia della Corte federale tributaria (Bundesfinanzhof). Con la sentenza del 17 luglio 2008 quest’ultima ha infatti affermato che il trasferimento di un attivo da una società con sede in Germania ad una stabile organizzazione situata nel territorio di uno Stato membro non deve essere considerato quale fattispecie di realizzazione di utili. Tale scelta è stata motivata dal Bundesfinanzhof affermando che, nonostante gli utili della stabile organizzazione non siano assoggettati ad imposta in Germania, ciò non preclude la possibilità, da parte dello Stato tedesco, di tassare in un secondo momento le plusvalenze latenti che sono state prodotte sul territorio di tale Stato. Così, con la legge finanziaria del 2010, il primo paragrafo dell’art. 4 dell’EStG si è arricchito di un ulteriore periodo il quale recita che «si determina un’esclusione o una limitazione del potere impositivo in relazione all’utile risultante dall’alienazione di un bene economico segnatamente nel caso in cui un bene economico sino ad allora imputabile ad una stabile organizzazione tedesca del soggetto passivo debba essere imputato ad una stabile organizzazione estera». Il legislatore tedesco ha dunque precisato il contenuto dell’art. 4 introdotto dal SEStEG, ed ha inoltre ampliato la retroattività di tali disposizioni, in quanto, con la modifica dell’art. 52, par. 8-b, dell’EStG, il terzo e il quarto periodo del primo paragrafo dell’art. 4 vengono applicati a partire dal periodo d’imposta 2005.
La normativa tedesca riguardante la tassazione in uscita nel caso di trasferimento di un bene d’impresa, così come modificata dalla legge finanziaria del 2010, è stata recentemente oggetto di analisi da parte della Corte di Giustizia, che si è interrogata circa la sua compatibilità con la libertà di stabilimento sancita dall’art. 49 del TFUE. Con la sentenza del 21 maggio 2015, causa Verder LabTec (8), la Corte ha ritenuto la normativa tributaria tedesca idonea ad assicurare il mantenimento della ripartizione del potere impositivo tra Stati, e proporzionata al raggiungimento di tale obiettivo (9). Condizioni, quest’ultime, necessarie affinché una normativa nazionale possa essere considerata una legittima restrizione alla libertà di stabilimento.

Exit tax applicata al trasferimento della sede di una persona giuridica

Parlare di exit tax applicata nel caso di trasferimento della sede di una società di capitali o a responsabilità limitata non risulta, in questo caso, del tutto corretto. In Germania, infatti, viene applicata la teoria della sede (10), con la conseguenza che il trasferimento della sede di una persona giuridica dà luogo allo scioglimento della società. Difatti, se una società costituita a norma del diritto tedesco trasferisce la sua sede legale al di fuori della Germania i principi di diritto commerciale prevedono la sua liquidazione e l’emersione di riserve occulte adeguatamente tassate. Se lo Stato di destinazione è membro dell’Unione ovvero appartenente al SEE e tra quest’ultimo e la Germania possono essere applicate le disposizioni previste dalla Direttiva relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (11) o da un accordo analogo, è possibile ripartire il carico fiscale relativo alle riserve occulte per un periodo di tempo di cinque anni. È inoltre previsto che la valutazione delle attività su cui lo Stato tedesco ha perso il potere impositivo deve essere effettuata al valore di mercato. Quanto detto non vale nel caso in cui tale trasferimento comporti l’assoggettamento a una responsabilità fiscale illimitata nello Stato di destinazione (12).

3. OLANDA

Exit tax applicata agli azionisti persone fisiche

Come nel caso tedesco, anche la disciplina olandese riguardante la tassazione in uscita da applicare agli azionisti persone fisiche titolari di partecipazioni rilevanti che intendono trasferire all’estero la propria residenza è stata influenzata dalla decisione della Corte in merito al caso de Lasteyrie du Saillant. La normativa olandese, vigente al tempo, presentava molte analogie con quella francese giudicata dalla Corte non compatibile con il diritto europeo. Il trasferimento di residenza era assimilato alla cessione di partecipazioni rilevanti, pertanto si applicava l’exit tax sulla differenza tra il prezzo d’acquisto e il valore commerciale del pacchetto partecipativo al momento del trasferimento. La legge sulla riscossione delle imposte olandese (13) prevedeva inoltre la possibilità di sospendere il pagamento dell’imposta dovuta per 10 anni (o fino all’effettivo realizzo se avvenuto in tale arco temporale), dietro richiesta del contribuente e su prestazione di opportune garanzie. Dopo la sentenza dell’11 marzo 2004 (14) il legislatore olandese ha modificato, con effetto retroattivo, le disposizioni in materia di exit tax, garantendo la sospensione automatica del pagamento dell’imposta nei casi di trasferimento della residenza in uno Stato appartenente all’Unione o al SEE, e tenendo conto di eventuali diminuzioni di valore delle partecipazioni intervenute tra il trasferimento e l’effettiva vendita. Una recente modifica, datata 15 settembre 2015 (15), è stata introdotta, con effetto immediato, dalle Autorità olandesi. Quest’ultime hanno infatti deciso di abolire la rinuncia al credito d’imposta che veniva concessa all’azionista che non aveva venduto le proprie azioni per un periodo di dieci anni. Si ha dunque che il soggetto che ha trasferito la propria residenza prima del 15 settembre 2015 si vedrà annullato l’accertamento fiscale se non ha venduto le proprie azioni nei dieci anni successivi al trasferimento, mentre colui che si trasferisce dopo tale data sarà assoggettato a tassazione olandese nel caso di dismissione del pacchetto azionario indipendentemente dalla data in cui è realizzata (16).

Exit tax applicata alle persone fisiche con riferimento ai fondi pensione e le assicurazioni sulla vita

Questo tipo di imposta va a colpire i soggetti che, prima del trasferimento della residenza, hanno beneficiato delle deduzioni fiscali sulle imposte sui redditi olandesi riferite a versamenti effettuati ai fini previdenziali e a premi assicurativi legati a polizze sulla vita. Nel caso in cui un soggetto sia titolare di un’assicurazione sulla vita l’imposta sarà dovuta se la polizza viene trasferita (o data in pegno), mentre nel caso dei versamenti previdenziali l’imposta sarà dovuta se è stato ricevuto un pagamento forfettario (17).

Exit tax nel caso del trasferimento della sede

La disciplina che trova applicazione nel caso in cui una persona fisica titolare di attività d’impresa decida di trasferire tutti i beni d’impresa o un suo ramo di essa in un altro Stato è la medesima che si applica nel caso di trasferimento di sede da parte di un soggetto persona giuridica.
Circa un anno prima che la Corte si pronunciasse sul caso National Grid Indus BV, la Commissione europea aveva deferito alcuni Paesi, tra cui l’Olanda, alla CGUE in quanto riteneva che le disposizioni riguardanti la tassazione in uscita per le imprese che decidevano di non essere più fiscalmente residenti in tali Stati membri fossero incompatibili con i principi sanciti dal TFUE (18). La normativa olandese sull’exit tax che interessava il trasferimento di sede delle società (19) veniva applicata sulle plusvalenze latenti emerse al momento del trasferimento ed era immediata. Inoltre, gli artt. 15c e 15d della legge sull’imposta sui redditi delle società (Wet op de vennootschapsbelasting, abbreviato WVB) prevedeva l’imposizione di tutti i profitti non distribuiti nell’ultimo anno di residenza fiscale. La Corte reputa la disciplina olandese contraria alla libertà di stabilimento in virtù del fatto che il pagamento dell’imposta in uscita è immediato. Alle stesse conclusioni giungono i giudici comunitari nella sentenza del 31 gennaio 2013 riferita alla causa che vede la Commissione europea contro i Paesi Bassi (20).
Nonostante l’Olanda, dopo la sentenza National Grid Indus, avesse riconosciuto la necessità di cambiare la propria normativa nazionale con riferimento all’exit tax applicata al trasferimento di sede da parte di una società, la prima proposta di legge di modifica dell’art. 25 del IW viene presentata solo a maggio 2012 (21), diventando legge un anno dopo con effetto retroattivo dal 29 novembre 2011. Le modifiche apportate offrono al contribuente tre opzioni:
• pagare l’imposta dovuta nel momento in cui avviene il trasferimento verso uno Stato membro dell’UE o del SEE;
• pagare l’imposta dovuta al momento dell’effettiva alienazione del bene;
• pagare l’imposta in dieci rate annuali di uguale importo.
I contribuenti che scelgono di pagare l’imposta in dieci rate annuali e coloro che optano per la sospensione dovranno fornire una garanzia valida per il rischio di mancato pagamento. Inoltre, nel secondo caso, il contribuente deve fornire all’Amministrazione fiscale olandese informazioni annuali circa l’avvenuta realizzazione della plusvalenza. La nuova modifica prevede inoltre la possibilità di differire la tassa in uscita in caso di fusioni transfrontaliere e spinoff (22).

4. SPAGNA

Exit tax applicata agli azionisti persone fisiche

Solo recentemente la Spagna ha introdotto una nuova tassa sulle plusvalenze patrimoniali non realizzate relative al trasferimento all’estero di un soggetto persona fisica. La legge 27 novembre 2014, n. 26, ha modificato le disposizioni relative all’IRPEF, contenute nella legge 28 novembre 2006, n. 35 (23). Il nuovo art. 95-bis, in vigore dal 1° gennaio 2015, stabilisce infatti che un soggetto persona fisica che trasferisce la propria residenza sarà tassato sulle plusvalenze latenti, risultanti dalla differenza tra il valore di mercato al momento del trasferimento delle azioni possedute e il loro costo d’acquisto, se:
• suddetto contribuente è stato residente sul territorio spagnolo per almeno dieci anni negli ultimi quindici anni antecedenti l’ultimo periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi in Spagna;
e
• il valore di mercato complessivo del pacchetto azionario è superiore ai 4 milioni di euro
o
• possiede una percentuale di partecipazione in una società superiore al 25% il cui valore di mercato è superiore a 1 milione di euro. In questo caso solo il plusvalore relativo alla partecipazione che soddisfa tale requisito sarà tassato.
Nel caso in cui il soggetto, nei successivi cinque anni o, in presenza di circostanze che giustificano uno spostamento più lungo per motivi di lavoro, nei successivi dieci, trasferisce nuovamente la propria residenza in Spagna ed è ancora in possesso delle azioni che hanno originato le plusvalenze, la passività fiscale verrà estinta. In quest’ultimo caso il contribuente potrà richiedere un rimborso relativo alla tassa pagata.
La disciplina prevede la possibilità di differire per dieci anni il pagamento del debito fiscale se:
• il cambio di residenza è dovuto a un incarico di lavoro temporaneo in un Paese non black list;
• il Paese in cui si è trasferito il contribuente appartiene all’Unione europea o al SEE e vi è un effettivo scambio di informazioni.
Tuttavia il differimento viene meno e quindi si avrà la tassazione della plusvalenza, se nei dieci anni successivi al trasferimento:
• le azioni sono trasferite inter vivos;
• il contribuente trasferisce nuovamente la propria residenza ma in uno Stato non appartenente all’Unione europea o al SEE;
• il contribuente non rispetta alcuni obblighi di comunicazione previsti dalla legge.
In tutti i casi è comunque prevista la possibilità di ripartire il pagamento dell’imposta in cinque anni dietro prestazione di opportune garanzie (24).
Per chiarezza, occorre ricordare che la legislazione spagnola prevede un’altra exit tax con riferimento alle persone fisiche che però non va a colpire le plusvalenze latenti quanto quelle già realizzate. L’art. 14, par. 3, della stessa legge n. 35/2006, prevede infatti che nel caso in cui il contribuente perda il proprio status a causa del trasferimento di residenza in uno Stato non appartenente all’UE o al SEE, tutti i redditi realizzati e in attesa di essere allocati secondo le regole di assegnazione temporanea previste nel paragrafo 2 del medesimo articolo, dovranno essere inclusi nella base imponibile dell’ultimo periodo d’imposta (25).

Exit tax applicata alle società

Analizzando le discipline di Olanda e Germania abbiamo avuto modo di constatare come la Commissione europea intervenga ogni qualvolta ritenga che la legislazione interna di uno Stato sia contraria a quanto stabilito dal diritto comunitario. Infatti l’exit tax prevista all’art. 17, par. 1, della legge sull’imposta sulle società (Ley del Impuesto sobra Sociedades, abbreviato Lis), è stata esaminata dalla Corte a seguito di una procedura di infrazione intrapresa dalla Commissione nei confronti del Regno di Spagna. Il succitato articolo prevedeva una tassazione immediata, senza possibilità di differimento, sulle plusvalenze latenti, calcolate come differenza tra i valori correnti degli assets al momento del trasferimento e i valori contabili, nei casi di:
• trasferimento della sede legale di una società in un altro Stato senza la creazione di una stabile organizzazione spagnola;
• cessazione dell’attività di una stabile organizzazione spagnola di una società non residente;
• trasferimento in un altro Stato di tutti i beni legati a una stabile organizzazione spagnola.
Poiché la Corte, con la sentenza del 25 aprile 2013 (26), ha dichiarato incompatibile con la libertà di stabilimento la disciplina spagnola a causa dell’immediatezza della tassazione prevista sulle plusvalenze latenti, è stata introdotta con la legge 23 dicembre 2013, n. 22 (27), una modifica del succitato art. 17 (ora art. 19). Dal 1° gennaio 2013 infatti le plusvalenze latenti oggetto di exit tax possono essere, a scelta del contribuente, tassate immediatamente o differite a condizione che il trasferimento sia avvenuto in uno Stato membro dell’UE o del SEE e solo fino a quando i beni sono effettivamente trasferiti a terze parti. Nel caso tale opzione venga esercitata il contribuente è chiamato a fornire una congrua garanzia (28). Disposizioni simili riguardanti la sospensione dell’imposta sono previste anche nel caso di ristrutturazioni aziendali che comportano il trasferimento di beni fuori dal territorio spagnolo.

5. PORTOGALLO

Per quanto riguarda la disciplina portoghese non è prevista nessuna exit tax sulle plusvalenze latenti nel caso di trasferimento della residenza di un soggetto persona fisica, però, come nel caso della Spagna, è prevista una exit tax sulle plusvalenze realizzate. L’art. 10, par. 9, del CIRS (29), prevede che gli utili o le perdite derivanti da scambio di azioni verranno incluse nel reddito imponibile dell’ultimo anno solare in cui l’azionista cessa di essere residente in Portogallo. Nel caso in cui il contribuente mantenga la propria residenza in tale ultimo Stato, si avrà plusvalenza solo se si è avuto un pagamento supplementare in contanti, in quanto si assume che il valore delle azioni ricevute sia pari al valore delle azioni consegnate. Si ha dunque una disparità di trattamento tra i soggetti residenti e coloro che decidono di trasferire la propria residenza al di fuori dello Stato. Infatti, i secondi sono tassati sul valore del loro patrimonio al momento del trasferimento, indipendentemente dalla futura evoluzione del valore delle loro attività, mentre i contribuenti residenti verranno tassati solo sul valore degli assets nel momento dell’alienazione (30). Per questo motivo la Commissione ha deciso di avviare una procedura di infrazione nei confronti del Portogallo, che risulta tutt’ora in corso.

Exit tax applicata alle società

La normativa che prevede la tassazione in caso di trasferimento di residenza da parte di una società è stata introdotta nell’ordinamento portoghese solo a partire dal 1° gennaio 2006 (31). Antecedentemente a tale data il trasferimento da parte di una società della sede non era considerato rilevante ai fini fiscali. Il sistema di exit tax portoghese viene applicato:
• in caso di trasferimento della sede legale o della sede di direzione effettiva di una società in un altro Stato senza la creazione di una stabile organizzazione portoghese;
• in caso di cessazione dell’attività o di trasferimento di beni di una stabile organizzazione portoghese di una società non residente;
• nei confronti degli azionisti (siano essi persone fisiche o meno) della società che ha effettuato il trasferimento.
La prima fattispecie è regolata dall’art. 83 del codice fiscale sul reddito delle persone giuridiche (Código do Imposto sobre as Pessoas Colectivas, abbreviato PCITC), il quale prevedeva, nella sua formulazione originaria, che «ai fini della determinazione dell’utile imponibile dell’esercizio nel corso del quale interviene la cessazione dell’attività di un’entità la cui sede o direzione effettiva, situata sul territorio portoghese, viene trasferita al di fuori di tale territorio, compresa quella di una società europea e di una società cooperativa europea, le differenze tra i valori di mercato e i valori contabili fiscalmente pertinenti dei suoi elementi dell’attivo patrimoniale alla data della cessazione dell’attività costituiscono profitti o perdite» (32). Quindi, se una società residente in Portogallo trasferisce sia la sede principale che la direzione effettiva (33), le plusvalenze latenti relative agli assets che non sono stati allocati a una stabile organizzazione devono essere incluse nel reddito imponibile dell’anno. Le stesse disposizioni dell’art. 83 sono applicate nei casi previsti dall’art. 84, cioè quando si ha il trasferimento in un altro Paese dei cespiti relativi a una stabile organizzazione portoghese e quando quest’ultima interrompe la propria attività sul territorio. Tuttavia, come già ripetuto più volte, la Corte di Giustizia, dopo la sentenza National Grid Indus (34) ha ritenuto contrarie alla libertà di stabilimento tutte quelle disposizioni riguardanti la tassazione in uscita che prevedevano un pagamento immediato senza possibilità di sospensione. Infatti, con la sentenza del 6 settembre 2012 (35), la Corte ha dichiarato la normativa prevista dagli artt. 83 e 84 lesiva della libertà di stabilimento sancita dall’art. 49 del TFUE. In seguito a tale pronuncia il Portogallo ha introdotto, con la legge finanziaria 2014, la possibilità di differire il pagamento dell’imposta. A partire dal 1° gennaio 2014 la società che ha trasferito la propria residenza fiscale in uno stato membro dell’Unione o del SEE, può decidere di pagare l’exit tax:
• immediatamente al momento del trasferimento;
• l’anno successivo all’effettiva cessione o al trasferimento di residenza nel caso questo avvenga in un Paese non appartenente all’Unione o al SEE;
• in cinque rate annuali a partire dall’anno in cui è avvenuto il trasferimento.
Se il contribuente sceglie una delle due modalità di differimento, in base al rischio di inadempienza del soggetto emigrante, potrà essere richiesta una garanzia e saranno applicati degli interessi. Quanto detto vale anche in caso di cessazione dell’attività o di trasferimento di beni di una stabile organizzazione portoghese di una società non residente.
Oltre alla tassazione in capo alla società, la normativa portoghese prevedeva che anche gli azionisti, siano essi persone fisiche o meno, della società che ha trasferito la propria residenza fossero assoggetti a exit tax. In particolare l’art. 85, prima della sua abrogazione avvenuta con la legge finanziaria 2014, prevedeva che «per l’esercizio nel corso del quale la sede statutaria e la direzione effettiva sono trasferite al di fuori del territorio portoghese, viene tenuto conto, ai fini dell’imposizione dei soci, della differenza tra il valore dell’attivo netto a tale data e il prezzo di acquisizione delle corrispondenti quote sociali». L’articolo prevedeva inoltre una “clausola di salvaguardia” (36) che consentiva la non applicazione della tassazione nel caso in cui la società trasferita fosse una società europea (SE) o una società cooperativa europea (SCE) (37).

6. DANIMARCA

Exit tax applicata alle persone fisiche

La Danimarca prevede l’applicazione di una tassazione in uscita per le persone che decidono di trasferire la propria residenza all’estero, prevedendo norme fiscali specifiche per alcuni tipi di attività trasferite. Per quanto riguarda le azioni, se il soggetto ha risieduto in Danimarca per un periodo di almeno 7 anni negli ultimi 10 precedenti al trasferimento di residenza, quest’ultime vanno valutate al valore di mercato al momento del trasferimento. Se il valore totale delle azioni è uguale o inferiore a 100.00 DKK non si applica nessuna exit tax, tranne nel caso in cui il prezzo di acquisto sia stato negativo. In tutti gli altri casi si applicherà l’exit tax sulla plusvalenza generata. Analogamente alla disciplina tedesca, relativamente al trasferimento di azioni, la normativa danese prevede che, nel caso in cui il soggetto scelga l’opzione della dilazione di pagamento, è necessaria la creazione di una posta compensativa di bilancio che si azzererà:
• alla fine del settimo anno, quando l’imposta sarà totalmente liquidata (38);
• al momento della cessione effettiva delle azioni;
• se vengono pagati dividendi;
• se muore il contribuente.
Le stesse disposizioni valgono anche nel caso di trasferimento di debiti e crediti, eccezione fatta per le ipotesi in cui si azzererà la posta di bilancio compensativa, in quanto, in questo caso, non ha alcun senso parlare di pagamento dei dividendi. Se un individuo cessa di essere assoggettato a imposta danese come residente, stock options e diritti di sottoscrizione ricevuti a titolo di remunerazione devono essere assoggettati ad exit tax tenendo conto del loro valore di mercato nel momento del trasferimento. Se le stock options non vengono esercitate ovvero l’esercizio dell’opzione avviene a un prezzo diverso da quello stabilito al momento del trasferimento, può essere richiesto un nuovo calcolo dell’imposta in uscita. Per quanto riguarda tutti gli altri beni che non sono oggetto di disposizioni specifiche, si considerano assoggettati ad exit tax e valutati al valore di mercato nel momento del trasferimento.
Come regola generale, a partire da marzo 2015 (39), il contribuente ha la possibilità di differire le imposte dovute, dietro richiesta di opportune garanzie (40), se:
• il contribuente ha trasferito la propria residenza in un Paese appartenente all’UE/SEE;
• i beni vengono trasferiti o si trovano anch’essi in uno Stato dell’UE/SEE.
La dilazione è subordinata alla presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione dei redditi, sia per l’anno in cui trasferisce la residenza sia negli anni successivi. È prevista inoltre l’applicazione di interessi (41) e l’obbligo, da parte del contribuente, di pagare almeno un settimo dell’intera tassazione ogni anno (42).

Exit tax applicata alle società

L’art. 5 della legge relativa all’imposta sulle società danese prevede che, qualora una società smetta di essere residente in Danimarca, le plusvalenze non realizzate devono essere assoggettate a tassazione. L’exit tax danese si applica:
• quando una società trasferisce all’estero la sede amministrativa senza attribuire le attività a una stabile organizzazione in Danimarca;
• quando, all’interno di una società, vengono trasferite le attività ad una stabile organizzazione localizzata in un altro Stato.
La valutazione dell’attivo avviene al valore di mercato nel momento del trasferimento. Prima della pronuncia della Corte di Giustizia europea 18 luglio 2013, causa C-261/11 (43), intentata dalla Commissione europea nei confronti della Danimarca, le norme danesi in merito alla tassazione in uscita non prevedevano la possibilità di differire l’imposta, ma il pagamento doveva essere immediato. A seguito di tale pronuncia, la Danimarca ha introdotto nel 2014 la possibilità, per le società, di optare per un pagamento differito della tassa. Le condizioni e le modalità di differimento sono le stesse previste per le persone fisiche.

7. REGNO UNITO

Il Regno Unito non prevede l’applicazione diretta di una exit tax sui soggetti persone fisiche che decidono di trasferire la propria residenza, però alcuni benefici concessi termineranno nel momento del trasferimento. Per esempio, nel caso di donazione di un asset si avrà il pagamento immediato, e non il differimento previsto per legge, dell’imposta sulla plusvalenza se il donatario emigra nei sei anni successivi alla donazione. È prevista inoltre una normativa anti-elusiva per i soggetti che risiedono fuori dal Paese per un breve periodo. Infatti, un soggetto che è stato residente nel Regno Unito per almeno quattro anni negli ultimi sette e ha trasferito la propria residenza all’estero per non più di cinque anni, ogni guadagno realizzato all’estero su assets acquisiti prima della sua partenza dal Regno Unito sarà assoggettato a tassazione (44).

Exit tax applicata alle società

Per quanto riguarda le società, il Regno Unito ha un regime di exit tax il quale prevede che, nel caso di trasferimento della residenza fiscale all’estero, i beni societari si intendono venduti e riacquistati al valore di mercato. Ciò originerà l’emersione di un capital gain che viene tassato. Prima che la Commissione intervenisse (45), nel marzo 2012, il pagamento dell’exit tax era immediato, tranne nel caso in cui le azioni della società emigrante fossero detenute direttamente per almeno il 75% da una società residente nel Regno Unito (46). Così, in risposta alle modifiche chieste dalla Commissione, con la legge finanziaria del 2013, il Regno Unito ha introdotto le disposizioni relative al differimento dell’imposta, da applicare ai trasferimenti avvenuti dall’11 marzo 2012 per società che hanno trasferito la propria residenza in un Paese appartenente all’UE/SEE. Si hanno due opzioni per il differimento:
• calcolare l’imposta al momento della migrazione. In questo caso si può distribuire il pagamento dell’imposta in sei anni, con il primo pagamento da effettuare 9 mesi e un giorno dopo la fine del periodo contabile in cui è avvenuto il trasferimento;
• calcolare l’imposta sempre al momento della migrazione con attribuzione della stessa asset-by-assset. È dunque necessario fornire una dichiarazione annuale all’Autorità fiscale inglese con riguardo a quali assets sono stati venduti nel corso dell’anno. In questo caso si provvederà alla liquidazione della tassa solo con riferimento a tali beni. Se non avviene l’alienazione dei bene entro dieci anni, si provvederà alla liquidazione dell’imposta, così come calcolata al trasferimento, relativa ai beni presenti ancora nel patrimonio della società emigrata. Sono inoltre previste norme specifiche per le attività immateriali, i contratti derivati e i prestiti. In particolare, si ha che il trasferimento incide sul calcolo della vita utile, con il pagamento annuale della tassa in uscita (47).

8. FRANCIA

Exit tax applicata agli azionisti persone fisiche

Successivamente alla pronuncia della Corte in merito alla causa de Lasteyrie du Saillant (48), la Francia aveva eliminato, a partire dal 1° gennaio 2005, le disposizioni riguardanti la tassazione in uscita con riferimento alle persone fisiche, considerando quindi il trasferimento di residenza come un’operazione non imponibile. Tuttavia, con la legge finanziaria del 2011 è stato reintrodotto un nuovo regime di exit tax, divenuto effettivo a partire da marzo 2011. Secondo quanto stabilito dalla nuova normativa, un contribuente persona fisica residente in Francia per almeno sei anni negli ultimi dieci anni precedenti al trasferimento della residenza fiscale è tassato sulle plusvalenze latenti relative a titoli, valori o diritti detenuti in società se:
• è titolare, in modo diretto o indiretto, di almeno l’1% degli utili della società;
o
• è titolare di uno o più partecipazioni dirette o indirette per un valore complessivo superiore a 1,3 milioni di euro.
Inoltre, il trasferimento di residenza prevede l’imposizione immediata delle plusvalenze maturate su azioni che godono del differimento d’imposta, mentre trascorsi otto anni, o nel caso di nuovo trasferimento in Francia, se rispettate alcune condizioni di deposito, si avrà il rimborso automatico dell’imposta. Si configurano inoltre tre diverse tipologie di differimento:
• nel caso in cui il trasferimento di residenza avvenga in uno Stato appartenente all’UE o al SEE, il differimento sarà garantito senza la richiesta di garanzie;
• nel caso in cui il trasferimento è dovuto a esigenze lavorative in qualsiasi Stato, il differimento è concesso solo se richiesto;
• in tutti gli altri casi può essere concesso un differimento dell’imposta solo dietro richiesta del contribuente e con prestazione di opportune garanzie (49).
Un’ulteriore modifica della disciplina è arrivata con la legge finanziaria del 2013. È stata ridotta la soglia per l’applicazione della tassazione in uscita, da 1,3 milioni di euro a 800.00 ed è necessario avere una partecipazione di almeno il 50% agli utili della società per essere assoggettato direttamente all’exit tax. Inoltre, per ottenere il rimborso dell’imposta sulle plusvalenze in uscita non è più sufficiente dimostrare di possedere ancora l’investimento dopo 8 anni dal trasferimento, ma il periodo è stato esteso a 15 anni.
Non sono tuttavia soggetti alla tassazione in uscita:
• le plusvalenze realizzate sugli immobili;
• le azioni di SICAV;
• azioni o titoli di società immobiliari non quotate e di quelle quotate qualora il contribuente detenga almeno il 10% del capitale, direttamente o indirettamente (50).

Exit tax applicata alle società

Il trasferimento all’estero della sede legale di una società, secondo la legge fiscale francese, è da equipararsi alla cessazione d’impresa. Contrariamente a quanto avviene per il caso in cui il trasferimento è operato da una persona fisica, non sono previste disposizioni specifiche per questa fattispecie, se non quelle già previste in caso di cessione delle attività. Anche la Francia, come la maggior parte dei Paesi dell’Unione, prevedeva una tassazione immediata sulle plusvalenze latenti emerse in caso di trasferimento. Solo a partire da novembre 2012 è stata introdotta la possibilità per il contribuente di optare per una tassazione differita. Infatti, nel caso in cui il trasferimento sia avvenuto in un altro Stato membro dell’UE/SEE che ha concluso con la Francia un accordo di assistenza amministrativa, si può pagare la tassa in 5 anni. Nel caso di esercizio dell’opzione, la società è tenuta a presentare alle Autorità fiscali francesi una dichiarazione contenente apposite informazioni riguardanti le immobilizzazioni generatrici di plusvalenze latenti.

9. ITALIA

L’exit tax è stata introdotta in Italia dal D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, c.d. “Manovra Dini”), che, con l’art. 30, introduceva all’interno del TUIR l’art. 20-bis denominato “trasferimento di sede all’estero”. Tale articolo disponeva, al primo comma, che «il trasferimento all’estero della residenza o della sede dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. Per le imprese individuali si applica l’articolo 16, comma 1, lettera g)». Il secondo comma stabiliva che «i fondi in sospensione d’imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell’ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza o della sede, sono assoggettati a tassazione nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile organizzazione».
Nonostante la collocazione all’interno del Titolo I del TUIR, nel quale sono contenute le regole riguardanti l’imposta sul reddito delle persone fisiche, l’accezione «soggetti che esercitano imprese commerciali» ha permesso di escludere dal campo di applicazione le persone fisiche non imprenditori e gli imprenditori per i beni non appartenenti all’impresa (51). Tuttavia, al fine di sgombrare ogni dubbio in merito, con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, la disciplina riguardante il trasferimento di residenza all’estero (52) viene riposizionata, con lievi modifiche, all’interno del Titolo III (53) nell’art. 166.
Di seguito si analizzeranno le disposizioni contenute in tale articolo prima delle modifiche apportate dal D.L del 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), e dai susseguenti interventi normativi, che saranno trattati nei paragrafi successivi.

9.1 L’art. 166 del TUIR

Come già accennato, il passaggio dall’art. 20-bis al 166 del TUIR è servito al legislatore per chiarire eventuali dubbi riguardanti l’ambito oggettivo di applicazione. Infatti, l’unica modifica letterale che viene apportata alla disciplina del trasferimento all’estero della residenza riguarda proprio il primo periodo del primo comma. La succitata locuzione «soggetti che esercitano imprese commerciali» viene sostituita dal legislatore con la formula «soggetti di cui all’articolo 2 ed all’articolo 72 (d’ora in poi art. 73), comma 1, lettera a) e b)» (54). Si è voluto dunque precisare in modo puntuale, attraverso un rimando diretto all’art. 2 del TUIR, che individua i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, e l’art. 72 del TUIR che invece individua quelli soggetti all’IRES (55), che l’ambito applicativo non riguarda solo le persone fisiche ma i soggetti che svolgono attività commerciale. Difatti, il dubbio che riguardava l’applicazione o meno dell’art. 20-bis anche agli enti non commerciali che svolgevano, non esclusivamente, un’attività commerciale (56) è stato del tutto superato dall’esclusione dei soggetti compresi nell’art. 73, primo comma, lett. c) (57). Gli enti non commerciali non sono però gli unici esclusi dalle disposizioni riguardanti il trasferimento di residenza. Da un’attenta lettura è possibile notare che tra i soggetti citati dagli artt. 2 e 73, primo comma, lett. a) e b), non rientrano neanche le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate di cui all’art. 5 del TUIR, anche se pareva applicabile a tali soggetti la tassazione separata prevista per le imprese individuali nell’ultimo periodo del primo comma dell’articolo (58). Esclusione questa che non era presente nella previgente formulazione. La risoluzione a questo impasse arriva con il D.Lgs 18 novembre 2005, n. 247, che modifica ulteriormente il primo periodo del primo comma dell’art. 166, ripristinando la dicitura originaria e specificando, nell’ultimo periodo, che «per le imprese individuali e le società di persone si applica l’articolo 17, comma 1, lettere g) e l)».
Dopo avere analizzato il presupposto soggettivo, è opportuno analizzare anche l’ulteriore requisito richiesto dal legislatore al fine di applicare la disciplina: la perdita della residenza fiscale. Se da un lato, infatti, è importante stabilire quali soggetti godono dell’applicazione della disciplina, uguale importanza ricopre, dall’altro lato, fare luce su ciò che si intende per “trasferimento di residenza”. L’originaria formulazione dell’art. 20-bis ha portato la dottrina ad interrogarsi in merito a quali ipotesi di trasferimento comportavano l’applicazione di tale disciplina. Il legislatore italiano aveva previsto che presupposto necessario per tassare le plusvalenze latenti fosse il «trasferimento di residenza o di sede». La norma così formulata aveva quindi un ambito applicativo ristretto, in quanto, come abbiamo avuto modo di osservare, il semplice trasferimento di sede legale non comporta, di per sé, la perdita della residenza fiscale, ma è necessario che sia trasferita anche la sede amministrativa e che l’oggetto principale dell’attività non sia più nel territorio italiano (59). Pertanto, non poteva applicarsi l’art. 20-bis del TUIR a tutti quei casi in cui una società trasferiva l’oggetto principale al di fuori del territorio, non avendo né sede legale né sede amministrativa in Italia. È con il decreto del 2003 (60) che questo problema viene risolto eliminando dal testo normativo la parola sede e confermando, anche se in modo non diretto, che si ha la perdita di residenza fiscale solamente quando tutti e tre gli elementi di collegamento con il territorio vengono a mancare. Al contrario, un trasferimento all’estero della sede societaria che però, secondo la normativa interna o il diritto convenzionale non comporta la perdita della residenza fiscale italiana, non darà luogo a imposizione in uscita.
Da questa prima analisi appare subito chiaro come in Italia, diversamente da quanto avviene in alcuni Paesi analizzati in precedenza, sia presente una sola tipologia di exit tax, che colpisce solamente i soggetti che esercitano imprese commerciali, siano essi persone fisiche o meno. Non si avrà dunque, a differenza di Danimarca, Olanda, Spagna, Germania e Francia, nessuna tassazione in capo all’azionista persona fisica detentore di partecipazioni rilevanti che intende trasferire la propria residenza, in quanto il criterio discriminante per l’applicazione della tassazione in uscita è, appunto, lo svolgimento di un’impresa commerciale, così come definita dall’art. 55 del TUIR (61).
Nel primo comma dell’art. 166 si stabilisce che la perdita di residenza fiscale conseguente a un trasferimento al di fuori del territorio comporta la tassazione delle plusvalenze latenti originate dai beni aziendali che non sono confluiti in una stabile organizzazione italiana. Tali plusvalenze si intendono calcolate come differenza tra il valore normale, così come stabilito dall’art. 9, commi 3 e 4, del TUIR (62), e il costo fiscalmente riconosciuto. La base imponibile sarà dunque determinata con la semplice somma algebrica di plusvalenze e minusvalenze dei beni trasferiti. Prima che il Ministero dell’economia e delle finanze emanasse il D.M. 2 agosto 2013, che verrà approfondito nei paragrafi successivi, la dottrina si è a lungo interrogata circa l’inclusione o meno nel calcolo della base imponibile dell’avviamento e di alcuni intangibles latenti. Il dubbio era sorto in quanto con l’espressione «componenti dell’azienda o del complesso aziendale» non era chiaro se il legislatore intendesse comprendere o meno le suddette attività immateriali. Autorevole dottrina (63) ha sin da subito sostenuto l’esclusione del goodwill da tale calcolo, sostenendo che, con il trasferimento, non si ha nessun cambiamento della titolarità giuridica dell’azienda, elemento basilare al fine del realizzo dell’avviamento. Inoltre era opinione condivisa che il realizzo a valore normale riguardasse solamente i beni presenti nel patrimonio contabile dell’impresa (64). Questo permetteva quindi di escludere dal calcolo il goodwill e tutte quelle attività immateriali latenti che emergono solamente a fronte di operazioni che comportano un mutamento della proprietà aziendale.
In aggiunta alle plusvalenze latenti che emergono sui beni trasferiti, il secondo comma dell’art. 166 del TUIR stabilisce che anche i fondi in sospensione d’imposta iscritti nell’ultimo bilancio antecedente al trasferimento devono essere assoggettati ad imposizione. Tale disposizione, rimasta immutata in seguito a tutte le modifiche apportate alla normativa, non è da applicarsi nel caso in cui tali fondi siano confluiti nel bilancio di una stabile organizzazione italiana.
Oltre alle già citate modifiche apportate nel 2003 e nel 2005, con il D.Lgs 6 novembre 2007, n. 199, sono stati introdotti, all’art. 166, i commi 2-bis e 2-ter, che stabiliscono: «2-bis. Le perdite generatesi fino al periodo d’imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all’estero della residenza fiscale, non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo, sono computabili in diminuzione del reddito della predetta stabile organizzazione ai sensi dell’articolo 84 e alle condizioni e nei limiti indicati nell’articolo 181.
2-ter. Il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società di capitali non dà luogo di per sé all’imposizione dei soci della società trasferita». L’introduzione di questi due commi risponde all’esigenza di adeguare l’ordinamento fiscale italiano alle disposizioni contenute nella Direttiva 2005/19/CE. Tale Direttiva è andata a modificare quanto previsto dalla Direttiva relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli altri scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi (Direttiva 90/434/CEE), introducendo, tra le altre, disposizioni relative al trasferimento della sede di una società europea e di una società cooperativa europea.
Secondo quanto previsto dal comma 2-bis, con riferimento al riporto delle perdite pregresse, il contribuente potrà portare in compensazione tali perdite solo se mantiene sul territorio italiano una stabile organizzazione, e per un importo proporzionale al patrimonio in essa rimasto. Si avrà dunque che, in mancanza di una stabile organizzazione, tali perdite andranno perse.
Uno dei requisiti fondamentali affinché si possa applicare l’art. 166 è, come abbiamo avuto modo di ricordare in precedenza, la perdita di residenza fiscale. Come specifica il primo comma non si ha nessuna tassazione delle plusvalenze latenti per quanto riguarda i beni che confluiscono in una stabile organizzazione italiana. In questo caso, infatti, tali beni non vengono sottratti dalla sfera impositiva del nostro Paese, e non necessitano quindi di essere sottoposti a una tassazione in uscita. Al contrario, si applicherà l’art. 166 del TUIR nei confronti di una stabile organizzazione estera di un soggetto italiano che intende trasferire la propria residenza (65). Con il trasferimento del soggetto la stabile organizzazione estera non sarà più all’interno della sfera impositiva dello Stato italiano. Prima di affrontare quelle che possono essere eventuali problematiche interpretative circa la confluenza di beni in una stabile organizzazione nel caso di trasferimento di residenza, è opportuno richiamare alcune nozioni basilari.
Non troviamo, a livello comunitario, una definizione univoca di stabile organizzazione nonostante tale nozione sia formulata sulla base di quanto riportato negli accordi internazionali contro le doppie imposizioni. Nell’ordinamento interno è l’art. 162 del TUIR, introdotto dal 1° gennaio 2004, che definisce la stabile organizzazione come «una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato». Dalla definizione si evince come il concetto di sede fissa di affari sia da considerarsi un elemento fondamentale per l’individuazione di una stabile organizzazione. Può essere definito come «uno degli aspetti più caratteristici dell’istituto in esame, idoneo a qualificarlo e distinguerlo rispetto ad altri aventi analoghe finalità, e nel contempo anche più critici» (66). Tuttavia, l’elemento più problematico ai fini dell’individuazione di una stabile organizzazione è rappresentato dalla caratteristica di “fissità” che la sede d’affari deve possedere. Interpretando alla lettera la nozione proposta dall’art. 162 del TUIR, si rischia infatti di fare riferimento a una definizione ormai antiquata di stabile organizzazione, non più in grado di rispondere alle esigenze delle nuove forme di attività economica. È dunque necessaria un’interpretazione più elastica, che tenga comunque in considerazione il legame con il territorio necessario affinché lo Stato possa reclamare i propri diritti impositivi. Non è tuttavia sufficiente che la sede d’affari del soggetto non residente sia fissa sul territorio, ma è inoltre necessario che venga utilizzata per svolgere attività d’impresa. Più in dettaglio, la norma è chiara nello stabilire che, per poter essere considerata una stabile organizzazione, l’installazione fissa deve essere uno strumento utilizzato dall’impresa per svolgere la propria attività. Ci deve dunque essere un rapporto di strumentalità tra l’impresa e la sua stabile organizzazione, che per definirsi tale deve svolgere un’attività afferente al core business del soggetto a cui è collegata.
L’importanza di precisare i confini dell’istituto della stabile organizzazione è dovuta alla sua rilevanza nell’ordinamento giuridico: la stabile organizzazione è infatti assoggetta ad imposizione nel Paese in cui è localizzata e non in quello di residenza del soggetto che la controlla.

9.2 Evoluzione normativa

A partire dal 1995, anno in cui è stata introdotta, la normativa interna riguardante l’exit tax è stata spesso oggetto di attenzione da parte del legislatore italiano. Abbiamo già visto come alcune modifiche siano state apportate negli anni a venire ma, con l’aumentare dell’interesse della Commissione europea e le sempre più frequenti pronunce della Corte di Giustizia europea, la disciplina è stata modificata con cadenza annuale negli ultimi anni. Si analizzeranno di seguito le principali novità apportate alla normativa a partire dal D.L. n. 1/2012 fino al recentissimo D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. “Decreto internazionalizzazione”).

9.2.1 Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1

A seguito della procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia (protocollo 2010/4141) e con l’esigenza di adeguare la disciplina interna a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza National Grid Indus (67), il legislatore ha modificato l’art. 166 del TUIR. Con il primo comma dell’art. 91 del D.L. n. 1/2012 (c.d. “Decreto liberalizzazioni”) sono stati introdotti i commi 2-quater e 2-quinquies, applicabili a trasferimenti successivi al 24 gennaio 2012. Il primo dei due commi stabilisce che «i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, (comma 1) con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla Direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010, in alternativa a quanto stabilito al comma 1, possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto in conformità ai principi sanciti dalla sentenza 29 novembre 2011, causa C-371-10, National Grid Indus BV». Con il comma 2-quater viene quindi introdotta la possibilità di scegliere, per il contribuente che ha trasferito la propria residenza in uno Stato appartenente all’UE o al SEE, tra un pagamento immediato della tassa in uscita e l’opzione di differimento. Antecedentemente a tale modifica l’exit tax doveva essere pagata immediatamente al momento del trasferimento. L’intenzione del legislatore italiano di voler conformare la disciplina interna con i principi comunitari appare chiara fin da subito. Si è infatti scelto di vincolare la normativa alla sentenza della Corte attraverso una citazione diretta. Scelta, quest’ultima, che può comportare alcuni rischi: si pensi infatti a cosa accadrebbe se la Corte cambiasse il proprio orientamento sull’argomento (68).
Anche se il differimento non è contrario a quanto stabilito dalle libertà fondamentali dell’Unione, la scelta di tale opzione può risultare problematica da un punto di vista pratico. Per potere infatti sospendere il pagamento dell’imposta fino al momento dell’effettivo realizzo è necessario che lo Stato di destinazione svolga un’adeguata sorveglianza sugli elementi che hanno dato origine a una plusvalenza al momento del trasferimento. In risposta a tale esigenza, la Corte (69) ha chiamato in causa quanto previsto dall’art. 4, par. 1, della Direttiva 2008/55/CE del 26 maggio 2008. La Direttiva, riguardante l’assistenza reciproca in materia di recupero crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte e altre misure, consentirebbe dunque allo Stato creditore dell’imposta di ottenere, dal Paese di destinazione, le informazioni riguardanti i beni la cui tassazione è stata sospesa. Se dal punto di vista teorico tale soluzione è condivisibile, sul piano pratico si possono incontrare due limiti. Per prima cosa, nel caso in cui un soggetto svolga vari trasferimenti di residenza all’interno dell’Unione europea, il passaggio di informazione tra uno Stato e l’altro potrebbe risultare inefficiente a causa delle diverse Amministrazioni fiscali coinvolte e causare un salto d’imposta. In secondo luogo, poiché le variazioni avvenute successivamente al trasferimento non sono da considerarsi ai fini del calcolo della base imponibile dell’exit tax, qualora si generasse una minusvalenza, lo Stato di destinazione avrà una riduzione del gettito fiscale e dovrà inoltre supportare le spese relative al monitoraggio dei beni trasferiti. Questi problemi possono tuttavia essere superati. È sufficiente infatti che lo Stato d’origine richieda al soggetto trasferito di presentare ogni anno una dichiarazione che evidenzi la presenza o meno, all’interno del proprio patrimonio, degli assets che hanno generato le plusvalenze latenti (70). Nei paragrafi precedenti abbiamo già visto come Danimarca, Regno Unito e Francia adottino questo tipo di disposizioni per le persone fisiche e le società che trasferiscono la propria residenza in uno Stato appartenente all’Unione o al SEE.
Il già citato comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR prevede solamente la possibilità di sospensione della tassazione per i soggetti che trasferiscono la propria sede in Paesi a fiscalità non privilegiata, senza tuttavia chiarire gli aspetti procedurali di tale opzione. Tale compito è infatti demandato a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, come stabilito dal comma 2-quinquies (71). Il Decreto attuativo servirà a fare luce su alcune questioni riguardanti sia la determinazione della plusvalenza sia i presupposti che comporteranno la decadenza del regime sospensorio (72).
L’aggiornamento della disciplina italiana secondo quanto previsto dalla causa National Grid è da ritenersi tra i più tempestivi nel panorama europeo (73). Abbiamo infatti avuto modo di vedere come Olanda, Spagna e Regno Unito abbiano introdotto il differimento a partire dal 2013, mentre Portogallo e Danimarca hanno introdotto la disciplina sulla sospensione dell’imposta solo a partire dal 2014.

9.2.2 Il D.M. 2 agosto 2013

Il Decreto attuativo a cui richiama il comma 2-quinquies introdotto dal D.L. n. 1/2012 è stato emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze il 2 agosto 2013 (di seguito Decreto), a circa un anno di distanza dalle modifiche apportate all’art. 166 del TUIR. Il Decreto ministeriale, recante le disposizioni di attuazione del comma 2-quater del già citato art. 166, si compone di un solo articolo suddiviso in nove commi. Alcuni dei dubbi interpretativi sollevati in passato dalla dottrina trovano una risoluzione all’interno del già citato decreto ministeriale. Infatti i nove commi regolano la determinazione della plusvalenza, le modalità di utilizzo delle perdite, le garanzie e gli interessi, la tassazione immediata e quella differita, le modalità di riscossione e la decadenza della sospensione.
Prima di analizzare le novità apportate dal Decreto, è opportuno ricordare in modo sintetico quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza National Grid Indus, in quanto, come già ampiamente ribadito, il legislatore italiano ha modificato la disciplina interna sulla falsa riga dei principi in essa contenuti. In suddetta sentenza la Corte ha affermato che:
• l’applicazione di una tassazione in uscita sulle plusvalenze latenti non è da considerarsi contraria alla libertà di stabilimento sancita dal TFUE;
• eventuali variazioni di valore realizzate successivamente al trasferimento non sono da considerarsi nel calcolo dell’importo dell’exit tax;
• non si considera rispettato il principio di proporzionalità nei casi in cui è prevista una riscossione immediata della tassa in uscita;
• nei casi in cui la disciplina interna prevede la possibilità di scegliere tra il pagamento immediato dell’exit tax e il pagamento differito al momento dell’effettivo realizzo (c.d. tax deferral), si ritiene che tale disciplina non sia da considerarsi contraria alla libertà di stabilimento e rispetti il principio di proporzionalità. È inoltre legittima, da parte dello Stato di uscita, la richiesta di una garanzia al fine di ridurre il rischio di mancata riscossione del credito tributario (74).
Il primo comma dell’art. 1 del Decreto ribadisce che la possibilità di optare per il regime sospensivo è riservata ai soggetti che esercitano imprese commerciali e trasferiscono la propria residenza in uno Stato appartenente all’UE o al SEE, purché tale Stato sia incluso nella white list e abbia stipulato con l’Italia un accordo in materia di riscossione (75). Il medesimo comma introduce inoltre una novità: prevede infatti che «le disposizioni del presente decreto si applicano, altresì, se una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato è trasferita in un altro degli Stati indicati al primo periodo». Viene dunque concessa la possibilità di optare per il tax deferral in due casi:
• quando si ha il trasferimento all’estero della sede societaria con conseguente perdita della residenza fiscale;
• quando ad essere trasferita non è la sede ma una stabile organizzazione italiana, sia essa sorta precedentemente o conseguentemente al trasferimento della sede.
Il legislatore italiano non è tuttavia l’unico ad avere introdotto la possibilità di sospendere il pagamento dell’imposta nel caso in cui il soggetto trasferito sia una stabile organizzazione. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, anche Spagna, Portogallo e Danimarca presentano, all’interno del loro ordinamento, una disposizione simile.

Trasferimento di sede societaria

Per quanto riguarda il caso di trasferimento di sede societaria, la circolare Assonime (76) evidenzia come l’utilizzo generico dell’espressione “trasferimento” all’interno del Decreto attuativo possa comportare alcuni dubbi circa l’individuazione della fattispecie impositiva. Infatti, all’interno del nostro ordinamento, il trasferimento di sede non sempre coincide con il trasferimento di residenza fiscale. Mentre il primo termine fa riferimento a un evento puntuale che può essere collocato in un preciso momento temporale, il secondo è basato sia su requisiti soggettivi che su uno temporale. Da un punto di vista fiscale, se un soggetto trasferisce la propria residenza all’estero il 15 luglio 200X è considerato residente in Italia per tutto il periodo d’imposta, mentre se il trasferimento avviene il 15 gennaio 200X sarà considerato non residente in Italia per l’intero periodo. Diversamente da quello che avviene negli altri ordinamenti, non è previsto in Italia il c.d. split year, cioè la perdita della residenza non è determinata in modo puntale, cosa che invece accadde per il trasferimento di sede. È inevitabile dunque che, poiché non è possibile suddividere il periodo d’imposta nel quale avviene il trasferimento della residenza in due distinti periodi, possano sorgere problemi applicativi qualora il trasferimento avvenga in corso d’anno. Il fatto che la nostra disciplina non risulti allineata a quella degli altri Paesi comporta una probabilità maggiore di incorrere in casi di doppia tassazione o mancata tassazione. Come sottolinea infatti la dottrina (77), il fatto che il trasferimento della sede e la perdita della residenza abbiano una manifestazione temporale non coincidente pone il problema circa l’individuazione della data in cui debba calcolarsi la plusvalenza latente.
Nel caso in cui il trasferimento di sede, e con esso anche il trasferimento dell’oggetto principale, avvenga nella prima parte dell’anno, si avrà un disallineamento tra la configurazione fiscale del fenomeno e quella civilistica. Il soggetto risulterà fiscalmente non residente in Italia a partire dal 31 dicembre dell’anno precedente, ma civilisticamente perderà la residenza solo alla data effettiva del trasferimento. Nel periodo che intercorre tra la perdita della residenza fiscale e di quella civilistica, ai fini del fisco italiano il soggetto è da considerarsi alla stregua di un soggetto non residente con stabile organizzazione italiana. Non si deve tuttavia equivocare tale stabile (denominata “iniziale”) con quella che invece si potrebbe creare in Italia a seguito del trasferimento di sede (si parla in questo caso di stabile organizzazione “finale”). Quindi, da un punto di vista fiscale si avrà che, per i beni confluiti nella stabile organizzazione “iniziale”, non si applicherà l’art. 166 del TUIR fino al loro effettivo trasferimento all’estero. Il calcolo della plusvalenza avverrà pertanto in tale data. Invece, per quei beni che non sono potuti confluire nella stabile organizzazione italiana, si avrà l’applicazione dell’exit tax e la plusvalenza latente sarà calcolata con riferimento al primo giorno di residenza estera (1° gennaio) (78). Il Decreto in esame consente tuttavia la possibilità di richiedere la sospensione dell’imposta per entrambi i casi.
Più semplice è la situazione in cui il trasferimento avviene nella seconda parte dell’anno. In questo caso infatti la società è considerata residente fiscalmente in Italia per tutto l’esercizio, quindi il calcolo della plusvalenza avverrà il primo giorno di residenza all’estero, cioè il 1° gennaio dell’anno successivo al trasferimento.

Trasferimento di stabile organizzazione

Abbiamo accennato come il Decreto del Ministero dell’economia abbia esteso la possibilità di optare per la tassazione differita anche quando il trasferimento è effettuato da una stabile organizzazione italiana, purché tale trasferimento non comporti la liquidazione dell’attività stessa (79). L’ampliamento della disciplina relativa al tax deferral nei confronti della stabile organizzazione era necessario al fine di colmare una lacuna del legislatore italiano. Infatti, richiamando direttamente la sentenza National Grid Indus, il comma 2-quater sembrava non avere concesso il beneficio della sospensione a questo tipo di trasferimenti.
Ciò che invece non è stato chiarito con il Decreto è se tale possibilità di differimento può essere richiesta solo nei casi in cui si trasferiscono tutte le attività riferite alla stabile organizzazione, oppure se è applicabile anche a trasferimenti di rami aziendali o di singoli cespiti. Tenendo conto delle indicazioni espresse nella risoluzione adottata dal Consiglio Econfin 2 dicembre 2008, la dottrina (80) che ha affrontato il tema ha convenuto che il beneficio del tax deferral si possa applicare anche nei casi in cui si ha un trasferimento parziale della stabile organizzazione, purché tali attivi possano essere considerati un ramo aziendale atto a svolgere attività d’impresa. Non sarebbe invece possibile accedere al regime previsto dal comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR nei casi in cui vengano trasferiti all’estero singoli cespiti.
Il secondo comma dell’art. 1 del Decreto in esame prevede che «la sospensione di cui al comma 1 non può riguardare: (a) i maggiori e i minori valori dei beni di cui all’art. 85 del TUIR; (b) i fondi in sospensione di imposta di cui al comma 2 dell’art. 166 del TUIR, non ricostituiti nel patrimonio contabile della stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato; (c) gli altri componenti positivi e negativi che concorrono a formare il reddito dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia, ivi compresi quelli relativi a esercizi precedenti, e non attinenti ai cespiti trasferiti, la cui deduzione o tassazione sia stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR». Pertanto, per i componenti reddituali sopra elencati, non sarà possibile differire la tassazione che sarà quindi dovuta interamente nell’esercizio del trasferimento.
I beni, a cui si fa riferimento nella lett. a), sono rappresentati dagli elementi dell’attivo circolante che, essendo caratterizzati da un turn over elevato, vengono esclusi per semplificazione. Anche per quanto riguarda i fondi in sospensione d’imposta la scelta fatta dal legislatore è condivisibile, in quanto con il trasferimento risulterebbe impossibile per l’Amministrazione finanziaria italiana continuare a monitorare predetti fondi che seguono le disposizioni civilistiche dello Stato di residenza della società. Assonime effettua tuttavia una distinzione: se da una parte i fondi in sospensione d’imposta autonomi sono da considerarsi tassati immediatamente, dall’altra non si può riservare lo stesso trattamento a quei fondi in sospensione la cui tassazione è legata ai cespiti che li hanno generati. In questo secondo caso infatti risulta più corretto che tali fondi vadano a diminuire il valore fiscale del bene a cui sono collegati.
Per quanto riguarda i redditi gestionali indicati alla lett. c), considerazioni aggiuntive devono essere fatte per quanto riguarda i componenti negativi e positivi provenienti da esercizi precedenti ma rilevanti fiscalmente in esercizi successivi. Infatti, il loro trattamento si differenzia a seconda che venga creata o meno una stabile organizzazione in Italia successivamente al trasferimento. Nella prima ipotesi i suddetti redditi concorrono alla formazione del reddito dell’ultimo periodo d’imposta, analogamente a quanto accade in caso di liquidazione. Se, per contro, viene creata una stabile organizzazione in Italia, secondo Assonime tali redditi incidono sul reddito della stabile secondo l’originaria scansione temporale (81).
Nel primo comma del Decreto viene chiarito che, per potere richiedere l’applicazione del regime di sospensione, la plusvalenza assoggetta ad exit tax deve essere calcolata considerando il valore normale dei beni trasferiti. Il terzo comma specifica inoltre che, ai fini del calcolo della plusvalenza, non si deve tener conto di eventuali minusvalenze o plusvalenze realizzate successivamente alla data del trasferimento. Quanto detto ci porta ad affermare che, alla data del trasferimento, si avrà una cristallizzazione del debito tributario, che quindi non subirà nessuna modifica successiva. In sintesi, la plusvalenza sarà pari alla differenza tra la sommatoria del valore normale dei beni non confluiti in una stabile organizzazione italiana e il loro costo fiscalmente residuo (82).
Un dubbio che la dottrina si è posta fin da subito con riferimento alla quantificazione della plusvalenza riguardava l’inclusione o meno in tale calcolo dell’avviamento e di altri intangibles. Abbiamo già sottolineato come si propendesse a non includere nel calcolo tali beni. Ebbene il Decreto specifica che, nel determinare la plusvalenza, è necessario includere anche «il valore dell’avviamento e quello delle funzioni e dei rischi propri dell’impresa, determinati sulla base dell’ammontare che imprese indipendenti avrebbero riconosciuto per il loro trasferimento».
Nella circolare in cui Assonime analizza la nuova disciplina riguardante l’exit tax viene compiuto un passo ulteriore. Ci si chiede infatti come trattare il caso in cui il trasferimento dia luogo al realizzo di una minusvalenza. Nonostante il Decreto taccia sul punto, si ritiene che in questo caso il contribuente possa compensare tale minusvalenza con eventuali redditi positivi relativi all’ultimo periodo d’imposta in Italia, ovvero, in caso di risultato d’esercizio negativo, possa compensare tale minus con i redditi generati da un’eventuale stabile organizzazione italiana.
Il quarto comma del Decreto dispone che «le perdite di esercizi precedenti non ancora utilizzate compensano prioritariamente il reddito dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia, comprensivo dei componenti di cui al comma 2; l’eccedenza, unitamente all’eventuale perdita di tale periodo, compensa la plusvalenza di cui al comma 1. Per le eventuali perdite ancora residue, resta ferma l’applicazione dell’art. 166, comma 2-bis, del TUIR». Va da sé che tale disposizione deve essere coordinata con quanto previsto dal richiamato comma 2-bis e con quanto stabilito dall’art. 84 del TUIR in tema di riporto delle perdite. Dalla lettura congiunta delle disposizioni del TUIR e di quanto stabilito dal Decreto è possibile individuare tre diverse fasi di utilizzo delle perdite realizzate dalla società trasferita (83).
Nella prima fase si ha che le perdite avute negli esercizi precedenti all’ultimo in cui la società risulta residente in Italia vanno a compensare prioritariamente il reddito prodotto in tale ultimo periodo. Con riguardo all’ammontare della perdita che può essere compensata si hanno in dottrina opinioni discordanti. Secondo alcuni autori (84) la compensazione in questa fase avviene seguendo le regole previste dall’art. 84 del TUIR, cioè fino a un limite pari all’80% del reddito imponibile, con eccezione del caso in cui tali perdite siano prodotte nei primi tre anni di costituzione della società. In tale ultimo caso infatti è consentita una compensazione totale del reddito imponibile. Di tutt’altro parere è invece Assonime che conferma l’impostazione adottata nella circolare n. 33/2011 (85). Secondo l’Associazione un’impresa, che non ha mantenuto una stabile organizzazione in Italia (86), può compensare il 100% del reddito imponibile nel suo ultimo periodo di residenza.
Se, al termine della prima fase, la quota di perdite pregresse non è stata esaurita, ciò che residua può essere compensato con la plusvalenza da exit tax. Anche in questo caso la dottrina si interroga circa l’ammontare di perdita che può essere compensato, giungendo a conclusioni non conformi. Parte della dottrina (87) sostiene infatti che debbano essere applicati i limiti imposti dal succitato art. 84, mentre altri autori sostengono la possibilità di un integrale utilizzo della perdita (88).
Per quanto riguarda l’ultima fase di utilizzo delle perdite si fa riferimento a quanto disposto dal comma 2-bis dell’art. 166 del TUIR. Qualora infatti la perdita non sia stata interamente compensata nelle fasi precedenti, è possibile computarla in diminuzione del reddito della stabile organizzazione situata sul territorio italiano, rispettando quanto previsto dagli artt. 84 e 181 del TUIR. È importante sottolineare che, qualora non tutti i beni del complesso aziendale vengano confluiti in una stabile organizzazione italiana, sarà necessario suddividere proporzionalmente la perdita residua tra i beni trasferiti e il patrimonio che fa capo alla stabile. Ciò che il Decreto non ha specificato è se tale suddivisione debba avvenire dopo la compensazione della perdita con la plusvalenza generata dal trasferimento ovvero se si consideri la perdita al lordo di tale compensazione. La dottrina (89) ritiene più corretta quest’ultima ipotesi, in quanto consentirebbe di compensare integralmente la perdita relativa ai beni trasferiti con la plusvalenza da essi generata e, per la parte relativa alla stabile organizzazione, verrebbe applicato l’art. 84 del TUIR.
Secondo quanto stabilito dal Decreto, l’impresa che trasferisce la propria residenza in un Paese appartenente all’UE o al SEE e non fa confluire i propri beni in una stabile organizzazione italiana, ha tre opzioni:
• tassare immediatamente e in un’unica soluzione le plusvalenze latenti;
• optare per il regime di tax deferral;
• rateizzare l’imposta relativa alle plusvalenze latenti in 10 anni.
Il settimo comma dell’art. 1 del Decreto prevede infatti, per coloro che non hanno optato per il regime di sospensione, che «l’imposta possa essere versata in quote costanti con riferimento all’esercizio in cui ha efficacia il trasferimento e nei nove successivi». Per poter rateizzare l’imposta è necessario tuttavia fornire opportune garanzie, così come per il differimento, ed è prevista inoltre l’applicazione di interessi. In questo caso però vengono meno gli obblighi di monitoraggio che sono invece previsti qualora si opti per il tax deferral. Un maggiore approfondimento su tali temi (garanzie richieste e modalità di monitoraggio) è delegato dal nono comma a futuri provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Il sesto comma prevede inoltre una deroga alle regole ordinarie del regime di sospensione. Infatti, dopo aver stabilito che in caso di sospensione delle imposte esse saranno dovute nel momento dell’effettivo realizzo dei beni (90), prevede che, per le partecipazioni appartenenti all’attivo immobilizzato, anche la distribuzione di utili o di riserve di capitale sia da considerarsi evento realizzativo.
Le sopra elencate opzioni a disposizione del contribuente non sono da ritenersi tra loro alternative, ma possono essere applicate contestualmente. Il contribuente avrà quindi la possibilità di salvaguardare i propri interessi economici combinando tra loro le tre opzioni esercitabili. Il quinto e il settimo comma prevedono infatti che sia la sospensione che la rateizzazione possono essere applicate anche con riferimento ai singoli componenti dell’impresa. In questo caso, per determinare la plusvalenza da attribuire al singolo bene, è necessario che la plusvalenza totale venga ripartita in proporzione al maggior valore di ciascun bene.
Per quanto concerne invece le ipotesi in cui si ha la decadenza della sospensione, l’ottavo comma stabilisce che «comporta il versamento dell’imposta residua con riferimento all’esercizio in cui ha efficacia l’operazione di trasferimento di sede in uno Stato diverso dagli Stati appartenenti all’Unione europea o aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’art. 168-bis, comma 1, del TUIR, di liquidazione o estinzione del soggetto estero nonché di conferimento ovvero di fusione o scissione che comportano il trasferimento dell’azienda ad altro soggetto residente in uno Stato diverso da quelli sopra richiamati». Si sottolinea come, interpretando la disposizione in modo letterale, sembrerebbe che le operazioni straordinarie che comportano un trasferimento di beni a favore di un soggetto residente in un Paese UE/SEE non facciano decadere la sospensione.
La disciplina italiana fin qui analizzata presenta alcune analogie con le disposizioni riguardanti l’exit tax adottate negli altri Paesi europei. Le opzioni di scelta del contribuente italiano sono pressoché identiche a quelle a disposizione del contribuente olandese che ha trasferito la propria residenza all’estero. La rateizzazione dell’imposta è concessa anche in Portogallo e in Francia, seppure con tempistiche ridotte rispetto a quelle italiane e con obblighi di monitoraggio differenti. Invece la possibilità di potere attribuire l’imposta con riferimento a ogni singolo asset è una particolarità della disciplina del Regno Unito.

9.2.3 Il D.M. 2 luglio 2014

Undici mesi dopo la pubblicazione del D.M. 2 agosto 2013 (di seguito Decreto) è stato emanato un altro decreto ministeriale, in sostituzione del precedente. Il Decreto 2 luglio del 2014 apporta alcuni correttivi alle disposizioni previste dal Decreto 2013, pur mantenendo inalterate le impostazioni di fondo di quest’ultimo. Si analizzeranno dunque le principali novità introdotte, tenendo in considerazione sia l’analisi svolta da Assonime (91) che il provvedimento emanato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate (92) riguardante le modalità attuative della disciplina.
Abbiamo visto come, con l’introduzione del Decreto 2013, alcuni dei dubbi che si era posta la dottrina in materia di exit tax fossero già stati risolti. Tuttavia persistevano ancora alcune lacune che, come vedremo, sono state colmate solo in parte dal nuovo Decreto.
Abbiamo già affrontato, in occasione dell’analisi del Decreto 2013, le conseguenze derivanti dal disallineamento interno tra la disciplina civilistica e quella fiscale in materia di trasferimento. Come già illustrato, il trasferimento all’estero della sede ai fini civilistici non sempre coincide con la perdita della residenza secondo la normativa fiscale. Una delle novità introdotte dal Decreto riguarda proprio la puntualizzazione del momento in cui deve essere determinata la plusvalenza da assoggettare ad imposizione. Il terzo comma dell’art. 1 prevede che «le imposte sui redditi, relative alla plusvalenza di cui al comma 1, sono determinate in via definitiva alla fine dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia o di esistenza in Italia della stabile organizzazione». Mentre il precedente Decreto si limitava a disporre che la plusvalenza fosse calcolata nel periodo in cui avveniva il trasferimento di sede, con le nuove disposizioni si chiarisce che il momento impositivo fiscalmente rilevante è da ritenersi l’ultimo giorno di residenza per il contribuente.
Nonostante la precisazione, autorevole dottrina (93) sottolinea come, ai fini applicativi, il rischio che si possano verificare casi di doppia tassazione o mancata imposizione non è stato risolto. Gli stessi autori sostengono che tali problematiche possano essere superate solo con l’introduzione del c.d. split year, che può essere effettuata solamente con la modifica dell’art. 73, terzo comma, del TUIR. Senza la modifica di tale articolo, infatti, anche quanto previsto dall’art. 2 del Decreto non è sufficiente a risolvere i problemi sopra esposti. Il secondo articolo del Decreto, il quale prevede «il trasferimento della residenza è determinato tenendo conto delle Convenzioni in materia di doppia imposizione sui redditi vigenti tra l’Italia e gli Stati appartenenti all’Unione Europea ovvero aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo nonché di quelle tra i predetti Paesi e gli Stati terzi, ove vigenti», ha efficacia solamente laddove esista un conflitto di residenza in base alle norme interne.
Un’altra importante novità che introduce il nuovo Decreto è una più puntuale definizione del momento in cui i beni aziendali sono da considerarsi realizzati. Tale istante comporta infatti la fine della sospensione dell’imposta calcolata al momento del trasferimento e, conseguentemente, il suo versamento. Mentre il precedente Decreto faceva genericamente riferimento alle disposizioni contenute nel TUIR per individuare il momento in cui le plusvalenze erano da considerarsi realizzate, prevedendo un’ipotesi di realizzo indiretto solo con riferimento alle partecipazioni, il Decreto in commento introduce regole più precise. Il sesto comma dell’art. 1 prevede che, oltre a quanto già disposto dal vecchio Decreto, è da considerarsi realizzata, per i beni e i diritti ammortizzabili, inclusi quelli immateriali e l’avviamento, la quota di ammortamento che la società avrebbe riportato nel bilancio secondo le disposizioni interne in materia. Lo stesso comma prevede inoltre che «per gli strumenti finanziari, anche derivati, diversi da quelli di cui alla lettera b) [le partecipazioni e gli strumenti finanziari ad esse assimilati, diversi da quelli dell’art. 85 del TUIR, n.d.r.], il maggior valore è suddiviso in quote costanti in base al periodo di durata residua dei medesimi». L’ultimo periodo del sesto comma precisa altresì che è da considerarsi realizzata ogni plusvalenza decorsi 10 anni dal trasferimento. Questa disposizione, che ritroviamo anche nell’ordinamento d’oltre Manica, ha lo scopo di evitare una sospensione a tempo indeterminato dell’imposta.
Infine, sono state introdotte anche altre novità riguardanti sia il regime di sospensione che quello di rateizzazione. In primis viene eliminata la possibilità data al contribuente di optare, secondo il proprio interesse, per il pagamento immediato, la rateizzazione o la sospensione con riferimento a ogni singolo cespite (94). La nuova normativa prevede infatti che la scelta circa la modalità di pagamento della tassa debba essere univoca. In secondo luogo, viene prevista l’applicazione di interessi anche nel caso in cui si opti per il differimento. Per quanto riguarda invece la rateizzazione, il settimo comma riduce da 10 a 6 le rate annuali che devono essere versate da chi sceglie questa opzione. Leggendo invece l’ottavo comma del Decreto in oggetto è possibile notare come le ipotesi di decadenza previste dal D.M del 2013 sono state integrate da due ulteriori fattispecie: «l’apertura di una procedura di insolvenza, liquidazione o estinzione del soggetto trasferito» e «la cessione delle quote da pare dei soci delle società di cui all’art. 5 del TUIR». Il verificarsi di tali casi comporta non solo l’interruzione della sospensione, come previsto dal precedente Decreto, ma anche la decadenza della rateizzazione.
Preme sottolineare come, neanche con questo Decreto, viene affrontata la questione relativa alle operazioni straordinarie transfrontaliere. Uno dei punti maggiormente discussi in dottrina riguarda proprio la possibilità o meno di poter usufruire del regime di tax deferral anche con riferimento a tali operazioni. A ben vedere, tale scelta da parte del legislatore italiano non deve sorprendere. Infatti la stessa Commissione europea, che più volte ha intrapreso procedure di infrazione contro le normative interne dei vari Stati membri, non si è mai pronunciata in merito all’applicazione o meno del differimento nei casi in cui il trasferimento sia dovuto a operazioni straordinarie.
L’ultima questione che rimane da affrontare riguarda quanto stabilito dall’art. 3 del Decreto. Quest’ultimo prevede che per i contribuenti che hanno optato per i regimi di sospensione e rateizzazione nel periodo in cui vigevano le regole del Decreto 2013, si debba:
• in caso di scelta dell’opzione di rateizzazione, dividere in sei rate annuali l’importo residuo dell’imposta;
• versare l’imposta dovuta nell’esercizio successivo l’entrata in vigore del Decreto 2014 qualora si sia verificata una delle ipotesi di realizzo prevista da quest’ultimo;
• scegliere un solo criterio qualora il contribuente abbia optato per la rateizzazione o la sospensione asset-by-asset.

9.2.4 Il Provvedimento dell’Agenzia delle entrate

In seguito al Decreto 2013 nessun provvedimento è stato emanato dall’Agenzia, ma si è dovuto aspettare il 10 luglio 2014 per potere conoscere le modalità d’esercizio delle opzioni previste in tema di exit tax.
Per quanto riguarda la tempistica per l’esercizio dell’opzione prescelta, il contribuente ha tempo fino al 16 giugno, ovvero il termine per il versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all’ultimo esercizio di residenza in Italia, per presentare l’apposita comunicazione all’Ufficio competente. Sono tuttavia previste regole specifiche per chi esercita l’opzione successivamente all’entrata in vigore del Provvedimento (95) e per le società che sono soggette al regime di trasparenza fiscale, sia in via ordinaria che opzionale. Il punto 7 del Provvedimento specifica infatti che, per quanto riguarda le società di persone e la società semplice, la comunicazione deve essere presentata da ciascun socio e confermata dalla società nella propria dichiarazione dei redditi. Invece per le società che hanno esercitato l’opzione per la trasparenza (artt. 115 e 116 del TUIR) la comunicazione deve essere presentata dalla società stessa.
Relativamente alla documentazione che deve essere esibita per potere usufruire dei regimi opzionali, il secondo punto del Provvedimento presenta una lista esaustiva di tali documenti, specificando che è la stessa società ad avere l’obbligo di monitoraggio sulle plusvalenze sospese. Tale obbligo, che nasce solo nel caso in cui venga scelta la sospensione dell’imposta, è ottemperato dal contribuente compilando annualmente gli appositi quadri all’interno della dichiarazione dei redditi (96).
Con riferimento agli obblighi di versamento, nel punto 4 viene previsto che, nel caso di rateizzazione sia la prima rata che le successive sono da versare entro il termine per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. Lo stesso termine è previsto anche per il pagamento dell’imposta in caso di realizzo nel regime di sospensione.
Il punto 5 del Provvedimento tratta invece la disciplina delle garanzie. L’approccio utilizzato in merito dall’Agenzia può essere definito “soft” (97), in quanto le garanzie possono essere richieste solo in caso di «grave e concreto pericolo per la riscossione». Qualora sia dovuta, la garanzia non deve coprire l’intero importo dell’imposta, ma andrà fissata «in modo che la stessa, sommata al patrimonio netto, risultante dall’ultimo bilancio, sia pari all’imposta dovuta». Il Provvedimento stabilisce inoltre che nessuna garanzia deve essere prestata «quando i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, in ciascuno dei tre esercizi antecedenti al trasferimento della residenza non hanno conseguito perdite risultanti dai rispettivi bilanci, ed hanno un patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio almeno pari a 120 per cento dell’importo dell’imposta sospesa e/o rateizzata».
Oltre a quanto già stabilito dal Decreto, il punto 6 del Provvedimento prevede altre ipotesi che comportano il venire meno del beneficio di sospensione o rateizzazione. Si tratta di casi in cui vengono violati gli obblighi procedurali descritti nei precedenti punti del Provvedimento (98).

9.2.5 Il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147

Il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, contenente le disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (c.d. “Decreto internazionalizzazione”), tra i vari temi trattati, contiene due disposizioni (artt. 11 e 12) riguardanti la disciplina del trasferimento di residenza delle imprese. Mentre l’art. 12 introduce le disposizioni da applicare nel caso di trasferimento della residenza nel territorio italiano, è opportuno soffermarci sull’art. 11, che apporta alcune modifiche alla normativa stabilita dall’art. 166 del TUIR.
Analizzando i precedenti decreti riportanti disposizioni in materia di exit tax abbiamo sottolineato più volte come la dottrina (99) reclamasse un chiarimento in merito all’applicazione o meno delle disposizioni dell’art. 166, comma 2-quater, del TUIR, nei casi in cui il trasferimento di residenza fosse avvenuto mediante operazioni straordinarie. Ebbene, l’art. 11 del Decreto internazionalizzazione prevede esplicitamente che il regime di tax deferral venga applicato anche a questo tipo di operazioni. Più precisamente, il D.Lgs. n. 147/2015 apporta un’aggiunta al sesto comma dell’art. 179 del TUIR, la quale prevede che «si applicano, ove compatibili, le disposizioni dell’articolo 166, commi 2-quater e seguenti» (100). L’art. 179 prevede che sono da considerarsi «realizzati al valore normale i componenti dell’azienda o del complesso aziendale che abbiano formato oggetto delle operazioni indicate alle lettere da a) a d) del comma 1 dell’articolo 178 [fusioni, scissioni e conferimenti, n.d.r.], non confluiti in seguito a tali operazioni in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato». Prima della modifica, si era creata nel nostro ordinamento un’asimmetria: da un lato si aveva il trasferimento di sede verso uno Stato UE/SEE che beneficiava dei regimi premiali previsti dal comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR, dall’altro una fusione/scissione/conferimento tra una società residente in un Paese EU/SEE e un soggetto italiano con successiva perdita della residenza da parte di quest’ultimo, assoggettata a tassazione immediata senza possibilità di scegliere altre opzioni. Dunque, due fattispecie di per sé simili subivano un trattamento fiscale differente, comportando un’evidente distorsione nel sistema. Tale incongruenza comportava infatti l’applicazione di “meccanismi artificiosi” (101) al fine di evitare la tassazione immediata. In caso di fusione transnazionale, era infatti sufficiente che la società italiana incorporata facesse confluire i propri beni in una stabile organizzazione, ed effettuasse, in un secondo momento, il trasferimento di quest’ultima, godendo quindi della sospensione (102).
L’Italia non è tuttavia l’unico Paese europeo ad avere esteso il regime del tax deferral anche alle operazioni straordinarie transnazionali. Infatti, con le modifiche apportate nel 2013, sia Spagna che Olanda hanno ampliato la propria disciplina in tal senso.
Il terzo comma dell’art. 11 del Decreto risolve un altro dubbio interpretativo che era sorto in occasione della promulgazione del Decreto Ministeriale del 2013. Assonime, commentando il primo comma dell’articolo 1 del Decreto, si era chiesta se l’estensione del regime di sospensione ai trasferimenti di stabile organizzazione di una società non residente fosse da applicare solo in caso di trasferimento dell’intera stabile o anche, qualora a essere trasferiti, fossero stati singoli beni. L’Associazione aveva infine concluso che poteva essere ammessa l’applicazione del comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR solo nei casi in cui la stabile organizzazione avesse trasferito tutti i suoi beni o un ramo di essi, mentre sembrava non essere ammessa tale possibilità nel caso di trasferimento di singoli beni. L’interpretazione della dottrina trova quindi, ad oggi, la conferma del legislatore italiano. Il già citato terzo comma stabilisce infatti che «le disposizioni recate dall’art. 166, comma 2-quater, si interpretano nel senso che esse sono applicabili anche al trasferimento, da parte di un’impresa non residente nel territorio dello Stato, di una parte o della totalità degli attivi collegati ad una stabile organizzazione, aventi ad oggetto un’azienda o un ramo d’azienda, verso altro Stato appartenente all’UE o al SEE». Questa precisazione risulta comunque restrittiva rispetto a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea nella citata sentenza del 2012, causa C-38/10. La Corte, in detta sentenza, afferma infatti che il principio del tax deferral deve essere applicato anche nei trasferimenti di attivi da una stabile organizzazione di un soggetto non residente verso un Paese appartenente all’UE, con la condizione che tali attivi siano destinati a proseguire l’attività economica nel contesto “di arrivo”. Dunque, differentemente da quanto previsto dalla normativa italiana, non viene specificato che i beni trasferiti debbano avere i connotati di un ramo d’azienda.
Un ultimo intervento che viene fatto dal Decreto con riferimento all’art. 166 del TUIR è la cancellazione del riferimento diretto ai principi della sentenza National Grid Indus contenuto nel comma 2-quater (103). Abbiamo già accennato al fatto che, senza tale soppressione, una futura evoluzione della giurisprudenza comunitaria avrebbe comportato problemi nell’applicazione della disciplina.
In conclusione, si puntualizza che quanto previsto dal Decreto legislativo ora analizzato produce i suoi effetti a partire dal periodo d’imposta 2015.

10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Alla luce dell’esame delle varie discipline nazionali degli Stati membri si può arrivare alla conclusione che ciò che contraddistingue le varie normative più che la determinazione della base imponibile su cui applicare l’imposta, sono le diverse opzioni di pagamento previste in alternativa alla tassazione immediata e ciò che esse comportano. Un altro aspetto da mettere in luce è senza dubbio l’ambito di applicazione del tax deferral. In Italia solo recentemente, con il Decreto internazionalizzazione si è esteso la sospensione anche ai casi di trasferimento conseguente a operazioni straordinarie, sulla scia di quanto già previsto da Spagna e Olanda.
In uno scenario così profilato, sebbene siano stati fatti dei passi in avanti in tema di exit taxation, si è ancora lontani da una vera e propria armonizzazione fiscale su tale tematica. Nonostante gli sforzi della Corte di Giustizia, non pare azzardato ritenere che una maggiore omogeneità in materia può essere raggiunta solamente con l’intervento diretto del legislatore europeo.

Dott. Ilaria Santi

(1) Si veda European Commission, Taxation: Commission requests Germany to end exit tax rules, tratto da Europa.eu.
(2) Secondo la disciplina tedesca una partecipazione è considerata rilevante se un soggetto è titolare, direttamente o indirettamente, di almeno l’1% del capitale sociale di una società negli ultimi cinque anni consecutivi precedenti all’evento realizzativo. L’espressione «negli ultimi cinque anni consecutivi» va interpretata nel senso che è sufficiente aver posseduto le suddette quote azionarie in qualsiasi momento durante i precedenti cinque anni. Non rileva il fatto che la partecipazione sia stata acquisita unitariamente o formata progressivamente. Cfr. C. DAIBER – R. OFFERMANNS, Germany Exit Tax Provisions, Sunstantial Shareholdings and Incompatibility with EC Law, in European Taxation, 2005, 579-580.
(3) L’art. 6 della AstG non operava nessuna distinzione con riferimento allo Stato di destinazione. Era ininfluente il fatto che il trasferimento fosse avvenuto in uno Stato membro dell’Unione o in un Paese appartenente allo Spazio economico europeo (SEE).
(4) Sul tema R. SCHNORR, Le Exit tax nella disciplina tedesca alla luce dei casi De Lasteyrie du Saillant e N, in Studi tributari europei, n. 1/2009. L’autore, riprendendo quanto stabilito dal quinto comma del paragrafo 6 del AStG, elenca le quattro cause che comportano la revoca della sospensione: (1) il contribuente cede le partecipazioni o realizza una fattispecie impositiva analoga; (2) le partecipazioni sono cedute a titolo gratuito ad una persona non soggetta, in uno Stato dell’Unione europea o dello SEE, ad un’imposizione sul reddito mondiale analoga a quella tedesca; (3) si attua un passaggio delle partecipazioni dalla sfera d’impresa a quella privata o ad una situazione allo stesso paragonabile che, secondo il diritto interno, conduce ad una valutazione a valore parziale o a valore in comune commercio; (4) per effetto del successivo trasferimento della residenza, da parte del contribuente o del suo avente causa non si può più rinvenire in un altro Stato dell’Unione europea o dello SEE una tassazione del reddito mondiale equiparabile a quella tedesca.
(5) Cfr. Corte Giust. CE, sez. II, 7 settembre 2006, causa C-470/04, N contro Inspecteur van de Belastingdienst Oost/kantoor Almelo in Boll. Trib. On-line.
(6) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 21 maggio 2015, causa C-657/13, Verder LabTec GmbH & Co. KG contro Finanzamt Hilden; e le Conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen del 26 febbraio 2015, causa C-657/13, Verder LabTec GmbH & Co. KG contro Finanzamt Hilden; entrambe in Boll. Trib. On-line. In entrambi i documenti viene effettuata un’analisi del contesto normativo riguardante la c.d. separation taxation. Con riferimento alla disciplina antecedente alla SEStEG del 2006 si afferma che non era prevista nessuna norma di legge sull’argomento, ma si faceva affidamento su quanto stabilito dalla Corte federale tributaria (Bundesfinanzhof) del 16 luglio 1969. Con tale sentenza il giudice aveva stabilito che, poiché il diritto impositivo delle Stato tedesco sulle plusvalenze latenti fosse venuto meno nei casi di trasferimento di parte del patrimonio aziendale ad una stabile organizzazione estera da parte di un contribuente tedesco, tale attivo doveva essere valutato al momento del prelevamento con l’inserimento di un utile annuale corrente nel bilancio della società nel caso in cui il valore al trasferimento fosse stato maggiore di quello contabile. L’Amministrazione finanziaria tedesca aveva inoltre deciso di non tassare interamente l’utile emerso al momento del trasferimento dei beni aziendali, consentendo alla società di creare una posta di bilancio compensativa con lo scopo di neutralizzare l’utile.
(7) Cfr. R. SCHNORR, op. cit. L’autore evidenzia che, mentre il regime previsto per le persone fisiche prevede la possibilità di rateizzare l’imposta, quello per le persone giuridiche non prevede niente di analogo. Secondo lo stesso autore tale differenza è da attribuire a un errore commesso dal legislatore, in quanto è opinione comune in dottrina che anche le persone giuridiche possano usufruire di tale sospensione.
(8) Corte Giust. UE, sez. III, 21 maggio 2015, causa C-657/13, Verder LabTec GmbH & Co. KG contro Finanzamt Hilden, in Boll. Trib. On-line. Il caso tratta di una società in accomandita semplice con sede in Germania che ha trasferito, nel maggio 2005, diritti relativi a immobilizzazioni immateriali alla propria stabile organizzazione situata in Olanda.
(9) Cfr. Corte Giust. UE causa C-657/13 del 2015, punti 47 e 52, cit.
(10) Per maggiori dettagli si rimanda al cap. 1, par. 2.2.1.
(11) Direttiva 2011/16/UE del Consiglio del 15 febbraio 2011 relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la Direttiva 77/99/CEE.
(12) Informazioni tratte dalla banca dati IBFD.
(13) Si fa riferimento agli artt. 25 e 26 del Invorderingswet (IW).
(14) Cfr. Corte Giust. CE, sez. V, 11 marzo 2004, causa C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant contro Ministère de l’Économie, des Finances et de l’Industrie, in Boll. Trib. On-line.
(15) In tale data il Governo olandese ha presentato il Piano fiscale per l’anno 2016.
(16) Cfr. Fisconti.com, Changes in Dutch Taxation for 2016; e Pwc.nl, Dutch Tax Package 2016. Measures effecting an emigrating director/substantial shareholder.
(17) Informazioni tratte dalla banca dati IBFD.
(18) Inizialmente la Commissione aveva inviato un parere motivato ai Paesi Bassi il 18 marzo 2010 (IP/10/299), successivamente, in data 24 novembre 2010 era stato emesso, sempre dalla Commissione, un comunicato stampa (IP/10/1565) nel quale si annunciava la decisione di deferimento. Per approfondimenti si veda European Commission, Direct taxation: The European Commission requests Belgium, Denmark and the Netherlands to change restrictive exit tax provisions for companies and closes a similar case against Sweden; e European Commission, Taxation: Commission refers Denmark, The Netherlands and Spain to EU Court over exit tax rules, tratti da Europa.eu.
(19) Preme sottolineare che il codice civile dei Paesi Bassi prevede che le società, per poter essere considerate persone giuridiche di diritto olandese, abbiano stabilito la propria sede legale all’interno dello Stato, indipendentemente dalla sede effettiva dell’amministrazione. Ciò può portare a fenomeni di doppia imposizione, risolti tuttavia dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Secondo quanto stabilito dall’art. 4 del modello OCSE la residenza fiscale di una persona giuridica deve essere determinata con riferimento alla sede dell’amministrazione effettiva, quindi una società olandese con sede legale in Olanda ma con sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro non è assoggettata al potere impositivo dei Paesi Bassi. Si avrà dunque che il trasferimento della sede amministrativa non comporta lo scioglimento della società, ma richiede, a livello fiscale, l’applicazione di una exit tax in quanto è da considerarsi trasferita la residenza fiscale della società. Cfr. S. BOERS, L’impatto del diritto UE sulla normativa olandese in materia di exit tax, in Studi tributari europei, 1/2009.
(20) Corte Giust. UE, sez. VII, 31 gennaio 2013, causa C-301/11, in Boll. Trib. On-line. Tale causa deriva dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione il 16 giugno 2011 nei confronti dei Paesi Bassi poiché quest’ultima non è stata soddisfatta delle risposte che ha ricevuto dall’Olanda nella fase pre-contenziosa della succitata procedura che, si ricorda, essere iniziata prima della sentenza National Grid Indus (29 novembre 2011).
(21) Il Ministro delle finanze olandese aveva tuttavia emanato un decreto poco dopo la sentenza della Corte nel quale si concedeva al contribuente la possibilità di scegliere tra il pagamento immediato dell’imposta o il differimento della stessa. Cfr. P. MERKS – G. VAN GELDER, Dutch Legistlation Targets Deferral of Exit Taxes, in Tax Notes international, 2012, 998; e A. LOUWINGER – A. FORTUIN, Dutch Exit Tax Rules Restrict Freedom of Establishment, ECJ Says, ivi, 2013, 529.
(22) Cfr. P. MERKS – G. VAN GELDER, Dutch Legistlation Targets, op. cit.
(23) Legge n. 35/2006 relativa all’IRPEF e recante modifica parziale delle leggi relative alle imposte sulla società, sul reddito dei non residenti e sul patrimonio (Ley 35/2006 del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas y de modificación parcial de las leyes de los Impuestos sobre Sociedades, sobre la Renta de no residentes y sobre el Patrimonio).
(24) Cfr. M. GOMARIZ, The New Spanish Exit Tax on Unrealized Gains Made By Individuals Moving Abroad, in Global Tax Weekly. A closer look, 2014, 25 ss.; A. SPENCE CLARKE, Spain’s newly introduced exit tax and how it affects those moving away, in Spenceclarke.com; e AZCONA ASOCIADOS, Alert: Spanish exit tax on individuals moving abroad, in Azconaasociados.com.
(25) Si fa riferimento alla nuova formulazione dell’art. 14, par. 3. Corte Giust. UE, sez. I, 12 luglio 2012, causa C-269/09, Commissione Europea vs Regno di Spagna, in Boll. Trib. On-line, che aveva ritenuto contraria ai principi sanciti dal TFUE l’allora disciplina che stabiliva che «in caso di perdita della sua qualità di contribuente a motivo di un cambiamento di residenza, tutti i redditi non ancora imputati della persona interessata dovranno essere inclusi nella base imponibile corrispondente all’ultimo periodo d’imposta che deve essere oggetto di dichiarazione a titolo di tale imposta, alle condizioni previste dalla legge, procedendo eventualmente ad un’autoliquidazione complementare senza applicazione di sanzioni né interessi di mora né sovrattasse”.
(26) Corte Giust. UE, sez. II, 25 aprile 2013, causa C-64/11, in Boll. Trib. On-line. Per approfondimenti si veda F.M. GIULIANI, Trasferimento di residenza societaria intra-UE, tassazione di plusvalenze latenti e libertà di stabilimento, in il fisco, 2013, 3283.
(27) Ley de Presupuestos Generales del Estado para el año 2014, legge 23 dicembre 2013, n. 22 (legge finanziaria del 2014).
(28) Informazioni tratte dalla banca dati IBFD.
(29) Codice fiscale sul reddito delle persone fisiche (Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Singulares).
(30) Cfr. European Commission, Direct taxation: The European Commission requests Portugal to amend restrictive exit tax provisions for individuals; e European Commission, Taxation: Commission refers Portugal to Court over exit taxation for individuals, tratti da Europa.eu.
(31) L’introduzione è avvenuta con la legge 30 dicembre 2005, n. 60-A (legge finanziaria del 2006).
(32) Cfr. Corte Giust. UE, sez. IV, 6 settembre 2012, causa C-38/10, Commissione europea contro Repubblica portoghese, in Boll. Trib. On-line.
(33) Si veda J.F. PINTO NOGUEIRA, L’exit tax sulle società in Portogallo, in Studi tributari europei, n. 1/2010, il quale afferma che «il mantenimento di una sola delle due [sede legale e sede della direzione effettiva] nello Stato di origine è sufficiente per qualificare il soggetto come residente e, di conseguenza, l’exit tax non potrà essere applicata».
(34) Cfr. Corte Giust. UE, sez. grande, 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus BV contro Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam, in Boll. Trib. On-line.
(35) Corte Giust. UE causa C-38/10 del 2012, cit.
(36) Così J.F. PINTO NOGUEIRA, op. cit.
(37) Cfr. R. CAMACHO PALMA, Portugal-Corporate Income Tax Reform Budget Law for 2014 and Amendments to the Budget Law for 2013: Main tax features, tratto da Linklaters.com; e J.F. PINTO NOGUEIRA, op. cit.
(38) Si veda le regole generali sul differimento dell’exit tax, infra.
(39) La legge 26 febbraio 2015, n. L98, in vigore dal 1° marzo, ha introdotto la possibilità anche per gli imprenditori individuali di dilazionare il pagamento della tassa in uscita. Precedentemente non era prevista nessuna disposizione in tale senso.
(40) Non è necessario prestare garanzie se il contribuente trasferisce la propria residenza in un Paese coperto dalla Direttiva sul recupero dei crediti (Direttiva 2010/24/UE del 16 marzo 2010) o dalla Nordic Mutual Assistance Convention.
(41) Il tasso di interesse applicato annualmente è il maggiore tra il 3% e il tasso di sconto della Banca Nazionale Danese aumentato di un punto percentuale.
(42) Informazioni tratte dalla banca dati IBFD.
(43) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 18 luglio 2013, causa C-261/11, Commissione europea contro Regno di Danimarca in Boll. Trib. On-line.
(44) Cfr. J. CONDER – O. COURT, England and Wales, in J. RHODES, Private Client Tax: Jurisdictional comparisons, European Lawyer Reference, 2014, 71-72.
(45) Commissione Europea, IP/12/285.
(46) In questo caso entrambe le società avevano due anni di tempo per scegliere tra un differimento dell’imposta e il pagamento immediato. Nel primo caso se i beni la cui plusvalenza era stata differita fossero stati venduti dalla società trasferita nei sei anni successivi, o la società controllante avesse cessato di essere residente nel Regno Unito ovvero avesse venduto le azioni della società emigrante, l’imposta doveva essere pagata immediatamente. Cfr. D. JERVIS, Exit Taxes and Europe – where are we now?, tratto da Eversheds.com.
(47) Informazioni tratte da banca dati IBFD.
(48) Ved. supra cap. 2, par 3.1.1.
(49) Cfr. G. MORRISON – COUDERC – W. PHILLIPS, French Exit Tax. Clarifications on the Reporting Formalities, tratto da Pwc.com.
(50) Cfr. G. MORRISON – COUDERC – W. PHILLIPS, op. cit.; e Chambariere Notaire & Associés, Leaving France? Be cautious, you may be subject to exit tax on your intangible personal property, tratto da Chambariere-notaires.fr.
(51) Cfr. S. MAYR, Effetti del trasferimento della sede all’estero, in Corr. trib., 1995, 2707.
(52) Non deve trarre in inganno la denominazione dell’ex art. 20-bis (“trasferimento di sede all’estero”) in quanto, come specificato nel primo periodo del primo comma, la disposizione non si applica solo nel caso di trasferimento di sede societaria, ma anche ad alcune categorie di soggetti IRPEF che trasferiscono la residenza.
(53) All’interno di tale sezione sono presenti le disposizioni comuni all’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’imposta sul reddito delle società.
(54) Così l’art. 166 contenuto nel D.Lgs. n. 344/2003.
(55) I soggetti a cui è applicato l’art. 166 sono pertanto: le persone fisiche (art. 2); le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato [art. 73, primo comma, lett. a)]; gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [art. 73, primo comma, lett. b)].
(56) Sul punto si veda la posizione favorevole di M. PIAZZA, op. cit., 901, e l’interpretazione più dubitativa di S. MAYR, Effetti del trasferimento della sede all’estero, cit., 2707, il quale sostiene che l’art. 20-bis parla genericamente di imprese commerciali, senza specificare tra esercizio in modo principale o meno dell’attività commerciale.
(57) N. SACCARDO, Le proposte di modifica al regime del trasferimento all’estero della residenza, in Riv. dir. trib., 2003, 172, sostiene che «la mancata ricomprensione degli enti non commerciali residenti nel novero dei soggetti ai quali è applicabile l’art. 168 [da leggere 166, n.d.r.] sembra ascrivibile ad un difetto di coordinamento al momento della stesura definitiva del testo del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri».
(58) La chiusura del primo comma dell’art. 166 recitava infatti «per le imprese individuali si applica l’articolo 16 [da leggere 17, n.d.r.], comma 1 lettera g)».
(59) Cfr. M. NUSSI, Trasferimento della sede e mutamento della residenza fiscale: spunti in tema di stabile organizzazione e regime dei beni d’impresa, in Rass. trib., 1996, 1341; A. DRAGONETTI – V. PIACENTINI – A. SFRONDRINI, Manuale di fiscalità internazionale, Milano, 2014, 353 ss.; e S. MAYR, Effetti del trasferimento della sede all’estero, cit., 2707.
(60) D.Lgs. n. 344/2003.
(61) La nozione tributaria e quella civilistica di impresa commerciale non coincidono nell’ordinamento italiano. Infatti, mentre nel primo caso l’art. 55 del TUIR fornisce una definizione puntuale del concetto di impresa commerciale, nel codice civile non è invece presente una vera e propria definizione. Tuttavia, civilisticamente, tale nozione è ricavata in modo indiretto dalla lettura congiunta degli artt. 2082 e 2195 c.c.
(62) Per valore normale si intende «il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».
(63) Di questa opinione S. MAYR, Effetti del trasferimento della sede all’estero, cit., 2707; A. DRAGONETTI – V. PIACENTINI – A. SFRONDRINI, op. cit., 351; M. PIAZZA, op. cit., 903; e S. FIORENTINI, Effetti del trasferimento all’estero della sede sociale, in Corr. trib., 1995, 1668. Di opinione contraria E. VOLPICELLA, Il trasferimento della sede della società tra diritto nazionale e giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, in il fisco, 2012, 849.
(64) Così S. MAYR, Effetti del trasferimento della sede all’estero, cit., 2707; e A. DRAGONETTI – V. PIACENTINI – A. SFRONDRINI, op. cit., 351.
(65) In questo caso potrebbero sorgere problemi di doppia imposizione, in quanto i plusvalori potrebbero essere assoggettati a tassazione oltre che in Italia, anche nello Stato in cui il soggetto ha trasferito la propria residenza e/o nello stato in cui è localizzata la stabile organizzazione. A tale fine, con il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199 (Attuazione della direttiva 2005/19/CE che modifica la direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi di azione concernenti società di Stati membri diversi) il legislatore, modificando il terzo comma dell’art. 179 del TUIR, ha introdotto un notional tax credit (credito d’imposta virtuale) da detrarre dall’ammontare dovuto dell’exit tax italiana riferita alla stabile organizzazione estera. In questo modo si eviterà la doppia tassazione del contribuente. È opportuno sottolineare come tale credito d’imposta non ha ragione di essere concesso nel caso in cui lo Stato estero (sia esso quello di destinazione o quello in cui è localizzata la stabile organizzazione) esenti la tassazione dei plusvalori relativi alla stabile organizzazione.
(66) Così si esprime P. FRANZONI, La stabile organizzazione nelle imposte sui redditi, Milano, 2014, 85; secondo l’autore e la dottrina da lui citata, la “source taxation” può essere considerata l’alternativa alla stabile, con la differenza che, nel primo caso, non è richiesta l’esistenza di una sede d’affari nel Paese estero.
(67) Cfr. Corte Giust. UE causa C-371/10 del 2011, cit., National Grid Indus BV contro Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam.
(68) Cfr. D. DE SANTIS, L’exit tax: aspetti di doppia imposizione internazionale tuttora irrisolti, in il fisco, 2013, 6202.
(69) Cfr. Corte Giust. UE causa C-371/10 del 2011, punto 78, cit.
(70) Vedi S. ARMELLA – L. UGOLINI, Exit tax: sospesa la tassazione delle plusvalenze latenti fino all’effettivo realizzo, in Corr. trib., 2012, 1283.
(71) Il comma 2-quinquies sancisce: «Con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze di natura non regolamentare sono adottate le disposizioni di attuazione del comma 2-quater, al fine di individuare, tra l’altro, le fattispecie che determinano la decadenza della sospensione, i criteri di determinazione dell’imposta dovuta e le modalità di versamento».
(72) Sul tema S. MAYR, Trasferimento della residenza delle società: i problemi che dovrà affrontare il decreto attuativo, in Boll. Trib., 2012, 331. L’autore individua otto diverse questioni che ritiene debbano essere trattate dal decreto attuativo: (a) stabilire se l’opzione per la sospensione sia da applicare a tutti i beni oppure se sarà possibile optare per il differimento solo per determinate categorie; (b) chiarire se i beni immateriali, quali know how, marchi e avviamento siano da comprendere o meno nel calcolo della plusvalenza latente; (c) definire le modalità di calcolo del plusvalore latente: ci si chiede infatti se il “valore normale” richiamato dall’art. 166 del TUIR sia inteso nell’accezione prevista dai commi 3 e 4 dell’art. 9 del TUIR ovvero se si debba fare riferimento al concetto di valore “at arm’s length” così come definito dal Rapporto OCSE del 22 luglio 2010; (d) chiarire se, per individuare il momento di realizzo che comporta l’interruzione della sospensione, si debba usare i criteri dell’ordinamento interno o quelli del Paese estero; (e) specificare il trattamento delle “latenti” variazioni in diminuzione del reddito imponibile e dei plusvalori che risultano già tassati nei casi in cui i nuovi valori fiscali siano riconosciuti al termine di un periodo di tempo dall’affrancamento dei valori e si ha, durante tale periodo, il trasferimento di residenza; (f) eventuali garanzie ed interessi da applicare in caso di differimento dell’imposta; (g) come trattare le perdite pregresse nei casi in cui i beni non confluiscano in una stabile organizzazione; (h) chiarire quale documentazione è richiesta dall’Amministrazione alla società che trasferisce la propria residenza.
(73) Si ricorda che la sentenza della Corte di Giustizia europea è stata emessa il 29 novembre 2011.
(74) Cfr. G. ASCOLI, Exit taxation: quadro sistematico della disciplina, in il fisco, 2014, 2033.
(75) Attualmente il SEE conta 31 membri. Appartengono infatti allo Spazio economico europeo, oltre ai 28 Paesi membri dell’Unione europea, anche Norvegia, Islanda e Liechtestein. Di questi tre Paesi, solo i primi due rispettano i requisiti imposti dall’art. 166 del TUIR per potere usufruire della sospensione dell’imposta. Sul punto ved. circ. Assonime 20 febbraio 2014, n. 5, Il trasferimento all’estero della residenza delle società: l’analisi del decreto attuativo del comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR alla luce dei principi comunitari.
(76) Circ. Assonime n. 5/2014, cit.
(77) Si veda circ. Assonime n. 5/2014, cit.; R. MICHELUTTI – A. PRAMPOLINI, Oggetto, presupposto e momento impositivo della exit tax, in Corr. trib., 2013, 3559; e L. MIELE, Trasferimento oltrefrontiera con effetti differenziati, in Il Sole 24 Ore del 21 febbraio 2014.
(78) Per meglio comprendere quanto detto, si riporta un esempio tratto da C. BENIGNI, L’Assonime commenta l’exit tax, in Pratica fisc. prof., 2014, 39. Alfa Spa ha la sede legale in Italia e una stabile organizzazione in Germania. Il 30 aprile 2014 trasferisce la propria sede legale in Francia. Alfa Spa sarà considerata residente in Francia a partire dal 1° gennaio 2014, con la conseguenza che: (a) le plusvalenze sulla stabile organizzazione in Germania dovranno essere calcolate al 31 dicembre 2013 e incluse nel reddito 2013 della Alfa Spa (ultimo esercizio in cui era residente fiscale in Italia). La Alfa Spa potrà comunque beneficiare del differimento nella tassazione fino all’effettivo realizzo, o della rateizzazione in 10 anni; (b) il reddito della Alfa Spa del periodo 1 gennaio-30 aprile sarà tassato in Italia, solo per i redditi prodotti in Italia (senza considerare la stabile organizzazione tedesca); (c) le plusvalenze relative all’azienda italiana saranno calcolate al 1° maggio 2014 e incluse nel reddito della stabile organizzazione italiana del periodo intermedio. La tassazione sulle plusvalenze potrà comunque essere sospesa fino all’effettivo realizzo, o rateizzata in 10 anni.
(79) Nella citata sentenza resa nella causa C-38/10 del 2012 la Corte di Giustizia ha infatti affermato che, nel caso in cui il trasferimento comporti la dismissione degli attivi e quindi la conseguente cessazione dell’attività della stabile organizzazione, è legittima la richiesta di una tassazione immediata sulle plusvalenze latenti.
(80) Si veda circ. Assonime n. 5/2014, cit., 32; e D. AVOLIO – G. FORT, Exit tax e trasferimento all’estero della stabile organizzazione, in Fiscalità internaz., 2014, 1412.
(81) Per completezza si specifica che parte della dottrina non concorda con l’interpretazione qui riportata. Sul tema si veda circ. Assonime n. 5/2014, cit., 54.
(82) Il costo fiscalmente residuo si ottiene sottraendo al costo di acquisto gli ammortamenti e le svalutazioni e sommando le rivalutazioni fiscalmente rilevanti.
(83) Suddivisione ripresa da R. MICHELUTTI – A. PRAMPOLINI, Riporto delle perdite nella exit tax, in Corr. trib., 2013, 3655.
(84) Ibidem.
(85) Circ. Assonime 22 dicembre 2011, riguardante la nuova disciplina di riporto delle perdite per i soggetti IRES.
(86) Assonime afferma infatti che, nel caso in cui la società che trasferisce la propria residenza all’estero mantenga una stabile organizzazione sul territorio italiano, la compensazione della perdita con il reddito relativo all’ultimo esercizio segue i principi dettati dall’art. 84 del TUIR. Cfr. C. BENIGNI, op. cit., 43.
(87) Si veda C. GALASSI – L. MIELE, Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della exit tax, in Corr. trib., 2013, 2598.
(88) Di questa opinione R. MICHELUTTI – A. PRAMPOLINI, Riporto delle perdite nella exit tax, 3655, cit.; e circ. Assonime n. 5/2014, cit., 63.
(89) Ibidem.
(90) Il primo periodo del sesto comma dell’art. 1 del Decreto prevede che «le imposte sui redditi oggetto di sospensione sono versate nell’esercizio in cui si considerano realizzati, ai sensi delle disposizioni del TUIR, gli elementi dell’azienda o del complesso aziendale trasferiti».
(91) Circ. Assonime 17 dicembre 2014, n. 33, Le modifiche della disciplina dell’exit tax: il Decreto ministeriale del 2 luglio 2014 e il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 10 luglio 2014.
(92) Provv. 10 luglio 2014, Trasferimento all’estero della residenza fiscale dei soggetti che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’articolo 166 del TUIR. Definizione delle modalità e delle condizioni di esercizio dell’opzione di cui al comma 2-quater dell’articolo 166 del TUIR, ai sensi del Decreto ministeriale previsto dal successivo comma 2-quinquies.
(93) Circ. Assonime n. 33/2014, cit.; R. MICHELUTTI, Exit tax con buco per il Fisco, in Il Sole 24 Ore del 17 luglio 2014; e G. TROMBESI – A. DRAGONETTI, Tassazione all’uscita: i dubbi interpretativi ancora irrisolti, in il fisco, 2015, 1463.
(94) Comma quinto dell’art. 1 del D.M. 2 luglio 2014.
(95) Al punto 8 del Provvedimento si specifica che «nel caso in cui il termine di cui al punto 1 sia già scaduto o scada nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, i soggetti ivi indicati dovranno presentare l’apposita comunicazione entro i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale da ultimo citato».
(96) Per quanto riguarda le società che hanno l’obbligo di presentare il modello Unico SC 2015 è il quadro TR quello che deve essere compilato al fine di monitorare le plusvalenze sospese. Sul tema G. ALBANO, Exit tax: la disciplina del tax deferral in Unico SC 2015, in Corr. trib., 2015, 1513.
(97) Così si esprimono L. MIELE – V. RUSSO, Con le correzioni alla exit tax cambiano le modalità e condizioni di esercizio dell’opzione, in Corr. trib., 2014, 2447.
(98) Il punto 6.1 del Provv. 10 luglio 2014 prevede che «il contribuente decade dal beneficio della sospensione o della rateazione, oltre che nelle ipotesi previste dall’articolo 1, comma 8, del decreto, nelle seguenti ipotesi: (a) la mancata presentazione della garanzia o il mancato rinnovo della stessa; (b) il venir meno della garanzia in assenza dell’autorizzazione dell’Ufficio territorialmente competente o comunque delle condizioni di cui al punto 5; (c) la mancata presentazione della dichiarazione di cui al punto 3.1 solo in caso di opzione per la sospensione; (d) il mancato assolvimento dell’obbligo di tenuta e conservazione della documentazione di cui al punto 2.1; (e) la mancata risposta al questionario di cui al punto 2.2; (f) la mancata comunicazione della variazione dell’indirizzo di cui al punto 2.1, lettera g); (g) il mancato pagamento di una rata o di una quota degli importi dovuti, salve le ipotesi di ravvedimento previste dall’ordinamento».
(99) Si veda G. TOMBESI – A. DRAGONETTI, Tassazione all’uscita (exit tax): i dubbi interpretativi irrisolti, in il fisco, 2015, 1463; L. MIELE – V. RUSSO, Exit tax e coerenza del sistema dei beni di impresa, in Corr. trib., 2010, 630; e L. MIELE – M. MIELE, Legittima la exit tax solo se a riscossione differita, ivi, 2012, 113.
(100) Disposizione contenuta nell’art. 11, comma 1, punto b), del D.Lgs. n. 147/2015.
(101) Così si esprimono S. ARMELLA – L. UGOLINI, Ampliati i casi di differimento della exit tax, in Corr. trib., 2015, 4187.
(102) Cfr. M. PIAZZA – G. D’ANGELO, Revisione della exit tax: estensione a fusioni, scissioni e rami di stabili organizzazioni, in il fisco, 2015, 2134; S. ARMELLA – L. UGOLINI, Ampliati i casi di differimento della exit tax, cit.; G. ALBANO, Exit tax – Il trasferimento all’estero conseguente ad operazioni straordinarie può beneficiare del regime di tax deferral, in La gestione straordinaria delle imprese, 2015, 42; e L. MIELE, Exit tax, rinvio a tutto campo, in Il Sole 24 Ore del 12 settembre 2015.
(103) Il primo comma dell’art. 11 del Decreto prevede infatti che «al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 166, comma 2-quater, le parole: “in conformità ai principi sanciti dalla sentenza 26 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus BV sono soppresse”».

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