11 Ottobre, 2016

Si consolida la giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla piena emendabilità della dichiarazione tributaria, entro i termini decadenziali dell’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, senza che rilevi la tipologia dell’errore (formale o sostanziale) che si intenda far valere. La sentenza in esame segue infatti di pochi giorni la pronuncia n. 4049/2015 (1) della stessa Corte, orientata nella medesima direzione.
Vale al riguardo ricordare come la piana conclusione raggiunta nell’annotata decisione sia stata nel recente passato ostacolata da una irragionevole interpretazione del disposto di cui all’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. In forza di questa disposizione, «le dichiarazioni dei redditi … possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o comunque di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare … non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo». Ed invero, sulla base di una lettura, che dovrebbe ritenersi definitivamente abbandonata, proposta sia dalla prassi amministrativa (2) che dalla giurisprudenza (3), la disposizione appena riportata avrebbe implicitamente abrogato l’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, con l’effetto che l’unica modalità ammessa per la rettifica della dichiarazione avrebbe dovuto rinvenirsi in tale previsione e che, oltrepassato il termine della dichiarazione successiva, non sarebbe più stata possibile alcuna correzione.
L’assurdità di tale interpretazione è di palese evidenza. Sotto il profilo sistematico, non è infatti ravvisabile alcuna giustificazione razionale ad una simile compressione dei diritti del contribuente, che verrebbe privato d’improvviso, e per di più in assenza di qualsivoglia disciplina transitoria, del potere di correggere una dichiarazione di scienza, in chiaro spregio ai principi costituzionali che reggono l’imposizione tributaria (4). Senza trascurare come una simile lettura si porrebbe in insanabile contrasto con il principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, che dovrebbe informare gli ordinamenti degli Stati membri, anche al di là della materia propriamente armonizzata (5).
Ma l’interpretazione qui contestata non regge neppure sotto il profilo strettamente letterale. Non è difficile invero scorgere la ratio della previsione innanzi richiamata nella mera facoltà, accordata al contribuente, di recuperare immediatamente il credito derivante dalla correzione della dichiarazione attuata con la denuncia integrativa attraverso la compensazione nel modello F24, anziché con le ordinarie procedure di rimborso (6). Sta di fatto che si è dovuti arrivare a una simile conclusione, alla quale evidentemente aderisce la pronuncia in commento, dopo molteplici sbandamenti della Suprema Corte che ha offerto letture spesso disorientanti della disciplina della correzione della dichiarazione. Vale in questa sede ricordare, tra l’altro, la sentenza n. 20415/2014 (7), con la quale la Corte di Cassazione ha affermato che mentre la correzione degli errori formali può essere fatta valere anche in sede contenziosa, e dunque oltre il termine della denuncia successiva, la regolarizzazione degli errori di carattere sostanziale, sempre a danno del contribuente, dovrebbe avvenire unicamente attraverso la procedura di cui al sopra citato art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998. Anche questa interpretazione appare, in realtà, fuorviante, oltre che priva di alcun appiglio normativo.
Grazie agli ultimi approdi giurisprudenziali e alle più recenti prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria (8), si può ora affermare che la situazione si va consolidando sulla base di principi pienamente condivisibili. Merita, in particolare, totale adesione il rinvenimento del fondamento giuridico della emendabilità della dichiarazione nel principio di capacità contributiva, inteso come diritto del contribuente a versare le imposte sul reddito effettivamente conseguito. Sul punto, appaiono oramai concordi i precedenti di prassi e di giurisprudenza innanzi richiamati.
È sempre possibile dunque correggere la dichiarazione attraverso la presentazione della denuncia integrativa, entro l’anno successivo, facendo così valere il diritto alla compensazione dell’eccedenza di imposta così emergente, ovvero per mezzo della proposizione di una istanza di rimborso, entro i termini decadenziali di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973.
Residuano dei dubbi sulla possibilità di correggere la dichiarazione anche nelle ipotesi in cui l’errore commesso a sfavore del contribuente non si risolva in una immediata pretesa restitutoria nei confronti dell’Agenzia delle entrate. Si pensi ad esempio all’emersione di una maggiore perdita d’esercizio o di un maggior credito d’imposta che non abbiano ancora trovato capienza in grandezze “positive” per l’Amministrazione finanziaria.
In tali circostanze, la strada “maestra” dovrebbe essere rappresentata dalla presentazione di una dichiarazione integrativa, entro i termini decadenziali dell’accertamento, ai sensi dell’art. 2, ottavo comma, del D.P.R. n. 322/1998. Questa possibilità risulta tuttavia, allo stato, irragionevolmente e reiteratamente resistita dalla prassi amministrativa, secondo cui, invece, la previsione in esame sarebbe riferita unicamente alle dichiarazioni tardive presentate a sfavore del contribuente, per portare a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria le violazioni tributarie poste in essere dal soggetto passivo (9).
L’assetto legislativo di riferimento risulta però mutato, per effetto delle modifiche apportate dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015).
Va in particolare ricordato che, da un lato, l’istituto del ravvedimento è stato reso applicabile senza scadenze temporali predeterminate, alla sola condizione che non sia stato ricevuto un atto impositivo, e dall’altro lato, è stata modificata la previsione del sopra citato art. 2, ottavo comma, del D.P.R. n. 322/1998, con l’inserzione dell’inciso «ferma restando l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni».
Per doverosa completezza si aggiunge che con l’art. 1, comma 640, della sopra citata legge n. 190/2014, si è stabilito che «nelle ipotesi di presentazione di dichiarazione integrativa ai sensi degli articoli 2, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, e 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni», i termini di decadenza per l’accertamento, per la liquidazione delle dichiarazioni e per i controlli formali «decorrono dalla presentazione di tali dichiarazioni, limitatamente agli elementi oggetto dell’integrazione».
Il quadro normativo così composto presenta indubbiamente profili di non facile decifrazione che tuttavia sembra possibile ricostruire in forza di una interpretazione di carattere sistematico.
Sembra in primo luogo da escludere che la presentazione di una dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, ottavo comma, del più volte citato D.P.R. n. 322/1998, sia ammissibile solo se questa è a sfavore del contribuente, in ossequio alla tradizionale interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate. Osta a tale conclusione la circostanza, emergente dal comma 640 dell’art. 1 della citata legge di stabilità 2015, che lo stesso dettato normativo ammette espressamente la dichiarazione tardiva tanto nell’ipotesi del ravvedimento (10) che in quella prevista dal regolamento del 1998, e a legislazione vigente non si vede in quale ipotesi il contribuente possa avere interesse a presentare una dichiarazione integrativa a suo sfavore senza ricorrere all’istituto del ravvedimento. L’unica soluzione logica è quella, dunque, di ritenere possibile la denuncia integrativa, entro i limiti decadenziali dell’accertamento, anche a favore del contribuente, in alternativa alla presentazione dell’istanza di rimborso. È evidente che il contribuente avrà interesse ad avvalersi della modalità della denuncia integrativa, in luogo dell’istanza di rimborso, in tutti i casi in cui egli non vanti una pretesa restitutoria nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, come accade, per l’appunto, laddove emerga una maggiore perdita o un maggior credito d’imposta (11).
D’altro canto, la strada aperta dalla citata circolare n. 31/E del 2013 dell’Agenzia delle entrate pare condurre nella medesima direzione qui auspicata. Anche in tale documento di prassi si prende infatti in esame l’ipotesi della correzione della dichiarazione con esiti diversi da pretese restitutorie nei confronti del fisco (12). L’unica particolarità consiste nel fatto che laddove l’errore originario risalga ad un anno anteriore a quello emendabile tramite la previsione di cui al sopra ricordato art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998, gli Uffici dell’Agenzia delle entrate richiedono che il contribuente provveda ad una autoliquidazione di tutte le dichiarazioni intermedie e che l’esito finale di tali conteggi confluisca nella dichiarazione di sintesi, riferita all’ultimo anno per il quale risulta ancora utilmente ricorribile la denuncia integrativa di cui al ridetto comma 8-bis. Detto in altri termini, l’Amministrazione finanziaria sembra ammettere la correzione delle dichiarazioni senza limiti temporali, che non siano quelli decadenziali dell’attività di accertamento ovvero dell’istanza di rimborso, e senza preclusioni di sorta in ordine all’oggetto della correzione (13), con l’unico limite rappresentato dall’esigenza di ricevere solo la dichiarazione integrativa finale di sintesi di tutte le correzioni intermedie. Come si vede il passo verso la piena validità delle denunce integrative tardive (14) non è lungo, ancor più alla luce delle modifiche legislative apportate dalla legge di stabilità n. 190/2014, sopra sintetizzate.
Né può seriamente opporsi a tale ricostruzione interpretativa la considerazione secondo cui la procedura delineata nella menzionata circolare n. 31/E del 2013 trova applicazione solo con riferimento agli errori contabili, e non alla generalità delle correzioni. In primo luogo, è assai dubbio che questa sia l’opinione dell’Agenzia delle entrate, come è dato desumere dai documenti di prassi successivi in cui la suddetta scansione adempimentale viene richiamata in un contesto diverso dalla correzione degli errori contabili (15). E in secondo luogo si osserva inoltre che se davvero il fondamento del diritto del contribuente ad emendare la dichiarazione tributaria trova origine nelle disposizioni di ordine costituzionale poste a tutela dell’esatto assolvimento degli obblighi tributari, non si vede come se ne possa comprimere l’ambito senza contravvenire ai medesimi principi di vertice (16).
In conclusione, i tempi sono maturi perché giurisprudenza e prassi affermino con chiarezza la facoltà del contribuente di provvedere senza condizionamenti di sorta alla correzione degli errori dichiarativi. I passi nella giusta direzione sono stati già mossi da entrambe le parti.

Dott. Luigi Lovecchio

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 27 febbraio 2015, n. 4049, in Boll. Trib. On-line e di prossima pubblicazione in questa stessa Rivista.
(2) Ci si riferisce alla ris. 14 febbraio 2007, n. 24/E, in Boll. Trib., 2007, 442, poi in realtà superata dalla ris. 2 dicembre 2008, n. 459/E, ivi, 2009, 119, e dalla prassi amministrativa successiva dell’Agenzia delle entrate.
(3) Nel senso qui contestato sembra propendere Cass., sez. VI, 24 giugno 2014, n. 14294, in Boll. Trib. On-line.
(4) Artt. 3 e 53 Cost.
(5) Le affermazioni del principio di proporzionalità da parte della Corte di Giustizia europea sono innumerevoli e riguardano molteplici campi del diritto. Tra le tante ved. Corte Giust. CE 19 febbraio 2002, causa C-309/99; Corte Giust. UE, sez. grande, 19 maggio 2009, causa C-171/07; Corte Giust. UE, sez. IV, 16 febbraio 2012, cause riunite C-72/10 e C-77/10; Corte Giust. UE, sez. II, 10 maggio 2012, cause riunite C-357/10, C-358/10 e C-359/10; e Corte Giust. UE, sez. VI, 17 luglio 2014, causa C-272/13; tutte in Boll. Trib. On-line.
(6) E soprattutto con i tempi di queste.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 26 settembre 2014, n. 20415, in Boll. Trib. On-line.
(8) Il punto di riferimento fondamentale è oggi rappresentato dalla circ. 24 settembre 2013, n. 31/E, in Boll. Trib., 2013, 1410, su cui si veda F. GATTI, La correzione degli errori contabili in materia di competenza nella prassi dell’Agenzia delle entrate, in Boll. Trib., 2014, 347 ss.
(9) Tra le tante, cfr. ris. n. 24/E/2007, cit.; nonché circ. n. 31/E/2013, cit.
(10) Che, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 190/2014, non ha più scadenze temporali predeterminate.
(11) Concorde anche F. GALLIO, I termini per l’emendabilità della dichiarazione dei redditi in presenza di perdite fiscali da riportare nei periodi d’imposta successivi. Analisi della recente giurisprudenza, in Boll. Trib., 2015, 9 ss.
(12) L’esempio proposto è proprio quello della minore perdita d’esercizio.
(13) Che può quindi consistere tanto in una pretesa restitutoria quanto in una diversa posizione soggettiva di maggior favore per il contribuente.
(14) Presentate cioè oltre il termine di scadenza della dichiarazione annuale successiva.
(15) Il riferimento è alla circ. 21 febbraio 2014, n. 3/E, par. 5, in Boll. Trib., 2014, 294.
(16) Conforme anche la circ. Assonime 11 maggio 2015, n. 15, che ha giustamente rilevato come il diritto del contribuente di correggere senza limiti la dichiarazione a proprio favore costituisca il corretto bilanciamento del potere di avvalersi del ravvedimento sino alla ricezione dell’atto di imposizione.

Accertamento imposte sui redditi – Dichiarazione – Emendabilità e ritrattabilità della dichiarazione anche in sede contenziosa – Ammissibilità – Errori contenuti nella dichiarazione – Dichiarazione quale mera esternazione di scienza o di giudizio – Rispetto dei principi di capacità contributiva e di correttezza dell’azione amministrativa – Necessità – Emendabilità della dichiarazione – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi – Dichiarazione – Emendabilità e ritrattabilità della dichiarazione anche in sede contenziosa – Ammissibilità – Termine annuale di decadenza di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 – Inapplicabilità – Rispetto dei principi di capacità contributiva e di correttezza dell’azione amministrativa – Necessità.

Deve essere sempre garantita l’emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’Amministrazione finanziaria, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione, per l’impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che per legge devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., e in considerazione della natura della dichiarazione, che non si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria.

Il termine annuale di cui all’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, previsto per la presentazione della dichiarazione fiscale integrativa e finalizzata all’utilizzo in compensazione del credito eventualmente risultante, così come non interferisce sul termine di decadenza di quarantotto mesi previsto per l’istanza di rimborso dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria, quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente medesimo, in quanto il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, nonché il rispetto dei principi della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., comportano l’inapplicabilità in tale sede di decadenze relative alla sola fase amministrativa, atteso che oggetto del contenzioso giurisdizionale instaurato è l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi che il medesimo assume diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, di talché in tale sede, laddove ci si opponga ad un atto impositivo emesso sulla base di dati forniti dal contribuente stesso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 del citato D.P.R. n. 322/1998, o di richiesta di rimborso ex art. 38 del richiamato D.P.R. n. 602/1973, bensì in ordine alla fondatezza della pretesa tributaria, alla luce degli elementi addotti dalle parti, nel rispetto dei relativi oneri probatori; va quindi riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione fiscale ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui al predetto art. 2 del D.P.R. n. 322/1998.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Iacobellis], 1° aprile 2015, sent. n. 6665, ric. Fondo Assistenza Sanitaria Integrativa c. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La controversia promossa da Fondo Assistenza Sanitaria Integrativa, F.A.S.I., contro l’Agenzia delle Entrate ha ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento per Irpef 2002, emessa dall’Ufficio a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione annuale – controllo effettuato ai sensi dell’art. 36-bis del dpr 600/73 – per omessi versamenti di ritenute alla fonte, imposta sostitutiva sulle rivalutazioni del TFR e anticipo d’imposta TFR. La CTR, con la decisione in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto dal Fondo Assistenza Sanitaria Integrativa, F.A.S.I., contro la sentenza della CTP di Roma n. 299/65/09 – che ne aveva respinto il ricorso – sul rilievo che gli errori nei quali il contribuente dichiara di essere incorso avrebbero dovuto essere emendati attraverso una dichiarazione integrativa da presentarsi nel termine previsto dall’art. 2 comma 8-bis del dpr 322/1998. Il ricorso proposto si articola in unico motivo. Resiste l’Agenzia delle Entrate. La causa, a seguito di adunanza in Camera di consiglio è stata rimessa alla P.U. non ravvisandosi i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con unico motivo – recante l’intitolazione: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 comma 8-bis del dpr 22/7/1998, n. 322, modificato ed integrato dal dpr 7/12/ 2001, n. 45 (art. 2 comma 1 lett. c), del dpr 29/9/1973, n. 600, art. 9 commi 7 e 8 e art. 38; violazione degli artt. 53 e 97 della Costituzione: art. 360 comma 1 sub 3 c.p.c. – la ricorrente assume l’illegittimità della decisione per l’apodittico accoglimento dell’eccezione sollevata dall’Ufficio in base ad una falsa ed errata interpretazione ed applicazione dell’art. 2 comma 8-bis del dpr 322/98. I limiti temporali di cui alla succitata norma non sarebbero applicabili “al contenzioso e sono incompatibili con la sua instaurazione”.
La censura è fondata. Questa Corte ha ripetutamente affermato l’emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’Amministrazione fiscale, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione; ciò per l’impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e della oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Ciò in considerazione della natura della dichiarazione, che non si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (Sent. n. 2229 del 6 febbraio 2015 (1); Sent. n. 4049 del 27 febbraio 2015 (2); Cass. Sez. 5, n. 5852 del 13/4/2012 (3); Sentenza n. 14932 del 6/7/2011 (4)).
Il termine annuale di cui all’art. 2 comma 8-bis del d.p.r. 322/1998, previsto per la presentazione della dichiarazione integrativa e finalizzata all’utilizzo in compensazione il credito eventualmente risultante, così come non interferisce sul termine di decadenza di quarantotto mesi previsto per l’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del dpr 602/73 (Cass. Sez. 5, Sent. n. 4049 del 27/2/2015; Sez. 5, Sent. n. 19537 del 17/9/2014 (5); Sez. 5, Sent. n. 6253 del 20/4/2012 (6)) non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria – quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente medesimo –.
Il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, nonché il rispetto dei principi della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., comportano l’inapplicabilità in tale sede, di decadenze relative alla sola fase amministrativa. Oggetto del contenzioso giurisdizionale instaurato è l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi che il medesimo assume diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Di talché in tale sede, laddove ci si opponga ad un atto impositivo emesso sulla base di dati forniti dal contribuente, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., bensì in ordine alla fondatezza della pretesa tributaria, alla luce degli elementi addotti dalle parti, nel rispetto dei relativi oneri probatori. In tal senso va quindi riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sul’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui all’art. 2 cit. (v. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 3754 del 18/2/2014 (7); Sez. 5, Sentenza n. 2226 del 31/1/2011 (8)).
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Lazio.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Lazio.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.

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