26 Settembre, 2013

Imposte e tasse – Sanzioni penali – Occultamento o distruzione di scritture contabili – Art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 – Natura di reato permanente – Prescrizione – Decorre dal momento dell’ispezione fiscale.

 Il reato di occultamento della documentazione contabile previsto e punito dall’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione richiesta dagli organi verificatori, ha natura di reato permanente, posto che la condotta di occultamento perdura sino al momento dell’accertamento fiscale, poiché il reato si manifesta nel momento dell’ispezione, quando i verificatori chiedono di esaminare detta documentazione, che l’imprenditore è tenuto a conservare ed esibire, per cui è a tale momento che deve essere fatto riferimento per l’individuazione del dies a quo del decorso del termine di prescrizione.

[Corte di Cassazione, sez. III pen. (Pres. Lombardi, rel. Rosi), 7 febbraio 2013, sent. n. 5974]

 

RITENUTO IN FATTO – 1. L’imputato B.M. era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità della ditta individuale Game Fun di B.M., esercente l’attività di commercio al dettaglio di prodotti non classificati, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, per le annualità dal 1997 al 2006, occultava i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in particolare le fatture emesse, in modo da non acconsentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Fatto accertato in …, il 30 maggio 2006.

 

2. Con sentenza del 6 aprile 2011, il Gip presso il Tribunale di Cremona ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di B.M. in ordine al reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente alle annualità dal 1997 al 2005, per intervenuta prescrizione del reato.

 

[-protetto-]

 

3. Avverso la sentenza, il Procuratore Generale presso il Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 157 c.p. e 425 c.p.p., poiché l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non si sarebbe ancora verificata. Infatti, il reato di occultamento delle scritture contabili ha natura permanente, sicché il momento consumativo di detto reato coinciderebbe con il momento di verifica della documentazione da parte della Guardia di Finanza.

Nel caso di specie, il momento consumativo del reato contestato all’imputato, anche con riferimento alle annualità dal 1997 al 2005, dovrebbe quindi coincidere con la formale contestazione da parte della Guardia di Finanza, intervenuta in data 30 maggio 2006, come indicato nel capo di imputazione, con la conseguenza che termine di prescrizione del reato non sarebbe ancora decorso.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO – 1. Il ricorso è fondato. In tema di reati tributari, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale il reato di occultamento della documentazione contabile (art. 10 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione richiesta dagli organi verificatori, ha natura di reato permanente, posto che la condotta di occultamento perdura sino al momento dell’accertamento fiscale. Infatti, il reato si manifesta nel momento dell’ispezione, quando gli agenti chiedono di esaminare detta documentazione, che l’imprenditore è tenuto a conservare ed esibire, per cui è a tale momento che deve essere fatto riferimento per l’individuazione del dies a quo del decorso del termine di prescrizione (cfr. Sez. 3, n. 3055 del 14/11/2007[1]).

 

2. Nel caso di specie, poiché l’ispezione della Guardia di Finanza è intervenuta il 30 maggio 2006, da tale data deve computarsi il decorso del termine di prescrizione del reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 contestato all’imputato. Di conseguenza il reato contestato, anche in riferimento alle scritture contabili ed alla documentazione relativa agli esercizi compresi tra il 1997 ed il 2005, non risulta ancora estinto per decorrenza dei termini di prescrizione.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Cremona per l’ulteriore corso.

 

P.Q.M.(Omissis).

 

Occultamento delle scritture contabili e prescrizione del reato

 

1. Premessa

 

La Terza SezionePenale della Corte di Cassazione con l’annotata sentenza ha ribadito che la prescrizione del reato di occultamento delle scritture contabili decorre dall’ispezione della Guardia di finanza. Si tratta di un reato permanente che si protrae fino al momento del successivo accertamento fiscale.

La vicenda riguarda un contribuente imputato del reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Occultamento o distruzione di documenti contabili), in quanto, in qualità di titolare di una ditta individuale, al fine di evadere l’IVA, ovvero di consentire l’evasione a terzi, aveva occultato (per gli anni 1997-2006) parte delle fatture emesse, in modo da non acconsentire la ricostruzione del reddito e del volume di affari. Tale fatto era stato accertato a seguito di una verifica della Guardia di finanza, svoltasi ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e conclusasi in data 30 maggio 2006.

In ordine al reato ascritto, il giudice per le indagini preliminari aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, limitatamente alle annualità dal 1997 al 2005, che risultavano prescritte con il decorso di cinque anni.

Avverso il provvedimento del GIP, il Procuratore Generale proponeva ricorso per cassazione, eccependo la violazione dell’art. 157 c.p., poiché l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non si sarebbe ancora verificata, considerato che il reato di occultamento delle scritture contabili ha natura permanente, sicché il suo momento consumativo coincide con la verifica della documentazione da parte della Guardia di finanza, e non con un momento precedente. Pertanto, nel caso di specie la consumazione del reato contestato all’imputato, anche con riferimento alle annualità dichiarate prescritte, sarebbe dovuto coincidere con la formale contestazione da parte della Guardia di finanza (30 maggio 2006), con la conseguenza che il termine di prescrizione per le annualità in discorso non sarebbe ancora decorso.

 

2. Il reato permanente

 

Prima di esaminare l’esito del giudizio di cassazione, occorre premettere in linea generale che il reato può essere consumato o tentato:

a) il reato si dice “consumato” quando è compiutamente realizzata la fattispecie incriminatrice astratta prevista dalla norma;

b) il delitto “tentato” si realizza sia quando la condotta criminosa dell’agente non è stata portata a termine (tentativo incompiuto) sia quando la condotta, pur essendo stata portata a termine, non ha ottenuto il risultato sperato dall’agente (tentativo compiuto).

A fini classificatori, è possibile distinguere inoltre, per il fine che ci occupa, i reati di danno dai reati di pericolo: i primi offendono il bene giuridico protetto dalla norma penale, i secondi si limitano a metterlo in pericolo.

A loro volta i reati di pericolo si sogliono distinguere in:

– reati di pericolo concreto, con riferimento ai quali è necessario accertare, di volta in volta, la ricorrenza del pericolo per il bene giuridico protetto dalla norma penale;

– reati di pericolo astratto, con riferimento ai quali il pericolo è, invece, presunto dal legislatore con ammissione dell’autore del fatto a fornire la prova contraria;

– reati di pericolo presunto, con riferimento ai quali l’autore non ha facoltà di prova contraria.

In rapporto al momento consumativo, i reati si distinguono in istantanei e permanenti. Nei primi, la lesione del bene è immediata e la consumazione, di regola, si identifica con il compimento dell’ultimo (o dell’unico) atto che integra la condotta (nei reati formali) o con la verificazione dell’evento (nei reati materiali), atto o evento oltre i quali la fattispecie non può essere protratta (così, dopo la morte di un uomo – art. 575 c.p. – la fattispecie non è suscettibile di sviluppi ulteriori giuridicamente rilevanti per l’integrazione del delitto di omicidio).

Il reato “permanente”, come tradizionalmente configurato dalla dottrina penalistica, rappresenta una tipologia di delitto in cui la compressione del bene giuridico tutelato ha carattere durevole, nel senso che la fattispecie legale è strutturata in modo tale da esigere che la condotta o l’evento si protraggano nel tempo (ad esempio, l’art. 605 c.p., punendo «chiunque priva taluno della libertà personale», tipizza un evento – privazione della libertà – che, per sussistere, deve svolgersi in un arco di tempo, magari breve ma pur tuttavia apprezzabile come “privazione”). In questi casi si parla di reati necessariamente permanenti.

Quando invece la fattispecie consente la protrazione di un elemento, che potrebbe però realizzarsi anche in un solo momento, si parla di reati eventualmente permanenti (così, ad esempio, l’ingiuria – art. 594 c.p. – può intrinsecamente realizzarsi tanto con un’offesa istantanea, quanto con un’offesa destinata a protrarsi nel tempo, scrivendo l’insulto su un muro).

Nei reati permanenti la consumazione è rappresentata dunque non da un momento, ma da un periodo, compreso tra l’inizio e la fine dello stato antigiuridico: il reato comincia a consumarsi con l’inizio di tale stato, e finisce di consumarsi alla sua conclusione. Dato che il periodo consumativo assume rilevanza tipica, è chiaro che esso deve essere accompagnato, nel suo svolgersi, da tutti i requisiti necessari a fondare la responsabilità. Se, per ipotesi, il sequestratore, durante la privazione della libertà altrui, viene sottoposto ad una coazione assoluta (perdita della suitas), in quel momento la permanenza avrà nei suoi confronti termine, perché il mantenimento dello stato antigiuridico non dipende più dalla sua volontà.

Tali principi sono sussunti nell’art. 158 c.p., secondo cui il termine della prescrizione decorre:

1) per il reato consumato, dal giorno della consumazione;

2) per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole;

3) per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza.

 

3. L’art. 10 D.Lgs. n. 74/2000

 

I reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000 sono, per lo più, reati di pericolo, in quanto tendono a prevenire la lesione del bene giuridico immateriale della “verità fiscale”.

A differenza dei reati in materia di dichiarazione, infatti, i delitti in tema di documentazione sono rimasti estranei al generale arretramento della soglia di tutela penale, punendo i reati in materia di documentazione condotte prodromiche e sintomatiche di una possibile futura evasione.

Si tratta, infatti, di reati di mero pericolo, che, sebbene volti a criminalizzare condotte ostative all’attività di accertamento fiscale, sono strumentali per la salvaguardia degli interessi erariali, in quanto contrastano condotte elusive degli strumenti fiscali, tramite i quali vengono reperite le risorse patrimoniali dello Stato.

I delitti in materia di documentazione sono disciplinati dagli artt. 8 («Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti») e 10 («Occultamento o distruzione di documenti contabili») del D.Lgs. n. 74/2000.

In particolare, la fattispecie di reato di cui all’art. 10, già prevista dall’art. 4, primo comma, lett. b), del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), è posta a garanzia di un corretto esercizio dell’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria.

L’elemento psicologico richiesto, come per gli altri delitti, è il dolo specifico, consistente nel fine di evadere o di consentire a terzi l’evasione, essendo la finalità “ultima” dell’occultamento o della distruzione proprio l’evasione (per non veder smentita l’esistenza dei costi dichiarati, ma fittizi). Occorre sottolineare, infatti, che risulta del tutto evidente che con l’occultamento o la distruzione si vuole impedire l’accertamento che le fatture indicate nella dichiarazione sono contraffatte.

La disposizione, nel prevedere che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, identifica due tipologie delittuose:

a) l’una di carattere istantaneo (distruzione);

b) l’altra di natura permanente (occultamento).

La “distruzione” si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione (dal supporto informatico oppure cartaceo mediante cancellature o abrasioni); l’“occultamento”, invece, consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori.

Poiché quest’ultima condotta si consuma quando materialmente si nasconde il documento, essa dà luogo a un reato permanente, in quanto l’obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo: quindi, la condotta antigiuridica si protrae nel tempo a discrezione del reo, il quale, a differenza della distruzione, ha il potere di “fare cessare” l’occultamento, esibendo i documenti.

Il reato permanente, allora, si distingue da quello istantaneo proprio per la possibilità offerta al soggetto attivo di far cessare in qualsiasi momento la condotta antigiuridica.

Se la medesima documentazione viene prima occultata e poi distrutta si configura un concorso materiale di reati eventualmente unificati a norma dell’art. 81 c.p.

La permanenza del delitto, di conseguenza, cessa allorché scade l’obbligo della conservazione delle scritture obbligatorie, generalmente decennale (art. 2220 c.c.).

Ai fini della fattispecie criminosa di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, l’occultamento delle scritture contabili che integra gli estremi del delitto contestato può realizzarsi con qualsivoglia modalità e, quindi, con il materiale nascondimento nello stesso posto o in altro luogo rispetto a quello ove i documenti devono essere conservati e con il rifiuto a esibirli (1). Inoltre, l’impossibilita di ricostruire il volume di affari o dei redditi deve essere riferita alla situazione interna aziendale sia sotto il profilo contabile che patrimoniale senza che assuma alcuna rilevanza la possibilità in concreto di poter pervenire alla ricostruzione, avvalendosi di elementi e dati raccolti all’esterno e in modo indiretto, perché è sufficiente un’impossibilità relativa (2).

Il reato è configurabile ove ricorra l’impossibilità di ricostruire, sia pure parzialmente, il volume di affari o dei redditi in uno con il dolo specifico di evasione, ma è necessaria la prova dell’istituzione dei documenti contabili e della produzione di reddito e di volume di affari, le cui nozioni sono desumibili rispettivamente dall’art. 8 del TUIR, e dall’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972 (3).

Infine, è utile ricordare che, in tema di concorso apparente di norme, è stato stabilito (4) che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000) può concorrere con il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili anche se gli artifici utilizzati per conseguire l’evasione siano consistiti proprio nell’occultamento o distruzione dei documenti. Ciò in quanto va escluso il concorso apparente di norme tra le fattispecie di cui agli artt. 3 e 10 del D.Lgs. n. 74/2000, non sussistendo tra esse quel rapporto di genere a specie in grado di legittimare l’applicazione dell’art. 15 c.p. Tra i due reati ricorre un mero fenomeno di interferenza, conclude la pronuncia, determinato dalla peculiarità del fatto concreto, senza che però sussista alcun rapporto di specialità tra le fattispecie incriminatrici astrattamente considerate.

 

4. La fattispecie di reato e le scritture contabili obbligatorie

 

Apparentemente, il reato di cui all’art. 10 inesame si connota come un autonomo delitto proprio dei soggetti tenuti ad un regime di contabilità obbligatorio, naturalmente ai fini fiscali. Tuttavia, la norma contiene un’ulteriore specificazione che consente di attrarre nella sfera del penalmente rilevante anche la distruzione o l’occultamento di altri documenti rispetto ai quali sussiste un obbligo di conservazione, estendendo la soggettività attiva al genus dei contribuenti. Sono coinvolti soggetti che, pur non essendo obbligati alla conservazione delle scritture contabili ai fini fiscali, dispongono in ogni caso di documenti dei quali sia prescritta la conservazione: trattasi, pertanto, di un reato comune.

La norma rimanda, implicitamente, ai fini dell’individuazione dell’oggetto materiale della condotta di occultamento o distruzione, a quelle scritture contabili e a quei documenti che, alla stregua di altre norme, il cui novero è lasciato, peraltro, del tutto “aperto”, devono essere obbligatoriamente conservate. Allo stesso tempo, va considerato che, in ragione della ratio normativa, che, in continuità con la precedente disposizione dell’art. 4, primo comma, lett. b), del D.L. 429/1982, è quella di garantire, come tutte quelle inserite nel corpus del D.Lgs. n. 74/2000, l’esatto adempimento delle obbligazioni tributarie, i documenti e le scritture contabili in oggetto non possono essere, evidentemente, se non quelli e solo quelli aventi rilievo sotto il profilo fiscale.

È per tale ragione che, ai fini dell’individuazione di tali documenti, deve guardarsi al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e in particolare al suo art. 22, ove si specifica, al secondo comma, che «le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 c.c. o da altre leggi tributarie, salvo il disposto dell’art. 2457 del detto codice» e, al terzo comma, che «fino allo stesso termine di cui al precedente comma devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse».

Pertanto, ritenuta l’elencazione effettuata secondo specifiche, e perciò tassative, tipologie, dei documenti del terzo comma, va osservato che, quanto alle scritture contabili obbligatorie, il secondo comma rimanda invece, a sua volta, tra le altre disposizioni normative, al codice civile. Ne deriva, quindi, che, in forza dell’art. 2214 c.c., da intendersi richiamato dall’art. 22, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973, tra le scritture contabili obbligatorie devono ritenersi rientrare, oltre che, a norma del primo comma, il libro giornale e il libro degli inventari, anche, a norma del secondo comma, «le altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa».

Va peraltro precisato, riguardo all’obbligo di conservazione dei documenti fiscali ove il soggetto attivo sia un piccolo imprenditore, che è lo stesso art. 2214 c.c. a chiarire, al terzo comma, che le disposizioni del paragrafo 2 sulle scritture contabili (comprensivo degli artt. da2214 a2220 c.c.) e, conseguentemente, anche la previsione di tenuta delle scritture richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa, non si applicano al piccolo imprenditore, secondo la nozione da ricavarsi sulla scorta dei criteri fissati nell’art. 2083 c.c. (5).

È evidente, infine, che il delitto dell’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 non ricorre se non viene provato che i documenti contabili (occultati o distrutti) sono stati istituiti (6). Il contribuente risponderà, in tal caso, di omessa tenuta della contabilità. Al riguardo si osserva che il giudizio di disvalore sociale del legislatore per il delitto previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 è superiore al giudizio di disvalore associato all’omessa tenuta delle stesse scritture contabili. In quest’ultimo caso, infatti, viene irrogata la sanzione amministrativa indicata nell’art. 9 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

 

5. L’annotata pronuncia n. 5974/2013

 

Decidendo la vertenza, con l’annotato arresto,la Cortedi Cassazione accoglie il ricorso della Procura Generale, in quanto la prescrizione per l’occultamento dei documenti scatta solo dalla verifica e non dagli anni d’imposta oggetto dell’accertamento.

La Suprema Corteha ricostruito la fattispecie di occultamento della documentazione contabile, prevista dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, come reato a carattere permanente, posto che la condotta perdura sino al momento della verifica fiscale.

Il delitto in esame, afferma infatti la Corte, consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti richiesti dai verificatori, si manifesta nel momento dell’ispezione, e cioè fino a quando agli organi di polizia tributaria era, in base alla legge, consentito, in sede di verifica, richiedere al contribuente l’esibizione della documentazione ai fini della ricostruzione del volume dei suoi affari e, dunque, ai fini della corretta imposizione tributaria. Tale momento rappresenta il dies a quo del decorso del termine di prescrizione, indipendentemente da quando la condotta di occultamento sia stata posta in essere.

Secondo la previsione dell’art. 10, come si è già visto, la distruzione o l’occultamento è punibile se non è possibile ricostruire i redditi o il volume degli affari. Per redditi s’intende l’ammontare complessivo netto delle entrate del contribuente; il volume d’affari identifica l’ammontare complessivo delle cessioni dei beni o delle prestazioni dei servizi (7).

Per la configurabilità del reato è quindi sufficiente che l’impossibilità di ricostruzione riguardi o il volume degli affari o i redditi perché entrambe le situazioni possono concorrere alla determinazione dell’esatta posizione debitoria del contribuente. Il reato quindi sussiste sia quando l’occultamento o la distruzione della documentazione impedisca la sola ricostruzione dei redditi sia quando impedisca la sola ricostruzione del volume degli affari (ai fini dell’IVA). Siffatta impossibilità per la prevalente giurisprudenza di legittimità configura una condizione di punibilità (8) che deve peraltro interpretarsi in senso relativo, ossia con riferimento alla concreta situazione patrimoniale e contabile del soggetto indipendentemente dal fatto che l’Ufficio accertatore sia comunque in grado di ricostruire la situazione patrimoniale attraverso elementi e dati raccolti aliunde (9).

In ultima analisi, il delitto tributario istantaneo, “a consumazione prolungata”, ha il chiaro scopo di dilatare i tempi per il controllo e la repressione di comportamenti lesivi per l’erario.

Sulla decorrenza della prescrizione dalla verifica fiscale giurisprudenza consolidata (10) sostiene che il reato si manifesta nel momento dell’ispezione, quando gli agenti chiedono di esaminare la documentazione contabile al soggetto sottoposto a verifica, documentazione che l’imprenditore è tenuto a conservare ed esibire, per cui è a tale momento che deve essere fatto riferimento per l’individuazione dell’inizio del decorso del termine di prescrizione.

Pertanto, il giudice di legittimità, avallando la ricostruzione della Procura Generale, ha stabilito che nel caso in esame il reato contestato in riferimento alla documentazione per le annualità dal 1997 al 2005 non risulta ancora estinto, essendosi “manifestato agli occhi dei verificatori” nel maggio 2006, al momento dell’ispezione contabile da parte della Guardia di finanza: solo da questa data decorre infatti il termine per la prescrizione.

Al riguardo, premesso che in tema di occultamento o distruzione di documenti contabili (e quindi di documenti precedentemente tenuti dal contribuente e successivamente occultati al fine di impedire l’azione di verifica e di accertamento dell’Amministrazione finanziaria) il delitto di occultamento documentale viene punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni, nonché con le ulteriori pene accessorie previste dall’art. 12 del medesimo D.Lgs. n. 74/2000, occorre rilevare che tale decreto non prevede specifici termini di prescrizione dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; la relativa disciplina, pertanto, si ricava dai principi generali di cui agli artt. 157 e segg. c.p. secondo cui «La prescrizione estingue il reato: 1) in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; 2) in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; 3) in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; 4) in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa; 5) in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto; 6) in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda.

Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti.

Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell’articolo 69.

Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e quella pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva». Pertanto configurandosi il reato di occultamento o distruzione dei documenti contabili ex art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, quale delitto punito con la reclusione sino a cinque anni, il periodo prescrizionale è stabilito dal citato art. 157, primo comma, n. 4), c.p.

 

6. L’orientamento precedente

 

Dall’analisi dell’annotata pronuncia, si evince il generale favore della Suprema Corte verso una ricostruzione dei reati tributari in termini di reato permanente ovvero istantaneo con effetti permanenti o anche “a consumazione prolungata”, al chiaro fine di dilatare i tempi per il controllo e la repressione di comportamenti lesivi per l’erario.

La statuizione in oggetto sembra definitivamente dirimere l’acceso contrasto dottrinale e giurisprudenziale sul punto atteso che la natura permanente del reato in questione era stata in passato contestata. Infatti, in un datato precedente (11) la Suprema Corteaveva respinto il ricorso della Procura generale della Corte d’Appello secondo cui il reato in questione avrebbe dovuto considerarsi permanente sino alla scadenza del termine fissato dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, per gli accertamenti in rettifica e d’ufficio, avendo la Cortestabilito che la frode fiscale con uso di bolle alterate avrebbe dovuto considerarsi reato istantaneo ad effetti permanenti. Nel caso, quindi, dell’illecito di cui all’art. 4, primo comma, n. 1), del D.L. n. 429/1982, la consumazione del reato coincide col momento in cui la bolla alterata è inserita nella contabilità.

Successivamente, invece, la Suprema Corte(12) ha individuato nel momento di presentazione delle dichiarazioni, alle quali il documento viene allegato, quello in cui cessa la permanenza, affermando che, poiché l’uso stesso è, senz’altro, strumentale all’evasione delle imposte, esso si “esteriorizza”, non solo con le verifiche fiscali ma, in ogni caso, mediante la presentazione delle obbligatorie dichiarazioni fiscali, fraudolentemente infedeli, con le quali si attua l’evasione delle imposte, protraendosi in tal caso la condotta illecita di utilizzazione dal momento dell’inserimento del documento falso in contabilità fino al momento della presentazione delle dichiarazioni. In questo caso, è da ritenere che il reato si presenti a carattere permanente perché la lesione o l’esposizione a pericolo del bene giuridico ha carattere continuativo e non si esaurisce con il semplice fatto di inserire ma si protrae nel tempo con il mantenere in contabilità il documento falso. Questa protrazione della situazione antigiuridica dipende, peraltro, da un atto di volontà del soggetto il quale ha il potere di farla cessare in qualsiasi momento, fino all’atto della presentazione delle dichiarazioni fiscali, con l’estrapolazione del documento contraffatto o con la correzione del documento alterato, eliminando in tal modo la compressione del diritto dell’erario.

Con la citata sentenza n. 1725/1992, implicitamente rifiutando la concezione bifasica del reato permanente (fondata su un obbligo giuridico di controazione privo di agganci normativi di riferimento), la Cortedi Cassazione dà rilievo esclusivamente al persistere della volontà dell’agente e alla necessità di una volontà colpevole immanente, in corso di permanenza, della condotta lesiva, sicché la permanenza cessa e il reato si consuma definitivamente quando l’agente, per effetto dell’intervenuta verifica fiscale o della presentazione delle dichiarazioni obbligatorie, supportate dall’inserimento in contabilità delle bolle alterate, non abbia più la capacità di far cessare la “compressione” del bene protetto.

A comporre il contrasto sono poi intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (13), le quali hanno posto in evidenza che i risultati del dibattito sviluppatosi in dottrina e in giurisprudenza in merito alla tipizzazione della fattispecie delineata dall’art. 4, primo comma, n. 7), del D.L. n. 429/1982, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il D.L. 16 marzo 1991, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154), rivelano che, nell’analisi ricostruttiva della figura di reato, il nucleo costitutivo è concretato dalla dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, attuate in forme artificiose (14), in modo da alterare in misura rilevante il risultato della dichiarazione. Ne deriva che la c.d. frode fiscale, compiuta con le modalità previste dal citato art. 4, primo comma, n. 7), si perfeziona nel momento nel quale la dichiarazione dei redditi è presentata agli Uffici finanziari e si traduce in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente per porsi quale elemento strutturale della fattispecie la cui realizzazione segna la consumazione del reato.

In tale prospettiva interpretativa, le Sezioni Unite ritengono, quindi, che la norma incriminatrice prefiguri una condotta compiutamente attuata ed esaurita con la presentazione della fraudolenta dichiarazione dei redditi, senza che i successivi sviluppi del rapporto tributario abbiano incidenza sul reato ormai perfezionato, sicché neppure l’accertamento della frode dispiega alcuna influenza sulla data di consumazione dell’illecito.

Da ultimo occorre ricordare che di recente, con riguardo ad un caso di contestazione del reato di falsa fatturazione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000,la Suprema Corte(15) ha stabilito che si connota il reato di frode fiscale come reato di pericolo o di mera condotta (avendo il legislatore inteso rafforzare la tutela del bene giuridico protetto anticipandola al momento della commissione della condotta tipica) e che esso si perfeziona nel momento di emissione della singola fattura ovvero – ove si abbiano plurimi episodi nel corso del medesimo periodo di imposta – nel momento di emissione dell’ultimo di essi. È pertanto l’emissione dell’ultima fattura, considerata inesistente, il momento in cui la prescrizione stessa deve far valere il proprio punto di partenza, e non certamente momenti successivi non meglio identificati in una ipotetica continuità di reato.

 

7. La sentenza n. 30552/2011

 

Nella prospettiva di consolidamento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla configurazione quale reato permanente della fattispecie di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, necessita richiamare anche la citata sentenza n. 30552/2011, con la qualela Cortedi Cassazione ha stabilito che il termine di prescrizione del delitto di occultamento di documenti contabili decorre dalla data della verifica fiscale e viene interrotto dal decreto che dispone il giudizio, anche quando il contribuente omette la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Nello svolgimento processuale dei fatti, il competente Tribunale aveva dichiarato l’improcedibilità nei confronti di un contribuente in ordine al reato di occultamento della documentazione contabile, giudicato estinto per prescrizione, giudizio che venne opposto in sede di legittimità dal Procuratore generale pressola Cortedi appello, la quale, diversamente dal giudice di merito, aveva ritenuto che il termine di prescrizione aveva iniziato il suo decorso non dal 31 dicembre di ciascun anno per il quale risultava omessa la presentazione delle dichiarazioni dei redditi (anni di imposta 1998, 1999 e 2000), bensì dalla data della verifica fiscale (13 luglio 2004). Lo stesso termine, inoltre, non poteva considerarsi trascorso a seguito dell’interruzione costituita dal decreto che aveva disposto il giudizio in data 11 giugno 2008.

La Cortedi Cassazione, ritenuto fondato il ricorso, in riforma della decisione impugnata, ha statuito che «il reato di occultamento della documentazione contabile (art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ha natura di reato permanente, in quanto la condotta penale dura sino al momento dell’accertamento fiscale, dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione».

A tal fine, la Suprema Corte, per individuare il dies a quo per il decorso del termine di prescrizione, si è preoccupata innanzitutto di individuare la natura del reato. Lo ha fatto con riferimento alla durata della condotta, prendendone in esame le modalità concrete. Poi ha fissato il dies a quo da cui è iniziata a decorrere la prescrizione e, infine, ha verificato la sussistenza o meno dell’effetto estintivo del reato nella fattispecie sottoposta al suo esame.

L’individuazione dell’una o dell’altra condotta (occultamento o distruzione) di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 rileva per verificare il momento di consumazione del reato, poiché l’art. 158 c.p. stabilisce che «il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione». E tale giorno è diverso nelle due ipotesi.

La giurisprudenza (16), infatti, ha osservato che mentre la distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione (e, cioè, con la stessa eliminazione del supporto cartaceo o mediante cancellature o abrasioni), l’occultamento, che può realizzarsi con diverse modalità (nascondimento della documentazione, rifiuto di esibizione, o qualunque altra condotta che si riveli impeditiva della ricostruzione del volume di affari e dei redditi da parte degli organi verificatori), ha natura permanente e si protrae nel tempo.

La condotta antigiuridica, cioè, perdura finché è consentito il controllo da parte degli organi competenti dell’Amministrazione finanziaria (quindi, sino allo spirare dei termini previsti dalle leggi tributarie per l’accertamento dell’ammontare dei redditi o del volume degli affari ex artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972). Può cessare con l’interruzione dell’azione criminosa del contribuente, sia spontanea (esibendo i documenti occultati, prima, però, dell’inizio dell’azione penale) (17) sia per l’interveto di terzi (ad esempio, a seguito della contestazione dell’illecito). Non può, però, essere sanata grazie alla sollecitudine degli accertatori e alla loro capacità di reperire aliunde elementi di prova (18) o con una ricostruzione ab externo, attraverso riscontri incrociati (19).

Ne deriva che la consumazione del reato, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, coincide con l’accertamento della condotta, poiché è in quel momento che assume rilevanza l’inadempimento dell’obbligo di tenere, esibire o allegare la documentazione contabile obbligatoria.

Nella fattispecie trattata dalla più volte citata sentenza n. 30552/2011, il giudice di legittimità, dopo aver affermato che la prescrizione iniziava a decorrere dalla data di verifica fiscale (13 luglio 2004), per stabilire se il reato era estinto, è passato a verificare se l’intero termine poteva considerarsi compiuto. E ha tenuto conto, per il computo, anche del prolungamento del termine previsto in presenza del decreto che disponeva il giudizio dell’11 giugno 2008, quale atto interruttivo della prescrizione (ex artt. 160 c.p. e 17 del D.Lgs. n. 74/2000).

Tale calcolo è di particolare importanza poiché la prescrizione è una causa di estinzione del reato. Decorso, cioè, il tempo previsto dalla legge prima che intervenga una sentenza definitiva di condanna, non può più essere applicata la pena prevista per il reato commesso.

Nel caso su cui è intervenutala Suprema Corte, non essendo trascorso il tempo necessario alla prescrizione del reato, è stato ritenuto che il delitto di occultamento non si fosse estinto, senza però indicare la norma di riferimento.

La conclusione appare condivisibile sia che si segua la disciplina della precedente formulazione dell’art. 157 c.p., sia che trovi applicazione il testo sostituito dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, invirtù dell’art. 10 (secondo cui le nuove norme inerenti i termini di prescrizione e gli effetti dell’interruzione si applicano anche ai procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore della legge – 8 dicembre 2005 – «se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione»).

Per entrambe le formulazioni dell’art. 157 c.p., il termine di prescrizione resta sempre ancorato al massimo della pena edittale stabilita dalla legge per il singolo reato, ma, tra i due testi, vanno sottolineate le seguenti differenze:

a) in base alla previgente dizione dell’art. 157 c.p., la prescrizione si compie trascorsi 15 anni dalla consumazione del reato (e, quindi, dalla verifica fiscale – 2004), dei quali dieci sono richiesti «se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni» (e per il delitto di occultamento l’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede la pena massima di cinque anni di reclusione) e i restanti cinque rappresentano il massimo prolungamento del termine base, consentito a seguito di un atto interruttivo (art. 157, secondo comma, c.p.);

b) se, invece, si ritiene applicabile il nuovo art. 157 c.p., a seguito della modifiche introdotte dall’art. 6 della legge n. 251/2005, il reato dovrebbe estinguersi per prescrizione a seguito del decorso del tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque di un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto, aumentato non più di un quarto – ad eccezione delle ipotesi di recidiva o di delinquenza abituale e/o professionale – a seguito di un atto interruttivo. Il delitto di occultamento o distruzione di scritture contabili, quindi, si estinguerebbe in 7 anni e mezzo dal momento di consumazione del reato.

c) Per completezza, occorre, infine, ricordare che dal 17 settembre 2011 è entrato in vigore il nuovo comma 1-bis dell’art. 17 del D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 2, comma 36-vicies semel, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale dispone che «I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo».

Tale disposizione, a norma del comma 36-vicies bis dell’art. 2 del D.L. n. 138/2011, si applica ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

I tempi di prescrizione, pertanto, aumenteranno per il reato de quo passando da6 a8 anni, e, in presenza di eventi interruttivi od altro, la prescrizione massima di tale delitto passerà da sette anni e mezzo a dieci anni.

 

Dott. Salvatore Servidio

 

 

(1) Cfr. Cass., sez. III pen., 28 ottobre 2010, n. 38224, inBoll. Trib. On-line.

(2) Cfr. Cass. 11 maggio 1989, n. 7065, inBoll. Trib., 1989, 1435.

(3) Cfr. Cass., sez. V pen., 15 novembre 1999, n. 5503; e Cass., sez. V pen., 28 ottobre 1997, n. 10920; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass., sez. III pen., 3 aprile 2012, n. 12455, inBoll. Trib., 2012, 1347.

(5) Cfr. Cass., sez. III pen., 21 settembre 2012, n. 36624, inBoll. Trib., 2012, 1495, con nota di f. brighenti, Occultamento di un contratto: i piccoli sono sempre innocenti.

(6) Ved. Cass., sez. III pen., 28 ottobre 2010, n. 38224, inBoll. Trib. On-line.

(7) Così Cass., sez. III pen., 8 febbraio 2006, n. 4871, inBoll. Trib. On-line.

(8) Cfr. Cass., sez. III pen., 6 marzo 1998, n. 4200, inRiv. giur. trib., 1999, 32.

(9) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 marzo 2001, n. 10873, inBoll. Trib. On-line.

(10) Cfr. Cass., sez. III pen., 24 novembre 1994, n. 2173, inBoll. Trib., 1995, 956; Cass., sez. III pen., 19 aprile 2006, n. 13716, ivi, 2006, 1340; Cass., sez. III pen., 21 gennaio 2008, n. 3055, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. III pen., 2 agosto 2011, n. 30552, ivi.

(11) Cfr. Cass., sez. III pen., 26 novembre 1991, n. 791, ined.

(12) Cfr. Cass. 14 ottobre 1992, n. 1725, ined.; poi confermata da Cass. n. 2173/1994, cit.

(13) Cfr. Cass., sez. un. pen., 7 marzo 1995, n. 2333, inBoll. Trib., 1995, 633.

(14) Cfr. Corte Cost. 28 gennaio 1991, n. 35, inBoll. Trib., 1991, 329.

(15) Cfr. Cass., sez. III pen., 1° ottobre 2012, n. 37930, inBoll. Trib. On-line.

(16) Cfr., per tutte, Cass., sez. III pen., 14 luglio 2009, n. 28656, inBoll. Trib. On-line.

(17) Cfr. Cass., sez. III pen., 6 febbraio 2008, n. 5791, inBoll. Trib. On-line.

(18) Cfr. Cass., sez. III pen., 12 ottobre 2009, n. 39711; e Cass., sez. III pen., 3 ottobre 2008, n. 37592; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(19) Cfr. Cass., sez. III pen., 21 gennaio 2008, n. 3057, inBoll. Trib. On-line.



[1] In Boll. Trib. On-line.

 

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