18 Giugno, 2013

sommario: 1.Premessa – 2.L’intervento dei giudici comunitari – 3.Le modifiche introdotte dalla legge di stabilità per il 2013 – 4.Ulteriori considerazioni: la “consulenza finanziaria”.

 

1.Premessa

 

Con la legge 24 dicembre 2012, n. 228, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (c.d. “Legge di stabilità per il 2013”), sono state introdotte diverse modifiche alla disciplina IVA, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, tra cui – in particolare – quelle apportate al disposto del n. 4 del primo comma dell’art. 10 del citato decreto, comportando, a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’esclusione dal trattamento di esenzione dal tributo i servizi di gestione individuale di portafogli in titoli [1].

Tali modifiche sono risultate necessarie in seguito a quanto sancito con la sentenza del 19 luglio 2012 dalla Corte di Giustizia UE, nella causa C-44/11 [2].

Al riguardo, si ricorda innanzitutto che le gestioni individuali di portafoglio in titoli (o gestioni patrimoniali individuali) sono forme di investimento che permettono al risparmiatore di affidare un mandato all’impiego del proprio patrimonio ad un gestore professionale (SGR, SIM e banche autorizzate a prestare questo servizio).

A differenza dei fondi comuni, la gestione patrimoniale viene effettuata separatamente per ogni cliente del gestore e non in modo cumulativo.

Si tratta quindi di un servizio di investimento personalizzato e non dell’acquisto di un prodotto standard; pertanto il portafoglio di ciascun cliente è potenzialmente diverso da quello di ogni altro ed è definito sulla base di un’analisi delle peculiari esigenze e degli specifici obiettivi di investimento del cliente medesimo.

È possibile distinguere due tipologie principali di servizi di gestione patrimoniale:

– la “gestione patrimoniale mobiliare” (GPM): il patrimonio viene investito prevalentemente in strumenti finanziari “classici” (azioni, obbligazioni, etc.);

– la “gestione patrimoniale in fondi o SICAV” (GPF/GPS): il patrimonio viene investito prevalentemente in quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (fondi comuni, SICAV, ETF, etc.).

In passato la nostra Amministrazione finanziaria ha avuto modo di pronunciarsi circa il trattamento IVA da riservare a dette gestioni.

In una prima occasione [3] è stata riconosciuta l’esenzione per la c.d. “gestione fiduciaria dinamica”, intesa come un’attività complessa mediante la quale la società fiduciaria gestisce, dietro corrispettivo, titoli mobiliari – ad essa fiduciariamente intestati, se nominativi – effettuando, relativamente agli stessi, tutte le operazioni che ritenga utili in relazione alla finalità di produrre incrementi patrimoniali.

Successivamente [4], ha invece dichiarato imponibile ad IVA la c.d. “gestione patrimoniale statica” (invero alquanto rara, se affidata a società finanziarie specializzate), in quanto – sostanziandosi in una mera attività di amministrazione dei titoli affidati, volta a incassare gli ordinari dividendi o proventi – non si discosta molto da una semplice attività di custodia titoli, già ordinariamente sottoposta al tributo.

 

[-protetto-]

 

2.L’intervento dei giudici comunitari

 

Più recentemente, come abbiamo anticipato, è intervenuta sull’argomentola Cortedi Giustizia UE che ha concluso le sue motivazioni della sopra citata sentenza con il seguente disposto:

1. una prestazione di gestione patrimoniale tramite titoli come quella di cui alla controversia principale, vale a dire una attività remunerata in occasione della quale un soggetto passivo adotta decisioni autonome in merito alla compravendita di titoli ed attua tali decisioni mediante la compravendita di titoli, si compone di due elementi che sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica;

2. l’art. 135, paragrafo 1, lettera f) o g), della direttiva 112/2006/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che la gestione patrimoniale tramite titoli, come quella di cui alla controversia principale, non è esente da imposta sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione;

3. l’art. 56, paragrafo 1, lettera e), della direttiva n. 112/2006/CE deve essere interpretato nel senso che esso si applica non solo alle prestazioni elencate all’art. 135, paragrafo 1, lettere a)-g), della suddetta direttiva, ma anche alle prestazioni di gestione patrimoniale tramite titoli.

In altri termini,la Corteeuropea ha ritenuto che l’attività in esame non soggiaccia al regime di esenzione previsto dalla Direttiva 28 novembre 2006, n. 112/2006/CE, ma che si debba considerare imponibile ai fini IVA.

Come è noto, la previsione della Direttiva sopra citata era stata recepita – prima delle modifiche in commento – nel nostro ordinamento all’interno dell’art. 10, comma 1, n. 4, del D.P.R. n. 633/1972, ai sensi del quale erano esenti dall’imposta «le operazioni relative ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e a quote sociali, eccettuate la custodia e l’amministrazione dei titoli; le operazioni, incluse le negoziazioni e le opzioni, eccettuate la custodia e l’amministrazione, relative a valori mobiliari e a strumenti finanziari diversi dai titoli».

Inoltre, il successivo punto 9) mandava ugualmente esenti: «le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle precedenti operazioni».

La controversia su cuila Cortedi Giustizia era stata chiamata a pronunciarsi verteva quindi sull’interpretazione dell’art. 135 della menzionata Direttiva 112/2006/CE e sulla possibilità di applicare il regime di esenzione in esso contemplato ai servizi di gestione patrimoniale individuale di strumenti finanziari, resi da una banca tedesca ai propri clienti. In particolare, l’istituto di credito forniva prestazioni di gestione di portafoglio ai clienti investitori i quali la incaricavano di gestire i titoli in maniera autonoma, tenendo conto delle strategie di investimento scelte da detti clienti, senza richiedere preventivamente loro istruzioni, nonché di adottare ogni misura opportuna a tal fine.

Nell’ambito della sentenza, i giudici europei hanno evidenziato che la gestione di portafoglio costituisce la combinazione di due componenti: una prestazione di analisi e di custodia del patrimonio del cliente ed una prestazione di acquisto e di vendita di titoli.

Le due componenti della prestazione di gestione di portafoglio possono essere fornite separatamente; tuttavia, usualmente il cliente ricerca proprio la combinazione di questi due componenti, nell’ambito di una prestazione di gestione di portafoglio.

Nel caso esaminato dai giudici europei (ma come avviene, invero, nell’ordinario espletamento del servizio di gestione della specie), le due componenti della prestazione sono state ritenute “inscindibili” e poste sullo stesso piano; infatti, entrambe sono state valutate come indispensabili per la realizzazione della prestazione complessiva, ragion per cui non è possibile ritenere che l’una debba essere considerata la prestazione principale e l’altra la prestazione accessoria alla prima.

Di conseguenza, a parere della Corte UE, i suddetti elementi sono così strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale.

I giudici hanno altresì evidenziato che l’attività di gestione di portafoglio non corrisponde alla nozione di «gestione di fondi comuni d’investimento», che la stessa Direttiva 112/2006/CE manda espressamente esenti, ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. g), per quanto la «gestione di fondi comuni d’investimento» non sia definita nella Direttiva medesima.

La Corteha tuttavia precisato che le operazioni coperte da tale esenzione sono quelle che attengono specificamente all’attività degli organismi di investimento collettivo, che gestiscono i loro investimenti in proprio nome e per proprio conto, mentre ogni investitore detiene una partecipazione nel fondo, ma non gli investimenti del fondo in quanto tali.

Per contro, di solito, le prestazioni di gestione patrimoniale individuale riguardano gli attivi di un singolo risparmiatore, che devono avere un valore complessivo relativamente elevato per poter essere gestiti in modo redditizio. Il gestore del portafoglio acquista e vende prodotti di investimento in nome e per conto dell’investitore, che resta proprietario dei singoli titoli per tutta la durata del contratto e dopo la sua conclusione.

Ad avviso della Corte UE, la gestione patrimoniale non può essere esente neppure in quanto «operazione relativa alle azioni e agli altri titoli …» (art. 135, par. 1, lett. f), della Direttiva). I termini «operazioni relative [a] (…) titoli», ai sensi della medesima disposizione, riguardano infatti le operazioni che possono creare, modificare o estinguere i diritti e gli obblighi delle parti relativi a titoli.

In proposito va altresì ricordato che la stessa Corte aveva avuto occasione di precisare che: «per quanto riguarda la portata di detta esenzione, la Corte ha constatato che le operazioni sulle azioni e sugli altri titoli sono operazioni effettuate sul mercato dei valori mobiliari e che la negoziazione dei titoli comporta atti che modificano la situazione giuridica e finanziaria delle parti. I termini “operazioni (…) relative a titoli”, ai sensi dell’art. 13, parte B, lettera d), punto 5, della sesta direttiva (ora trasfuso nell’art. 135, par. 1, lett. f), della Direttiva 112/2006/CE – N.d.A.), riguardano, pertanto, operazioni che possono creare, modificare o estinguere diritti o obblighi delle parti relativi a titoli (…). Ne deriva che i servizi di natura amministrativa, pratica o tecnica, nonché le attività di informazione finanziaria, che non cambiano la situazione finanziaria tra le parti, non rientrano nell’esenzione …» [5].

In definitiva, per tornare al caso in esame, la prestazione di gestione di portafoglio si compone essenzialmente di due elementi, vale a dire una prestazione di analisi e di custodia del patrimonio del cliente investitore, da un lato, e una prestazione di acquisto e di vendita di titoli propriamente detta, dall’altro.

Anche se le prestazioni di acquisto e di vendita di titoli possono rientrare nell’ambito dell’esenzione, non può dirsi altrettanto delle prestazioni di analisi e di custodia del patrimonio, dato che queste ultime prestazioni non presuppongono necessariamente la realizzazione di operazioni idonee a creare, modificare o estinguere i diritti e gli obblighi delle parti relativi a titoli.

Secondo un principio generale più volte ribadito, i termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui all’art. 135, par. 1, della Direttiva 112/2006/CE, devono essere interpretati restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo [6].

Pertanto, ad avviso della Corte UE, la prestazione di gestione di portafoglio: (i) non è assimilabile alla gestione di fondi comuni di investimento; (ii) può essere presa in considerazione, ai fini dell’IVA, solamente nel suo complesso (non esiste una prestazione principale ed una accessoria) e (iii) non è quindi idonea a rientrare nell’art. 135, par. 1, lett. f) e g), della medesima Direttiva 112/2006/CE e, pertanto, non è esente da IVA ai sensi di tale disposizione.

 

3.Le modifiche introdotte dalla legge di stabilità per il 2013

 

In un’ottica di allineamento del nostro ordinamento tributario al descritto orientamento giurisprudenziale maturato in ambito europeo, l’art. 1, commi 520 e 521, della legge n. 228/2012, prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’attività di gestione individuale di strumenti finanziari [7] venga assoggettata ad IVA con applicazione dell’aliquota ordinaria (il 21% attualmente, il 22% dal 1° luglio 2013), prevedendo quindi che sui relativi corrispettivi si debba applicare l’imposta analogamente a quanto previsto dalle norme vigenti per i servizi di custodia e amministrazione dei titoli che costituiscono una componente inscindibile della gestione patrimoniale.

In particolare, la legge di stabilità ha riformulato l’art. 10, comma 1, n. 4, del D.P.R. n. 633/1972, escludendo l’esenzione IVA per i corrispettivi che la clientela deve corrispondere per il servizio di gestione individuale di portafoglio.

Di conseguenza risulta modificato anche il regime IVA delle prestazioni di mandato, mediazione ed intermediazione relative ai medesimi servizi disciplinato dall’art. 10, comma 1, n. 9, del citato D.P.R. n. 633/1972. Per effetto di tale ultima modifica, i corrispettivi per i servizi di promozione delle gestioni individuali (GPM e GPF) percepiti (o fatturati) dal collocatore a decorrere dal 1° gennaio 2013 saranno assoggettati ad IVA con applicazione dell’aliquota ordinaria. Le nuove disposizioni in commento coinvolgono infatti anche le commissioni riconosciute dal gestore (ad esempio la SGR) e percepite dai collocatori e dai promotori (ad esempio gli istituti di credito e i promotori finanziari) del servizio presso la clientela.

Si osservi qui per inciso che proprio l’aspetto del regolamento di quanto dovuto agli intermediari e ai “procacciatori di affari” per la diffusione dei servizi di gestione di portafogli individuali può creare i maggiori problemi.

Infatti l’attività di questi intermediari non si esaurisce nella diffusione di tali contratti ma può limitarsi anche alla semplice intermediazione nella negoziazioni di titoli, attività che rimane indubitabilmente esente da IVA. Inoltre, è prassi comune, anche ai fini di incentivazione, corrispondere i compensi a detti “agenti”, in un primo momento, a titolo di acconto e, successivamente, a saldo, in proporzione ai contratti realmente conclusi. Risulta evidente che nel primo momento non è dato sapere quanto parte della loro attività si è concretizzata in negoziazione in titoli – esente – e quanto invece nella conclusione di contratti di gestione di portafogli individuali – ora imponibile.

Il nuovo regime si applica a tutte le prestazioni della specie “effettuate” a decorrere dal 1° gennaio 2013, cioè alle prestazioni il cui corrispettivo sia pagato a partire da tale data, salvo che il prestatore non emetta la fattura antecedentemente al pagamento; in quest’ultimo caso, come è noto, avendo a mente il disposto dell’art. 6, comma terzo, del D.P.R. n. 633/1972, la prestazione si considera effettuata al momento dell’emissione della fattura.

Pertanto i corrispettivi per i servizi di gestione individuale (GPM e GPF) percepiti (o fatturati) dall’intermediario a decorrere dal 1° gennaio 2013 saranno assoggettati ad IVA in regime di imponibilità con applicazione dell’aliquota del 21 per cento. Per contro, tutti i corrispettivi per i medesimi servizi percepiti (o fatturati) dall’intermediario entro il 31 dicembre 2012, rientrano ancora nel regime di esenzione IVA vigente prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità per il 2013. Per quanto le associazioni di categoria interessate abbiano insistito che in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni venisse recepito un principio di competenza e non di cassa, non sembra che ci sia discostati dai principi generali imposti dal citato art. 6 del decreto, per cui i compensi ricevuti (e fatturati) a decorrere dal 1° gennaio 2013, dovranno essere assoggettati ad IVA per quanto siano relativi ad operazioni effettuate e concluse nell’anno precedente.

In ogni caso, resta confermato il principio che l’intermediario/gestore non ha l’obbligo di fatturare i compensi percepiti, a meno che il cliente non ne faccia espressa richiesta, in forza dell’art. 22, comma primo, n. 5, del D.P.R. n 633/1972 (per quanto i soggetti passivi IVA committenti saranno indotti a richiederne il rilascio per poter esercitare il diritto alla detrazione del tributo corrisposto).

Tuttavia va assolutamente sgombrato il campo da un ipotetico recupero dell’imposta ora applicabile ai servizi di gestione patrimoniale individuale, effettuati legittimamente in passato in regime di esenzione dal tributo.

Ciò non tanto in ragione del carattere chiaramente innovativo delle disposizioni esaminate ma per le ricordate chiare prese di posizione espresse sul tema dall’Amministrazione finanziaria. Del resto, il principio del legittimo affidamento del contribuente ha valenza comunitaria e non riguarda le sole sanzioni (cfr., nel nostro ordinamento, gli artt. 3 e 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), ma anche il tributo [8].

Le menzionate innovative disposizioni ampliano anche l’ambito di applicazione del regime di separazione delle attività ai fini IVA previsto dall’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972; infatti, per permettere la detrazione dell’IVA afferente i costi sostenuti per l’esercizio dei servizi di gestione individuale di portafogli, si consente di optare per l’applicazione del menzionato regime ai soggetti che svolgono sia il servizio di gestione individuale di portafogli (e/o prestazioni di mandato, mediazione o intermediazione relative al predetto servizio), sia altre prestazioni di servizi esenti da IVA [9].

Questo aspetto è apparso, invero, di controversa applicazione, atteso che sono ancora in corso, presso le aziende interessate, approfondimenti e calcoli per verificarne la convenienza e la fattibilità, anche considerando che, nonostante le sollecitazioni, la stessa Amministrazione finanziaria non ha ancora indicato uno specifico “codice di attività” per le gestioni della specie, apparentemente necessario, anche ai fini dichiarativi, per la applicazione della c.d. “gestione separata IVA”, in modo da non dover determinare l’IVA ammessa in detrazione in base al pro-rata relativo all’attività generale ed indistinta.

Inoltre, il quinto comma dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 dispone l’ammissibilità di una presunta quantificazione del pro-rata in caso di inizio dell’attività ma nulla dispone (anche se sembra comunque applicabile lo stesso principio) nel caso in cui, come quello in esame, venga a mutare il trattamento fiscale di una parte delle operazioni compiute da un soggetto passivo.

Infine non risulta chiaro se un soggetto che si trovi in tale eventualità ed abbia comunque mantenuto, per la residua attività esente, il regime di semplificazione degli adempimenti di cui all’art. 36-bis dello stesso decreto, debba comunque registrare le operazioni di acquisto titoli inerenti all’attività imponibile di gestione di portafogli individuali.

Rimane il fatto, come osservazione generale, che i risparmiatori subiranno inevitabilmente un aggravio degli oneri per commissioni (d’ingresso, di gestione, di performance, di uscita, etc.) da corrispondere agli intermediari per la fruizione dei menzionati servizi di gestione del proprio patrimonio mobiliare, per la relativa IVA addebitata per rivalsa di cui, nel caso in cui l’investitore non sia soggetto passivo del tributo, ne rimarrebbe definitivamente inciso.

Si noti poi la particolare disposizione di cui al secondo comma dell’art. 18 del D.P.R. n. 633/1972 che – per la contemporanea applicabilità per gli operatori del settore del già ricordato n. 5 del comma 1 dell’art. 22 dello stesso decreto – dispone che: «Per le operazioni per le quali non è prescritta l’emissione della fattura il prezzo o il corrispettivo si intende comprensivo dell’imposta. Se la fattura è emessa su richiesta del cliente il prezzo o il corrispettivo deve essere diminuito della percentuale indicata nel quarto comma dell’articolo 25».

Al riguardo si è posto infatti il problema, fra i primi commentatori, se con riguardo alle pregresse gestioni patrimoniali individuali, finora in esenzione dal tributo, fosse legittimo richiedere con il nuovo anno l’aumento del corrispettivo all’epoca pattuito per un ammontare pari alla obbligatoria rivalsa del tributo.

Per quanto, da un sommario esame della contrattualistica in corso, si potessero rilevare già generiche clausole “cautelative”, già pattuite a favore del gestore, che prevedevano che le spese relative ad “oneri fiscali” o l’applicabilità dell’IVA in relazione alle prestazioni fornite “ove risultasse dovuta” fossero a carico del cliente, è sembrato comunque opportuno, anche nel rispetto del principio della c.d. “trasparenza dei rapporti contrattuali”, inviare alla clientela una lettera di integrazione contrattuale per comunicare le sostanziali modifiche legislative intervenute che, in quanto redatta sotto “forma di corrispondenza”, non crea immediati problemi ai fini dell’applicazione delle imposte di registro e di bollo.

L’onere derivante in capo ai clienti degli intermediari dall’imponibilità dei corrispettivi per le gestioni patrimoniali si somma peraltro all’onere scaturente dall’applicazione dell’imposta di bollo sui prodotti finanziari introdotta dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), a decorrere dal 2012. Come noto, infatti, le gestioni patrimoniali, che in base a quanto previsto dall’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 28 febbraio 1998, n. 58 (TUF), costituiscono servizi e attività di investimento quando hanno per oggetto strumenti finanziari, rilevano ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo di cui all’art. 13, comma 2-ter, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642. La recente circolare dell’Agenzia delle entrate 21 dicembre 2012, n. 48/E [10], ha evidenziato che, ai fini della determinazione della base imponibile a cui applicare le aliquote previste (0,1% per il 2012 e 0,15% per gli anni successivi) per il computo dell’imposta in esame, rileva l’intero valore della gestione patrimoniale, compresa la eventuale liquidità non ancora investita in strumenti finanziari.

Sembra però indiscutibile che il recupero delle somme relative all’imposta di bollo nei confronti del cliente, quale legittima traslazione economica già pattuita degli oneri relativi al contratto, non sia a sua volta considerata nella base imponibile su cui applicare l’IVA.

Va comunque detto che la legge di stabilità per il 2013 non ha apportato alcuna modifica al regime dell’imposizione diretta riferibile alle gestioni di portafoglio: le commissioni di gestione, ora assoggettate ad IVA, restano deducibili ai fini del computo del risultato di gestione da assoggettare all’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, nella misura del 20%, ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, che disciplina il regime fiscale del c.d. “risparmio gestito”.

Non è da escludere, infine, che la questione del trattamento IVA della gestione di portafoglio titoli individuale sia di nuovo rivista nell’ambito della proposta di direttiva sui servizi finanziari ed assicurativi e della connessa proposta di regolamento attualmente in discussione presso il Consiglio d’europa [11].

 

4.Ulteriori considerazioni: la “consulenza finanziaria”

 

Affrontiamo qui di seguito questo tema su cui la stessa sentenza della Corte UE causa C-44/11 del 2012, appena commentata, offre interessanti spunti per poter approfondire l’esame del corretto trattamento ai fini IVA della c.d. “consulenza finanziaria” che, dietro corrispettivo, gli intermediari finanziari sono usi (se non tenuti) ad offrire alla propria clientela, onde consentirle di compiere a ragion veduta le proprie scelte di investimento [12].

Invero, detta sentenza, da leggere congiuntamente con le propedeutiche osservazioni formulate dall’Avvocato generale UE [13], affronta tematiche molto interessanti e diverse da quelle strettamente attinenti alle gestioni patrimoniali (circa, ad esempio, la definizione dei servizi offerti dai fondi comuni di investimento, la corretta identificazione di una “operazione complessa” ai fini IVA, all’interno della quale non è sempre possibile individuare al suo interno – data la sua inscindibilità – una operazione “accessoria”) che, al di là di quanto esplicitamente riportato nel dispositivo, possono essere considerate oltre il caso deciso riguardante le gestioni di portafogli individuali.

Peraltro, gli stessi giudici europei hanno evidenziato che nell’ambito di tale complesso servizio, inscindibilmente ritenuto imponibile, unitamente alle componenti relative alle prestazioni di custodia del patrimonio del cliente e al servizio di acquisto e di vendita di titoli, c’è anche quella di analisi dei mercati e di consulenza a favore del cliente.

Nel precedente paragrafo avevamo anche ricordato che i medesimi giudici, in un’altra occasione, avevano notato che: «(…) i servizi di natura amministrativa, pratica o tecnica, nonché le attività di informazione finanziaria, che non cambiano la situazione finanziaria tra le parti, non rientrano nell’esenzione …» [14].

Alla luce di ciò, non a caso l’Amministrazione finanziaria ha escluso che possano essere considerate come attività accessorie ad una prestazione finanziaria (e quindi parimenti esenti da IVA) i servizi che una società estera fornisce, periodicamente, ad una società finanziaria italiana attraverso l’elaborazione di un c.d. “portafoglio modello”, cioè di un portafoglio di investimenti in titoli azionari ed obbligazionari considerato ottimale. Secondo l’Amministrazione finanziaria tale servizio assume i contorni di una consulenza “generica” in relazione all’insieme dell’attività, globalmente considerata, svolta dalla società finanziaria italiana: pertanto tali servizi, realizzando piuttosto i caratteri propri di una consulenza generica e non di una prestazione finanziaria esente da IVA, sono da assoggettare ad imposta [15].

Parimenti, non sono stati considerati esenti i servizi consistenti nel porre a disposizione delle banche o di altri utenti le informazioni finanziarie, in quanto attività non contemplate dall’ex art. 13, parte B, punti 3 e 5, della VI Direttiva [16].

D’altro canto, allo stesso tempo, la medesima Agenzia delle entrate ha dato un’interpretazione ampia all’attività di intermediazione finanziaria, esente da IVA in virtù del combinato disposto dei nn. 4 e 9 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, facendo rientrare in essa anche l’attività di consulenza finanziaria c.d. “personalizzata ai fini MIFID”, prevista dall’art. 1, comma 5, lett. f), del D.Lgs. n. 58/1998, in quanto: «volta a consentire a un cliente di assumere decisioni informate, ossia basate su una valutazione, operata dal consulente, non solo delle specifiche caratteristiche del cliente su cui la raccomandazione è fornita, ma anche dello strumento finanziario oggetto della raccomandazione stessa» [17].

Trattasi in questo caso di consulenza consistente nella prestazione di raccomandazioni “personalizzate” a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a un determinato strumento finanziario.

L’Agenzia delle entrate, dopo aver escluso che, in via generale, tale attività si possa considerare come prestazione accessoria alle operazioni di negoziazione secondo l’art. 12 del D.P.R. n. 633/1972, afferma che è astrattamente possibile ricondurre la consulenza in materia di investimenti tra le operazioni “relative” a valori mobiliari previsti dal n. 4 dell’art. 10 dello stesso decreto.

Del resto, considerando che l’attività di consulenza è ora espressamente compresa tra i servizi di investimento e può avere ad oggetto una o più operazioni relative a un determinato strumento finanziario, l’Agenzia delle entrate ritiene che essa sia più correttamente inquadrabile fra quelle di intermediazione previste dal successivo n. 9 dello stesso articolo citato.

Questa interpretazione appare in linea con le indicazioni formulate in sede comunitaria con la proposta di modifica (COM 2007-747) della Direttiva n. 2006/112/CE e con il relativo regolamento (COM 2007-746), che ha notevolmente ampliato l’ambito dei servizi assicurativi e finanziari esenti da imposta.

Ritornando all’interpretazione ministeriale, va ribadito che il presupposto per l’esenzione è che la consulenza sia strettamente connessa ad un’operazione di negoziazione.

Questa connessione è implicita nelle caratteristiche della consulenza in materia di investimento, che si differenzia da quella “generica”. Quest’ultima consiste nel fornire raccomandazioni di carattere generale destinate ad essere diffuse al pubblico mediante i normali canali di distribuzione.

È quindi da ritenere che i presupposti dell’esenzione sussistano sia nel caso in cui il servizio di consulenza in materia di investimenti sia reso da un operatore che poi esegua direttamente anche l’operazione di negoziazione, sia nel caso in cui la negoziazione venga invece effettuata da un intermediario diverso da quello che ha fornito la consulenza.

Invero, l’Agenzia delle entrate non si è pronunciata sul regime IVA della consulenza “generica”, se non indirettamente nelle occasioni sopra ricordate. A questo riguardo si può ipotizzare che qualora tale attività sia prestata nell’ambito dell’esecuzione dei servizi di investimento – come avviene, ad esempio, per la “ricerca” in materia di investimento i cui costi sono incorporati nelle commissioni di negoziazione – possa comunque beneficiare dell’esenzione.

Questo in quanto l’attività è parte integrante della prestazione di negoziazione, mentre nel caso in cui sia resa per finalità esclusivamente divulgative (ad esempio, ai giornali o altri mezzi di comunicazione) non sussistono i presupposti per l’esenzione.

Per i motivi sopra esposti, l’esenzione di cui al n. 9 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 si applica non solo a tutte le ipotesi contrattuali che comportano, comunque, un’interposizione nella circolazione dei beni e servizi (fra i quali rientrano, ad esempio, i contratti di mediazione, di agenzia, di procacciamento d’affari), ma anche alla consulenza ed assistenza finalizzata all’attività di presentazione e proposta dei prodotti.

Si è posto a questo punto il problema se, in caso di mancata conclusione del contratto finanziario a cui è finalizzata l’intermediazione, l’eventuale provvigione comunque dovuta al “consulente” mantenga il trattamento di esenzione da IVA o sia invece imponibile.

Non vale ad ovviare il problema prevedere che detta attività, in caso di mancata conclusione del contratto, non venga specificamente retribuita perché, ai sensi del comma 3 dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 – in seguito alle modifiche intervenute con l’art. 16-bis, comma 1, lett. b), del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 marzo 1995, n. 85) – le prestazioni di servizi (sempreché l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla sua esecuzione sia detraibile e di valore unitario, per ogni operazione superiore a 25,82 euro) divengono imponibili anche se svolte a titolo assolutamente gratuito.

Ma al di là di dette considerazioni, bisogna opportunamente osservare che tale attività di consulenza alla clientela negli investimenti del risparmio è prevista, se non addirittura obbligatoriamente dovuta, dal D.Lgs. n. 58/1998. Non è dato quindi ravvisare una logica ragione per escludere dal trattamento di esenzione da IVA anche questa attività di consulenza finanziaria, anche se non ha ottenuto il suo “naturale” compimento.

In conclusione, va considerato se la recente sentenza della Corte di Giustizia UE, pronunciata in relazione ai servizi di gestione di portafogli individuale, possa comportare un ripensamento anche in relazione al trattamento della ricordata “consulenza finanziaria”, sulla quale solo incidentalmente e implicitamente si pronuncia.

Riteniamo che non si possa giungere a questa drastica conclusione (e, quindi, considerare anche tale consulenza attratta nel regime di imponibilità) quanto meno per due ordine di ragioni:

1. nonostante, come è noto, alle sentenze della Corte di Giustizia UE vada riconosciuto un valore di “fonte di diritto” per gli Ordinamenti nazionali dei Paesi membri (cosa che, al contrario, non può riconoscersi alle sentenze della nostra Corte di Cassazione, per quanto abbiano l’importante valore di autorevole precedente interpretativo), tale valenza deve riconoscersi esclusivamente ai punti interpretativi espressi esplicitamente dal dispositivo della sentenza e non su singole considerazioni manifestate nelle sue motivazioni;

2. il fatto che l’oggetto delle indicazioni dei giudici comunitari sia esclusivamente quello della ormai ritenuta imponibilità delle gestioni finanziarie individuali è indirettamente dimostrato dall’azione del nostro legislatore che, nel recepire doverosamente tali indicazioni con le esaminate disposizioni della legge di stabilità 2013, si è limitato a questa fattispecie senza estendere il medesimo trattamento ad altre, per quanto ritenute analoghe.

Ma che l’argomento della “consulenza finanziaria” sia in questo momento particolarmente “sotto osservazione” è dimostrato dal fatto che, proprio quando avevamo ormai consegnato questo lavoro, è intervenuta in merito una nuova sentenza dei giudici comunitari [18], prontamente richiamata nella stampa specializzata [19].

Il principio interpretativo enunciato sembrerebbe, ad una sommaria lettura, confermare quanto sopra rappresentato, in quanto si evidenzia che: «L’art. 13, parte B, lettera d), punto 6, della VI direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che le prestazioni di consulenza in materia di investimento in valori mobiliari fornite da un terzo a una società di investimento di capitali, gestore di un fondo comune di investimento, rientrano nella nozione di “gestione di fondi comuni di investimento” ai fini dell’esenzione prevista dalla citata disposizione, anche se il terzo non abbia agito in esecuzione di un mandato, ai sensi dell’art. 5-octies della direttiva 85/611/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), come modificata dalla direttiva 2001/107/CEE del parlamento europeo e del Consiglio, del 21 gennaio 2011».

Tuttavia, nelle motivazioni si legge (cfr. punti 29 e 30), in contrapposizione, che: «(…) le prestazioni di consulenza e informazione sono inserite nella categoria dei servizi specifici rientranti nell’ambito delle attività di “gestione” di un fondo comune di investimento, ai sensi dell’art. 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva [e, quindi, in trattamento di esenzione da IVA – N.d.a.], mentre i servizi di consulenza forniti a persone fisiche o giuridiche che investono direttamente il loro denaro in titoli sono invece soggetti ad IVA. Va infatti ricordato che gli investitori che investono direttamente il loro patrimonio non sono assoggettati ad IVA e che l’obiettivo dell’esenzione delle operazioni collegate alla gestione di fondi comuni di investimento prevista dall’art. 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva è quello di agevolare ai piccoli investitori l’investimento in titoli tramite organismi di investimento collettivo escludendo i costi dell’IVA, al fine di garantire la neutralità del sistema comune dell’IVA quanto alla scelta tra l’investimento diretto in titoli e quello mediante organismi (…)».

Forse non basta qui osservare che l’affermazione dei giudici appare, nello specifico, veramente incidentale e alquanto “apodittica” (invero, il riferimento all’imponibilità della “consulenza”, relativa agli “investimenti diretti” delle persone fisiche e giuridiche sembra solo giustificata dal fatto che, in questo caso, non si applicherebbe l’IVA non tanto perché le “negoziazioni in titoli” sono di per sé “esenti” da IVA (per il nostro ordinamento, in forza del n. 4 del comma 1 dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972), ma addirittura “escluse” dal tributo, in quanto concretizzano investimenti del “patrimonio personale” dei soggetti interessati [20].

Va altresì osservato che, per altri aspetti, la stessa sentenza appena citata offre molti argomenti a sostegno della tesi che la complessa attività della c.d. “banca depositaria” prestata a favore degli OICVM dovrebbe essere trattata in regime di esenzione da IVA, nonostante l’atteggiamento contrario recentemente manifestato dall’Amministrazione finanziaria in numerose verifiche nel frattempo espletate e che ha trovato (per il momento isolato) accoglimento in una sentenza dei giudici di merito nazionali [21].

La questione merita comunque approfondimento, tenendo sempre presente che – anche se si arriverà ad un esplicito pronunciamento in merito all’imponibilità dell’esaminata “consulenza finanziaria” – a ciò si dovrà pervenire con un apposito provvedimento legislativo, come è appunto avvenuto per le gestioni dei portafogli individuali, tutelando il diritto all’“affidamento” dei contribuenti che, per il passato, si sono attenuti alle chiare indicazioni per l’esenzione contenute nelle richiamate declaratorie ministeriali.

 

Avv. Gianni Polo

 

 



[1] In dottrina cfr. g. molinaro, Imponibili ai fini IVA i corrispettivi per i servizi di gestione di portafogli individuali, in Corr. trib., 2013, 205; a. federico – f. stella, IVA: cosa cambia, con la Legge di Stabilità, per i servizi di gestione individuale di portafogli titoli, in il fisco, 2013, 982; f. ricca, I portafogli perdono l’esenzione, in Italia Oggi del 29 dicembre 2012, 26; e l. incorvati, Sulle gestioni patrimoniali l’ombra del rincaro dell’IVA, in Plus24-Sole 24 Ore del 1° dicembre 2012, 17.

[2] In Boll. Trib. On-line.

[3] Cfr. ris. 5 febbraio 1992, n. 430571, in Boll. Trib., 1992, 1598.

[4] Cfr. ris. 11 novembre 2002, n. 352/E, in Boll. Trib. On-line.

 

[5] Cfr. Corte Giust. CEE, sez. V, 5 giugno 1997, causa C-2/95, punto n.75, in Boll. Trib. On-line. In proposito, si veda anche circ. ABI, serie trib., 11 agosto 1997, n. 37.

[6] Su quest’aspetto, vedi più diffusamente g. polo, L’IVA e servizi bancari e finanziari, Ecra, 2012, 55.

[7] Di cui all’art. 1, comma 5, lett. d), del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF).

[8] Cfr., proprio con riguardo all’applicazione dell’IVA, Corte Giust. UE 14 settembre 2006, causa C-181/04, in Racc., 2006, I, 8167; e Corte Giust. UE, sez. III, 15 dicembre 2011, causa C-427/10, in Boll. Trib. On-line.

[9] Sull’argomento, cfr. circ. 14 gennaio 2013, n. 1, dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili – Sezione di Milano.

 

[10] In Boll. Trib., 2013, 115.

[11] Cfr. COM (2011) 746 – 2011/0360/COD: «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modificala direttiva 2009/65/CE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) ela direttiva 2011/61/UE sui gestori dei fondi di investimento alternativi per quanto riguarda l’eccessivo affidamento ai rating di credito».

[12] Sull’argomento vedi più diffusamente s. dus – r. lupi, Provvigioni e consulenze nell’IVA, in Dial. trib., 2008, 139.

[13] Avv. Eleanor Sharpeston, presentate l’8 maggio 2012.

[14] Cfr. Corte Giust. CEE causa C-2/1995 del 1997, cit.

[15] Cfr. ris. 15 luglio 2002, n. 230/E, in Boll. Trib. On-line.

[16] Cfr. ris. 11 dicembre 2009, n. 283/E, in Boll. Trib. On-line.

[17] Cfr. ris. 4 agosto 2008, n. 343/E; e ris. 30 ottobre 2009, n. 267/E; entrambe in Boll. Trib. On-line. Si veda anche la nota 15 luglio 2008, n. 954–73508, dell’Agenzia delle entrate, su specifico quesito posto al riguardo dall’AssoSim.

 

[18] Cfr. Corte Giust. UE 7 marzo 2013, causa C-275/11.

[19] Cfr. l. incorvati, L’IVA colpisce anche la consulenza finanziaria, in Il Sole 24 Ore del 13 marzo 2013, 18.

 

[20] Ma, in tal caso, come si supera la presunzione di “commercialità” per tutte le operazioni compiute dalle persone giuridiche di cui al comma 2, nn. 1 e 2, dell’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972.

[21] Cfr. Comm. trib. prov. di Milano, sez. XI, 19 novembre 2012, n. 321, inedita.

 

 

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