24 Dicembre, 2015

 

 

SOMMARIO: 1. L’elusione fiscale e la scelta del “minor sacrificio”: il vantaggio fiscale e l’assenza di valide ragioni economiche – 2. Breve evoluzione giurisprudenziale in materia di elusione – 3. Strumenti antielusivi e obbligatorietà del contraddittorio – 4. Prospettive di riforma: conclusioni.

 

 

1. L’elusione fiscale e la scelta del “minor sacrificio”: il vantaggio fiscale e l’assenza di valide ragioni economiche

Lo schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente – approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri lo scorso 24 dicembre, in attuazione della delega fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23 – si occupa di meglio definire i confini dell’abuso del diritto e della (conseguente) elusione fiscale, intervenendo all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente (1), e, pertanto, conferendo al tema una valenza per così dire di carattere generale.

Giova precisare che l’elusione fiscale è comunemente riconducibile ad una forma di risparmio realizzata attraverso comportamenti da parte del contribuente, finalizzati – nel rispetto formale della legge, ma non della sua ratio – a conseguire una riduzione del carico tributario, attraverso stratagemmi e tattiche giuridiche. Si tratta, in buona sostanza, di una zona grigia, in quanto non specificata dal legislatore, nella quale l’Amministrazione finanziaria si trova a dover adottare ogni misura volta a contrastare un apparente rispetto della norma ma un utilizzo improprio ed irregolare.

Detto ciò, ci sembra evidente come l’elusione possa essere ricondotta all’abuso del diritto, incentrandosi in un comportamento formalmente coerente alla norma, ma sostanzialmente volto ad evitarne la sua applicazione e, dunque, ad aggirarla. In tal senso è possibile scindere l’elusione dal risparmio lecito d’imposta, che si configura allorché l’operazione posta in essere comporti un trattamento fiscale più favorevole volto, appunto, a conseguire un risparmio d’imposta, senza la realizzazione di alcun aggiramento della norma, a differenza dell’elusione che mira ad ottenere un risparmio d’imposta, altrimenti indebito.

Alla luce di quanto finora detto, ci sembra possibile affermare che l’elusione, quale effetto per così dire economico dell’imposta, si colloca a metà strada fra l’evasione fiscale ed il risparmio lecito d’imposta ed è provocata da fattori esogeni (quali, ad esempio, un carico eccessivo rispetto alla reale capacità contributiva del soggetto o cause di politica economica contingenti) ed endogeni (quali la particolare impostazione dell’ordinamento giuridico tributario, caratterizzato da fattispecie casistiche e non codicistiche).

Le fattispecie tipicamente elusive sono riconducibili alle seguenti:

Negozio simulato. La simulazione si verifica in tutte quelle situazioni in cui per volontà delle parti la dichiarazione reciproca non corrisponde all’intenzione effettiva. Le tre componenti della simulazione sono in primis l’intenzione ingannatoria verso il terzo, la divergenza voluta tra atto formale ed intenzione reale e l’accordo simulatorio. La simulazione può essere assoluta e relativa: si ha la prima nell’ipotesi in cui le parti pongono in essere un determinato negozio giuridico ma, nella realtà, non hanno intenzione di realizzarne alcuno; viceversa, si ha la seconda quando la volontà espressa dalle parti è volta a concludere un determinato negozio, ma l’intenzione reale è quella di concludere un negozio diverso.

Interposizione fittizia si verifica quando il reddito sembra esternamente essere posseduto da un contribuente, ma nella realtà appartiene ad un altro. Per limitare ed ovviare a tale pratica, il legislatore ha stabilito (art. 37, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), che «sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».

Contratto in frode alla legge si realizza quando si fa ricorso ad uno schema contrattuale al fine di ottenere un risultato economico vietato da una norma. In tal senso l’art. 1344 c.c. dispone che «si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa».

Negozio indiretto non è regolato dal codice civile e, nella prospettiva tributaria, lo scopo è quello di regolare l’interesse delle parti tramite l’utilizzo di uno o più negozi che consentono di raggiungere lo stesso risultato, ma con il minimo carico fiscale possibile.

[-protetto-]

Una significativa tappa in materia antielusiva si ebbe all’inizio degli Anni Novanta, con la legge 29 dicembre 1990, n. 408, il cui art. 10 consentiva «all’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo e riduzione del capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessioni di crediti, cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta». Gli elementi cui era subordinata l’applicazione di tale norma erano: 1) l’assenza di valide ragioni economiche; 2) lo scopo esclusivo di ottenere il risparmio d’imposta; e 3) la frode nel compimento del progetto. Le difficoltà interpretative, legate prevalentemente alle espressioni “fraudolentemente” e “allo scopo esclusivo”, resero difficile l’attuazione della norma e, difatti, venne introdotta in seno al D.P.R. n. 600/1973 una norma antielusiva positiva: l’art. 37-bis, che abrogò la precedente disciplina e che venne subito considerata una norma antielusiva di carattere generale.

In effetti i primi due commi dell’art. 37-bis stabiliscono le condotte elusive inopponibili al fisco; nel terzo comma, invece, vengono individuate le operazioni potenzialmente elusive, i commi da quattro a sette definiscono gli aspetti procedurali posti a garanzia del contribuente, mentre l’ottavo comma disciplina l’interpello disapplicativo. Il primo comma dell’articolo in esame dispone che «sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, dirette ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti». Si individuano le seguenti condizioni che devono sussistere congiuntamente affinché l’Amministrazione finanziaria riscontri ipotesi di elusione fiscale, e segnatamente: 1) il conseguimento di un vantaggio fiscale altrimenti indebito; 2) l’aggiramento di un obbligo o di un divieto; e 3) assenza di valide ragioni economiche.

Riguardo alla prima condizione, si ritiene utile mettere in evidenza che il beneficio si concretizza in un vantaggio fiscale, essenza stessa dell’elusione, che altrimenti sarebbe non spettante e, quindi, indebito. Quanto al secondo presupposto, esso si concretizza in atteggiamenti finalizzati ad ottenere risparmi o rimborsi fiscali, utilizzando scappatoie e smagliature della norma e, di conseguenza, non volute dal legislatore. Infine, l’ultima condizione è l’assenza di valide ragioni economiche, cioè di valide motivazioni economiche e gestionali che abbiano potuto legittimare la condotta adottata.

2. Breve evoluzione giurisprudenziale in materia di elusione

Il ruolo della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in materia di elusione fiscale è stato decisivo in quanto essa ha provveduto ad elaborare un principio antielusivo di carattere generale: il divieto di abuso del diritto. Le due pietre miliari al riguardo sono le sentenze Halifax e Part Service, in materia di IVA, e la sentenza Cadbury Schweppes, in materia di libertà di stabilimento, sebbene in differenti altre occasioni la Corte di Giustizia europea abbia ribadito come lo scopo esclusivo di ottenere il “vantaggio fiscale” debba risultare da un insieme di valutazioni (2).

Con la sentenza Halifax del 21 febbraio 2006, causa C-255/02 (3), la Corte ha stabilito che i contribuenti «non possono avvalersi, fraudolentemente o abusivamente, del diritto comunitario», al solo scopo di fruire di eventuali vantaggi previsti dal diritto dell’Unione europea. La Corte ha affermato che esiste un principio generale in seno alla VI Direttiva, relativamente a quelle operazioni effettuate al solo scopo di rendere possibile il recupero dell’imposta assolta e, più precisamente, nell’interpretazione della Corte la VI Direttiva osta al diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA, quando le operazioni su cui si fonda tale diritto integrano un comportamento abusivo. In definitiva, al punto 73, la Corte di Giustizia europea stabilisce che il contribuente ha il diritto di scegliere la modalità di condizione degli affari che consenta di abbattere o di ridurre la sua contribuzione fiscale.

Con la sentenza Part Service del 21 febbraio 2008, causa C-425/06 (4), ancora, la Corte europea interviene stabilendo che «l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale dell’operazione o delle operazioni controverse» e, quindi, (al punto 47) si chiarisce che «la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’Iva. Quando un soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggior pagamento dell’Iva. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzioni degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale». Ciò che dovrebbe rilevare al fine di connotare l’elusività di un’operazione non è tanto il conseguimento del vantaggio fiscale, ma la sua legittimazione e realizzazione con riferimento alle norme dell’ordinamento.

Quanto alla libertà di stabilimento, la pronuncia Cadbury Schweppes del 12 settembre 2006, causa C-196/04 (5), stabilisce che «gli artt. 43 CE e 48 devono essere interpretati nel senso che ostano all’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una società estera controllata stabilita in un altro Stato … a meno che tale inclusione non riguardi costruzioni di puro artificio destinate a eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di una misura impositiva siffatta deve perciò essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive».

A seguito della sentenza Halifax, la Corte di Cassazione (6) ha affermato che «non hanno efficacianei confronti dell’Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere che costituiscono abuso del diritto, cioè che si traducono in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico». Ad avviso della Corte vanno considerate abusive tutte quelle operazioni il cui scopo è essenzialmente quello di ottenere un vantaggio fiscale e, in virtù dell’introduzione nell’ordinamento tributario italiano del divieto di abuso, «l’ottica dei rapporti elusione/norma legislativa si è ribaltata e le singole norme “antielusive” vengono invocate non più come eccezioni ad una regola, ma come sintomo dell’esistenza di una regola». In seguito, la Suprema Corte (7) ha definito l’abuso come una modalità di aggiramento della legge tributaria che prende sostanza in quelle operazioni economiche che presentano come elemento preponderante ed assorbente la finalità di ottenere vantaggi fiscali.

Tuttavia, la realizzazione di un vantaggio fiscale, sebbene conseguente ad operazioni che sembrerebbero prive di ragioni economiche, non deve necessariamente condurre l’Amministrazione finanziaria verso l’elusione. Rammentiamo, infatti, che l’art. 41 Cost. tutela la libertà di iniziativa economica, quale libero esercizio dell’attività di impresa e di autonomia negoziale. Di conseguenza, possono sussistere ragioni extrafiscali, che cioè non presentano ripercussioni immediate dal punto di vista reddituale (quali, ad esempio, il miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa), che possono indurre il contribuente/imprenditore ad adottare un determinato comportamento o a preferire di realizzare un’operazione piuttosto che una differente, senza che l’Amministrazione finanziaria imponga la sua scelta (8). Incombe, comunque, sulla stessa Amministrazione l’onere di fornire la prova sia dell’uso distorto e patologico degli strumenti giuridici, e dunque, della deviazione dagli schemi contrattuali tradizionali che imporrebbero una differente condotta, conforme, cioè, ad una logica di mercato. Viene, di recente, stabilito dalla Corte Suprema (9) non solo che l’Amministrazione debba dimostrare la manipolazione della norma, e l’irragionevolezza della scelta imprenditoriale in un contesto di scelte di mercato, ma che non costituisce elusione la scelta del contribuente di non seguire l’opzione più onerosa, altrimenti il rischio che si corre è quello di menomare l’autonomia privata e di mortificare innovazioni, anche gestionali ed organizzative, in nome di una presunta elusione, peraltro tutta da dimostrare.

E, in definitiva, integra gli estremi di una condotta elusiva quella scelta aziendale che ponga quale elemento essenziale dell’operazione economica lo scopo esclusivo e patologico di ottenere indebitamente vantaggi fiscali, atteso che, comunque, il contribuente dovrebbe avere sempre garantita la libertà di scelta fra diversi strumenti nella tutela della propria libertà negoziale e d’impresa. Difatti, oltremodo autolesionistico, oltre che antieconomico, sarebbe che il contribuente avesse naturalmente la vocazione ad attuare le scelte più onerose dal punto di vista fiscale.

3. Strumenti antielusivi e obbligatorietà del contraddittorio

Come già precisato fino ad ora, la lacuna di una clausola generale antielusiva è stata colmata grazie all’intervento del giudice comunitario, ed in seguito di quello nazionale, elaborando un principio generale di abuso del diritto, di portata generale, quale strumento di contrasto all’elusione non chiarendo, però, definitivamente l’identità o la contrapposizione fra i due concetti.

Abuso del diritto ed elusione sono, dunque, due concetti simmetrici in quanto entrambi tendono ad individuare comportamenti finalizzati ad ottenere un vantaggio fiscale abusivo e contrario alla ratio della norma. Un importante strumento a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per individuare e reprimere i comportamenti elusivi è l’interpretazione della norma in funzione antielusiva. In quest’ipotesi il fisco va oltre il significato letterale attuando una riqualificazione del negozio realizzato in relazione al suo contenuto sostanziale e considerando lo scopo effettivo che i contraenti hanno voluto realizzare. Un esempio in tal senso è la riqualificazione dell’imposta di registro, che trova la sua fonte nell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, secondo cui «l’imposta è applicata secondo natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». Tuttavia, talvolta, l’interpretazione antielusiva non è sufficiente ed occorre contrastare in modo più efficace tale dilagante fenomeno attraverso norme antielusive quali l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 che, come già precisato, rende «inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti».

La norma de qua è applicabile alle seguenti operazioni:

trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;

conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;

cessioni di crediti;

cessioni di eccedenze d’imposta;

operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l’adeguamento alle Direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimento d’attivo e scambi di azioni nonché il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società;

operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad oggetto i beni e i rapporti di cui all’art. 81, primo comma, lett. da c) a c-quinquies), del TUIR;

cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo di cui all’art. 117 del TUIR;

pagamenti di interessi e canoni di cui all’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell’Unione europea;

pattuizioni intercorse tra società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c., una delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli di cui al D.M. emanato ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR, aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.

Occorre, comunque, precisare che esistono nel nostro ordinamento altre norme la cui antielusività non si presenta come esplicita, ma la loro finalità è essenzialmente quella di arginare pratiche elusive, quali ad esempio l’art. 84 del TUIR che disciplina il riporto delle perdite dei soggetti passivi IRES. In effetti la norma originaria prevedeva la soglia del quinquennio alla riportabilità delle perdite; in seguito, per effetto del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), è stato soppresso il limite temporale dei cinque anni ed è stato introdotto il limite quantitativo che individua nell’80 per cento del reddito la soglia di perdite riportabili.

Quanto al contraddittorio procedimentale, la Corte di Giustizia europea non ha mancato, anche di recente, di assegnare al diritto al contraddittorio endoprocedimentale la natura di principio fondamentale dell’ordinamento ma, con riferimento a questa particolare fattispecie, occorre sottolinearne l’assoluta obbligatorietà, nel senso che l’Amministrazione finanziaria è tenuta ad inviare una richiesta di chiarimenti al contribuente, prima di considerare elusiva una operazione. In tal senso è necessario ribadire come il rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, riferibile all’art. 12, comma settimo, dello Statuto dei diritti del contribuente, supporti e rafforzi l’art. 37-bis nel senso che, sebbene l’art. 12 preveda la generica facoltà del contribuente di comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli Uffici impositori, l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, invece, prevede un vero e proprio obbligo di inviare al contribuente una preventiva richiesta di chiarimenti la cui assenza inficia la validità del successivo atto impositivo.

4. Prospettive di riforma: conclusioni

Il tema dell’abuso del diritto ha costituito, alla fine del 2014, uno degli argomenti di maggiore attualità soprattutto per le prospettive di riforma contenute nello schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, di attuazione della delega fiscale n. 23/2014.

A quanto si evince dal Titolo I, rubricato “Abuso del diritto o elusione fiscale”, già ci è dato di capire che l’intento del legislatore sia quello non solo di meglio definirne le fattispecie, ma soprattutto di evitare interventi casistici (spesso di confine) ed a macchia di leopardo, per disciplinare organicamente la materia in seno allo Statuto dei diritti del contribuente nel nuovo art. 10-bis, che dovrebbe abrogare l’art. 37-bis. La collocazione dell’istituenda norma nel corpus della legge n. 212/2000 dopo l’art. 10 – che rammentiamo è rubricato “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente” – ci sembra che meriti una breve osservazione considerato che la conseguenzialità logica fra i due articoli (10 e 10-bis) è certamente coerente quanto al primo comma dell’art. 10 che, com’è noto, individua nei principi di collaborazione e buona fede i cardini attorno ai quali ruotano i rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuente, ma decisamente lontano ci sembra il tema dell’abuso del diritto dalle problematiche relative all’affidamento. Probabilmente sarebbe più opportuno, in nome della certezza del diritto che dovrebbe ispirare lo schema di decreto legislativo, collocare la norma de qua nella parte finale dello Statuto.

Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto vengono individuati, dunque, nei seguenti elementi:

realizzazione di una o più operazioni prive di sostanza economica, e cioè i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali;

conseguimento di un vantaggio fiscale indebito, anche se non immediato, sia pure nel rispetto formale delle norme, ma in contrasto con le finalità delle stesse e dei principi dell’ordinamento;

il vantaggio fiscale è elemento essenziale dell’operazione.

Le operazioni che si connotano per la presenza di tali elementi sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria che ne disconosce i vantaggi, tuttavia viene precisato, nel rispetto della libertà di scelta dell’operatore economico a cui accennavamo poc’anzi, che non si considerano abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, ovvero dell’attività professionale del contribuente, e in tal senso certamente lo schema di decreto ci sembra consono con una economia da incoraggiare.

Il contribuente può, comunque, proporre interpello preventivo per conoscere in anticipo se le operazioni che intende porre in essere costituiscano o meno la fattispecie di abuso del diritto e rimane impregiudicata l’ulteriore azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria che è tenuta ad accertare l’abuso del diritto, e a dimostrare la condotta abusiva, con apposito atto preceduto da una richiesta di chiarimenti da fornire entro sessanta giorni, pena la nullità dell’atto impositivo.

In definitiva, ci sembra di poter evidenziare che fra gli elementi di maggiore novità va segnalato il fatto che il nucleo dell’abuso sia la realizzazione di un vantaggio economico ed indebito, ottenuto attraverso l’aggiramento della norma e non la sua violazione, elemento che costituisce il fine fondamentale che ha guidato la scelta del contribuente. La verifica dell’aggiramento, tuttavia, va fatta tenuto conto di parametri oggettivi, e non soggettivi e discrezionali, e nel rispetto delle garanzie procedimentali e della libertà di scelta del contribuente.

In conclusione, l’abuso del diritto si concretizza nell’elusione fiscale che rappresenta una diretta conseguenza dell’abuso, in tal senso non si comprende l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “o”, riportata nel titolo della bozza di decreto “Abuso del diritto o elusione fiscale”, non trattandosi di due fattispecie differenti e scollegate, ma il concetto di elusione è la conseguenza di una pratica abusiva. La funzione di una congiunzione disgiuntiva – quale è la “o” – è quella di legare due parole «che sono in qualche modo in contrasto tra loro» (così Treccani), mettendole cioè in alternativa ed escludendone una delle due. Considerato il rapporto di causa/effetto tra abuso del diritto ed elusione fiscale, che rende le due fattispecie intimamente collegate fra loro, sarebbe certamente più corretto l’utilizzo della congiunzione “e”, oltre che più coerente con il titolo dello schema di decreto legislativo che reca disposizioni “sulla certezza del diritto” nei rapporti tra fisco e contribuente!

Prof. Maria Vittoria Serranò

Università di Messina

(1) Di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212.

(2) Cfr. Corte Giust. UE, sez. VII, 27 ottobre 2011, causa C-504/10; Corte Giust. UE, sez. II, 22 marzo 2012, causa C-153/11; e Corte Giust. UE, sez. III, 20 giugno 2013, causa C-653/11, tutte in Boll. Trib. On-line.

(3) In Boll. Trib. On-line.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) In Boll. Trib. On-line.

(6) Ved. Cass., sez. trib., 29 settembre 2006, n. 21221, in Boll. Trib. On-line; e in maniera conforme Cass., sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25374, in Boll. Trib., 2008, 1766, con nota di V. Ficari, Elusione ed abuso del diritto comunitario tra “diritto” giurisprudenziale e certezza normativa; Cass., sez. trib., 21 aprile 2008, n. 10257, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372, in Boll. Trib., 2011, 301.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465, in Boll. Trib., 2009, 486.

(8) In tal senso Cass. n. 1372/2011, cit.

(9) Cass., sez. trib., 27 marzo 2015, n. 6226, in Boll. Trib. On-line.

Per un più immediato riscontro delle incertezze interpretative testé esposte, pubblichiamo lo schema del decreto legislativo in questione, non ancora definitivamente approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e che auspichiamo possa essere emendato in parte qua.

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI SULLA CERTEZZA DEL DIRITTO NEI RAPPORTI TRA

FISCO E CONTRIBUENTE

TITOLO I

ABUSO DEL DIRITTO O ELUSIONE FISCALE

 Articolo 1

Modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente

1. Nella legge 27 luglio 2000, n. 212, e successive modificazioni, dopo l’articolo 10 è inserito il seguente:

Art. 10-bis

Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale

1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

2. Ai fini del comma 1 si considerano:

a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;

b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, salvo che queste ultime non configurino un caso di abuso del diritto.

5. Il contribuente può proporre interpello preventivo per conoscere se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità applicative del presente comma. Fino all’emanazione del decreto, si applica il regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 giugno 1998, n. 259.

6. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.

7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.

8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6.

9. L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.

10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni e dell’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall’amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l’accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all’Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell’imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.

12. In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di altre disposizioni e, in particolare, di quelle sanzionabili ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni.

13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.”.

2. L’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, è abrogato. Le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto compatibili.

3. Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente presenta istanza di interpello ai sensi del regolamento del Ministro delle finanze 19 giugno 1998, n. 259. Resta fermo il potere del Ministro dell’economia e delle finanze di apportare modificazioni a tale regolamento.

4. I commi da 5 a 11 dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000 non si applicano agli accertamenti e ai controlli aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che restano disciplinati dalle disposizioni degli articoli 8 e 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374, e successive modificazioni, nonché dalla normativa doganale dell’Unione europea.

5. Le disposizioni dell’articolo 10-

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bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, hanno efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo.

TITOLO II

REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO

Articolo 2

Modifica dell’articolo 1 del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74

1. All’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla lettera b), dopo le parole: “valore aggiunto”, sono aggiunte le seguenti: “e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta”;

b) alla lettera c), dopo le parole: “persone fisiche”, sono aggiunte le seguenti: “nonché di sostituto d’imposta”.

Articolo 3

Modifica dell’articolo 2 del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione

fraudolenta mediante uso di fatture

o altri documenti per operazioni inesistenti

1. L’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente:

1. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi fino a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni, relative a dette imposte, elementi passivi fittizi quando l’ammontare è superiore ad euro 1000”.

Articolo 4

Modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

1. L’articolo 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente:

Art. 3

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:

a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;

b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milionecinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.

2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

3. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

4. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono operazioni simulate quelle che hanno dato luogo ad effettivi flussi finanziari annotati nelle scritture contabili obbligatorie”.

Articolo 5

Modifica dell’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione infedele

1. All’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera a), la parola: “cinquantamila” è sostituita dalla seguente: “centocinquantamila”;

b) al comma 1, lettera b), le parole: “euro due milioni”, sono sostituite dalle seguenti: “euro tre milioni”;

c) dopo il comma 1, sono aggiunti i seguenti:

1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione dell’inerenza o della non deducibilità di elementi passivi reali.

1-ter. È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque indica nella dichiarazione annuale di sostituto d’imposta un ammontare dei compensi, interessi ed altre somme inferiore a quello effettivo, qualora l’ammontare delle ritenute non versate riferibili alla differenza è superiore a euro cinquantamila.

1-quater. Non danno luogo a fatti punibili le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio.

1-quinquies. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b).”.

Articolo 6

Modifica dell’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di dichiarazione omessa

1. All’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dopo il comma 1 è sostituito dal seguente:

1. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.”.

Articolo 7

Modifica dell’articolo 8 del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia di emissione di

fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

1. All’articolo 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, al comma 1, dopo la parola: “inesistenti,” sono aggiunte le seguenti: “quando l’importo non rispondente al vero in essi indicato è superiore a euro mille per ciascun periodo di imposta.”.

Articolo 8

Modifica dell’articolo 10 del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia occultamento

o distruzione di documenti contabili

1. All’articolo 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, al comma 1, le parole: “da sei mesi a cinque anni” sono sostituite dalle seguenti: “da un anno e sei mesi a sei anni.”.

Articolo 9

Modifica dell’articolo 10-bis del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia

di omesso versamento di ritenute certificate

1. All’articolo 10-bis, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dopo la parola: “ritenute” sono inserite le seguenti: “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”.

2. All’articolo 10-bis, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, la parola: “cinquantamila” è sostituita dalla seguente: “centocinquantamila”.

Articolo 10

Modifica dell’articolo 10-ter del decreto legislativo

10 marzo 2000, n. 74, in materia di omesso

versamento dell’imposta sul valore aggiunto

1. L’articolo 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente:

Art. 10-ter

Omesso versamento di IVA

1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro centocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.”.

Articolo 11

Modifica dell’articolo 10-quater

del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74,

in materia di indebita compensazione

1. L’articolo 10-quater del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è sostituito dal seguente:

Art. 10-quater

Indebita compensazione

1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti, per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.”.

Articolo 12

Confisca

1. Dopo l’articolo 12 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è inserito il seguente:

Art. 12-bis

Confisca

1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.”.

Articolo 13

Modifica dell’articolo 13 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di cause di estinzione e

circostanze del reato. Pagamento del debito tributario

1. All’articolo 13, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i commi 1 e 3 sono sostituiti dai seguenti:

a) “1. Se i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti di cui al presente decreto sono stati estinti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie:

a) i reati di cui agli articoli 4, 5, 10-bis, 10-ter sono estinti

b) le pene previste per gli altri delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà, non si applicano le pene accessorie indicate all’articolo 12 e le circostanze aggravanti di cui ai commi 3 e 4.”,

b) “3. Le pene stabilite per i delitti di cui al Titolo II sono aumentate della metà:

a) se le imposte complessivamente evase nel periodo sono superiori ad un milione di euro;

b) se il reato è commesso nell’esercizio di attività bancaria e finanziaria.”.

Articolo 14

Custodia giudiziale dei beni sequestrati nell’ambito

di procedimenti penali relativi a delitti tributari

1. Dopo l’articolo 18 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è inserito il seguente:

Art. 18-bis

Custodia giudiziale dei beni sequestrati

1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal presente decreto, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.”.

Art. 15

Introduzione dell’articolo 19-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia

di esclusione della punibilità

1. Dopo l’articolo 19 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, è aggiunto il seguente:

Art. 19-bis

Causa di esclusione della punibilità

1. Per i reati previsti dal presente decreto, la punibilità è comunque esclusa quando l’importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento del reddito imponibile dichiarato o l’importo dell’imposta sul valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento dell’imposta sul valore aggiunto dichiarata. Per tali fatti sono raddoppiate le sanzioni previste dal decreto legislativo n. 471 del 1997.”.

Articolo 16

Abrogazioni

1. Sono abrogati:

a) gli articoli 7 e 16 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;

b) il comma 143 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Articolo 17

Modifiche alla disciplina del raddoppio

dei termini per l’accertamento

1. All’articolo 43, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Il raddoppio opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini.”.

2. All’articolo 57, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Il raddoppio opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini.”.

3. Sono comunque fatti salvi gli effetti degli atti di controllo divenuti definitivi alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.

TITOLO III

REGIME DELL’ADEMPIMENTO COLLABORATIVO

Articolo 18

Finalità e oggetto

1. Al fine di promuovere l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale, è istituito il regime di adempimento collaborativo fra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario.

2. L’adesione al regime è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’articolo 14, comporta l’assunzione dei doveri di cui all’articolo 15 e produce gli effetti di cui all’articolo 16.

Articolo 19

Requisiti

1. Il contribuente che aderisce al regime deve essere dotato, nel rispetto della sua autonomia di scelta delle soluzioni organizzative più adeguate per il perseguimento dei relativi obiettivi, di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno. Fermo il fedele e tempestivo adempimento degli obblighi tributari, il sistema deve assicurare:

a) una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell’organizzazione dei contribuenti in relazione ai rischi fiscali;

b) efficaci, procedure di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli aziendali;

c) efficaci procedure per rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive.

2. Il sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale prevede, con cadenza almeno annuale, l’invio di una relazione agli organi di gestione per l’esame e le valutazioni conseguenti. La relazione illustra, per gli adempimenti tributari, le verifiche effettuate e i risultati emersi, le misure adottate per rimediare a eventuali carenze rilevate, nonché le attività pianificate.

Articolo 20

Doveri

1. Il regime comporta per l’Agenzia delle entrate i seguenti impegni:

a) valutazione trasparente, oggettiva e rispettosa dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità del sistema di controllo adottato, con eventuale proposta degli interventi ritenuti necessari ai fini dell’ammissione e delle permanenza nel regime e per il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 13, comma 1;

b) pubblicazione periodica sul proprio sito istituzionale dell’elenco aggiornato delle operazioni, strutture e schemi ritenuti di pianificazione fiscale aggressiva;

c) promozione di relazioni con i contribuenti improntate a principi di trasparenza, collaborazione e correttezza nell’intento di favorire un contesto fiscale di certezza;

d) realizzazione di specifiche semplificazioni degli adempimenti tributari, in conseguenza degli elementi informativi forniti dal contribuente nell’ambito del regime;

e) esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali significativi e risposta alle richieste dei contribuenti nel più breve tempo possibile;

f) debita considerazione degli esiti dell’esame e della valutazione effettuate dagli organi di gestione, sulla base della relazione di cui all’articolo 14, comma 2, delle risultanze delle attività dei soggetti incaricati, presso ciascun contribuente, della revisione contabile, nonché di quella dei loro collegi sindacali e dei pareri degli organismi di vigilanza.

2. Il regime comporta per i contribuenti i seguenti impegni:

a) istituzione e mantenimento del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, per garantire il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 13, comma 1, nonché attuazione delle modifiche del sistema adottato eventualmente ritenute necessarie dalla Agenzia delle entrate;

b) comportamento collaborativo e trasparente, mediante comunicazione tempestiva ed esauriente all’Agenzia delle entrate dei rischi di natura fiscale e, in particolare, delle operazioni che possono rientrare nella pianificazione fiscale aggressiva;

c) risposta alle richieste della Agenzia delle entrate nel più breve tempo possibile;

d) promozione di una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto della normativa tributaria, assicurandone la completezza e l’affidabilità, nonché la conoscibilità a tutti i livelli aziendali.

Articolo 21

Effetti

1. L’adesione al regime comporta la possibilità per i contribuenti di pervenire con l’Agenzia delle entrate a una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali, attraverso forme di interlocuzione costante e preventiva su elementi di fatto, inclusa la possibilità dell’anticipazione del controllo.

2. L’adesione al regime comporta altresì per i contribuenti una procedura abbreviata di interpello preventivo in merito all’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti, in relazione ai quali l’interpellante ravvisa rischi fiscali. L’Agenzia delle entrate, entro quindici giorni dal ricevimento, verifica e conferma l’idoneità della domanda presentata, nonché la sufficienza e l’adeguatezza della documentazione prodotta con la domanda. Il termine per la risposta all’interpello è in ogni caso di quarantacinque giorni, decorrenti dal ricevimento della domanda ovvero della documentazione integrativa richiesta, anche se l’Agenzia delle entrate effettua accessi alle sedi dei contribuenti, definendone con loro i tempi, per assumervi elementi informativi utili per la risposta. I contribuenti comunicano all’Agenzia il comportamento effettivamente tenuto, se difforme da quello oggetto della risposta da essa fornita. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinati i termini e le modalità applicative del presente articolo in relazione alla procedura abbreviata di interpello preventivo.

3. Per i rischi di natura fiscale comunicati in modo tempestivo ed esauriente all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’articolo 15, comma 2, lettera b), prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali, se l’Agenzia non condivide la posizione dell’impresa, le sanzioni amministrative applicabili sono ridotte della metà e comunque non possono essere applicate in misura superiore al minimo edittale. La loro riscossione è in ogni caso sospesa fino alla definitività dell’accertamento.

4. In caso di denuncia per reati fiscali, l’Agenzia delle entrate comunica alla Procura della Repubblica se il contribuente abbia aderito al regime di adempimento collaborativo, fornendo, se richiesta, ogni utile informazione in ordine al controllo del rischio fiscale e all’attribuzione di ruoli e responsabilità previsti dal sistema adottato.

5. Il contribuente che aderisce al regime è inserito nel relativo elenco pubblicato sul sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate.

6. I contribuenti che aderiscono al regime non sono tenuti a prestare garanzia per il pagamento dei rimborsi delle imposte, sia dirette sia indirette.

Articolo 22

Competenze e procedure

1. L’Agenzia delle entrate è competente in via esclusiva per i controlli e le attività relativi al regime di adempimento collaborativo, nei riguardi dei contribuenti ammessi al regime.

2. I contribuenti, che nel rispetto del presente decreto adottano un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale e che intendono aderire al regime di adempimento collaborativo, inoltrano domanda in via telematica utilizzando il modello reso a tal fine disponibile sul sito istituzionale della Agenzia delle entrate. L’Agenzia, verificata la sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 14 nonché del comma 4, comunica ai contribuenti la ammissione al regime entro i successivi centoventi giorni. Il regime si applica al periodo d’imposta nel corso del quale la richiesta di adesione è trasmessa all’Agenzia. Lo stesso si intende tacitamente rinnovato qualora non sia espressamente comunicata dal contribuente la volontà di non permanere nel regime di adempimento collaborativo.

3. L’Agenzia delle entrate, con provvedimento motivato, può dichiarare l’esclusione dei contribuenti dal regime, per la perdita dei requisiti di cui all’articolo 14 o del comma 4 del presente articolo, ovvero per l’inosservanza degli impegni di cui all’articolo 15, comma 2.

4. In fase di prima applicazione, il regime è riservato ai contribuenti di maggiori dimensioni, che conseguono un volume di affari o di ricavi non inferiore a dieci miliardi di euro e la competenza per le attività di cui al comma 1 è attribuita alla Direzione Centrale Accertamento dell’Agenzia delle entrate. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti i criteri in base ai quali possono essere, progressivamente, individuati gli ulteriori contribuenti ammissibili al regime, che conseguono un volume di affari o di ricavi non inferiore a quello di cento milioni di euro o appartenenti a gruppi di imprese.

5. Con uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono disciplinate le modalità di applicazione del regime di adempimento collaborativo.

TITOLO IV

DISPOSIZIONI FINANZIARIE

Articolo 23

Clausola di invarianza oneri

1. All’attuazione delle disposizioni del presente decreto le Amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovo o maggiori oneri per la finanza pubblica.

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