18 Novembre, 2016

1. Premesse

Con l’annotata sentenza i giudici della Corte di Cassazione sono tornati a pronunciarsi sul tema – già oggetto di molteplici decisioni (1) e di numerosissimi commenti – della rilevanza del contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione dei principi di collaborazione e buona fede garantiti dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.
La questione sollevata avanti i Supremi Giudici ha riguardato, in particolare, il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), a mente del quale «nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori», e «l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
La pronuncia, estremamente precisa, ha richiamato i principi già espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18184/2013 (2), ma, ciò nonostante, l’annosa querelle sul contraddittorio endoprocedimentale non può considerarsi definita e superata, come confermato dalla nuova interpretazione offerta, solo quattro mesi dopo, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/2015 (3), sebbene riferita ad una fattispecie differente concernente le cosiddette “verifiche a tavolino” (4).
Come anticipato, con l’annotato arresto i Supremi Giudici si sono occupati del tema dell’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus” rispetto al termine dilatorio previsto dal citato art. 12 della legge n. 212/2000, valutando, in particolare, le conseguenze del mancato rispetto del termine in ordine alla validità dell’atto, ela possibile deroga all’osservanza del suddetto termine in caso di particolare e motivata urgenza.

2. Conseguenze del mancato rispetto del termine di 60 giorni

Secondo i Massimi Giudici il contraddittorio proce¬dimentale, previsto dal settimo comma del più volte citato art. 12 dello Statuto dei diritti del contri¬buente, costituisce «primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente» e, di conseguenza, l’atto impositivo emesso prima del termine dilatorio di sessanta giorni – che inizia a decorrere dalla chiusura del¬le operazioni di verifica – deve essere considerato “di per sé” illegittimo, senza che sia necessario provare il pregiudizio concretamente patito dal contribuente per il mancato rispetto del suddetto “intervallo temporale”.
Come previsto dalla predetta norma statutaria, infatti, salvo le ivi previste eccezioni l’atto impositivo «non può essere emanato» prima della scadenza, e tale intervallo è destinato non solo ad offrire una garanzia di partecipazione per il contribuente all’eventuale atto finale, ma anche a assicurare il miglior esercizio della potestà impositiva, nell’interesse, dunque, di entrambe le parti del procedimento di controllo.
La decisione in esame, come anticipato, si pone asso¬lutamente in linea con i principi espressi dalla citata sen¬tenza n. 18184/2013 delle Sezioni Unite, che a sua volta si inserisce nel solco tracciato da diverse altre precedenti de¬cisioni della stessa Corte di Cassazione (5), anche sulla scorta dei principi espressi in ambito europeo.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea è infatti in¬tervenuta in numerose occasioni sul tema, affermando con estrema persuasione il diritto del contribuente a contraddire in via preventiva rispetto all’emissione del¬l’atto impositivo: si ricordano in proposito la sentenza Cipriani (6), secondo cui «il principio del diritto di difesa impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sen¬sibile i loro interessi siano messi in condizione di for¬mulare utilmente le proprie osservazioni», e la sentenza Sopropè (7) che, per la sua incisività, ha introdotto una nuova visione dei rapporti tra il contribuente e gli Uffici delle dogane, influenzando la giurisprudenza nazionale anche in relazione alle imposte non armonizzate.
Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea, in particolare, al fine di assicurare una tutela effettiva della persona coinvolta in un’indagine tributaria, questa deve essere messa in condizione di far valere le proprie osservazioni prima dell’emanazione dell’atto impositivo.
Nello stesso senso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (8), giudicando di accertamenti basati sull’applicazione dei parametri, hanno attribuito al contraddittorio preventivo il ruolo di momento di garanzia del giusto procedimento, «dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la presunzione indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri» stessi.
La Corte di Cassazione, inizialmente, ha ammesso la necessità del contraddittorio endoprocedimentale per fare emergere elementi altrimenti non noti all’Agenzia delle entrate, ma successivamente ha mutato il proprio orientamento, affermando la nullità dell’atto impositivo non preceduto da idoneo contraddittorio, a prescindere da ogni valutazione in merito alle difese che il contribuente avrebbe potuto svolgere in tale sede (9).
Nello stesso senso, la sentenza annotata (10) ha ricollegato al mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni – e, dunque, all’impossibilità per il contribuente di interloquire con l’Ufficio impositore – l’illegittimità diretta dell’atto impositivo, indipendentemente dalla dimostrazione del pregiudizio concretamente patito dal contribuente per il mancato rispetto di tale termine.
Interessante, sul punto, è il principio che emerge da un’altra e più recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la sentenza Kamino (11), secondo cui non si determina la nullità dell’atto impositivo qualora il soggetto passivo eccepisca la violazione al diritto di essere sentito ma non alleghi alcuna difesa nel merito.
Secondo i giudici europei, il diritto al contraddittorio «ha l’obiettivo di consentire alla persona coinvolta di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua posizione tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro» (punto 38).
In altri termini, la sentenza Kamino conferma il dirit¬to del soggetto coinvolto di partecipare all’attività endoprocedimentale, ma solo per manifestare utilmente ed efficacemente il suo punto di vista (punto 39), facendo ivi valere diritti che altrimenti verrebbero lesi con l’ema¬nazione dell’atto impositivo.
I giudici lussemburghesi propongono quindi un risultato che si allontana da un eccessivo formalismo, e ravvisano la sanzione della nullità solo nel caso in cui il risultato sarebbe potuto essere diverso: ciò non significa dimostrare che la documentazione che si sarebbe prodotta in sede preventiva avrebbe portato ad una vittoria nel merito, ma solo che sarebbero state sollevate obiezioni ragionevoli e meritevoli di apprezzamento.
Importante, in tal senso, risulta il dato letterale della sentenza della Corte europea, ove si utilizzano la proposizione “might have been” e non “should have been” (12) o il verbo francese “pouvait” (13).
Su tale specifico aspetto, negli ultimi anni, la Corte di Cassazione ha adottato decisioni non sempre tra loro coerenti ed uniformi; da ultimo, nel corso del 2015, l’orientamento è stato estremamente ondivago: la necessità di una scelta non automatica ma valutativa è stata affermata dalla Suprema Corte nel mese di gennaio (14), mentre nel successivo mese di agosto, con la sentenza qui annotata, la valutazione concreta ha lasciato nuovamente spazio ad una lettura più rigida e formale, per poi approdare, come anticipato, alla fine dello stesso anno, alla già citata sentenza n. 24823/2015 (15), a mezzo della quale la medesima Corte ha espresso un diverso principio fortemente criticabile e per nulla condivisibile (16), escludendo la sussistenza di un generalizzato obbligo di contraddittorio, in aperta antinomia con i principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, da ultimo efficacemente ribaditi, seppure in un altro contesto, dalla Sezione III nella sentenza resa nella causa C-419/14, WebMindLicenses (17), che ha espresso il seguente principio di diritto: «Spetta ad esso [al giudice nazionale], inoltre, verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltato sulle stesse. Se esso constata che tale soggetto passivo non ha avuto detta possibilità o che tali prove sono state ottenute nell’ambito del procedimento penale o utilizzate nell’ambito del procedimento amministrativo in violazione dell’articolo 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, detto giudice nazionale non deve ammettere tali prove e deve annullare detta decisione se essa risulta, per tale ragione, priva di fondamento. Parimenti, non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Unione o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto».
Il recente arresto espresso dalla Suprema Corte con la sopra citata sentenza (resa a Sezioni Unite) n. 24823/2015 ha suscitato non poche critiche sia a livello dottrinale e sia a livello giurisprudenziale, tanto che la Commissione tributaria regionale della Toscana ha già investito la Corte Costituzionale della relativa questione (18).

3. Possibile deroga all’osservanza del termine in caso di particolare urgenza

L’annotata sentenza della Suprema Corte si è infine occupata del tema della particolare e motivata urgenza che consente all’Ufficio finanziario di derogare all’osservanza del termine dilatorio dei sessanta giorni prima dell’emissione dell’atto impositivo.
Il settimo comma dell’art. 12 della citata legge n. 212/2000 precisa che l’avviso di accertamento può essere emanato prima della scaden¬za dei sessanta giorni – senza essere per questo considerato illegittimo – soltanto in casi di particolare e motivata urgenza, e su tale specifico aspetto la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata già più volte, precisando che i motivi d’urgenza devono essere concreti, par¬ticolari e specifici, giammai genericamente ravvisabili nell’imminente scadenza dei termini decadenziali previ¬sti per l’esercizio del potere impositivo (19).
Orbene, a tale proposito la pronuncia in rassegna ha correttamente richiamato il condivisibile principio già enunciato dalle precedenti sentenze n. 9424/2014 (20) e n. 25759/2014 (21) della stessa Corte di Cassazione, ribadendo che «le particolari ragioni d’urgenza, che, ove sussistenti e provate dal fisco, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12 comma 7 l. n. 212 del 2000 non possono consistere nell’imminente scadenza del termine decadenziale utile al fine dell’accertamento da parte dell’Ufficio, qualora ciò sia dovuto esclusivamente ad inerzia o negligenza di quest’ultimo e non anche ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso – come nel caso in cui il contribuente versi in grave stato di insolvenza – difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine».
Ed invero nel pensiero della giurisprudenza di legittimità dopo un iniziale ma breve momento di incertezza, è ormai pacifico che l’imminente scadenza del termine decadenziale utile ai fini dell’accertamento non può costituire, di per sé stessa, ragione di urgenza nel rispetto della ratio del più volte citato art. 12 della legge 212/2000 (22), poiché, evidentemente, le carenze organizzative e le inefficienze della parte pubblica non possono limitare il diritto (espressamente tutelato dallo Statuto dei diritti del contribuente) di intervento e interlocuzione del contribuente.
Diversamente, le gravi ragioni possono consistere in nuovi fatti emersi nel corso di indagini fiscali o penali svolte nei confronti di terzi o in condotte dolose e volutamente dilatorie del contribuente (23), e, comunque, l’urgenza deve indicare una situazione specifica in cui si renda necessario un intervento immediato, in quanto l’attesa dei sessanta giorni potrebbe rendere vana l’intera azione accertativa.
L’urgenza, così intesa, deve pertanto essere concreta e riferita alla situazione specifica e non astratta ma, soprattutto, non deve consistere in una giustificazione del ritardo, «tutt’altro che occasionale ma fisiologico, al modus operandi degli Uffici finanziari che spesso, senza alcun motivo eccezionale o imprevedibile, portano a com¬pimento l’accertamento a ridosso dello spirare dei termini, svuotando così la norma della sua funzione di garanzia». Del resto, come efficacemente evidenziato, «il fatto … dell’imminente scadenza del termine di accertamento … non può legittimare l’operato dell’Ufficio che altrimenti sarebbe autorizzato a comprimere il diritto del contribuen¬te senza valido ed adeguato motivo, operando sistemati¬camente solo nell’imminenza dei termini di prescrizione anche in assenza di un oggettivo impedimento che abbia ostacolato un tempestivo accertamento» (24).
Del resto, a ben vedere, anche l’aggettivo «particolare» sta ad indicare che l’urgenza deve essere specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione: in quest’ottica, non a caso, la Suprema Corte ha considerato una indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo rispetto al termine dilatorio le reiterate condotte penalmente rilevanti riscontrate in capo al contribuente (25).

Avv. Fabiola Del Torchio

(1) Relativamente alla giurisprudenza di merito si veda, per tutte, la magistrale sentenza pronunciata da Comm. trib. prov. di Aosta, sez. III, 20 dicembre 2013, n. 23, in Boll. Trib., 2014, 545, con nota di L.G. FIORINI, Ancora sulla nullità dell’avviso di accertamento anticipato senza giustificati motivi oggettivi.
(2) Cfr. Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, F. DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
(3) Cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222, con nota di B. AIUDI, Il contradditto¬rio? Non ce lo possiamo permettere!
(4) In tale specifico contesto i Supremi Giudici hanno affermato che la previsione dell’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione finanziaria e, dunque, dell’obbligo dell’Amministrazione medesima, ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di una specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato il contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto, poiché viceversa le garanzie fissate nella predetta disposizione trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, peraltro indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali, mentre non operano invece riguardo alle verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio tributario in base alle notizie acquisite da altre pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (c.d. “verifiche a tavolino”), soggiungendo che d’altro canto dovrebbe escludersi che l’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario possa essere riferita a norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui al citato art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, oppure essere direttamente ancorata alle disposizioni degli artt. 24 e 97 Cost.
(5) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite; Cass., sez. trib., 9 aprile 2010, n. 8481, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 11 giugno 2010, n. 14105, ivi; nonché, in epoca successiva, Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1742, con nota di P. ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimen¬ti tributari concepito come un principio fondamentale del¬l’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato; mentre in senso opposto cfr. Cass., sez. trib., 18 ottobre 2013, n. 23690, in Boll. Trib., 2014, 543, con nota di V. AZZONI, Quando la mano destra non sa cosa fa la sinistra.
(6) Cfr. Corte Giust. CE 12 dicembre 2002, causa C-395/00, Cipriani, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Corte Giust. UE, sez. II, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropè, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cass. nn. 26635, 26636, 26637 e 26639 del 2009, citt.
(9) Cfr. Cass. n. 14105/2010, cit.
(10) I Supremi Giudici, infatti, hanno definito l’atto impositivo illegittimo «di per sé».
(11) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino, in Boll. Trib., 2015, 458, con nota di M.V. SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di con¬traddittorio endoprocedimentale tributario.
(12) «The out come of the procedure might have been different».
(13) «Cette procèdure pouvait aboutir à un rèsultat diffèrent».
(14) Cfr. Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 138, con nota di A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie.
(15) Si tratta della già citata sentenza resa da Cass., sez. un., n. 24823/2015.
(16) Si vedano V. AZZONI, Dialogo tra un antico e un moderno intorno ai diritti dei contribuenti sottoposti a ve¬rifica fiscale secondo il pensiero della Suprema Corte (sentenza n. 24283/2015), in Boll. Trib., 2016, 184; e B. AIUDI, Il contradditto¬rio? Non ce lo possiamo permettere!, cit.
(17) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 17 dicembre 2015, causa C-419/14, WebMindLicenses Kft., di prossima pubbl. in questa Rivista con nota di M.V. SERRANÒ.
(18) Cfr. infatti Comm. trib. reg. della Toscana, sez. I, 18 gennaio 2016, n. 736, di prossima pubbl. in questa Rivista con nota di V. AZZONI, nonché in Boll. Trib. On-line.
(19) Cfr. Cass. n. 14105/2010, cit.
(20) Cfr. Cass., sez. trib., 30 aprile 2014, n. 9424, in Boll. Trib. On-line.
(21) Cfr. Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 25759, in Boll. Trib. On-line.
(22) Cfr. Cass., sez. VI, 17 luglio 2015, n. 15121, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 10 giugno 2015, n. 11993, ivi; Cass. n. 25759/2014, cit.; e Cass. n. 9424/2014, cit.
(23) Cfr. Cass. n. 25759/2014, cit.
(24) Così Cass. n. 9424/2014, cit.
(25) Cfr. Cass., sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2587, e Cass., sez. trib., 24 giugno 2014, n. 14287, entrambe in Boll. Trib. On-line.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Adozione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Invalidazione dell’accertamento in assenza di qualificate ragioni di urgenza – Consegue – Decorrenza del termine dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Art. 12 della legge n. 212/2000 – Costituisce primaria espressione dei principi di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuente, in applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione di capacità contributiva e di uguaglianza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Art. 12 della legge n. 212/2000 – Previsione di un termine dilatorio di 60 giorni prima dell’adozione dell’accertamento – È destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente all’eventuale emissione del provvedimento a mezzo del contraddittorio procedimentale.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Adozione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Invalidazione dell’accertamento in assenza di qualificate ragioni di urgenza – Consegue – Omessa previsione espressa dell’invalidità – Irrilevanza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Adozione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Invalidazione dell’accertamento – Consegue – Prova del pregiudizio subito dal contribuente per il mancato rispetto del termine dilatorio – Non necessita.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Adozione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Necessità di particolari e specifici motivi d’urgenza giustificanti l’adozione anticipata dell’accertamento – Imminente scadenza dei termini per l’accertamento – Insufficienza – Necessità di ulteriori circostanze concrete che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento.

Procedimento – Commissioni – Sentenze – Motivazione per relationem alla sentenza di primo grado da parte della pronuncia d’appello – Necessità e sufficienza dell’esplicazione delle ragioni di conferma della pronuncia rispetto ai motivi d’impugnazione – Sussiste – Mera adesione alla sentenza gravata – Insufficienza – Nullità della sentenza – Consegue.

Procedimento – Commissioni – Sentenze – Motivazione riproduttiva di un atto di parte o di un atto processuale o provvedimento giudiziale – Sufficienza, a condizione che risultino le ragioni su cui la decisione è fondata.

Procedimento – Giudizio di cassazione – Motivi del ricorso – Illustrazione del momento di sintesi richiesto dall’art. 366-bis c.p.c. vigente ratione temporis – Necessità, caratteri e consistenza.

L’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, termine che decorre dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto e delle finalità perseguite, e l’incipit del suo settimo comma, in particolare, nel richiamare il rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del precedente art. 10, primo comma, della stessa legge, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati, analogamente al principio di tutela dell’affidamento più specificamente contemplato nel secondo comma del medesimo art. 10, quale diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione (art. 97 Cost.), capacità contributiva (art. 53 Cost.) nonché uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3 Cost.), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica.

L’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente proprio attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le previste eccezioni, l’atto impositivo “non può essere emanato”, evidenziando che tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla eventuale emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale, che è andato assumendo, in giurisprudenza, in dottrina e nella stessa legislazione, proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva il quale, anche nell’interesse dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace quanto più si rivelerà conformato ed adeguato alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso.

L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, determina l’illegittimità dell’atto impositivo pur in mancanza di una esplicita previsione in tal senso nella norma.

L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), determina “di per sé” l’illegittimità dell’atto impositivo, senza che sia necessario provare il pregiudizio concretamente patito dal contribuente per il mancato rispetto del suddetto termine.

Le particolari ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dal fisco, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non possono consistere nell’imminente scadenza del termine decadenziale utile al fine dell’accertamento da parte dell’Ufficio finanziario, qualora ciò sia dovuto esclusivamente ad inerzia o negligenza di quest’ultimo e non anche ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine.

È legittima la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, dovendo invece essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.

Nel processo civile e in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte, ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziali, eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata.

Nel vigore dell’art. 366-bis c.p.c. risulta inammissibile il motivo di ricorso per cassazione proposto a norma dell’art. 360, n. 5), c.p.c., che sia del tutto privo dell’illustrazione prevista dalla seconda parte del predetto articolo, la quale deve consistere in un momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti della censura in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, e che contenga, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata; l’onere di indicare chiaramente tale fatto e la sua decisività, nonché le ragioni per le quali la motivazione della sentenza impugnata è da ritenersi viziata, deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cappabianca, rel. Di Iasi), 7 agosto 2015, sent. n. 16602, ric. Agenzia delle entrate c. SMA s.p.a.]

CONSIDERATO IN FATTO – L’Agenzia delle Entrate ricorre con otto motivi nei confronti di SMA S.p.a. (che resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria) per la cassazione della sentenza n. 104/11/07 con la quale, in controversia concernente l’impugnazione di accertamenti per Iva, Irpeg e Irap con riguardo all’anno 1998 emessi in relazione a due p.v.c. della G.d.F., la CTR Lombardia confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente.
In particolare, per quanto ancora rileva, i giudici d’appello, in ordine ai rilievi fondati sul p.v.c. del 19.12.2003, confermavano l’annullamento del corrispondente avviso di accertamento disposto dai primi giudici per mancato rispetto dei termini di cui all’art. 12, comma 7 l. n. 212 del 2000. Con riguardo al rilievo concernente il mancato assoggettamento ad IVA degli atti di cessione tra Sigros distribuzione s.r.l. – ora SMA S.p.a. – e Auchan ipermercati S.p.a., riteneva non suffragata da indizi presuntivi gravi la prospettazione dell’Ufficio secondo la quale la cessione d’azienda avrebbe dovuto essere riqualificata quale mera cessione di singoli beni, come tali da assoggettare ad Iva e non ad imposta di registro.

RITENUTO IN DIRITTO – 1. Col primo degli otto motivi di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano annullato l’avviso opposto in quanto emesso prima che decorressero i sessanta giorni dalla notificazione del p.v.c, pertanto in presunta violazione dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000, senza considerare che la norma citata non prevede la sanzione della nullità nell’ipotesi di mancato rispetto del termine.
Col secondo motivo, deducendo – sotto diverso profilo – ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 7 l. 212/2000, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso prima del decorso dei previsti sessanta giorni senza verificare in concreto l’esistenza di un effettivo pregiudizio e di una allegazione in tal senso.
Col terzo motivo, deducendo violazione degli artt. 112 c.p.c. e 57 d.lgs. n. 546 del 1992 la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano fondato la decisione di annullamento dell’avviso opposto su di una circostanza non dedotta dal contribuente (il pregiudizio concretamente patito dal medesimo per il mancato rispetto del suddetto termine).
Col quarto motivo, deducendo violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano annullato l’avviso opposto sulla base di una circostanza (il pregiudizio concretamente patito dal contribuente per il mancato rispetto del suddetto termine) dedotta per la prima volta solo in appello.
Le censure di cui ai motivi 1 e 2, da esaminare congiuntamente perché connesse, sono infondate.
Con riguardo a diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le sezioni unite di questa Corte (con arresto assolutamente persuasivo al quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene), hanno affermato che l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva” (cfr. SU n. 18184 del 2013 (1)).
In particolare, le sezioni unite nella citata sentenza hanno evidenziato che nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto e delle finalità perseguite e che l’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nello stesso art. 10, comma 2) quale diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), capacità contributiva (art. 53) nonché uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica.
Le sezioni unite hanno inoltre precisato che il citato art. 12 dello Statuto introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente proprio attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le previste eccezioni, l’atto impositivo “non può essere emanato”, evidenziando che tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale, che è andato assumendo, in giurisprudenza, in dottrina e nella stessa legislazione, proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, anche nell’interesse dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso.
Pertanto, in particolare riferimento al primo motivo, si evidenzia che è sulla base di queste considerazioni che le sezioni unite hanno ritenuto che l’inosservanza del termine di 60 giorni determina l’illegittimità dell’atto impositivo pur in mancanza di una esplicita previsione in tal senso nella norma, peraltro sulla scorta di un precedente proprio delle sezioni unite che, con la sentenza n. 26635 del 2009 (2) in materia di accertamento standardizzato, premesso che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa”, sono giunte ad affermare la nullità – non esplicitamente comminata – degli avvisi di accertamento emessi con il metodo dei parametri o degli studi di settore, in assenza di previa attivazione del contraddittorio con il contribuente.
E, in riferimento al secondo motivo, è altresì da evidenziare che è sempre sulla base delle predette considerazioni (le quali inquadrano il termine dilatorio nell’ambito degli strumenti intesi a favorire l’interlocuzione tra le parti del rapporto tributario non solo in funzione di garanzia del contribuente, ma anche in funzione del migliore esercizio della potestà impositiva), che le sezioni unite hanno ritenuto che il mancato rispetto del termine di sessanta giorni determina “di per sé” l’illegittimità dell’atto impositivo, senza che sia necessario provare il pregiudizio concretamente patito dal contribuente per il mancato rispetto del suddetto termine.
La ritenuta infondatezza delle censure contenute nei primi due motivi comporta l’assorbimento delle censure di cui ai motivi 3, 4 sopra riportati.

2. Col quinto motivo, deducendo ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello non abbiano considerato che l’imminente scadenza del termine decadenziale comportava un “caso di particolare urgenza” tale da giustificare la deroga all’osservanza del termine prescritto.
Col sesto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, la ricorrente si duole del fatto che i giudici della C.T.R. abbiano considerato tardiva la deduzione difensiva con la quale l’Agenzia, per la prima volta in appello, aveva affermato che l’emissione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine fosse legittimato da motivi di urgenza rappresentati dalla imminente scadenza del termine di decadenza dal potere impositivo, senza considerare che nella specie non si trattava della allegazione di un fatto nuovo bensì della rappresentazione di un argomento giuridico.
Le censure esposte nel quinto motivo sono infondate.
In particolare, con riguardo alle ragioni di urgenza addotte dall’amministrazione in riferimento alla emissione dell’avviso di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio e consistenti nell’imminente completamento del decorso del termine di decadenza dal potere impositivo, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) ha avuto modo di affermare che le particolari ragioni di urgenza, che, ove sussistenti e provate dal fisco, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7 l. n. 212 del 2000 non possono consistere nell’imminente scadenza del termine decadenziale utile al fine dell’accertamento da parte dell’Ufficio, qualora ciò sia dovuto esclusivamente ad inerzia o negligenza di quest’ultimo e non anche ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso – come nel caso in cui il contribuente versi in un grave stato di insolvenza – difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine (cfr. cass. n. 9424 del 2014 (3) e nello stesso senso, tra le altre, v. anche cass. n. 25759 del 2014 (4)).
Tanto premesso, è sufficiente rilevare che nella specie non risultano allegate (e tanto meno provate, né nel corso del giudizio di merito né nel corso del presente giudizio di legittimità) specifiche circostanze o ragioni che “hanno impedito il tempestivo ed ordinato svolgimento delle attività di controllo entro il sessantesimo giorno antecedente la chiusura delle operazioni, come, ad esempio, nuovi fatti emersi nel corso delle indagini fiscali o di procedimenti penali svolti nei confronti di terzi, eventi eccezionali che hanno inciso sull’assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell’attività degli uffici, condotte dolose o pretestuose o volutamente dilatorie del contribuente sottoposto a verifica” (cfr. in tali termini cass. n. 25759 del 2014 già citata).
Le considerazioni sopra esposte comportano l’assorbimento del sesto motivo.

3. Col settimo motivo, in relazione all’assoggettamento ad imposta di registro di cessioni ritenute dall’Agenzia assoggettabili ad IVA, la ricorrente deduce nullità della sentenza ai sensi degli artt. 132 c.p.c. e 36 d.lgs. 546 del 1992, perché sostenuta da motivazione apparente.
La censura è infondata.
In relazione al rilievo in questione è infatti da evidenziare che i giudici d’appello motivano la decisione innanzitutto attraverso il rinvio per relationem alla sentenza impugnata ed alla motivazione che la sostiene, con la quale i predetti giudici affermano espressamente di concordare.
In proposito la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato che è legittima la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, dovendo invece essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (v. tra le tante Cass. n. 2268 del 2006 e numerose altre conformi).
Nella specie i giudici di merito hanno dato conto di aver valutato la ritenuta perdurante validità della motivazione della sentenza di primo grado anche alla luce dei motivi di impugnazione, precisando che le ragioni ivi addotte “non risultano superate dalle argomentazioni dell’Ufficio” in quanto la diversa ricostruzione dell’Ufficio, “pur sorretta da una certa logicità, non risulta suffragata da probanti elementi risolutivi, tali cioè da smontare l’assunto decisionale del giudice di primo grado fondato sul contesto delle operazioni economiche intercorse tra le società coinvolte, che come si evince in atti non possono pertanto essere considerate non rispondenti alla effettività delle cose”. Solo per completezza è da aggiungere che nella sentenza impugnata si fa rinvio recettizio, oltre che alla motivazione della sentenza di primo grado, anche alle “ragioni di sostegno formulate dall’Appellato” e che in proposito le sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 642 del 2015 (5), hanno avuto modo di affermare che “nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1 d.lgs. n. 546 del 1992 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziali) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata”.
Con l’ottavo motivo, deducendo insufficienza della motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata perché “la C.T.R. non spiega le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che le presunzioni semplici richiamate dall’amministrazione non siano talmente gravi da far ritenere che la cessione intervenuta …. integrasse una cessione di beni e non una cessione di azienda”.
La censura, a prescindere da ogni altra possibile considerazione, è inammissibile perché del tutto priva dell’illustrazione prevista dalla seconda parte del citato art. 366-bis (norma applicabile nella specie ratione temporis), illustrazione che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. per tutte SU n. 20603 del 2007), deve consistere in un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che circoscriva puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, e che contenga, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha altresì affermato che l’onere di indicare chiaramente tale fatto (e la sua decisività, nonché le ragioni per le quali la motivazione è da ritenersi viziata) deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. tra le altre cass. n. 8897 del 2008).
In particolare, non può ritenersi che nella specie assolva alla funzione suddetta l’ultimo periodo del motivo in esame, introdotto dalla parole “in conclusione”, giacché nel suddetto periodo, come sopra testualmente riportato tra virgolette, la ricorrente si limita a dolersi del fatto che i giudici d’appello non abbiano spiegato le ragioni che li hanno indotti a ritenere “che le presunzioni semplici richiamate dall’amministrazione non siano talmente gravi da far ritenere che la cessione intervenuta … integrasse una cessione di beni e non una cessione di azienda”, trattandosi di frase che, oltre ad essere assolutamente generica, non contiene affatto né “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata”, né tanto meno evidenzia le ragioni della decisività di tale fatto e neppure le ragioni per le quali la motivazione in ordine a tale fatto deve ritenersi insufficiente, essendo da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre cass. nn. 16655 (6) e 2805 (7) del 2011), per effetto della modifica dell’art. 366-bis c.p.c., introdotta dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tale fatto, che non può più identificarsi con una questione o un punto controverso, dovendo configurarsi come un “fatto” in senso storico o normativo, giusta la modifica in tal senso dell’art. 360 n. 5 c.p.c. introdotta dal d.lgs. n. 60 del 2006.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Considerato che l’intervento delle sezioni unite sopra richiamato in relazione ai primi quattro motivi di ricorso è successivo alla proposizione del ricorso compensa le spese del presente giudizio.

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

(1) Cass. 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428.
(2) Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303.
(3) Cass. 30 aprile 2014, n. 9424, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 5 dicembre 2014, n. 25759, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 16 gennaio 2015, n. 642, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 29 luglio 2011, n. 16655, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 5 febbraio 2011, n. 2805, in Boll. Trib. On-line.

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