20 Ottobre, 2015

 

 

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La portata delle sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 e i possibili limiti: la utilità del contraddittorio 3. La portata delle sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 e i possibili limiti: la immediata lesività dell’atto amministrativo 4. La precedente giurisprudenza: luci ed ombre 5. Diritto al contraddittorio e diritto alla difesa processuale 6. Le conseguenze pratiche 7. I limiti all’applicazione del principio del contraddittorio 8. Le modalità della (eventuale) applicazione generalizzata del principio del contraddittorio 9. La prassi amministrativa 10. La circolare n. 25/E/2014; l’Amministrazione accetta e propugna il contraddittorio 11. Un pizzico di filosofia 12. La legge delega n. 23/2014.

 

 

1. Premessa

Con l’ordinanza 14 gennaio 2015, n. 527 (1), la sesta sezione civile della Corte di Cassazione – articolazione tributaria sottopone alle Sezioni Unite un complesso articolato di questioni, insorte dopo la pubblicazione delle sentenze c.d. “Botta” nn. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014 (2).

Le due sentenze sono apparse ai giudici della sezione tributaria della Suprema Corte di così grande, quasi rivoluzionario, rilievo da richiedere un ulteriore interpello alle Sezioni Unite.

Secondo l’ordinanza sopra citata, le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 affermano che il “diritto al contraddittorio” costituisce un principio generale applicabile in qualsiasi procedimento amministrativo tributario, che possa incidere negativamente sulla sfera giuridica del contribuente e che non recepisca semplicemente la dichiarazione del contribuente. E hanno tratto da questo principio generale la conclusione riportata nella seconda massima in nota (3), respingendo invece le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione che aveva proposto analoga conclusione, ma ancorandola alle specifiche disposizioni che regolano l’ipoteca iscritta ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Infatti le Sezioni Unite enunciano anche la seguente massima «l’ipoteca prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può essere iscritta senza necessità di procedere a notifica dell’intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, secondo comma, del medesimo d.P.R., prescritta per il caso che l’espropriazione forzata non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, poiché l’iscrizione ipotecaria non può essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, bensì un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria». Ed è ovvio che l’accoglimento della tesi favorevole al contribuente, se contenuta nei termini indicati nell’ordinanza di rimessione, avrebbe avuto un impatto pratico molto limitato.

Le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 hanno dunque costituito un’ulteriore manifestazione di quel “diretto accesso giurisprudenziale ai principi”, che caratterizza l’attuale fase dell’applicazione del diritto.

In un ormai remoto passato, quando la legge ordinaria dello Stato costituiva la quasi esclusiva fonte della disciplina giuridica, il giudice accedeva ai principi attraverso la legge. Cioè i principi esistevano e si affermavano in quanto enunciati o desumibili dalla legge ordinaria e con i limiti da essa imposti.

Con il moltiplicarsi e il rafforzarsi delle fonti super-legislative (Costituzione, Carta Europea dei diritti, normativa comunitaria) e il crescente rilievo degli organi giurisdizionali cui è devoluta, in via primaria ma non esclusiva, l’applicazione delle “super-leggi”, si sono fatte sempre più frequenti le ipotesi in cui il giudice decide il caso concreto sottoposto al suo giudizio, non in base ad una puntuale norma di legge, ma in base a un principio che non ricava dalla legge ordinaria dello Stato italiano; e questo “accesso diretto ai principi” è incoraggiato e avallato dalle stesse Corti Supreme. In un simile quadro il legislatore sovente non determina l’evoluzione giurisprudenziale ma la insegue, per recepirla, per regolarla, talvolta per contrastarla (in genere con scarso successo).

Un esempio classico è in proposito costituito dall’abuso di diritto in materia tributaria.

[-protetto-]

Fino al 2002 la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che i negozi che determinano elusione fiscale non sono opponibili al fisco, che quindi applica l’imposta come se tali negozi non esistessero, solo quando questa inopponibilità è prevista da una specifica normativa; invece dal 2004 in poi la stessa Corte di Cassazione ha affermato la sussistenza di una generale “clausola antielusiva” ricavabile direttamente dai principi comunitari e dall’art. 53 Cost., e quindi ha colpito l’elusione fiscale anche quando non sia prevista da una puntuale disposizione di legge. Ed ora la legge 11 marzo 2014, n. 23, e il decreto legislativo delegato approvato dal Consiglio dei Ministri in prima lettura il 24 dicembre 2014, “inseguono” la giurisprudenza, disciplinano il fenomeno e ne limitano l’applicazione, condizionandola, ad esempio, ad un preventivo contraddittorio amministrativo. Nel contempo cancellano la rilevanza penale del fenomeno.

Qualcosa di simile accade nella materia che qui ci interessa.

Si è partiti dall’affermazione secondo cui il mancato contraddittorio preventivo determina la nullità dell’accertamento solo quando concorrono due condizioni: la esplicita previsione legislativa del contraddittorio e l’altrettanto esplicita previsione della nullità.

Con la sentenza n. 18184 del 2013 delle Sezioni Unite (4) si è compiuto un primo passo: si è affermato che la violazione del termine dilatorio di 60 giorni previsto dalla legge (art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212) determina la nullità dell’atto in base al principio generale del contraddittorio; ancorché tale nullità non sia esplicitamente prevista dalla legge.

Con le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 l’evoluzione si è completata: il contraddittorio pur non previsto dalla legge è imposto dal principio generale, e sempre in forza del principio generale determina la nullità dell’atto impositivo che dal contraddittorio non sia stato preceduto. Ed ora la citata ordinanza n. 527 del 2015 sottopone alle Sezioni Unite uno spunto di riflessioni circa i limiti che questo accesso ai principi incontrerebbe, almeno in materia procedurale.

2. La portata delle sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 e i possibili limiti: la utilità del contraddittorio

Come già si è accennato l’ordinanza “Cosentino” n. 527 del 2015 ritiene che le sentenze n. 19667 e n. 19668 del 18 settembre 2014 abbiano una portata di carattere generale e coinvolgano quindi tutte quelle procedure amministrative che sfociano in un atto potenzialmente incisivo sulla sfera giuridica del contribuente; e conseguentemente respingano la tesi secondo cui il contraddittorio amministrativo costituisce – di regola – uno strumento rimesso alle scelte facoltative dell’Amministrazione finanziaria, che lo attiva solo quando appare utile ai suoi fini (anche di correttezza impositiva). Vengono altresì implicitamente scavalcate le impostazioni, ancora enunciate sia pur dubitativamente nell’ordinanza n. 527 del 2015, secondo cui la violazione del contraddittorio amministrativo assumerebbe rilievo solo ove determini una minor attendibilità della prova assunta; o quando il contribuente dimostri che l’omessa attivazione del contraddittorio gli ha impedito di fornire prove o dedurre argomentazioni decisive.

Il diritto al contraddittorio è infatti concepito come un diritto che o esiste o non esiste; e se esiste è “neutro”: tutela cioè tutti “buoni e cattivi”; come dimostra il richiamo della sentenza all’art. 24 Cost. (5). E le varie tesi riduttive della portata del contraddittorio amministrativo rischiano di negare l’esistenza dell’obbligo di questo contraddittorio; e assorbirlo nel (successivo ed eventuale) contraddittorio processuale. Soluzione non irragionevole, anche se in contrasto con le conclamate affermazioni legislative secondo cui il processo deve costituire una extrema ratio ed essere preceduto da un’elaborazione amministrativa che mira a prevenire il contenzioso perseguendo soluzioni condivise, di cui il contraddittorio è ovviamente un presupposto essenziale.

Per concludere su questo punto, appare opportuno richiamare una prospettiva avanzata in dottrina (6) e che tenta di contemperare il diritto al contraddittorio con l’esigenza di evitare contestazioni pretestuose.

Secondo questa opinione, il vizio di mancato contraddittorio «rileva quando l’omesso contraddittorio segnala una lesione sostanziale: ma tale lesione sostanziale non richiede che sia stato dato torto a chi invece aveva ragione, ma che sia stato precluso all’interessato di svolgere difese non pretestuose e ragionevoli che avrebbero potuto modificare, ex ante, il quadro da tener presente per provvedere». In sostanza, «chi eccepisce il difetto di contraddittorio ha l’onere di allegare che, se il contraddittorio vi fosse stato, egli avrebbe detto qualcosa. Non ci si può limitare ad eccepire formalisticamente che è mancato il contraddittorio, ma bisogna allegare che il contraddittorio avrebbe avuto una qualche utilità. Ovvero l’eccezione di difetto di contraddittorio non deve essere abusiva: deve essere non pretestuosa, dilatoria, e non deve essere, in buona sostanza, temeraria».

Anche questa problematica viene poi presa in considerazione nell’ordinanza n. 527 del 2015 che però sottolinea le difficoltà che deriverebbero dal «poggiare il giudizio sulla validità dell’atto emesso in violazione del contraddittorio su un criterio di individuazione labile e malcerta, quale quello dell’idoneità delle difese che il contribuente avrebbe spiegato in sede procedimentale a modificare l’esito del procedimento».

3. La portata delle sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 e i possibili limiti: la immediata lesività dell’atto amministrativo

Si soggiunge che non sembra possibile circoscrivere la portata delle affermazioni di principio contenute nelle sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 al caso specifico delle ipoteche iscritte a garanzia di crediti tributari, o ai soli casi in cui l’atto amministrativo produce un effetto immediato negativo (quale appunto l’iscrizione dell’ipoteca o il fermo auto) escludendone l’applicazione – ad esempio – agli avvisi di accertamento in quanto essi possono essere impugnati avanti al giudice tributario e da esso sospesi. Simile fondamentale limitazione non emerge infatti dal testo della motivazione che è ampio e circostanziato ed esemplifica con riferimento proprio agli avvisi di accertamento. Del resto, specie dopo l’introduzione nel nostro ordinamento degli “avvisi di accertamento esecutivi”, è difficile sostenere che l’emanazione di uno di questi atti non reca alcun pregiudizio al contribuente. Ed è ovvio come – ad esempio – gli atti di accertamento catastale producano effetti immediati, che in base all’art. 69-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (probabilmente incostituzionale ma pur sempre vigente) saranno rimossi al formarsi di un giudicato favorevole al contribuente e quindi dopo parecchi anni.

Si può, del resto, rilevare che le ragioni pratiche del contraddittorio sono – se mai – poco rilevanti proprio nell’iscrizione di ipoteca che costituisce atto meramente esecutivo di una pretesa tributaria che dovrebbe essere ormai consolidata. E in cui quindi lo spazio per il contraddittorio dovrebbe essere ridotto. In sostanza, a fronte del preannuncio di iscrizione di ipoteca la difesa del contribuente, che non si rivolga contro l’atto in cui il debito tributario è stato accertato, potrebbe solo consistere o nella prova dell’avvenuto pagamento, o nella indicazione che alcuni beni del debitore non costituiscono garanzia del credito tributario (ad esempio, perché conferiti in patrimonio familiare).

4. La precedente giurisprudenza: luci ed ombre

La rilevanza delle più volte citate sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 è accresciuta dalla circostanza che nella giurisprudenza – anche recentissima – della sezione tributaria della Corte di Cassazione non mancano affermazioni di principio di diverso tenore (7).

Così la sentenza del 12 febbraio 2014, n. 3142 (8) afferma: «appare opportuno eliminare … ogni equivoco in ordine ad una generalizzata estensione del “contraddittorio c.d. preventivo” a qualsiasi fase del procedimento tributario … l’assunto … secondo cui dovrebbe ascriversi ai principi generali dell’ordinamento giuridico l’anticipazione del contraddittorio già nella fase preliminare di acquisizione dei dati ed informazioni da sottoporre a verifica ai fini dell’eventuale attivazione del potere di accertamento tributario» non tiene conto della «differente posizione che il privato viene ad assumere rispetto alla PA nel processo giudiziario e nelle procedure di tipo giustiziale, da un lato, e nel procedimento amministrativo, dall’altro, e dalla diversa esigenza cui il contraddittorio assolve nel processo e nel procedimento amministrativo. Occorre, infatti, distinguere il principio del contraddittorio inteso come espressione del diritto di difesa nel processo – declinato nel duplice senso di contrapposizione argomentativa alle tesi sostenute dalla parte avversa e di deduzione e partecipazione alla formazione della prova –, dall’intervento del privato nel procedimento amministrativo, inteso invece come facoltà di introduzione di ulteriori elementi in fatto e diritto a completamento della fattispecie concreta sulla quale la PA è chiamata a provvedere in funzione dell’attuazione dell’interesse pubblico, e dunque come “collaborazione” del privato – nella fase istruttoria – diretta all’acquisizione di tutti gli elementi conoscitivi e valutativi indispensabili all’esercizio della potestà autoritativa. Il principio del contraddittorio – che trova la sua massima applicazione nel giudizio – postula la equiordinazione delle parti contrapposte e la necessità di un soggetto terzo che garantisca la “parità delle armi” fin dalla fase preliminare della introduzione dei fatti rilevanti che costituiscono il caso controverso e, successivamente, anche nel corso della acquisizione e formazione delle prove di tali fatti. L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, invece, si realizza nell’ambito dell’esercizio di poteri autoritativi, e si inserisce pertanto in un rapporto che non è paritetico ma di supremazia/soggezione, venendo a costituire pertanto uno dei vari segmenti di cui si compone la sequenza di atti che dalla fase della iniziativa (di ufficio o a istanza del privato) perviene, attraverso le diverse fasi del procedimento – istruttoria, costitutiva della decisione e quindi integrativa della efficacia – alla emanazione del provvedimento in quanto espressione della potestà autoritativa della PA. Se dunque nel primo caso il contraddittorio è essenziale alla struttura del processo (il privato e la PA sono parti essenziali, collocate sullo stesso piano, del rapporto processuale), nel secondo costituisce una mera eventualità, in quanto la partecipazione del privato alla formazione del provvedimento amministrativo (tanto se trattasi di soggetto destinatario dell’atto, quanto se trattasi di soggetto che dall’atto potrebbe subire comunque un pregiudizio) dipende esclusivamente dalla rilevanza riconosciuta a tale intervento dalle singole norme di legge che prevedono e disciplinano lo specifico procedimento amministrativo (cfr. L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7, comma 1, secondo cui è la legge che determina quali soggetti “debbono” intervenire nel procedimento)».

La sentenza n. 3142 del 2014 ribadisce l’orientamento restrittivo espresso dalla sentenza del 3 agosto 2012, n. 14026 (9).

In quest’ottica, che esclude la sussistenza di un diritto generale al contraddittorio, pare porsi anche l’ordinanza del 5 novembre 2013, n. 24739 (10), secondo cui non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui prevede la nullità dell’avviso di accertamento emesso prima che siano trascorsi i 60 giorni dal ricevimento della richiesta di chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria, concessi al contribuente per fornire le sue spiegazioni. La norma infatti appare in contrasto con l’art. 3 Cost. perché prevede il contraddittorio amministrativo solo nelle ipotesi indicate dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 e non in tutte le altre ipotesi di abuso enucleate dalla giurisprudenza; con l’art. 53 perché ostacola irrazionalmente, specie quando la violazione del termine sia di pochi giorni, l’applicazione del principio che a tutti impone l’adempimento delle obbligazioni tributarie. Infatti se questo diritto esiste è logico trarne la conseguenza secondo cui esso deve essere rispettato anche (e forse soprattutto) nei casi di abuso di ufficio non espressamente previsti dalla legge.

L’orientamento restrittivo di cui si è riferito non appare coerente già con la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18184 del 2013. Tale sentenza ha infatti affermato la nullità degli accertamenti emessi in violazione del settimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 (cioè prima che sia decorso il termine dilatorio di 60 giorni decorrente dalla data della conclusione del sopralluogo o accesso condotto dagli Uffici fiscali); e tale nullità, non espressamente prevista dalla legge, è stata sorretta proprio con l’affermata esistenza di un “principio generale del contraddittorio”.

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La sentenza n. 18184 del 2013 (o sentenza “Virgilio”) pur muovendo dai medesimi principi delle sentenze “Botta” nn. 19667 e 19668 del 2014 ha risolto il caso di specie oggetto della vicenda processuale (11) procedendo a un’interpretazione “costituzionalmente orientata” della disposizione specifica applicabile al caso concreto. E ciò ha consentito alla successiva giurisprudenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione di dichiarare, pur in assenza di contraddittorio, la legittimità dei cosiddetti “accertamenti a tavolino”, cioè svolti senza accesso ai locali del contribuente inciso dall’atto tributario. Il che ha determinato delle disparità di trattamento per cui alcuni hanno diritto al contraddittorio e altri no in relazione al fatto – in sé non pertinente – di aver subito un’ispezione. Né è del tutto persuasiva la contro obbiezione: “ma se c’è stata l’ispezione vi è, o può essere, l’acquisizione di dati e documenti non forniti dal contribuente stesso; mentre se i dati sono stati portati dal contribuente in fondo c’è una sorta di contraddittorio preventivo”. L’osservazione non copre infatti la gamma intera delle obbiezioni. Infatti se viene redatto un accertamento a carico di un soggetto in base a documenti di pertinenza di un altro imprenditore, reperiti in un accesso nella azienda di quest’ultimo, il primo contribuente non sa nulla e si vede piovere addosso un accertamento esecutivo.

Solo la sentenza del 5 febbraio 2014, n. 2594 (12), ha affermato che la nullità che deriva dalla violazione del settimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 non coinvolge solo le verifiche con accesso da concludersi con sottoscrizione e consegna del processo verbale di constatazione, ma riguarda anche l’istruttoria condotta nella sede dell’Ufficio tributario all’esito di indagini bancarie; poiché anch’essa deve concludersi con sottoscrizione e consegna del processo verbale.

Quest’ultima pronuncia poteva apparire una “rara avis” non coerente con la giurisprudenza “abituale” della sezione quinta tributaria, ma ha ricevuto – pare – l’implicito avallo delle Sezioni Unite.

Ciò in quanto le sentenze “Botta” escludono esplicitamente che la legislazione in tema di iscrizione di ipoteche a garanzia di un credito tributario vigente all’epoca del fatto sia suscettibile di una interpretazione “evolutiva” o “costituzionalmente orientata” e quindi agganciano il dispositivo direttamente al principio generale (e dunque l’affermazione del principio non è un “obiter” ma il perno centrale della sentenza).

5. Diritto al contraddittorio e diritto alla difesa processuale

Le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 in un passaggio richiamano l’art. 24 Cost. Un richiamo che potrebbe apparire fuori luogo posto che si discute di attività amministrative; ma che – a ben vedere – ha una logica motivazione, come esattamente sottolinea l’ordinanza n. 527 del 2015.

Il processo tributario si caratterizza per l’assenza di una fase istruttoria o di raccolta delle prove da parte di un giudice terzo.

L’istruttoria fiscale è opera dell’Amministrazione finanziaria che, ad esempio, raccoglie dichiarazioni di persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono determinare l’esito del processo anche se, si suole ripetere, non sono vere testimonianze ossia prove, ma solo indizi.

È però un dato di fatto che l’esito del processo tributario è spessissimo determinato da indizi e quindi la distinzione fra indizio e prova sfuma, diviene quasi impercettibile; in un processo il cui esito sfavorevole al privato può essere determinato dal “più probabile che non” e non occorre certo il superamento di “ogni ragionevole dubbio”. Di conseguenza gli “indizi” raccolti dall’Amministrazione finanziaria svolgono un ruolo decisivo e producono effetti non dissimili a quelli propri di un’istruttoria giudiziaria.

Posto che non è possibile e neppure forse auspicabile che i giudici tributari si facciano ricercatori di prove, o cacciatori di indizi assunti in contraddittorio, è logico che il contribuente abbia voce, sia presente anche in quella fase in cui si forma il materiale probatorio che fonderà un giudizio spesso pronunciato “sul tamburo”, dopo una breve discussione orale.

6. Le conseguenze pratiche

Le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 hanno suscitato un insieme di preoccupazioni non per la loro portata di principio, ma per gli effetti pratici che possono determinare. E queste preoccupazioni si riflettono nella ordinanza n. 527 del 2015.

Si potrebbe cioè concludere il lento e prudente cammino della giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha finora affermato l’essenzialità del contraddittorio solo in riferimento a singole procedure, in cui si è ritenuto di poter invocare specifiche disposizioni di legge che imponessero il contraddittorio stesso. determinando l’insorgere di un insieme di eccezioni al principio della facoltatività del contraddittorio, molto ampio (tale da quasi mangiarsi la regola) e non sempre coerente.

Si può del resto osservare che l’applicazione alla materia tributaria dei principi generali in tema di procedura amministrativa ha finora incontrato, proprio per ragioni pratiche, particolari resistenze, tentennamenti, oscillazioni; suscitate dalla preoccupazione di salvaguardare le entrate dello Stato (e non agevolare veri o presunti evasori).

Le già citate sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 (con un’operazione analoga a quella compiuta dalla sentenza n. 500 del 1999 (13) in tema di risarcibilità delle lesioni agli interessi legittimi) hanno interrotto l’evoluzione casistica e affermato un principio generale che assorbe le varie pregresse eccezioni. E dunque rischia di travolgere un insieme di atti amministrativi che la giurisprudenza “prudente” aveva salvato.

Particolarmente significativa è la problematica degli accertamenti bancari, di cui si dirà più avanti; ma si può anche, ad esempio, ricordare che la giurisprudenza in materia di accertamenti catastali ha finora escluso che – almeno nella generalità dei casi – la legittimità di tali accertamenti sia subordinata ad una preventiva fase di contraddittorio amministrativo endoprocedimentale fra parte pubblica e contribuente [si vedano, ad esempio, le ordinanze della sesta sezione 6 dicembre 2012, n. 21923 (14), e 14 novembre 2012, n. 19949 (15)]. Nonostante, come già ricordato, gli atti di accertamento catastale producano effetti immediati, che in base all’art. 69-bis del D.Lgs. n. 546/1992 saranno rimossi solo dal formarsi di un giudicato favorevole al contribuente e quindi dopo parecchi anni. Nel frattempo il riclassamento determinerà un incremento della tassazione sull’immobile e, in taluni casi, l’esclusione da benefici previsti dalla legge (come la tassazione degli atti di trasferimento con aliquote ridotte, non applicabili alle abitazioni “signorili” inserite nella classe A1).

Questi orientamenti sorretti da un diffuso indirizzo giurisprudenziale ora debbono essere rimeditati e verificati.

7. I limiti all’applicazione del principio del contraddittorio

Anche ove si ritenga di applicare il principio secondo cui la violazione del contraddittorio amministrativo comporta la nullità dell’accertamento, sarà necessario individuare attentamente i limiti di simile principio.

Esso non si applica agli atti meramente liquidatori in cui l’Amministrazione finanziaria non “accerta” nulla ma applica la legge ai dati forniti dal contribuente (16). Resta però aperto il problema di stabilire quando si sia in presenza di una mera correzione di errori materiali commessi dal contribuente e dunque ci si trovi ancora di fronte ad attività meramente liquidatorie e quando l’Amministrazione contrapponga alle tesi ed ai dati esposti dal contribuente un proprio accertamento (ancorché denominato “cartella”).

Vi sono poi norme poste a tutela non del contribuente, ma di esigenze interne proprie dell’Amministrazione (si pensi alle autorizzazioni del superiore gerarchico necessarie per accedere ai dati bancari); la cui violazione quindi non lede il contraddittorio. E ancora norme che riguardano i rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuente ma che non coinvolgono il contraddittorio, ma se mai altri principi di pari se non maggiore rilievo costituzionale, e quindi solo in tale caso determinano la nullità dell’acquisizione della prova e dell’accertamento che su essa si fondi (come accade in caso di perquisizione domiciliare non autorizzata). Ed anche qui i dubbi certo non mancano.

Ad esempio, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato che in tema di verifiche tributarie, il termine (trenta giorni prorogabili di altri trenta) di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione (17). E dunque sembrerebbe che non si tratti di disposizione attinente al contraddittorio, né posta a tutela di valori costituzionali inderogabili. La giurisprudenza più recente ha però talvolta preferito non affrontare esplicitamente il problema sottolineando come nel caso di specie il termine fosse stato rispettato dal momento che esso, come esplicitamente stabilito da un emendamento introdotto dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (18).

8. Le modalità della (eventuale) applicazione generalizzata del principio del contraddittorio

L’ordinanza n. 527 del 2015 rileva che ove si ribadisca che l’Amministrazione finanziaria è tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in difetto di un’espressa disposizione di legge, «si pone la questione dell’individuazione delle concrete modalità di esplicazione del contraddittorio, e degli effetti della eventuale inosservanza di tali modalità, in tutti quei procedimenti tributari nei quali la legge non preveda espressamente alcun meccanismo di contraddittorio endoprocedimentale, tra cui, per quanto qui interessa, le verifiche c.d. “a tavolino”». E anche su quest’ultima problematica chiede lumi alle Sezioni Unite, «come questione di massima di particolare importanza, onde prevenire possibili oscillazioni giurisprudenziali che, per la rilevanza pratica del contenzioso in questione, appare sommamente opportuno evitare».

L’ordinanza ritiene che l’opzione ermeneutica più lineare per garantire il contraddittorio processuale nei procedimenti di verifica c.d. “a tavolino” sia quella di applicare anche a tali verifiche il disposto dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000. Non si tratterebbe di un’interpretazione estensiva della medesima disposizione (la quale presupporrebbe una inammissibile interpretatio abrogans delle parole «nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali … etc.» contenute nel primo comma dello stesso articolo) ma di un’interpretazione analogica tendente a colmare la lacuna di regolazione del contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche “a tavolino”, utilizzando la norma dettata per il diverso (ma analogo) caso delle verifiche in loco. In tal modo le verifiche “a tavolino” risulterebbero equiparate, quanto a garanzia del contraddittorio endoprocessuale, alle verifiche presso i locali del contribuente.

Resterà da stabilire «se all’applicazione analogica del ripetuto articolo 12, comma 7, l. 212/00 consegua necessariamente che anche nel campo delle verifiche “a tavolino” si applichino i principi fissati nella sentenza n. 18184/13 – e quindi l’atto emanato senza essere stato preceduto dalla consegna di un verbale di contestazione, o prima dello spirare del termine di sessanta giorni dalla data di tale consegna, debba essere in ogni caso giudicato invalido (salvo il caso di urgenza di cui all’ultima parte del suddetto comma 7) – o se invece, in applicazione dei principi sul contraddittorio procedimentale di matrice eurounitaria, l’atto emanato in violazione del diritto del contribuente al contraddittorio debba essere giudicato invalido soltanto se, in mancanza di tale violazione, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso». E l’ordinanza enumera con puntualità quali siano i vantaggi e quali gli svantaggi propri delle diverse soluzioni prospettate, e su cui ci siamo già soffermati.

L’ordinanza n. 527 del 2015 si pone logicamente il problema delle modalità di realizzazione del contraddittorio solo in relazione agli accertamenti “a tavolino”. Non affronta le analoghe questioni che possono porsi in riferimento ad altri provvedimenti impositivi.

9. La prassi amministrativa

Come già sottolineato, nella rimeditazione indotta dall’ordinanza oggetto delle nostre osservazioni è inevitabile pesino considerazioni “politiche” circa gli effetti pratici della dichiarazione di nullità degli atti impositivi.

È questo un antico “dilemma” in cui una parte dell’Amministrazione ha almeno in passato posto la giurisdizione: “se gli atti sono nulli lo Stato non incassa”. E così il giudice si trova di fronte ad una sgradevole scelta: “affermare ciò che appare frutto di una corretta interpretazione giuridica facendo un favore a possibili evasori, o torcere i ragionamenti giuridici propter bonum rei publicae?”.

Tipico è il già accennato caso del (mancato rispetto del) termine dilatorio di 60 giorni, posto dall’art. 12, settimo comma, dello “Statuto dei diritti del contribuente”; vien da domandarsi: ma cosa costava rispettare la legge?

Perché costringere i magistrati a riunioni, discussioni, tormenti, fino alla sofferta soluzione espressa dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18184 del 2013 (e dalla tormentata – e non del tutto coerente – successiva giurisprudenza della sezione tributaria)?

Ancora, l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 dispone che i dati bancari «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni. Le richieste fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anche dal contribuente o dal suo rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto ad avere copia del verbale». Dunque l’emissione dell’avviso può essere impedita da razionali spiegazioni del contribuente; e sembrerebbe conseguente che l’Amministrazione debba porre il contribuente in condizione di darle, attraverso un indispensabile contraddittorio. In questo specifico settore diverrebbe cioè un obbligo la facoltà che la legge accorda, in via generale, all’Amministrazione di «invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti» (19).

Né si comprende perché mai l’Amministrazione, emettendo avvisi “inaudita altera parte”, abbia spesso disatteso questa indicazione (o suggerimento) di legge, che risponde ad esigenze di efficienza della stessa procedura amministrativa, tanto più evidenti quando l’Amministrazione ritenga di potere trarre elementi a carico di un contribuente dalle movimentazioni bancarie che fanno capo ad un altro contribuente (20) [figlio, moglie (21) o amante che sia?]; costringendo la giurisprudenza di legittimità ad avallare una prassi discutibile e poco garantista dell’appropriatezza degli accertamenti tributari.

D’altronde la giustificazione logica delle presunzioni legali che sorreggono l’accertamento su base bancaria è costituita dalla “vicinanza” alla prova del contribuente; su cui è logico incomba l’onere di spiegare i movimenti del suo conto corrente. Ma proprio questo ragionevole onere consiglia che il contribuente sia messo in condizione di onorarlo tempestivamente, in fase amministrativa, senza attendere la notifica di un dirompente avviso di accertamento.

10. La circolare n. 25/E/2014; l’Amministrazione accetta e propugna il contraddittorio

Ad integrazione di quanto esposto nel precedente paragrafo, appare opportuno sottolineare come l’Amministrazione nell’agosto del 2014 e dunque prima dell’emanazione delle sentenze “Botta” abbia recepito e condiviso il principio del contraddittorio, abbandonando precedenti prassi meno garantiste (come nella circolare del 6 agosto 2014, n. 25/E) (22).

Si legge nella citata circolare che «L’Atto di indirizzo del Ministro per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2014-2016 del 31 dicembre 2013, ha … assegnato all’Agenzia il compito di presidiare la centralità del rapporto con il contribuente che, nell’ambito dell’attività di controllo, si declina attraverso la partecipazione del cittadino al procedimento di accertamento mediante il contraddittorio, sia nella fase istruttoria sia nell’ambito degli istituti definitori della pretesa tributaria. Un adeguato confronto con il contribuente consente, da un lato, di rendere lo stesso partecipe, in modo tangibile e trasparente, dello sforzo che l’Agenzia quotidianamente persegue, di esercitare i compiti istituzionali ad essa affidati in un contesto di leale collaborazione e buona fede, dimostrando capacità di ascolto, professionalità e chiarezza nelle spiegazioni. Dall’altro lato, permette all’Ufficio di individuare con maggior attendibilità la sussistenza dei presupposti dell’atto in corso di definizione, con effetti positivi diretti sull’affidabilità dei controlli».

La problematica di cui ci occupiamo dovrà quindi estinguersi di morte naturale a seguito del mutamento della prassi amministrativa. Anche se con i tempi lunghi della giustizia italiana è agevole prevedere che occorreranno una decina d’anni per smaltire il contenzioso arretrato, in cui la nostra tematica assume rilievo.

11. Un pizzico di filosofia

Forse non è in gioco solo la posizione patrimoniale di alcuni probabili evasori fiscali; è in gioco la concezione del rapporto fra lo Stato e coloro che allo Stato sono soggetti.

Il rapporto Stato-cittadino (si utilizza il termine cittadino in senso improprio perché coinvolge anche gli stranieri soggetti per qualche aspetto alla autorità dello Stato) è per sua natura un rapporto paritario? O è un rapporto di subordinazione istituzionale?

Nel primo caso, lo Stato ha potere nei confronti del cittadino solo quando questo potere discende da una legge, e quindi la violazione della legge, quando incide sul rapporto Stato-cittadino, determina la mancata attribuzione del potere, il venir meno dello “scudo” legislativo per la pubblica amministrazione. Per semplificare possiamo parlare di impostazione “garantista”.

Nella seconda prospettiva, le leggi disciplinano un potere dello Stato che non discende dalla singola legge, un potere che è immanente, e quindi il venir meno del potere è un’eccezione, che deve essere prevista esplicitamente dalla legge. In tutti gli altri casi la legge è un mero “disciplinare” interno dell’Amministrazione il cui rispetto il cittadino non ha titolo per esigere. E dunque il dato acquisito “contra legem” è almeno di regola utilizzabile (impostazione “giustizialista”: conta la verità e non il modo con cui essa è stata raggiunta).

Ma questa è filosofia; contraddetta dalla massima, che all’estensore della nota pare saggia, “cave a consequentiariis”.

Dico “saggia” perché ritengo – con riflessione ovvia quanto banale – che ciascuna delle due impostazioni rechi vantaggi e svantaggi.

Spesso il garantismo ha un prezzo di verità, cioè comporta il non raggiungimento di un obbiettivo di verità (“verità” si intende fra virgolette cioè di “quel che al giudice pare la verità”). Mentre il perseguimento della verità ha un “costo” in termini di garanzia(23).

12. La legge delega n. 23/2014

Ove le sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 vengano ribadite dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza scavalcherà la già citata legge n. 23/2014, che ha previsto l’introduzione del principio del contraddittorio (ma ovviamente con efficacia ex nunc), invitando il legislatore delegato a «rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale» [art. 9, primo comma, lett. b)].

La nuova norma viene addotta come argomento “a contrario”: se è necessaria una esplicita norma di legge per introdurre il “contraddittorio generalizzato”, vuol dire che esso non era deducibile dalla vigente normativa. L’osservazione appare – almeno all’estensore di questo intervento – di scarso rilievo. Le valutazioni giuridiche da cui il legislatore sembra prendere le mosse non hanno né il contenuto né la portata di disposizioni di interpretazione autentica della normativa previgente.

Basta del resto confrontare le norme sul contraddittorio con quella in materia di IRAP in cui si conferisce al legislatore delegato il compito di «chiarire la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive» (art. 11, secondo comma). In questa disposizione sì è possibile scorgere il recepimento di una linea interpretativa giurisprudenziale che tende a sottrarre all’imposta “i professionisti, gli artisti e i piccoli imprenditori”.

 

Mario Cicala

 

(1) Cfr. Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, pubbl. infra, in questo stesso fascicolo del Bollettino, con nota di A.Voglino, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie.

(2) Cfr. Cass., sez. trib., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1740, con nota di P. Accordino, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato.

(3) Si riportano le massime con l’avvertenza che solo la seconda massima è stata enunciata (e virgolettata) dal relatore, mentre la prima riproduce una proposizione della sentenza, che è parsa al redattore di queste note di fondamentale rilievo. ATTI DELLA AMMINISTRAZIONE TRIBUTARIA CHE INCIDONO SULLA SFERA GIURIDICA DEL DESTINATARIO – OBBLIGO DEL PREVENTIVO CONTRADDITTORIO CON IL CONTRIBUENTE – SUSSISTENZA – VIOLAZIONE – NULLITà DELL’ATTOLa pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost. ATTI DELLA AMMINISTRAZIONE TRIBUTARIA CHE INCIDONO SULLA SFERA GIURIDICA DEL DESTINATARIO – OBBLIGO DEL PREVENTIVO CONTRADDITTORIO CON IL CONTRIBUENTE – SUSSISTENZA – VIOLAZIONE – NULLITà DELL’ATTO – CASO DI SPECIE – ISCRIZIONE DI IPOTECA Anche nel regime antecedente l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 77 D.P.R. n. 602 del 1973, introdotto con d.l. n. 70 del 2011, l’amministrazione prima di iscrivere ipoteca ai sensi dell’art. 77 D.P.R. n. 602 del 1973, deve comunicare al contribuente che procederà alla detta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorni – perché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto. L’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo. Tuttavia in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità.

(4) Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. Perrucci, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

(5) Si deve però dare atto che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto, ovvero mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza (c.d. «della terza via» o «a sorpresa») per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio [soltanto] allorché quella di esse che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass., sez. trib., 23 maggio 2014, n. 11453, in Boll. Trib. On-line; nella specie il giudice d’appello aveva deciso la controversia sulla base della questione, rilevata di ufficio ma non sottoposta al contraddittorio delle parti, benché caratterizzata da profili anche di fatto, dell’applicabilità, del Regolamento n. 1998/2006/CE del 15 dicembre 2006, che aveva stabilito l’utilizzabilità della disciplina degli aiuti de minimis anche per il settore dei trasporti, consentendola, altresì, per quelli concessi anteriormente alla sua entrata in vigore). Vedi anche Cass., sez. VI, 21 ottobre 2014, ord. n. 22314, e Cass., sez. trib., 31 ottobre 2014, n. 23212, entrambe in Boll. Trib. On-line.

(6) A. Marcheselli, Il contraddittorio va sempre applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso, in Corr. trib., 2014, 2536-2542.

(7) Si veda anche Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20691, in Boll. Trib. On-line: in tema di IVA e in ipotesi di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente, sanzionato dalla legge con l’applicazione di una pena pecuniaria pari al cento per cento dell’importo non versato, la previsione del preventivo invito al pagamento, contenuta nell’art. 60, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, quale adempimento necessario e prodromico all’iscrizione a ruolo dell’imposta (che aveva quale unica funzione quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione di versamento), è rimasta implicitamente caducata, e comunque priva di conseguenze nel caso di sua inosservanza, per effetto dell’art. 13, primo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che, nel ridurre la sanzione inizialmente prevista dall’art. 44 del D.P.R. n. 633/1972 (dal cento per cento al trenta per cento dell’importo non versato), ha fatto venire meno ogni interesse del contribuente ad un adempimento dal quale non potrebbe più trarre alcun vantaggio.

(8) Cfr. Cass., sez. trib., 12 febbraio 2014, n. 3142, in Boll. Trib. On-line.

(9) Cfr. Cass., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14026, in Boll. Trib. On-line.

(10) Cfr. Cass., sez. trib., 5 novembre 2013, ord. n. 24739, in Boll. Trib. On-line.

(11) Così enunciato nella sentenza: «La questione sottoposta all’esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della propria attività (art. 12, comma 1), della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di “particolare e motivata” urgenza, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso».

(12) Cfr. Cass., sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2594, in Boll. Trib. On-line.

(13) Cfr. Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Boll. Trib. On-line.

(14) In Boll. Trib. On-line: la revisione delle rendite catastali urbane (regolata dall’art. 3, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e, ricorrendone il presupposto della ripartizione del territorio comunale in microzone, dall’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311), in assenza di variazioni edilizie, non richiede la previa «visita sopralluogo» dell’ufficio, non essendo condizionata ad alcun preventivo contraddittorio endoprocedimentale; né il sopralluogo si rende necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente (come si desume dall’art. 11, primo comma, del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154).

(15) In Boll. Trib. On-line: in tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la previa «visita sopralluogo» dell’Ufficio, né il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua a una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo e al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile.

(16) Cfr. Cass., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15311, in Boll. Trib., 2014, 1489, con nota di L. Lovecchio, La nullità del controllo formale non preceduto dal contatto con il contribuente e la centralità del principio del contraddittorio preventivo.

(17) Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17002, in Boll. Trib. On-line; si veda da ultimo Cass., sez. VI, 20 novembre 2014, ord. n. 24690, ivi, secondo cui «in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione»; la legge n. 212/2000 detta, del resto, una compiuta disciplina «con riferimento ad eventuali irregolarità commesse dai verificatori durante la ispezione. In tali ipotesi – tra cui deve ricomprendersi anche la ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica – il contribuente, oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (art. 12 co. 4), può, infatti, rivolgersi al Garante (art. 12 co. 6) che in seguito alla segnalazione esercita i poteri istruttori richiesti dal caso (art. 13 co. 6), richiamando “gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della presente legge” (art. 13 co. 9), ed ove rilevi comportamenti che “determinano un pregiudizio per i contribuenti o conseguenza negative nei loro rapporti con l’amministrazione”, trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali “al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare” (art. 13 co. 11)».

(18) Così Cass., sez. trib., 9 maggio 2014, n. 10083, e anche Cass., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23595, entrambe in Boll. Trib. On-line.

(19) Contra Cass., sez. trib., 29 gennaio 2014, n. 1860, in Boll. Trib. On-line: l’art. 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, nel prevedere la convocazione del soggetto che esercita l’impresa con l’invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, attribuisce all’Amministrazione finanziaria una facoltà discrezionale e non un obbligo, né comporta la trasformazione della presunzione legale, desumibile dal combinato disposto dell’art. 51 e dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, in presunzione semplice, valutabile solo nel concorso dei presupposti di cui agli art. 2727 e ss. c.c. Il tenore letterale della disposizione («per l’adempimento dei loro compiti gli Uffici possono invitare i soggetti che esercitano imprese, arti o professioni …») e la discrezionalità espressamente prevista al riguardo, infatti, non possono che indurre ad escludere che debba ritenersi obbligatoria la convocazione del contribuente in sede amministrativa prima dell’accertamento. Né può sostenersi che siffatta discrezionalità violi il diritto di difesa, potendo l’Ufficio procedere al ritiro eventuale del provvedimento, nell’esercizio del potere di autotutela, in caso di osservazioni e/o giustificazioni proposte dall’interessato.

(20) Secondo la sentenza n. 1860/2014, cit., «Ai fini dell’accertamento IVA relativo a società di persone a ristretta base familiare – come nel caso di specie – devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia l’art. 32, n. 7, del D.P.R. n. 600/73, riguardo alle imposte sui redditi, che l’art. 51 del D.P.R. n. 633/72, riguardo all’IVA, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente».

(21) Cass., sez. trib., 15 ottobre 2010, n. 21318, in Boll. Trib. On-line: in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi con metodo induttivo e sintetico ex art. 37 del D.P.R. n. 600/1973, devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai conti correnti di soggetti diversi rispetti al contribuente purché sussistano elementi per affermare la riferibilità al contribuente delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di altri soggetti; sulla base di tale principio, l’Amministrazione finanziaria può attribuire al contribuente i movimenti dei conti intestati al coniuge (o al figlio); spettando al contribuente fornire elementi in senso contrario; cfr. anche Cass., sez. trib., 7 settembre 2007, n. 18868, ivi. Cass., sez. trib., 1° ottobre 2014, n. 20668, in Boll. Trib. On-line: in tema di accertamento dell’IVA, i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari rapporti contrattuali (nella specie, l’amministratore unico della società, il suo gestore di fatto e la figlia di quest’ultimo nonché socia) possono essere riferiti al contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale.

(22) In Boll. Trib., 2014, 1168.

(23) Perciò non condivido la ricorrente affermazione (sembra risalga al Carrara) secondo cui il codice di procedura penale è il “codice dei galantuomini”; esso in quanto codice delle regole è il codice di tutti gli imputati, galantuomini o delinquenti che siano. Anzi a ben vedere il complesso insieme di garanzie che costituisce gran parte del diritto processuale penale giova più al colpevole che all’innocente. I rigorosi criteri di formazione e valutazione della prova conducono fatalmente all’assoluzione di molti pericolosi delinquenti. È un “prezzo” che la società intera paga sull’altare della libertà, del rispetto dell’individuo; talvolta anche del rispetto di “regole del gioco” alquanto opinabili. È dunque forte la tentazione di accedere, anche in campo tributario, al cinico realismo secondo cui “se sei innocente a che ti servono le garanzie, posto che godi delle tutela che ti assicura l’adamantino amore della verità che anima i funzionari dello Stato? E se sei colpevole perché dovrei facilitarti con delle garanzie?