11 Marzo, 2016

ATTI FIRMATI DA DIRIGENTI ILLEGITTIMI: LE COMMISSIONI TRIBUTARIE TIRANO LE FILA DELLA SENTENZA DELLA CONSULTA

Se – premessa maggiore, da ricondursi alla sentenza massimata sub I – è illegittima, con riguardo al personale delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, la procedura di preposizione ad oltranza agli Uffici (ad oltranza: per ciò stesso fuori dai paradigmi dei due unici modelli di variante al concorso consentiti, entrambi caratterizzati dalla straordinarietà e dalla temporaneità) (1) in veste dirigenziale, di personale munito della qualifica di funzionario, allora – premessa minore, deducibile dalla sentenza sub II – gli atti adottati da costoro, per l’intera durata dell’incarico, sono illegittimi per invalidità derivata. Si chiama sillogismo, ed era il fondamento della filosofia socratica; oggidì suona a campana a lutto per le casse erariali, a rischio collasso persino al di là di quanto può apparire alla prima lettura stante l’arco temporale coperto dall’abrogazione ope iudicis.

A questo punto sia il lettore a scegliere l’aforisma che preferisce. Ad esempio: «Tanto tuonò che piovve», in memoria dei numerosi, anche bruschi moniti lanciati nel corso degli anni al legislatore dal giudice delle leggi (oltre che da una copiosa giurisprudenza amministrativa, sempre più insofferente). Oppure: «Prima che ce lo dicano gli altri …», con un brivido di terrore per lo spettro rappresentato dagli organi di giustizia europei, assai poco inclini a transigere in fatto di apatia e inefficienza, specie se provenienti dal Belpaese (2), e piuttosto portati a ricordarci quel passaggio della nostra Carta ove si accenna al canone del “buon andamento dell’amministrazione” (art. 97, primo comma, Cost.).

Quel che è certo è che lo Stato (in senso lato: Governo, Parlamento e con essi, purtroppo, i cittadini vittime dello scempio) ha perso l’ennesima battaglia per riaffermare per tempo la certezza del diritto, dopo sacche di omissioni frutto di collusione e ignavia, rimediando a situazioni a tal punto irregolari da diventare imbarazzanti. Neanche stavolta, infatti, la Corte Costituzionale se l’è sentita di avallare il comportamento del braccio esecutivo (e del ramo legislativo che di quest’ultimo è andato al traino), stigmatizzato spietatamente come scorciatoia, come mezzuccio di “aggiramento” della strada maestra, come tentativo di trasformazione in entità definitiva, attraverso il frusto giochetto delle proroghe, di ciò che si gabella per transitorio (3). Il tutto ammantato, ed è profilo non meno urtante, di parole roboanti quanto vuote; in proposito, spicca quella «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa» con cui la prima delle tre norme abrogate esordisce e che sottende il suo esatto contrario: l’incapacità per inerzia, patologia incorsa spesso, nel passato anche recente, negli strali della Corte (4).

I. Oggetto immediato del contendere era l’art. 8, comma 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento [sic] e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 (5). Per attrazione, poi – in forza del disposto dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che fa carico alla Corte di annullare le norme inficiate da anticostituzionalità indotta (6) – sono state travolte, en passant ma con piena cognizione di causa, anche due altre disposizioni, l’art. 1, comma 14, del D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, primo comma, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, e l’art. 1, ottavo comma, del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative). Una connessione logico-temporale, quella fra le tre disposizioni abrogate, che non poteva – in ossequio al sinallagma simul stabunt simul cadent – non coinvolgerle tutte a cascata, con esiti proprio per questo ancora più nefasti per il sistema.

[-protetto-]

La falla delle tre norme – a cominciare dall’art. 8, comma 24, del D.L. n. 16/2012, cioè da quella direttamente messa in discussione dall’ordinanza di rimessione – consiste nella lesione della regola del pubblico concorso, tendenzialmente unica prassi consentita per l’accesso ai pubblici impieghi (art. 97, terzo comma, Cost.: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge»), a più forte ragione quando gli incarichi sono di rango dirigenziale, in quanto solo la selezione, e la selezione più estesa possibile (7), permette all’ente-apparato di avvalersi di personale qualificato e, anche qui a cascata, di contare su servizi e prodotti all’altezza dei compiti affidati ai diversi livelli. Si tratta, a ben vedere, di «un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizioni dei soggetti legittimati a parteciparvi» (8): un reclutamento dei migliori, cioè, inteso a «scongiurare anche gli effetti distorsivi che il criterio dei concorsi interni può produrre attraverso forme di surrettizia reintroduzione dell’ormai superato sistema delle carriere» (9). L’indirizzo coincide con un risalente sentire giurisprudenziale, che – come ricordano i giudici della Consulta – vuole la regola spalmata su tutte le ipotesi che possono concretamente affacciarsi: dalla formula più elementare dell’immissione ex novo nei ranghi della pubblica Amministrazione al «passaggio a una fascia funzionale superiore [che pure esso] comporta l’accesso a un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate» (10).

Il concorso, insomma, come schema legale di accesso ai ruoli pubblici, dovendosi anche per la selezione del personale, esattamente come per gli appalti di lavori, dare spazio alla «procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost.» (11), mentre solo in casi determinati e straordinari può dispiegarsi l’istituto della reggenza, da utilizzare per ciò stesso in via eccezionale, con estrema parsimonia e cautela (12), non certo nella misura endemica e indiscriminata riscontrata da sempre ma nell’ultimo decennio con una marcata insistenza, in quanto – la giurisprudenza amministrativa è unanime sul punto – «una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all’accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto» (13). Atteggiamento che addirittura riesce nell’impresa di coniugare violazione di legge (si ricordi ad abundantiam il dettato del secondo comma dell’art. 97 Cost.: «Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari») ed eccesso di potere allorché perverte lo strumento del concorso nel suo esatto contrario, cioè nella sanatoria generalizzata dello status quo irregolare di una larga e indistinta platea di dipendenti, così come è avvenuto nel caso del concorso per 175 dirigenti di seconda fascia bandito dall’Agenzia delle entrate nel 2010 e sonoramente bocciato dal giudice amministrativo (14).

II. I giochi, a quel punto, erano fatti. Intorno al collo delle Agenzie si stringe ora il cappio dell’invalidità degli atti assunti in spreto alle modalità, le uniche rituali, scolpite nella legge. Fra i collegi più solleciti emerge la Commissione tributaria provinciale meneghina che, in perfetta e convinta aderenza alle conclusioni della Corte Costituzionale, ha dato conto dell’illegittimità dell’avviso di accertamento sottopostole perché sottoscritto da soggetto non abilitato alla reggenza, atteso che «colui che ha firmato l’avviso di accertamento impugnato, tale “Capo Area” per delega del Direttore Provinciale, non era munito del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza, così come stabilito dall’art. 20, comma 1, lettere a) e b), D.P.R. n. 266/1987» (si è trattato, pare di arguire, proprio di un funzionario appartenente al nutrito stuolo di coloro con riferimento ai quali è sorta la problematica di costituzionalità, quindi nessun dubbio dovrebbe sussistere intorno all’attinenza soggettiva della decisione) (15).

Stanti i prodromi, decisione dunque corretta; di più: dovuta. Dove peraltro è stato dato per scontato – e forse invece, a cercare il pelo nell’uovo, andava inserito – un passaggio logico intermedio, quello relativo all’importanza della sottoscrizione all’interno dello schema legale del provvedimento amministrativo (qui: tributario), sottoscrizione che è requisito indispensabile (16), dalla cui mancanza consegue, beninteso se dedotta nel gravame (e dedotta ab ovo; non pendente iudicio, cioè non come motivo aggiunto), la nullità dell’atto, senza che il giudice possa addivenire alla valutazione del merito. Va comunque da sé che all’inesistenza materiale della sottoscrizione equivale – come nel caso di specie è stato esattamente ritenuto – la mancanza di titolo a sottoscrivere in capo alla persona del sottoscrittore.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Le due sole dinamiche corrette sono le seguenti: a) l’affidamento di mansioni superiori, disciplinato dall’art. 52, secondo comma, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, alla cui stregua «Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti»; e b) la reggenza, disciplinata dall’art. 20, lett. b), del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, da utilizzare per colmare vacanze determinate da cause imprevedibili, purché, anche qui, sia già stato avviato il procedimento, predefinito nei termini, per la copertura di un posto in organico (incontrovertibilmente chiara la dizione della norma: «in attesa della destinazione del dirigente titolare»). Si noti, con Corte Cost. 31 gennaio 2014, n. 17, in Boll. Trib. On-line, come l’infrazione della prima fattispecie, sub a), oltre alla nullità della destinazione a mansioni superiori, comporti la responsabilità personale del dirigente che ha ordinato il maggior onere conseguente, «se ha agito con dolo o colpa grave» (art. 52, quinto comma, secondo periodo). Conforme Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4063, in Boll. Trib. On-line. Così anche Cass., sez. un., 16 febbraio 2011, n. 3814, in Boll. Trib. On-line: «Le disposizioni … che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c. e art. 52 D.Lgs. n. 165/2001), nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura».

(2) Il caso più macroscopico, ancora non deflagrato (e forse neppure avvertito) in tutta la sua devastante potenza esplosiva, è quello che investe i risvolti della interpretazione data al principio del ne bis in idem in materia di sanzioni dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo con la sentenza del 4 marzo 2014 – Ricorso n. 18640/10 – Grande Stevens e altri contro Italia.

(3) Il giudice rimettente (Cons. Stato, sez. IV, ord. 26 novembre 2013) ha avuto facile gioco nel rilevare come «la disposizione in esame, nell’autorizzare l’espletamento di procedure concorsuali da parte delle Agenzie fiscali, ed in particolare da parte dell’Agenzia delle entrate, prevede che “nelle more dell’espletamento di dette procedure, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso”», con ciò «per un verso, dunque, autorizza[ndo] l’attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse Agenzie nelle more dello svolgimento dei concorsi, per altro verso, fa[cendo] salvi gli incarichi “già affidati”, vale a dire gli incarichi dirigenziali già affidati a funzionari privi di qualifica dirigenziale». Di qui il sospetto – come si è poi visto, più che fondato – di collisione con i supremi principi.

(4) Cfr. Corte Cost. 29 maggio 2013, n. 102, in Boll. Trib. On-line, che ha caducato disposizioni affette dalla «indeterminatezza dei tempi dell’iter procedimentale (dato che i differimenti a volta a volta operati hanno indicato dei termini finali che venivano successivamente prorogati)».

(5) Questo il tenore letterale portato all’attenzione della Corte Costituzionale: «Fermi i limiti assunzionali [sic] a legislazione vigente, in relazione all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente comma si provvede con le risorse disponibili sul bilancio dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dell’Agenzia del territorio. Alla compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, pari a 10,3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013, per l’Agenzia delle dogane e per l’Agenzia del territorio si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio».

(6) Art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87: «La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata».

(7) Cfr. Corte Cost. 13 novembre 2009, n. 293, in Boll. Trib. On-line: «Ciò significa che la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni è rappresentata da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti. Il rispetto di tale criterio è condizione necessaria per assicurare che l’amministrazione pubblica risponda ai principi della democrazia, dell’efficienza e dell’imparzialità».

(8) Corte Cost. 16 maggio 2002, n. 194, in Boll. Trib. On-line.

(9) Corte Cost. 15 luglio 1994, n. 313, in Boll. Trib. On-line, la quale chiude chiosando: «il concorso pubblico, per realizzare i suoi obiettivi, deve ispirarsi al rigoroso rispetto del principio di imparzialità che è destinato, pertanto a riflettersi anche sulla composizione delle commissioni giudicatrici, nel senso che la presenza di tecnici o esperti – interni o esterni all’amministrazione, ma in ogni caso dotati di adeguati titoli di studio e professionali rispetto alle materie oggetto di prova – deve essere, se non esclusiva, quanto meno prevalente, sì da garantire scelte finali fondate sull’applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati».

(10) Corte Cost. 30 ottobre 1997, n. 320, in Boll. Trib. On-line. La sentenza in commento richiama espressamente un precedente (Corte Cost. 13 settembre 2012, n. 217, in Boll. Trib. On-line), che, nell’evocarne alcuni altri di identico segno, ha sottolineato che, potendosi derogare al principio legislativo del pubblico concorso solo «ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee … va esclusa la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, dovendosi riconoscere al concorso pubblico un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e quelli di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati dall’origine mediante concorso, in rapporti di ruolo. Inoltre, pur non essendo il principio del pubblico concorso incompatibile, nella logica dell’agevolazione del buon andamento della pubblica amministrazione, con la previsione per legge di condizioni di accesso intese a consentire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, comunque, esso non tollera, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno». Più nello specifico, cfr. Corte Cost. 5 gennaio 2011, n. 7, in Boll. Trib. On-line, che ha ricordato come la progressione nei pubblici uffici debba avvenire «per concorso e previa rideterminazione della dotazione organica complessiva».

(11) Corte Cost. n. 217/2012, cit.

(12) Cfr. Corte Cost. 29 aprile 2010, n. 150, in Boll. Trib. On-line, la quale, nel censurare l’«automatico e generale slittamento di soggetti specificamente individuati verso la qualifica superiore», ha ribadito che «l’area delle eccezioni al concorso deve essere delimitata in modo rigoroso». Cfr. anche Cass., sez. un., 14 maggio 2014, n. 10413, in Boll. Trib. On-line, la quale, collocandosi sulla linea tracciata, ha risolto un contrasto interpretativo in tema di individuazione della base di calcolo per la liquidazione dell’indennità di buonuscita spettante, alla luce degli artt. 3 e 38 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, ai dipendenti dell’Agenzia delle dogane (e così, per proprietà transitiva, ai dipendenti dell’Agenzia delle entrate e di quella del territorio) i quali, non titolari della carica di dirigenti, fossero investiti, all’atto della cessazione dal lavoro, dell’incarico temporaneo di mansioni superiori secondo l’istituto della reggenza ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001. Coerentemente con le premesse, la decisione è andata nel senso che lo stipendio da considerare come base di calcolo dell’indennità in parola debba essere quello relativo alla qualifica di appartenenza e non già quello rapportato all’esercizio temporaneo delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente.

(13) TAR Lazio, sez. II, 1° agosto 2011, n. 6884, in Boll. Trib. On-line, che ha preso in esame, cassandola, una fattispecie di presunta “reggenza temporanea”, così come tratteggiata dall’Agenzia delle entrate attraverso una dubbia lettura dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia stessa nel tenore all’epoca vigente, che così recitava: «1. Fatta salva l’applicazione dell’art. 12, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti all’atto del proprio avvio, l’Agenzia può stipulare, previa specifica valutazione dell’idoneità a ricoprire provvisoriamente l’incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, con l’obbligo di avviare nei sei mesi successivi la procedura selettiva. 2. Per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2011».

(14) Cfr. TAR Lazio, sez. II, 30 settembre 2011, n. 7636, in Boll. Trib. On-line.

(15) Altro sarebbe stato se, fuori dall’accertata ipotesi della reggenza, si fosse trattato di delega in senso proprio. In quel caso si sarebbe dovuto ricordare l’assunto espresso da Cass., sez. trib., 9 gennaio 2014, n. 220, in Boll. Trib. On-line, per cui l’ordinamento contempla la potestà di delega «senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato» nonché la piena facoltà del conferimento «di tale delega all’interno degli uffici finanziari», con la precisazione che «la provenienza dell’atto dall’ufficio e la sua idoneità ad esprimerne la volontà si presumono, finché non venga provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, l’’usurpazione dei relativi poteri».

(16) Come ricorda Cass., sez. trib., 10 luglio 2013, n. 17044, in Boll. Trib. On-line, l’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede che gli avvisi, in rettifica o d’ufficio, possono essere sottoscritti, in alternativa al capo dell’Ufficio, da «altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato», il quale cioè, con Cass., sez. trib., 10 agosto 2010, n. 18515, ivi, può non rivestire la qualifica dirigenziale. Delega se del caso a carattere generale, la dimostrazione della cui esistenza e portata incombe, nell’eventualità di una contestazione, all’Amministrazione finanziaria (Cass., sez. trib., 15 gennaio 2014, n. 654, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 10 novembre 2000, n. 14626, in Boll. Trib., 2011, 155).

 I

Imposte e tasse – Uffici – Pubblici funzionari – Incarichi dirigenziali – Assegnazione temporanea di mansioni dirigenziali a funzionari privi della corrispondente qualifica senza l’espletamento di pubblico concorso – Proroghe legislative plurime – Art. 8, comma 24, del D.L. n. 16/2012, art. 1, comma 14, del D.L. n. 150/2013, e art. 1, comma 8, del D.L. n. 192/2014 – Illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. – Sussiste.

 Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., l’art. 8, comma 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), l’art. 1, comma 14, del D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15), e l’art. 1, comma 8, del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11), in quanto, con riguardo al personale delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, contribuiscono all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione solo asseritamente temporanea di mansioni dirigenziali a funzionari privi della corrispondente qualifica, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.

 [Corte Costituzionale (Pres. Criscuolo, rel. Zanon), 17 marzo 2015, sent. n. 37, in G.U. n. 12 del 25.3.2015]

 RITENUTO IN FATTO – 1. Con ordinanza del 26 novembre 2013 (r.o. n. 9 del 2014), il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione impugnata, fatti salvi i limiti previsti dalla legislazione vigente per le assunzioni nel pubblico impiego, autorizza l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  legge finanziaria 2007), e all’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248. Tale autorizzazione è posta in relazione «all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione», disposte da altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

La disposizione prevede, inoltre, che «[n]elle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso». Dopo aver stabilito che gli incarichi in questione sono attribuiti «con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e che «[a]i funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti», la norma precisa che «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». I periodi finali indicano le modalità attraverso le quali si provvede agli oneri finanziari derivanti dall’attuazione delle misure ricordate.

 2. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio riunito avente ad oggetto tre ricorsi in appello, proposti dall’Agenzia delle entrate, per la riforma di altrettante sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Era stata tra l’altro affermata, mediante uno dei provvedimenti impugnati, l’illegittimità della delibera n. 55 del 22 dicembre 2009, assunta dal Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate, di proroga al 31 dicembre 2010 dei termini contenuti nell’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Quest’ultima disposizione prevede, per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, ed entro un termine più volte prorogato, che le eventuali vacanze sopravvenute nelle posizioni dirigenziali possano essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni, ai quali va attribuito lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

Il TAR del Lazio, in sintesi, aveva ritenuto che la norma regolamentare attuasse un conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, in palese violazione degli artt. 19 e 52, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Di qui l’annullamento della delibera impugnata.

Nelle more del procedimento d’appello, è entrato in vigore l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, cioè la norma censurata nel presente giudizio, che opera una sorta di trasposizione in legge di quanto previsto nel ricordato art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.

Il Consiglio di Stato, respinte questioni pregiudiziali di diritto e preliminari di merito, con separata ordinanza del 26 novembre 2013, ha quindi rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

3. Il giudice rimettente, in punto di rilevanza, osserva che la disposizione censurata, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», determinerebbe la declaratoria di improcedibilità dei ricorsi in appello per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. Consentendo che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, le Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, fatti salvi gli incarichi già affidati, possano attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari privi della corrispondente qualifica, con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso, essa determinerebbe infatti la “salvezza” del provvedimento impugnato nel giudizio a quo, cioè la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione.

 4. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente, in primo luogo, ritiene che la norma censurata contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso.

Si assume in sintesi, anche mediante richiami alla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 205 del 2004), che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione». La forma concorsuale esige – secondo il rimettente – che non siano introdotte arbitrarie ed irragionevoli restrizioni nell’ambito dei soggetti legittimati alla partecipazione, ed in particolare che, pur non essendo preclusa la previsione per legge di condizioni di accesso intese a favorire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate all’interno di un’amministrazione, non sia dato luogo, salvo circostanze eccezionali, a riserva integrale dei posti disponibili in favore del personale interno, né a scivolamenti automatici verso posizioni superiori, senza concorso o comunque senza adeguate verifiche attitudinali. Inoltre, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporterebbe l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate e sarebbe esso stesso soggetto, pertanto, quale forma di reclutamento, alla regola del pubblico concorso (è citata la sentenza di questa Corte n. 194 del 2002).

A fronte di questi principi, la norma impugnata consentirebbe invece a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari, senza aver superato un pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’amministrazione.

In secondo luogo, il giudice rimettente assume che l’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe un vulnus al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente lesione, sotto questo profilo, degli artt. 3 e 97 Cost.: infatti, rappresentando il concorso la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, esso costituisce un meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione e, dunque, attuativo del principio del buon andamento.

In terzo luogo, è prospettata una violazione degli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, la norma censurata consentirebbe la preposizione ad organi amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Infine, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost., in quanto consentirebbe l’accesso all’ufficio di dirigente in violazione delle condizioni di uguaglianza tra i cittadini che aspirano ad accedere ai pubblici uffici e in violazione dei requisiti stabiliti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali, posto che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe un ben diverso procedimento per il conferimento degli incarichi dirigenziali.

5. Con atto depositato in data 4 marzo 2014 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l’Avvocatura generale, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, non legittima le censure prospettate dal rimettente, in quanto norma a carattere assolutamente temporaneo ed eccezionale, introdotta al solo fine di garantire, nelle more dell’espletamento del concorso, il buon andamento degli uffici dell’Agenzia delle entrate. In particolare, la disposizione non consentirebbe uno scivolamento automatico nella qualifica dirigenziale dei funzionari dell’Agenzia inquadrati nella terza area funzionale, ma si limiterebbe ad attribuire a costoro mansioni dirigenziali, per il solo tempo necessario allo svolgimento del concorso. Si ricorda dalla stessa Avvocatura generale come questa Corte, con la sentenza n. 212 del 2012, abbia dichiarato l’infondatezza di una questione di legittimità costituzionale relativa ad una disposizione di legge (regionale) di contenuto asseritamente analogo a quella ora impugnata.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’eccezionalità e la temporaneità della previsione contenuta nella disposizione censurata sarebbero dimostrate anche dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha dato effettivamente avvio a procedure concorsuali per il reclutamento di personale dirigente, attualmente in corso.

Quanto alla dedotta diminuzione delle garanzie per i cittadini, in ragione della presunta elusione della regola del concorso, l’Avvocatura generale osserva che la disposizione censurata è semmai volta ad evitare conseguenze pregiudizievoli nei riguardi delle finanze pubbliche e della collettività, che si verificherebbero qualora gli uffici delle Agenzie rimanessero privi di un responsabile.

Infine si rileva come, nelle more del presente giudizio, l’art. 8, comma 24, primo periodo, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, sia stato modificato dall’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che proroga al 31 dicembre 2014 il termine «per il completamento delle procedure concorsuali» e stabilisce che nelle more possono essere prorogati solo gli incarichi già attribuiti ai sensi del secondo periodo del medesimo comma 24 dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito. Secondo l’Avvocatura generale, la disposizione da ultimo richiamata non farebbe altro che confermare la volontà di garantire, da un lato, l’efficiente organizzazione degli uffici dell’Agenzia, e, dall’altro, la copertura delle vacanze organiche nel rispetto del principio generale del pubblico concorso.

6. Nel giudizio innanzi alla Corte, con atto depositato il 4 marzo 2014, si è costituita Dirpubblica  Federazione del Pubblico Impiego, parte nel procedimento a quo, chiedendo, in primo luogo, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost. A tal fine, richiamati adesivamente gli argomenti del rimettente, la parte ricorda come la giurisprudenza consideri illegittimo, distinguendolo dalla reggenza, lo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario, al fine di porre in evidenza che la norma censurata avrebbe fatto “salva”, perpetuandola, una prassi contra legem, impedendo la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti attraverso procedure concorsuali.

In secondo luogo, Dirpubblica chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, entrato in vigore nelle more del presente giudizio di costituzionalità, in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost. Assume, in proposito, che tale disposizione incorrerebbe nelle medesime censure già evidenziate con riguardo all’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in quanto proroga di un anno il termine per il completamento di procedure concorsuali – per altro, a far data dall’entrata in vigore del richiamato d.l. n. 150 del 2013, non ancora avviate – e, nel frattempo, consente di prorogare o modificare gli incarichi dirigenziali già attribuiti ai sensi dell’art. 8, comma 24, secondo periodo, del d.l. n. 16 del 2012.

In terzo luogo, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, anche per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ritenendo che la disposizione sarebbe stata adottata al fine di risolvere ex auctoritate legis una controversia pendente dinnanzi al giudice amministrativo, con ciò pregiudicando il principio di parità delle armi e il diritto di difesa e incidendo sull’esercizio della funzione giurisdizionale.

Infine, chiede che la Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale della legge n. 15 del 2014, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, in riferimento agli artt. 64, primo comma, e 81, terzo comma, Cost., allegando che nel procedimento di conversione sarebbero stati violati gli artt. 40, comma 2, e 102-bis, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica.

7. Con atto depositato in data 3 marzo 2014, è intervenuto in giudizio il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), chiedendo, in adesione alle argomentazioni del rimettente Consiglio di Stato, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

In ordine all’ammissibilità del proprio intervento, osserva che l’Associazione, per espressa previsione statutaria, «[t]utela il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni». Rileva, inoltre, di aver spiegato intervento

Buy cheap Viagra online

ad opponendum nel giudizio a quo, notificato in data 18 febbraio 2014 e depositato in data 20 febbraio 2014.

8. Nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato ulteriore memoria l’Avvocatura generale dello Stato. Oltre a ribadire le argomentazioni già illustrate, eccepisce l’inammissibilità delle censure sollevate da Dirpubblica sull’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, in relazione a tutti i parametri non evocati nell’ordinanza di rimessione.

9. Dirpubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato a sua volta una memoria in cui, dopo aver illustrato le vicende successive alla proposizione della questione di costituzionalità, ribadisce la richiesta di accoglimento della questione sollevata e di estensione della dichiarazione d’incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, sia in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., già evocati nella memoria depositata in data 4 marzo 2014, sia in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione alla norma interposta di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU.

Chiede, inoltre, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale sia estesa, per gli stessi motivi, all’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

10. In data 2 febbraio 2015, ha depositato memoria il Codacons, insistendo sia per la propria legittimazione ad intervenire in giudizio, sia per l’accoglimento della questione.

CONSIDERATO IN DIRITTO – 1. Il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione censurata, in relazione alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, e per «garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n.16 del 2012, come convertito, autorizza le Agenzie ricordate ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  legge finanziaria 2007), e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

In questo contesto, la disposizione censurata aggiunge una specifica previsione, che costituisce l’effettivo oggetto delle censure del giudice a quo, e che opera in due distinte direzioni: fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari, e consente, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali prima richiamate, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Questi incarichi sono attribuiti, afferma la disposizione censurata, con «apposita procedura selettiva», applicandosi l’art. 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Dopo aver precisato che ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti, la disposizione in questione conclude che le Agenzie ricordate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali, secondo le modalità appena descritte e fatto salvo quanto previsto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, dal momento della «assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma».

1.1. Il giudice a quo è investito, tra l’altro, dell’impugnazione di una sentenza di annullamento della delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate (n. 55 del 22 dicembre 2009), con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Tale ultima norma, regolando la «copertura provvisoria di posizioni dirigenziali», consente la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque non oltre una scadenza che – al momento dell’impugnativa – era fissata al 31 dicembre 2010. Il giudice rimettente pone in evidenza come la norma censurata – entrata in vigore nelle more del giudizio principale – operi una trasposizione in legge di quanto stabilito nella disposizione regolamentare cui si riferisce l’impugnativa, e condizioni dunque l’esito del giudizio a quo, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», che determinerebbe una declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

1.2. Ad avviso del giudice a quo, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza costituzionale che riconosce nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, quale procedura strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione, ciò che, riguardo all’assegnazione di funzioni direttive, priverebbe di legittimazione arbitrarie preclusioni di accesso, riserve integrali di posti o forme di attribuzione automatica in favore del personale interno. La norma censurata, sempre secondo il giudice a quo, consentirebbe invece a funzionari, privi della relativa qualifica, di accedere, senza aver superato un pubblico concorso, ad un «ruolo» diverso nell’ambito della propria amministrazione.

L’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe anche un vulnus al principio del buon andamento, con conseguente ulteriore lesione, sotto questo diverso profilo, degli artt. 3 e 97 Cost. Ancora, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, consentirebbe la preposizione ad uffici amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Il rimettente prospetta, infine, una violazione degli artt. 3 e 51 Cost., poiché l’accesso a funzioni dirigenziali sarebbe consentito, in deroga al principio di uguaglianza, pur nell’assenza dei requisiti stabiliti dalla legge (e, in particolare, dall’art. 19 del citato d.lgs. n. 165 del 2011).

2. In via preliminare, va ribadito quanto stabilito nell’ordinanza della quale è stata data lettura in udienza, allegata alla presente sentenza, in ordine all’inammissibilità dell’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

3. La questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall’ordinanza di rimessione, dato che non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalla parte del giudizio principale, con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 211 e n. 198 del 2014, n. 275 del 2013, n. 310, n. 227 e n. 50 del 2010).

4. La questione è fondata.

4.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).

In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.

Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all’esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.

4.2. Per colmare le carenze nell’organico dei propri dirigenti, l’Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall’art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, «[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, «fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell’Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) «al 31 maggio 2012».

Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).

Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell’Agenzia delle entrate per l’espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l’attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un’ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale.

La norma impugnata esordisce autorizzando le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della l. n. 296 del 2006 e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito. L’autorizzazione in parola è rafforzata attraverso un riferimento alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie e alla necessità di garantire «una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

In realtà, del tutto indipendentemente dalla norma impugnata, l’indizione di concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti è resa possibile da norme già vigenti, che lo stesso art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, si limita a richiamare senza aggiungervi nulla (si veda l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito). Inoltre, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale  come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile  T, 11 ottobre 25012, n. 17400) – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata. Sicché l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.

Dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, il termine originariamente fissato per il «completamento» delle procedure concorsuali viene prorogato due volte. Dapprima, l’art. 1, comma 14, primo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, lo ha spostato al 31 dicembre 2014, purché le procedure fossero indette entro il 30 giugno 2014, con la precisazione che, nelle more, era possibile prorogare o modificare solo gli incarichi dirigenziali già attribuiti, non invece conferirne di nuovi. Successivamente, l’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), lo ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2015.

Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.

4.3. La norma impugnata ha cura di esibire, quale caratteristica essenziale, la propria temporaneità: il ricorso alla descritta modalità di copertura delle posizioni dirigenziali vacanti sarebbe provvisorio, strettamente collegato all’indizione di regolari procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza, da completarsi entro un termine ben identificato, che la disposizione impugnata, in origine, fissava al 31 dicembre 2013.

Tuttavia, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, inserisce in tale costruzione un elemento d’incertezza, nella parte in cui stabilisce che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, le Agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma». Questo significa che al termine, certo nell’an e nel quando, del completamento delle procedure concorsuali – nelle cui more è possibile attribuire incarichi dirigenziali con le modalità descritte – si affianca un diverso termine, certo nella sola attribuzione del diritto all’assunzione, ma incerto nel quando, perché tra il completamento delle procedure concorsuali (coincidente con l’approvazione delle graduatorie) e l’assunzione dei vincitori, può trascorrere, per i più diversi motivi, anche un notevole lasso di tempo.

È quindi lo stesso tenore testuale della disposizione impugnata a non escludere che, pur essendo concluse le operazioni concorsuali, le Agenzie interessate possano prorogare, per periodi ulteriori, gli incarichi dirigenziali già conferiti a propri funzionari, in caso di ritardata assunzione di uno o più vincitori. In questo senso, in contraddizione con l’affermata temporaneità, il termine finale fissato dalla disposizione impugnata finisce per non essere «certo, preciso e sicuro» (sentenza n. 102 del 2013).

Per questo, non è conferente il richiamo, effettuato dall’Avvocatura generale dello Stato, alla fattispecie normativa scrutinata con la sentenza di questa Corte n. 212 del 2012. In tale sentenza, l’infondatezza della questione derivava dalla circostanza per cui la norma di legge (regionale) impugnata consentiva, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, che talune delle suddette funzioni potessero essere attribuite a funzionari della categoria più elevata non dirigenziale, fino all’espletamento dei relativi concorsi e, comunque, per non più di due anni. Come si vede, in quel caso il termine finale della copertura delle vacanze attraverso il conferimento d’incarichi non era ancorato ad un evento incerto nel quando come l’assunzione dei vincitori, ma era fissato perentoriamente.

Anche considerando il tenore letterale della norma impugnata, quindi, il carattere di temporaneità della soluzione da essa prevista, sul quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, tende a scolorire fin quasi ad annullarsi.

4.4. Si aggiunga, per quanto necessario, che la regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. (sentenze n. 217 del 2012, n. 150 e n. 149 del 2010, n. 293 del 2009, n. 453 del 1990).

4.5. In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente ad essa effetti lesivi, ed anzi aggravandoli, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli ad estendere ad esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE – 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;

2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;

3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

II

Imposte e tasse – Uffici – Pubblici funzionari – Incarichi dirigenziali – Avviso di accertamento sottoscritto da un soggetto privo di nona qualifica funzionale e del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza – Nullità dell’avviso di accertamento – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Sottoscrizione dell’avviso da parte di un soggetto privo di nona qualifica funzionale e del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza – Nullità dell’avviso di accertamento – Consegue.

All’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), che consentiva a funzionari privi della relativa qualifica di essere destinatari del conferimento di un incarico dirigenziale (e dunque di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’organizzazione pubblica) anche senza il positivo superamento di idoneo concorso, consegue la nullità dell’avviso di accertamento tributario sottoscritto da un soggetto non dotato di nona qualifica funzionale e non munito del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza, così come stabilito dall’art. 20, primo comma, lett. a) e b), del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. XXV (Pres. Verniero, rel. Ingino), 10 aprile 2015, sent. n. 3222]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con tempestivo ricorso il signor … impugnava l’avviso di accertamento n. … emesso dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Milano e relativo ad Irpef, Irap e Iva per l’anno 2008 e adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Milano per ivi sentire dichiarare l’illegittimità della pretesa tributaria e l’annullamento dell’atto impugnato. Deduceva il ricorrente l’inesistenza della notificazione dell’atto impugnato e la conseguente decadenza del potere impositivo dell’Ufficio, nonché la nullità dell’atto per violazione dell’art. 29 D.L. n. 78/2010, mancata indicazione del responsabile del procedimento ed irregolarità della sottoscrizione apposta da soggetto non abilitato, nonché, nel merito, per indeterminatezza dell’importo preteso ed illegittimità della verifica subita, violazione del principio del contraddittorio ed infondatezza dei rilievi operati dai verificatori.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio contestando la fondatezza del proposto ricorso e chiedendo la conferma dell’atto impugnato.

All’udienza del 31/3/15 il ricorso veniva deciso come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di illegittimità dell’atto sollevata dalla ricorrente in relazione alla sottoscrizione dello stesso, asseritamente apposta da soggetto non abilitato.

Rileva questa Commissione che la ricorrente ha prodotto in giudizio ampia documentazione atta a comprovare che colui che ha firmato l’avviso di accertamento impugnato, tale “Capo Area” … per delega del Direttore Provinciale …, non era munito del potere di sottoscrivere gli atti in reggenza, cosi come stabilito dal D.P.R. 266/1987, articolo 20, comma 1, lett. a) e b).

Invero, risulta agli atti che proprio in relazione alla posizione, tra gli altri, del predetto … era stata sollevata dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, con ordinanza 26/11/13, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (conv. in L. 26 aprile 2012 n. 44) che consentiva a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari di conferimento di incarico dirigenziale (e dunque di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’organizzazione pubblica) anche senza positivo superamento di idoneo concorso.

Con sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della disposizione predetta per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, avendo tale norma contribuito “all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica”.

Ne consegue la nullità dell’atto di accertamento sottoscritto da soggetto non dotato di nona qualifica funzionale. I restanti motivi di ricorso rimangono assorbiti.

Poiché l’accoglimento del ricorso consegue a pronuncia di incostituzionalità intervenuta solo successivamente alla proposizione del medesimo, sussistono gravi motivi per compensare interamente le spese processuali.

P.Q.M. – la Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate.