16 Maggio, 2014

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa 2. Osservazioni sull’art. 182-ter della legge fallimentare 3. Osservazioni sull’art. 88, quarto comma, del TUIR 4. Notazioni conclusive.

 

 

1. Premessa

 

 

Il diffuso stato di crisi che le imprese nazionali stanno manifestando rende opportuno muovere alcune considerazioni sugli attuali ostacoli alla possibilità di accedere all’istituto della transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito, la legge fallimentare) (1), la cui corrente limitazione solo alla procedura di concordato preventivo di cui agli artt. 160 e segg. della legge fallimentare e all’accordo di ristrutturazione dei debiti contemplato dal successivo art. 182-bis della stessa legge appare suscettibile di determinare un uso distorto e incongruo dei relativi procedimenti concorsuali da parte dell’impresa in crisi.

 Nella prassi, difatti, lo stato di difficoltà finanziaria dell’impresa è frequentemente dovuto in maniera rilevante (e, spesso, in maniera esclusiva) a un suo ingente indebitamento di natura tributaria e previdenziale, di talché il potenziale dissesto potrebbe essere superato anche per il tramite di un accordo limitato alle sole ragioni erariali senza la necessità di coinvolgere altri creditori, soprattutto ove questi ultimi possano, in concreto, avanzare pretese qualificabili come marginali rispetto a quelle reclamabili dal pubblico erario.

 A oggi, tuttavia, tale ipotesi di soluzione della crisi d’impresa appare del tutto preclusa dalla vigente formulazione del citato art. 182-ter della legge fallimentare che, come si è anticipato, non permette all’impresa debitrice la possibilità di transigere le proprie posizioni debitorie con l’erario se non nell’ambito di quelle procedure negoziate della crisi d’impresa che sono state ipotizzate per situazioni di dissesto economico-finanziario di notevole gravità.

 L’attuale assetto normativo in merito alla soluzione negoziata della crisi d’impresa e alla transazione fiscale, pertanto, sta spingendo numerose imprese a comportamenti che possono definirsi di esasperazione o drammatizzazione del proprio stato di crisi, adottando comportamenti sostanzialmente opportunistici che si concretizzano nella tendenza ad accedere agli istituti del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione del debito al fine precipuo di avere, in tal modo, la possibilità di formulare la proposta di transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare.

 E analoghe alterazioni nella scelta del migliore istituto per la soluzione della crisi d’impresa vengono di fatto indotte anche da un’ulteriore e specifica disposizione fiscale, che è quella recata dall’art. 88, quarto comma, del TUIR, in ordine al trattamento fiscale delle sopravvenienze attive rinvenienti da esdebitamento nell’ambito delle procedure di concordato preventivo, di accordo di ristrutturazione del debito e, infine, di piano attestato di risanamento.

 È in tale prospettiva, quindi, che il presente intervento intende evidenziare gli aspetti critici dell’attuale formulazione delle citate disposizioni dell’art.182-ter della legge fallimentare e dell’art. 88 del TUIR, nonché le possibili modifiche che si rende opportuno apportare alle predette norme al fine di correggere le distorsioni sopra evidenziate.

 

[-protetto-]

 

2. Osservazioni sull’art. 182-ter della legge fallimentare

 

 

Un primo e indispensabile intervento di modifica della citata normativa dovrebbe riguardare la possibilità di estendere l’ambito soggettivo di applicabilità della transazione fiscale anche alle imprese che propongano un piano attestato di risanamento ex art. 67, terzo comma, lett. d), della legge fallimentare, e ciò pure nell’ipotesi in cui quest’ultimo non preveda un accordo di ristrutturazione dei debiti, allo scopo di eliminare l’ingiustificato ostacolo attualmente frapposto alla possibilità di accedere al predetto istituto.

 Relativamente all’ipotizzata estensione della transazione fiscale anche ai casi in cui il debitore si proponga la realizzazione di un piano attestato di risanamento, invero, la migliore dottrina ha già persuasivamente evidenziato potenziali profili di illegittimità incostituzionale dell’art. 182-ter della legge fallimentare, nella misura in cui esso limita l’accesso dell’accordo transattivo con l’erario solo ad alcune procedure concorsuali, non considerando anche altri istituti di risoluzione della crisi d’impresa (2).

 In altre parole, quindi, la ratio che sorregge l’attuale assetto normativo della transazione fiscale delinea elementi di natura strettamente giuridica che militano a favore dell’estensione del suo ambito di applicabilità anche ad altri istituti (concorsuali o meno) volti a favorire la continuazione dell’attività dell’impresa in crisi, senza che rilievo ostativo possa assumere la mancata previsione, per il piano attestato di risanamento contemplato dal citato art. 67, del vaglio giurisdizionale previsto invece, seppure con intensità diversa, per il concordato preventivo e per l’accordo di ristrutturazione dei debiti, come pare implicitamente sostenere l’Amministrazione finanziaria (3).

 Tale potenziale obiezione, difatti, non appare convincente né tanto meno decisiva, poiché occorre considerare che l’elemento centrale del piano di cui all’art. 67 della legge fallimentare è la sua asseverazione operata dall’esperto, analogamente a quanto accade nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione del debito. E come qualificata dottrina non ha mancato di rilevare, invero, «dovremmo attribuire tanto all’asseverazione nell’ambito di un art. 67 quanto all’asseverazione nell’ambito di un accordo di ristrutturazione, quanto all’attestazione del piano che sta alla base di un concordato preventivo, un carattere assorbente rispetto alla fattibilità del piano o all’attuabilità dell’accordo e lasciare all’intervento giudiziale, quando c’è, una funzione che è estranea a un avallo, condivisione o qualsiasi altra validazione, di un giudizio che è già assorbente» (4).

 Di talché le analisi compiute dagli Uffici fiscali allo scopo di valutare la proposta di transazione finanziaria dell’impresa-debitrice dovrebbero trovare il loro più opportuno conforto non tanto (e comunque non solo) nella “giurisdizionalizzazione” della procedura nel cui alveo è ricondotta la transazione fiscale, quanto, primariamente, nel giudizio di ragionevolezza operato dal professionista che attesti l’idoneità del piano a conseguire il prefissato obiettivo di risanamento dell’impresa, in quanto «l’obiettivo fondamentale del risanamento aziendale, ovvero della composizione della crisi d’impresa attraverso le forme del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. o dello stesso piano di risanamento attestato è stato dal legislatore perseguito tenendo conto della trasparenza ed indipendenza che deve caratterizzare la figura del professionista fidefacente della situazione economica, patrimoniale e finanziaria sottoposta al suo esame» (5).

 Le considerazioni appena espresse a proposito dell’attestazione del professionista come elemento qualificante del piano attestato di risanamento risultano viepiù confermate dall’ultima novella apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), con la quale sono stati introdotti: i) specifici requisiti di indipendenza per la nomina dell’attestatore; ii) marcate modifiche al contenuto stesso dell’attestazione che non dovrà più riguardare la «ragionevolezza» del piano, bensì la «veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano» (similmente a quanto già previsto dall’art. 161 della legge fallimentare per il concordato preventivo); nonché iii) l’ipotesi di un reato specifico per il professionista attestatore di falso in attestazioni e relazioni delineata dall’art. 236-bis della legge fallimentare.

 In particolare, la sanzione penale per il professionista trova la sua giustificazione nell’esigenza di «saldare i meccanismi di tutela e bilanciare adeguatamente il ruolo centrale riconosciuto al professionista attestatore nell’intero intervento normativo» (6), a ulteriore conferma delle considerazioni già espresse in precedenza circa il ruolo essenziale del professionista attestatore nell’ambito delle soluzioni negoziate alla crisi d’impresa (7).

 In aggiunta a tali considerazioni riguardanti la valenza della figura del professionista attestatore occorre d’altra parte evidenziare come la stessa Amministrazione finanziaria abbia configurato i criteri di natura tecnica che dovrebbero presiedere alla migliore analisi della proposta di transazione formulata dall’impresa-debitrice alludendo a valutazioni costi-benefici da operarsi da parte degli Uffici tributari al fine di apprezzare l’alternativa dell’avvio della procedura fallimentare (cram-down) nonché di valutare anche gli altri interessi coinvolti nella gestione della crisi d’impresa, come, ad esempio, quelli di natura occupazionale o di continuità dell’impresa (8). Da ciò consegue che «l’Amministrazione, nell’esercizio delle facoltà di adesione o diniego ad una proposta transattiva, sarebbe dotata di una discrezionalità determinata, da esercitare nell’ambito della cornice delineata dalle istruzioni attuative, che prevedono, per l’applicazione al caso concreto dell’art. 182-ter, considerazioni degli Uffici tanto di politica fiscale, quanto di politica industriale» (9).

 Sicché può tranquillamente affermarsi, relativamente al particolare punto in analisi, che i più sicuri elementi di “garanzia” su cui i funzionari dell’Amministrazione finanziaria potrebbero (rectius, dovrebbero) utilmente fondare le loro determinazioni circa la meritevolezza della proposta di transazione fiscale sono da rinvenire anzitutto nel giudizio espresso dal professionista attestatore, e poi nell’ulteriore e concorrente vaglio critico operato dagli Uffici fiscali sulla base dei criteri tecnici definiti dalla stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria.

 Appare, quindi, evidente che l’obiettivo di un’adeguata correzione dei rilevati profili critici dell’attuale disciplina della transazione fiscale non può che essere perseguito, de jure condendo, prevedendo espressamente che la proposta di transazione possa essere presentata anche quando il piano attestato non contenga alcun accordo negoziale con i creditori, ipotesi questa astrattamente ipotizzabile (ad esempio nel caso in cui l’impresa-debitrice proponga il risanamento dell’impresa attraverso la dismissione di alcuni asset non strumentali e/o l’apporto di nuove risorse finanziarie da parte dei soci attuali o potenziali).

 Tale previsione costituirebbe difatti un punto qualificante per l’evoluzione della transazione fiscale in quanto la sua applicabilità anche al piano attestato di risanamento può permettere pure in tale ipotesi di proporre una soluzione negoziata dei debiti esclusivamente con l’erario, similmente (anche se non identicamente) a quanto avveniva, prima della riforma della legge fallimentare apportata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con la c.d. “transazione esattoriale” di cui all’art. 3, terzo comma, del D.L. 8 luglio 2002, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178).

 Appare inoltre necessario inserire anche una previsione di c.d. automatic stay a favore del debitore nei confronti dell’erario o dei titolari di crediti di natura contributiva, poiché è certamente opportuno che nelle fasi precedenti la trattativa con tali soggetti vengano cautelativamente sospese azioni suscettibili di creare notevole disturbo al regolare svolgimento dell’attività d’impresa o di portare a un aggravamento della situazione di crisi (si pensi, in tal senso, all’attivazione da parte dell’erario di una procedura di pignoramento dei crediti verso terzi ex art. 72-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). La presentazione della domanda di transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare nell’àmbito di un piano attestato di risanamento ex art. 67, terzo comma, lett. d),della stessa legge, deve quindi poter provocare l’automatica sospensione della riscossione dei tributi e delle azioni cautelari ed esecutive nei confronti del debitore per il periodo interinale dato dalla durata del procedimento.

 Nel contempo, però, appare altrettanto opportuno condizionare l’efficacia dell’accettazione della proposta di transazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria alla pubblicazione del piano attestato nel Registro delle Imprese, senza lasciare il predetto adempimento alla facoltà del debitore, in modo da soddisfare le esigenze di munire il piano di una data certa e di conferire un opportuno regime di pubblicità al piano/accordo negoziale, in considerazione della natura pubblicistica dei crediti oggetto di transazione.

 Per quanto riguarda infine l’iter del procedimento, appare necessario articolarne lo svolgimento secondo modalità analoghe a quelle previste per all’accordo di ristrutturazione dei debiti dall’art. 182-bis della legge fallimentare, tenendo ovviamente conto delle specificità del piano attestato di risanamento, e ciò soprattutto al fine di non alterare l’equilibrio dell’assetto normativo di un istituto che secondo la dottrina specialistica «presenta connotati di rilevante complessità tecnica» (10).

 Inoltre, considerato che le previsioni contenute nella vigente versione dell’art. 182-ter della legge fallimentare, aventi natura essenzialmente procedimentale, costituiscono, nella loro omogeneità, un vero e proprio “sistema” (o “sotto-sistema”) nell’ambito del più generale “sistema” normativo disciplinante la soluzione negoziata della crisi d’impresa, si pone senza dubbio l’esigenza di calibrare attentamente la novella ipotizzata lasciando immutata la generale congruenza del testo normativo, onde evitare di alterarne la rilevata connotazione sistematica.

 

 

3. Osservazioni sull’art. 88, quarto comma, del TUIR

 

 

Un’altra necessaria modificazione riguarda infine l’art. 88, quarto comma, del TUIR, il cui attuale testo è già stato modificato dal citato D.L. n. 83/2012 nel senso di prevedere per le imprese che attuano una soluzione negoziata della crisi una esenzione – con stringenti limitazioni – delle sopravvenienze attive emergenti a seguito dell’adozione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della legge fallimentare o di un piano attestato di risanamento ex art. 67, terzo comma, lett. d), della stessa legge, a differenza della precedente versione dello stesso art. 88 che, invece, prevedeva la non imponibilità delle sopravvenienze attive conseguite dall’impresa debitrice solo quando si fossero realizzate per lo stralcio dei crediti operato in sede di concordato preventivo o fallimentare, nulla disponendo in ordine alle sopravvenienze attive generatesi per la riduzione dei debiti a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti o dell’esecuzione di un piano attestato di risanamento.

 Per tale novella legislativa la dottrina specialistica non ha mancato di operare talune considerazioni critiche.

 E, infatti, è stato doverosamente considerato che anche dopo la sua modifica la disciplina riguardante la tassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti continua inspiegabilmente a operare una irrazionale discriminazione tra la procedura di concordato preventivo da una parte, e l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il piano attestato dall’altra, poiché «il trattamento fiscale delle riduzioni di debito è stato reso più omogeneo ma non ancora paritetico, in quanto, rispetto al concordato, la non imponibilità delle sopravvenienze attive derivanti da accordi di ristrutturazione o piani di risanamento è circoscritta alla sola quota che eccede le perdite fiscali del periodo d’imposta e di quelli precedenti. Trattasi di una scelta legislativa di limitazione quantitativa dell’agevolazione da cui però consegue una irragionevole disparità di trattamento rispetto al concordato preventivo» (11).

In altre parole, cioè, la ridefinizione della disciplina di esenzione delle sopravvenienze attive da riduzione dell’indebitamento nell’ambito di procedure pre-concorsuali operata dal legislatore del 2012 continua a conservare un ingiustificato regime di favor per il concordato preventivo, che risulta ancora oggi costituire la soluzione fiscalmente più vantaggiosa in quanto, nell’ipotesi di continuità aziendale, la generalità delle imprese giunge alla scelta di una soluzione negoziata della crisi d’impresa avendo accumulato normalmente ingenti perdite fiscali che limiterebbero l’esenzione delle sopravvenienze attive emergenti a seguito della realizzazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento (12).

 Di conseguenza, anche per la versione dell’art. 88, quarto comma, del TUIR che è stata novellata dal citato D.L. n. 83/2012 si ripropongono, mutatis mutandis, gli stessi profili di illegittimità (o comunque di arbitraria disparità di trattamento tra procedure pre-fallimentari) che abbiamo già rilevato riguardo all’istituto della transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare (13).

 E perciò ne consegue che anche in tale caso – similmente a quanto osservato in precedenza rispetto alla disciplina della transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare – l’irragionevole scelta operata dal legislatore di concedere un regime di detassazione parziale del c.d. bonus originatosi da un accordo di ristrutturazione del debito o da un piano attestato è suscettibile di indurre l’impresa-debitrice in crisi non grave a optare comunque per il concordato preventivo, anziché per gli altri strumenti di soluzione negoziata della crisi, al solo fine di cogliere appieno un regime d’esenzione altrimenti fortemente limitato (14).

 Una nuova modifica della menzionata disposizione dell’art. 88 del TUIR, volta a rendere del tutto esenti dall’imposizione, senza le limitazioni attualmente vigenti, le sopravvenienze attive da esdebitamento realizzatesi per effetto della falcidia derivante dalle procedure di cui agli artt. 67 e 182-bis della legge fallimentare, appare, pertanto, la migliore soluzione atta a eliminare la residua asimmetria ancora esistente tra le varie procedure pre-fallimentari, permettendo l’esenzione totale (e non più limitata) delle sopravvenienze attive rinvenienti dall’accordo di ristrutturazione dei debiti o dal piano attestato, similmente a quanto previsto per quelle originatesi a seguito dell’attuazione della procedura di concordato preventivo, operando così una completa equiparazione delle predette procedure di soluzione negoziata della crisi d’impresa (15).

 

 

4. Notazioni conclusive

 

 

La persistente crisi economica che ha investito negli ultimi anni il nostro Paese è stata certamente una delle cause che ha determinato il legislatore nazionale a operare un’incisiva riforma del diritto della crisi d’impresa, riforma sviluppatasi, con progressivi aggiustamenti, a partire dal 2005.

 Il tratto qualificante dell’intervento legislativo è certamente da rinvenire in un ampliamento della dimensione negoziale dell’accordo tra l’imprenditore-debitore e i creditori che favorisca una più rapida emersione dalla crisi d’impresa.

 In tale apprezzabile contesto, tuttavia, le disposizioni tributarie specificamente riferite agli istituti volti al superamento della crisi d’impresa paiono ancora connotarsi per taluni persistenti elementi di disomogeneità difficilmente giustificabili dal punto di vista razionale e sistematico.

 Infatti la eadem ratio sottesa al corpus delle previsioni legislative in tema di crisi d’impresa (vale a dire, il superamento delle stesse attraverso soluzioni concordate) e la loro connotazione come un vero e proprio “sistema” (o, se si preferisce, “sotto-sistema”) di norme nell’àmbito della legge fallimentare, avrebbero dovuto indurre il legislatore tributario all’adozione di una disciplina che fosse il più uniforme possibile, e tale da non influenzare la scelta tra le diverse opzioni previste dalla legge fallimentare in funzione della c.d. “variabile fiscale”.

 In questo senso paiono quindi sussistere motivate ragioni di ordine logico-giuridico che, con l’intento di dare una maggiore coerenza organica all’esaminata disciplina legislativa, giustificherebbero ampiamente un intervento legislativo volto a eliminare le residue – ma pur stridenti – asimmetrie oggi esistenti in tema di fiscalità della crisi d’impresa.

 Ciò che potrebbe essere raggiunto, in primis, estendendo l’àmbito di applicazione della transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare anche all’istituto del piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), della stessa legge, oltre che con una piena esenzione dalla tassazione delle sopravvenienze attive da esdebitamento di cui all’art. 88, quarto comma, del TUIR generatesi a seguito della falcidia dei debiti derivante dall’esecuzione degli accordi e delle procedure di cui agli artt. 67 e 182-bis della legge fallimentare, rimuovendo quindi per esse l’attuale ingiustificata limitazione delle perdite fiscali pregresse o di periodo.

 

Dott. Antonio Petrillo – Dott. Ivo Allegro

 

 (1) Per prontezza di riscontro si ricorda che il vigente testo dell’art. 182-ter della legge fallimentare prevede che «Con il piano di cui all’articolo 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle Agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle Agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole» (primo comma). «Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il Tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale. Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. L’ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario. Dopo l’emissione del decreto di cui all’articolo 163, copia dell’avviso di irregolarità e delle certificazioni devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti previsti dall’articolo 171, primo comma, e dall’articolo 172. In particolare, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane, l’ufficio competente a ricevere copia della domanda con la relativa documentazione prevista al primo periodo, nonché a rilasciare la certificazione di cui al terzo periodo, si identifica con l’ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento» (secondo comma). «Relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, l’adesione o il diniego alla proposta di concordato è approvato con atto del direttore dell’ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, ed è espresso mediante voto favorevole o contrario in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall’articolo 178, primo comma» (terzo comma). «Relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, quest’ultimo provvede ad esprimere il voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione regionale» (quarto comma). «La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’articolo 181, determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma» (quinto comma). «Il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis.
La proposta di transazione fiscale, unitamente con la documentazione di cui all’articolo 161, è depositata presso gli uffici indicati nel secondo comma, che procedono alla trasmissione ed alla liquidazione ivi previste. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo che precede rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Nei successivi trenta giorni l’assenso alla proposta di transazione è espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del direttore dell’ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione generale. L’assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione
» (sesto comma). «La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis è revocata di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie» (settimo comma).

 (2) Cfr. E. De Mita, Transazione con il Fisco per tutte le crisi, in Il Sole-24 Ore del 28 giugno 2009, 19; e ID., L’accordo fiscale ha come arbitro solo l’Agenzia, ivi, 13 dicembre 2009, 21.

 (3) Cfr. in tal senso circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, par. 4, in Boll. Trib., 2008, 748.

 (4) Cfr. S. Bonfatti, I piani di risanamento. La tutela dei finanziamenti, in Atti del Convegno. Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa (Torino, 8-9 aprile 2011), Milano, 2012, 135-136.

 (5) In tali termini cfr. A. Bianchi, Crisi d’impresa e risanamento, Milano, 2011, 178-179, nota 5.

 (6) Cfr. la relazione illustrativa al citato D.L. n. 83/2012.

 (7) Evidenzia come la novella del citato D.L. n. 83/2012 abbia determinato il riconoscimento della centralità del professionista attestatore nella gestione della vicenda di composizione negoziale della crisi d’impresa anche la circolare del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili 11 febbraio 2013, n. 30/IR, riguardante «Il ruolo del professionista nella composizione negoziale della crisi».

 (8) Cfr. la già citata circolare n. 40/E/2008, par. 5.5.

 (9) Cfr. in tali termini A. La Malfa F. Marengo, Transazione fiscale e previdenziale, Santarcangelo di Romagna, 2011, 77.

 (10) Così S. Bonfatti P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 667.

 (11) Cfr. G. Verna, La nuova disciplina tributaria delle varie soluzioni alla crisi d’impresa, in AA.VV., Salvataggio delle imprese in crisi: le nuove regole, Milano, 2012, 100-101.

 (12) Cfr. in tali termini sempre G. Verna, op. cit., 103.

 (13) Cfr. in tal senso, e con esclusivo riguardo all’art. 88, quarto comma, del TUIR, A. Contrino, Accordi di ristrutturazione del debito e modifiche alla disciplina del reddito d’impresa, in Corr. trib., 2012, 2694.

 (14) Sembra rappresentare analoghe preoccupazioni anche A. Contrino, op. cit., 2692.

 (15) Va altresì segnalato che con riferimento al testo dell’art. 88, quarto comma, del TUIR, previgente alla modifica apportata dal D.L n. 82/2012, sempre la stessa dottrina da ultimo citata era comunque giunta – a seguito di un lucido e impeccabile percorso argomentativo – a sostenere la intassabilità (rectius, esenzione) delle sopravvenienze attive emergenti a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della legge fallimentare, similmente a quanto allora (e anche attualmente) previsto rispetto alle sopravvenienze attive derivanti da un concordato preventivo o fallimentare: cfr. A. Contrino, La “questione fiscale” delle soluzioni concordatarie della crisi e dell’insolvenza d’impresa, con specifico riguardo all’imponibilità delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (anche tributarie), in Studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012, 669-677. Si ritiene che le compiute riflessioni ivi sviluppate dall’Autore conservino pienamente la loro efficacia anche al fine di giustificare razionalmente un intervento legislativo volto a riconoscere la totale esenzione delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti per effetto della omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis della legge fallimentare [e, a nostro avviso, del piano attestato di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), della stessa legge].