17 Aprile, 2015

 


SOMMARIO: 1. Premessa2. Gli organismi d’investimento collettivo del risparmio; cenni generali3. Profili contabili dell’investimento in OICR; 3.1. La sottoscrizione o l’acquisto delle quote e la classificazione in bilanci – 3.2. La contabilizzazione dei proventi; 3.3. La valutazione delle quote a fine esercizio – 4. Profili fiscali dell’investimento in OICR da parte delle imprese; 4.1. Profili generali; 4.2. Regime fiscale dell’investimento in OICR da parte di imprese commerciali: la tassazione dei proventi; 4.3. Regime fiscale dell’investimento in OICR da parte di imprese commerciali: la determinazione del reddito d’impresa; 4.4. Gli OICR di tipo “multicompartimentale”: le conversioni tra comparti e le conseguenze contabili e fiscali.

1. Premessa

Il presente contributo si propone di analizzare i principali profili contabili e tributari – limitatamente all’imposizione reddituale – degli investimenti in organismi d’investimento collettivo del risparmio (di seguito “OICR”) effettuati da parte di soggetti fiscalmente residenti in Italia esercenti attività d’impresa.

Più in particolare, l’analisi si indirizzerà all’esame dei principali aspetti contabili e fiscali derivanti dalla partecipazione in OICR (siano essi istituiti in forma di fondi comuni di investimento di tipo chiuso o aperto, di Sicav o Sicaf, nonché indipendentemente dalla natura mobiliare o immobiliare degli stessi, dalla qualificazione come OICVM o FIA ai sensi delle Direttive UE (1) e dalle ulteriori classificazioni che assumono rilievo ai sensi delle disposizioni regolamentari vigenti) da parte dei soggetti percettori di reddito di impresa (di seguito, per comodità di esposizione, “imprese”) e, nel dettaglio:

(i) imprenditori individuali in regime di contabilità ordinaria, sempre che le quote di partecipazione agli OICR siano ricomprese tra le attività relative all’impresa nell’inventario di cui all’art. 2217 c.c.;

(ii) società di persone, quali le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società di fatto che hanno per oggetto l’esercizio di attività commerciale;

(iii) società di capitali e assimilate, quali le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e le società cooperative;

(iv) enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;

(v) società ed enti non residenti, limitatamente all’attività commerciale svolta nel territorio italiano.

Si ritiene opportuno premettere che, ai fini della presente trattazione, non assumono rilievo le modalità operative e contrattuali mediante le quali viene effettuato l’investimento in OICR (ossia, se tale investimento sia posto in essere “direttamente”, ovvero per il tramite di un mandato fiduciario, oppure, ancora, tramite un contratto di gestione patrimoniale); inoltre, la disamina in oggetto contemplerà, indistintamente, l’investimento in quote di OICR, azioni di Sicav o azioni o altri strumenti finanziari partecipativi di Sicaf (di seguito, per comodità, utilizzeremo indifferentemente il termine “quote”), atteso che – per gli aspetti qui di rilievo – non sussistono significative differenze tra tali strumenti.

Da ultimo, si segnala come gli aspetti contabili analizzati nel prosieguo attengano esclusivamente alle imprese tenute alla redazione del bilancio secondo le disposizioni di cui agli artt. 2423 e segg. c.c.; con esclusione, quindi, dei soggetti obbligati alla redazione del bilancio sulla base di normativa specifica e/o dei princìpi contabili internazionali.

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2. Gli organismi d’investimento collettivo del risparmio; cenni generali

A titolo meramente introduttivo e chiaramente generale, si ritiene utile fornire una breve panoramica delle caratteristiche e delle peculiarità proprie degli OICR Italiani.

Gli OICR sono organismi istituiti per la gestione “in monte” di patrimoni raccolti da una pluralità di investitori al fine di effettuare investimenti in strumenti finanziari o altre attività sulla base di una politica di investimento predeterminata (2).

Sotto il profilo della forma giuridica, gli OICR italiani si suddividono nelle seguenti categorie (4): i fondi comuni d’investimento (5), le società d’investimento a capitale variabile (“Sicav”) (6) e le società d’investimento a capitale fisso (“Sicaf”) (7).

I fondi comuni d’investimento di diritto italiano possono essere costituiti e gestiti dalle società di gestione del risparmio (“SGR”), ovvero da gestori esteri debitamente abilitati a svolgere attività di gestione collettiva in Italia in conformità alle disposizioni regolamentari vigenti. Essi sono pertanto necessariamente gestiti da un gestore “esterno”, a differenza delle Sicav o delle Sicaf, che possono alternativamente essere gestite “internamente” dai propri organi sociali, ovvero affidare le attività di gestione a una SGR o altro gestore estero abilitato mediante apposita previsione statutaria.

Dal punto di vista delle politiche di rimborso, gli OICR italiani si suddividono in OICR “aperti” e “chiusi” (8); ulteriori distinzioni derivano, inoltre, dalla natura degli investimenti (OICR mobiliari e immobiliari), dalle tipologie di investitori cui è riservata l’offerta delle quote (OICR riservati o non riservati) e dalla riconducibilità dell’OICR all’ambito applicativo della Direttiva 2009/65/UE (c.d. OICR armonizzati o “OICVM”) ovvero della Direttiva 2011/61/UE (c.d. OICR alternativi o “FIA”).

Nel novero degli OICR operanti in Italia, è inoltre opportuno ricordare anche quelli di diritto estero, a loro volta classificabili come OICVM o FIA in base alle Direttive europee sopra richiamate; tali OICR esteri possono essere commercializzati in Italia a seguito del perfezionamento delle procedure di notifica o di autorizzazione disciplinate dal TUF e dalle relative disposizioni di attuazione.

Infine, meritano di essere menzionati i fondi d’investimento collettivo di diritto estero autorizzati al collocamento nel territorio dello stato prima dell’entrata in vigore della legge 23 marzo 1983, n. 77 (c.d. fondi lussemburghesi storici) (9).

3. Profili contabili dell’investimento in OICR

3.1. La sottoscrizione o l’acquisto delle quote e la classificazione in bilancio

Per quanto riguarda la corretta contabilizzazione dell’investimento in OICR da parte di imprese si evidenzia fin d’ora che, in dipendenza della destinazione dell’investimento in parola nel contesto della gestione dell’impresa, tali attività possono essere inserite tra le immobilizzazioni (alla voce B.III.3, secondo la classificazione prevista dall’art. 2424 c.c. per il contenuto dello stato patrimoniale) o nell’attivo circolante (Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, alla voce C.III.6 dell’attivo dello stato patrimoniale), e ivi iscritte nella voce “altri titoli” (ossia quelli diversi da azioni o obbligazioni) (10).

In particolare, il codice civile impone la separata indicazione degli investimenti patrimoniali funzionali alla gestione dell’impresa, destinati a permanere in azienda (immobilizzazioni finanziarie), rispetto alle altre attività finanziarie costituite da titoli liberamente negoziabili (attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni). Il principio contabile OIC n. 20, al par. 1.1., specifica anche che la classificazione contabile dei titoli è strettamente connessa «con le decisioni degli amministratori, avuto riguardo ai programmi che intendono attuare nell’esercizio e negli esercizi successivi» (11).

Da quanto sopra si desumono due aspetti di fondamentale interesse: il primo consiste nella mancanza di una definizione legislativa di «partecipazioni e titoli che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie», ricavabile a contrariis dalla definizione di quelli che costituiscono immobilizzazioni finanziarie; il secondo è individuabile nella qualificazione di un’attività finanziaria come una scelta di opportunità strategica da parte dell’impresa in relazione alle proprie esigenze imprenditoriali.

L’iscrizione di un titolo o di una partecipazione in una determinata voce dello stato patrimoniale deve comunque essere basata su ragionevoli e fondate previsioni e la classificazione in bilancio da parte degli amministratori deve essere coerente con i principi di redazione del bilancio che prevedono, tra l’altro, la costanza nel tempo dei criteri di classificazione e valutazione delle poste di bilancio; pertanto, come noto, l’eventuale mutamento di destinazione di una posta di bilancio può essere giustificato solo se e nella misura in cui siano venute meno le ragioni che avevano indotto gli amministratori a classificare un titolo tra le immobilizzazioni o nell’attivo circolante (12).

Tanto premesso in ordine alla classificazione in bilancio, occorre evidenziare che, ai fini della valutazione delle quote, rileva l’art. 2426 c.c., ai sensi del quale il criterio fondamentale per la valutazione delle partecipazioni classificate nelle immobilizzazioni finanziarie è il costo di acquisto. Nel costo d’acquisto si computano anche i costi accessori. In termini generali, quindi, il costo di acquisto della quota è costituito dal prezzo effettivamente corrisposto, comprensivo di tutti gli oneri accessori, che devono intendersi come il complesso delle spese e delle commissioni (come, ad esempio, quelle di sottoscrizione) direttamente imputabili all’operazione di acquisto.

Quanto alle attività finanziarie iscritte nell’attivo circolante, l’art. 2426, primo comma, punto 9), c.c., prevede che «le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione». In base ai criteri enunciati dalla citata norma, pertanto, dopo aver individuato il costo di acquisto (che costituisce il limite massimo della valutazione), lo stesso deve essere confrontato con il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato alla data di chiusura dell’esercizio.

Nel caso in cui quest’ultimo risulti inferiore rispetto al costo di acquisto, le quote dovranno essere – obbligatoriamente – iscritte a tale minor valore. Pertanto, a differenza delle quote immobilizzate, per le quali la svalutazione è obbligatoria solo in presenza di perdite durevoli di valore, il valore delle quote iscritte nell’attivo circolante deve essere automaticamente adeguato al minor valore di mercato. Nessun adeguamento deve invece essere effettuato nel caso in cui il valore di mercato sia superiore al costo di acquisto, circostanza questa che consente di mantenere l’investimento iscritto in bilancio a tale valore.

Il successivo punto 10) del citato art. 2426, primo comma, c.c., definisce poi le modalità di determinazione del costo per entrambe le categorie di attività finanziarie, prevedendo che per «i beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: primo entrato, primo uscito o: ultimo entrato, primo uscito; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa».

Sebbene, quindi, la configurazione di costo più idonea sembri essere quella del costo specifico (che presuppone l’attribuzione puntuale delle singole voci di costo a ogni specifica operazione) in ipotesi di titoli fungibili la disposizione in commento prevede in alternativa la possibilità utilizzare diverse metodologie di configurazione di costo: media ponderata, Lifo o Fifo.

3.2. La contabilizzazione dei proventi

Nel caso dei fondi comuni c.d. “ad accumulazione” (13), l’unica ipotesi di percezione dei proventi derivanti dall’investimento riguarda il momento della liquidazione delle quote, per l’importo pari alla differenza tra il valore di liquidazione e il costo di acquisto, se positiva.

Nel caso dei fondi comuni c.d. “a distribuzione” dei proventi (14), sempre che dalle risultanze della delibera di distribuzione emerga il riconoscimento ai partecipanti del rendimento (e non la restituzione del capitale versato), si deve considerare anche l’importo eventualmente distribuito.

In entrambe le ipotesi, i proventi devono essere registrati in contabilità mediante la movimentazione della voce “proventi finanziari”.

Tuttavia, in seguito all’acquisto o alla sottoscrizione delle quote, si presenta la necessità di chiarire se e in che misura la valutazione periodica delle quote, originariamente iscritte al costo di acquisto, debba influire sulle evidenze contabili e, quindi, anche sull’utile di esercizio, in ragione dell’andamento dei valori espressi giornalmente in base agli investimenti dell’OICR nell’ambito della sua attività istituzionale.

In concreto, occorre quindi verificare se le eventuali differenze positive tra il valore corrente delle quote e il loro costo d’acquisto comportino l’emersione di un provento da rilevarsi su base infra-annuale.

Al riguardo, in termini generali, sembrerebbe da escludere che una tale tipologia di differenza positiva/provento debba essere contabilizzata per competenza, in quanto il diritto ai proventi formatosi in una certa data, per effetto dell’incremento di valore della quota, potrebbe essere neutralizzato in un momento immediatamente successivo in virtù di una diminuzione di valore della stessa (15).

Da ciò discende che la contabilizzazione dei proventi derivanti da quote di fondi d’investimento deve aver luogo al momento della liquidazione (nel caso, ad esempio, dei fondi ad accumulazione), o all’atto della delibera di distribuzione dei dividendi periodici (nel caso dei fondi a distribuzione). Infatti, solo in tali ipotesi sorge in capo all’impresa il diritto a percepire dal fondo il provento insito nel valore corrente delle quote.

In sintesi, le modalità essenziali concernenti la contabilizzazione dei proventi derivanti da quote di OICR può essere riepilogata come segue.

L’importo del provento, in caso di rimborso/riscatto, è pari alla differenza tra costo di acquisto (ovvero il minore valore nel caso in cui la quota sia stata svalutata) e controvalore della liquidazione. In caso di distribuzione il provento è pari all’intero importo percepito.

In caso di liquidazione parziale di quote acquistate in tempi diversi (e a valori diversi), l’impresa determina il provento o la perdita come differenza tra il valore corrente realizzato mediante il riscatto e il costo sostenuto per l’acquisto/sottoscrizione (ovvero il minore valore nel caso in cui la quota sia stata svalutata); il provento da contabilizzare a conto economico, come per tutti gli altri titoli, è determinato in funzione del criterio di valutazione e della configurazione di costo adottati dall’impresa per la valorizzazione delle rimanenze finali da iscrivere in bilancio: costo specifico, Fifo, Lifo, media ponderata, ecc.

Il costo di acquisto (o sottoscrizione) non è quindi soggetto a modifiche, salvo quelle derivanti dalle rettifiche per tenere conto del durevole minor valore, in caso di quote immobilizzate, ovvero del minor valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, nel caso di quote non immobilizzate, e delle eventuali successive riprese di valore. Ne deriva, anche sotto il profilo delle valutazioni di bilancio, che il maggior valore corrente delle quote rispetto al costo di acquisto o sottoscrizione può essere rilevato in contabilità solo al termine dell’investimento, attraverso il riscatto o la cessione delle quote.

Sempre dal punto di vista delle registrazioni contabili si rammenta che il provento deve essere contabilizzato al lordo della ritenuta d’acconto del 26% (del 20% fino al 30 giugno 2014) (16), applicata da parte del soggetto gestore per i fondi italiani (17) e dal soggetto incaricato dei pagamenti in Italia per quelli esteri, all’atto del riscatto o della cessione delle quote o del pagamento dei dividendi. L’importo della ritenuta deve essere riportato tra le attività dello stato patrimoniale a decurtazione del debito d’imposta da versare, successivamente, a saldo, in relazione alle risultanze della dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio del riscatto o della percezione.

Infine, si rammenta che dal 1° gennaio 2012 la base imponibile di applicazione della ritenuta d’acconto viene ridotta di una percentuale determinata a livello forfetario in relazione alla presenza nel patrimonio del fondo di titoli pubblici (italiani ed esteri), allo scopo di mantenere l’aliquota effettiva al 12,5% per la parte riconducibile a tali investimenti del fondo. Come noto, poiché per le imprese la ritenuta subìta è a titolo di acconto, tale particolare determinazione della base imponibile riveste unicamente effetti finanziari.

3.3. La valutazione delle quote a fine esercizio

Oltre – ovviamente – alla necessità di rilevazione contabile dei proventi, l’impresa può essere tenuta ad apportare aggiustamenti contabili anche in corrispondenza delle variazioni di valore delle quote risultanti a fine esercizio.

A tal fine, è necessario distinguere la circostanza in cui le quote sono state iscritte nell’attivo circolante ovvero tra le immobilizzazioni finanziarie.

Nel primo caso, esclusa – come menzionato – la necessità di riporto giornaliero dei proventi maturati pro rata temporis derivanti dai maggiori valori delle quote rispetto all’investimento iniziale, a fine esercizio è necessario applicare le disposizioni recate dal citato punto 9) dell’art. 2426 c.c., ai sensi del quale «le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi» (18).

Nel secondo caso, ossia per le quote iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie, è invece prevista la valorizzazione al costo, salvo che alla data di chiusura dell’esercizio esse risultino durevolmente di valore inferiore. Se iscritte a un valore superiore rispetto al valore di mercato (c.d. “fair value”), in nota integrativa devono essere indicati, ai sensi dell’art. 2427-bis c.c., il valore contabile e il fair value delle singole attività (o di appropriati raggruppamenti di tali attività) e i motivi per i quali il valore contabile non è stato ridotto (inclusa la natura degli elementi sostanziali sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere recuperato).

Pertanto, indipendentemente dalla classificazione contabile operata (titoli immobilizzati e attivo circolante), non occorre rilevare in bilancio l’eventuale differenza positiva tra il valore corrente e il costo di acquisto o di sottoscrizione delle quote dell’OICR; l’unico caso in cui il maggior valore influenza positivamente il conto economico è quello in cui il valore delle quote sia stato precedentemente svalutato e siano poi venuti meno i motivi della svalutazione (19).

Occorre ribadire inoltre che, come avviene per le valutazioni riguardanti gli altri titoli, immobilizzati e non, anche per la contabilizzazione delle quote di OICR rileva la costanza nel tempo dei criteri di valutazione adottati, che non devono essere frutto di mere politiche di bilancio (ad esempio allo scopo di contenere le eventuali perdite).

In conclusione, è opportuno rammentare che, in deroga al regime sopra illustrato, l’art. 15, comma 13, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), ha previsto che, per le valutazioni di fine anno di titoli iscritti nell’attivo circolante (compresi i titoli relativi a fondi comuni d’investimento e Sicav), è possibile riportare il valore degli stessi indicato nel bilancio dell’anno precedente, evitando di evidenziare perdite di minor valore determinate dallo sfavorevole andamento del mercato. Tale previsione, inizialmente prevista per l’anno 2008, è stata successivamente prorogata per gli esercizi successivi fino al 2012 compreso (20).

4. Profili fiscali dell’investimento in OICR da parte delle imprese

4.1. Profili generali

Come noto, il possesso di quote o azioni di OICR può generare sia redditi di capitale di cui all’art. 44, primo comma, lett. g), del TUIR, sia redditi diversi di natura finanziaria, di cui all’art. 67, primo comma, lett. c-ter), e primo comma, lett. c-quater), dello stesso.

In particolare, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lett. g), sono redditi di capitale «i proventi derivanti dalla gestione nell’interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti». In sostanza sono quindi redditi di capitale quelli che il partecipante ritrae dall’impiego delle somme affidate all’organismo d’investimento, ovverosia i proventi direttamente riferibili all’incremento di patrimonio rilevato in capo a quest’ultimo.

Le operazioni di cessione, rimborso (o liquidazione) di quote, ai sensi dell’art. 67, primo comma, lett. c-ter), del TUIR, generano, invece, redditi diversi di natura finanziaria.

Più precisamente, i redditi diversi derivanti dalla partecipazione in OICR sono determinati applicando le regole generali contenute nell’art. 68, sesto e settimo comma, lett. a), del TUIR, a mente dei quali la plusvalenza (o la minusvalenza) è determinata quale differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma o il valore normale dei beni rimborsati e il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla produzione, compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi. Dal corrispettivo percepito, o dalla somma rimborsata, nonché dal costo o valore di acquisto, si scomputano i redditi di capitale maturati, ancorché non riscossi.

Ciò premesso, occorre evidenziare come per le imprese commerciali non operi la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi”, in quanto entrambe le categorie di reddito “confluiscono” nel reddito d’impresa in virtù della forza attrattiva riconosciuta allo stesso dal TUIR.

Tuttavia, la distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi, per quanto riguarda le questioni di cui trattasi, assume comunque rilevanza ai fini dell’applicazione della ritenuta alla fonte, prevista per i redditi di capitale dall’art. 26-quinquies del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per i fondi italiani e lussemburghesi storici, e dall’art. 10-ter della legge n. 77/1983 per quelli esteri.

4.2. Regime fiscale dell’investimento in OICR da parte di imprese commerciali: la tassazione dei proventi

L’art. 2, commi da 62 a 84, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), ha profondamente riformato il regime di tassazione degli OICR di diritto italiano e dei fondi lussemburghesi storici, uniformandolo così agli altri OICR di diritto estero.

Come noto, con la soppressione dell’imposta sostitutiva sul risultato maturato della gestione in capo al fondo d’investimento, la tassazione avviene ora in capo ai partecipanti, al momento della percezione dei proventi (21).

In particolare, ai sensi del riformulato art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973, introdotto dall’art. 2, comma 63, del D.L. n. 225/2010, è prevista l’applicazione di una ritenuta alla fonte nella misura del 26 per cento (22) sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione ad OICR italiani e ai “fondi lussemburghesi storici”.

Analogamente a quanto previsto dall’art. 10-ter della legge n. 77/1983 con riguardo agli OICR esteri, la base imponibile su cui si applica la ritenuta è determinata, ai sensi del terzo comma del citato art. 26-quinquies, con riferimento all’ammontare dei proventi periodici distribuiti in costanza di partecipazione all’OICR e dei proventi compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote medesime.

Anteriormente alle modifiche recate alla disciplina in commento da parte del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 44, il valore e il costo delle quote veniva rilevato dai prospetti periodici. Per effetto di tali modifiche la ritenuta deve ora essere applicata sulla differenza tra i valori effettivi di sottoscrizione e di riscatto (23).

Il quarto comma dell’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973 stabilisce inoltre che la ritenuta, in relazione alle partecipazioni detenute nell’esercizio di imprese commerciali, è applicata a titolo d’acconto (24).

La ritenuta in esame è applicata dal sostituto d’imposta individuato nel primo e secondo comma dell’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973; tale soggetto è normalmente l’emittente delle quote o azioni, vale a dire la SGR, la Sicav e, per le quote o azioni dei fondi lussemburghesi storici, il soggetto incaricato del collocamento nel territorio dello Stato.

In caso di negoziazione delle quote, invece, il ruolo di sostituto d’imposta è attribuito al soggetto di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973 incaricato della negoziazione delle quote medesime (che, a seconda delle singole fattispecie, può non necessariamente coincidere con l’emittente delle quote).

4.3. Regime fiscale dell’investimento in OICR da parte di imprese commerciali: la determinazione del reddito d’impresa

Come noto, ai sensi dell’art. 83 del TUIR il reddito d’impresa è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalle specifiche norme tributarie.

Con riferimento ai proventi di natura finanziaria, l’art. 85 del TUIR considera ricavi:

i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui all’art. 73 del medesimo decreto, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l’esenzione di cui all’art. 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui all’art. 73, primo comma, lett. d), si applica il secondo comma dell’art. 44 (25);

i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell’art. 44 emessi da società ed enti di cui all’art. 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da quelli cui si applica l’esenzione di cui all’art. 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (26);

i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alle lett. c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (27).

I certificati rappresentativi delle quote dei fondi comuni d’investimento dovrebbero rientrare nell’ambito di tale ultima categoria, ossia quella indicata nell’art. 85, primo comma, lett. e), del TUIR (28) (29).

Ai fini della corretta imputazione al reddito d’impresa, occorre prendere in considerazione i casi in cui le quote siano classificate quali immobilizzazioni finanziarie, ovvero nell’attivo circolante.

A tale riguardo, occorre ricordare che la valutazione fiscale dei titoli è disciplinata dall’art. 101 del TUIR per i titoli iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie, e dall’art. 94 del medesimo per i titoli iscritti nell’attivo circolante.

In particolare, per quanto riguarda i titoli iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie, l’art. 101, al secondo comma, prevede che ai fini della determinazione del valore fiscalmente rilevante attribuibile ai titoli in oggetto, inclusi nel citato art. 85, lett. e), trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 94 del TUIR. Tale norma rimanda a sua volta alle disposizioni di cui all’art. 92 del TUIR che, con riferimento ai titoli obbligazionari e di massa, prevede due metodologie alternative:

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a) il “costo specifico”;

b) il valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore al minore tra (i) il costo di ciascuna categoria, e (ii) il valore normale medio (valore normale per l’intera quantità dei beni a prescindere dal periodo di formazione).

Nel caso in cui i titoli partecipativi siano quotati, le minusvalenze sono deducibili in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevato nell’ultimo semestre.

Va rilevato che ad oggi la maggior parte dei fondi comuni collocati non sono quotati. In particolare, i fondi comuni mobiliari aperti (con l’eccezione degli ETF) possono essere sottoscritti e riscattati senza negoziazione, rilevando il valore del proprio patrimonio e provvedendo alla relativa pubblicazione su base giornaliera. Va da sé che, per questi, il valore di riferimento di fine anno coincide con l’ultimo valore giornaliero pubblicato.

Anche con riferimento ai titoli dell’attivo circolante, l’art. 94, primo comma, del TUIR, richiama le disposizioni di cui all’art. 92, prevedendo, peraltro, al terzo comma il raggruppamento dei titoli per categorie omogenee, ma solo per natura e non anche per valore, il che implicherebbe, nel caso specifico, la classificazione delle quote degli OICR per tipologia di fondo.

Il quinto comma dell’art. 92, inoltre, nel disciplinare il concetto di valore minimo, prevede che, se in un esercizio il valore unitario medio dei beni determinato a norma del secondo, terzo e quarto comma è superiore al loro valore normale medio rilevato nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni per il predetto valore normale.

Conseguentemente, per i titoli di cui all’art. 85, primo comma, lett. e), tra i quali rientrano le quote di investimento in OICR, occorre confrontare il costo derivante dalla valutazione effettuata con le metodologie del costo medio ponderato, Lifo, o Fifo, e il valore normale alla data di chiusura dell’esercizio. Qualora il valore risultante dal criterio di valutazione adottato sia superiore al valore normale, assume rilevanza ai fini fiscali il valore minimo come sopra determinato.

In conclusione, occorre evidenziare che né i proventi né le variazioni del conto economico derivanti dalla valutazione delle quote producono effetti sulla base imponibile dell’IRAP (30).

4.4. Gli OICR di tipo “multicompartimentale”: le conversioni tra comparti e le conseguenze contabili e fiscali

Com’è noto, con il termine switch si fa riferimento sia alle operazioni di conversione di quote di un fondo in quote di altro fondo gestito dal medesimo soggetto, regolamentati unitariamente e conseguentemente offerti tramite uno stesso prospetto informativo (cc.dd. “famiglie di fondi”), sia – più frequentemente – alle operazioni di conversione delle quote di un comparto nelle quote di un altro comparto nell’ambito di organismi di investimento di tipo multicompartimentale.

In tale ottica, gli OICR c.d. “multicomparto” costituiscono un’unica entità, sebbene ciascun comparto sia dotato di una propria autonomia con riguardo sia alle scelte di investimento che alla valorizzazione del patrimonio in esso investito.

In passato, l’interpretazione comunemente adottata e condivisa nella prassi di mercato poggiava su una considerazione sostanzialmente “neutrale” della conversione delle quote tra i vari comparti di un fondo, nel senso che essa non determinava un atto di realizzo che poneva termine all’investimento iniziale (nel comparto originario) a favore di un nuovo e diverso investimento (quello nel nuovo comparto). In altri termini, il passaggio dall’originario programma d’investimento ad altri programmi, attraverso la conversione delle quote corrispondenti al “vecchio” nelle quote corrispondenti al “nuovo” comparto, non comportava il riscatto delle quote sottoscritte in precedenza, e quindi il realizzo dell’investimento, potendosi l’investimento considerare in modo unitario per tutto il periodo, dall’iniziale sottoscrizione alla liquidazione definitiva delle quote.

Conseguentemente, il provento realizzato dall’investimento si definiva solo all’atto della liquidazione (anche parziale) e, pertanto, solo in tale momento si originava il presupposto per la contabilizzazione in bilancio e per la relativa tassazione. In tale contesto, l’investimento in un fondo “multicomparto” consentiva una semplificazione degli adempimenti amministrativi, consentendo di rinviare gli obblighi di rilevazione dei proventi solamente al momento della liquidazione delle quote. Sotto il profilo contabile, non verificandosi il realizzo dell’investimento, la conversione comportava, in dipendenza del passaggio delle “vecchie” quote nelle “nuove”, l’attribuzione a queste ultime del costo originariamente sostenuto per l’acquisto.

A seguito della revisione di tale impostazione da parte della circolare 15 luglio 2011, n. 33/E, le conversioni (o switch) tra comparti appartenenti al medesimo fondo “multicomparto” devono essere considerate, a partire dal 1° luglio 2011, come “realizzative” e, quindi, contabilmente e fiscalmente rilevanti (31). Tale pronuncia interpretativa è stata successivamente confermata normativamente dal D.Lgs. 16 aprile 2012, n. 47.

Benché i chiarimenti interpretativi sopra ricordati si riferiscano precipuamente alla determinazione del reddito per le persone fisiche e all’applicazione della ritenuta da applicare in capo ai partecipanti (ritenuta a titolo d’imposta per le persone fisiche, a titolo d’acconto per le imprese), riteniamo che una tale interpretazione debba esplicare i propri effetti anche nell’ambito della fiscalità d’impresa.

Ne consegue che, a far data dal 1° luglio 2011, i passaggi tra comparti devono essere considerati contabilmente alla stessa stregua di una liquidazione di quote di fondi comuni, e – in particolare – come una liquidazione del comparto “trasferente” e una contestuale nuova sottoscrizione del comparto “ricevente”, negli stessi termini degli ordinari liquidazioni e riscatti.

Dott. Lorenzo Boscolo – Avv. Raul-Angelo Papotti

(1) Si fa riferimento, rispettivamente, alla Direttiva 2009/65/CE in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (c.d. “OICVM” o “UCITS”) e alla Direttiva 2011/61/UE relativa ai gestori di fondi di investimento alternativo (c.d. “GEFIA” o “AIFM”), nonché alle relative misure di esecuzione emanate dalle Autorità europee. Come noto, la Direttiva 2011/61/UE è stata recepita nel nostro ordinamento, a livello di normativa primaria, dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 44, che ha provveduto, tra l’altro, a modificare le disposizioni del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza, o “TUF”).

(2) Si veda, in proposito, la definizione di OICR di cui all’art. 1, primo comma, lett. k), del TUF, come modificata dal D.Lgs. n. 44/2014, ai sensi del quale per «organismo di investimento collettivo del risparmio» (OICR) si intende «l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi, nonché investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata».

(3) Cfr. la definizione di “OICR italiani” di cui all’art. 1, primo comma, lett. l), del TUF. Gli OICR italiani sono ulteriormente disciplinati, nel nostro ordinamento, dalle previsioni del TUF e dalle relative disposizioni regolamentari di attuazione, con particolare riferimento al regolamento ministeriale attuativo dell’art. 39 del TUF e ai regolamenti emanati dalla Banca d’Italia e dalla Consob.

(4) I fondi comuni d’investimento costituiscono degli OICR di tipo “contrattuale”, non essendo dotati – a differenza delle “società di investimento” costituite in forma di Sicav o Sicaf – di personalità giuridica propria. Pur in presenza, come noto, di un ventaglio di posizioni dottrinarie e giurisprudenziali assai ampio circa l’esatta qualificazione e natura di tali organismi, trattasi, in estrema sintesi, di patrimoni in cui confluiscono i versamenti dei sottoscrittori, autonomi e segregati dal patrimonio della società che gestisce il fondo, nonché dagli ulteriori patrimoni eventualmente gestiti da quest’ultima e dal patrimonio degli stessi partecipanti, in conformità a quanto previsto dall’art. 36 del TUF.

(5) Introdotte nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 84, le Sicav – al pari delle Sicaf – appartengono alla categoria degli OICR istituiti in forma “societaria”, come tali dotati di una propria personalità giuridica; esse si caratterizzano per il fatto che l’investitore diviene socio della società di investimento e, di conseguenza, può contribuire a determinare le scelte effettuate dalla società, secondo le modalità definite e nei limiti di quanto consentito dalle disposizioni vigenti. Le Sicav sono, in sintesi, società per azioni caratterizzate dalla variabilità del capitale, istituite per la medesima finalità dei fondi comuni di investimento, dovendo avere come oggetto sociale esclusivo l’investimento “collettivo” del patrimonio raccolto dagli investitori. Da un punto di vista fiscale, le Sicav sono assoggettate ad un sistema impositivo sostanzialmente identico a quello previsto per gli altri OICR. Infatti, dal 1° luglio 2011 anche le Sicav rientrano nell’ambito della nuova disciplina applicabile ai fondi mobiliari italiani e lussemburghesi storici, di cui al comma 5-quinquies dell’art. 73 del TUIR, che prevede l’esenzione dell’OICR dalle imposte sui redditi e la tassazione dei proventi in capo al partecipante, al momento della percezione.

(6) Le Sicaf sono state di recente introdotte dal D.Lgs. n. 44/2014, sulla falsariga dell’esperienza di altri ordinamenti europei, dove già era da tempo possibile istituire OICR di tipo “chiuso” in forma societaria. Rispetto alle Sicav, le Sicaf si caratterizzano per la natura “fissa” del capitale, che consente di riprodurre gli schemi di funzionamenti tipici dei fondi comuni di investimenti di tipo “chiuso”. Inoltre, come già si è accennato, il patrimonio delle Sicaf può essere raccolto anche attraverso l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, oltre che di azioni.

(7) Nel caso dei OICR “aperti”, il rimborso delle quote sottoscritte può venir richiesto secondo le modalità e con la frequenza previste dal relativo regolamento, dallo statuto o dalla documentazione di offerta [cfr. art. 1, primo comma, lett. k-bis), del TUF], mentre nel caso di OICR “chiusi” il rimborso deve avvenire tipicamente alla scadenza dell’operazione di investimento.

(8) I c.d. “fondi lussemburghesi storici” sono stati autorizzati al collocamento in Italia ai sensi del D.L. 6 giugno 1956, n. 476 (convertito, con modificazioni, dalla legge 25 luglio 1956, n. 786) e fiscalmente già disciplinati dall’art. 11-bis del D.L. 30 settembre 1983, n. 512 (convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649). A seguito dell’intervento del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), l’art. 11-bis sopravvive per il solo comma 6, con qualche difficoltà di lettura nel contesto normativo complessivo in quanto sia l’art. 26-quinquies del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sia l’art. 73 del TUIR fanno riferimento a tale disposizione per la definizione dei fondi in parola.

(9) Il riferimento normativo rilevante ai fini di tale classificazione è identificabile nell’art. 2424 c.c. e nel principio contabile OIC n. 20, il quale è stato recentemente oggetto di integrazioni e modifiche ed è stato pubblicato – nella versione aggiornata – il 26 giugno 2014.

(10) Come osservato da Assonime nella circ. 1° dicembre 2002, n. 71, par. 3.3, la collocazione in bilancio non dipende quindi dalle caratteristiche oggettive delle partecipazioni, né, in linea di principio, dal quantum di capitale che esse rappresentano ma, piuttosto, dall’impiego che di esse si intende fare e, cioè, dalla loro funzione economica nell’ambito del compendio aziendale. Va da sé, quindi, che le quote di fondi comuni acquistate al fine di impiegare temporaneamente eccedenze di liquidità e/o per cogliere opportunità di mercato troveranno collocazione nell’attivo circolante, mentre un investimento di carattere durevole sarà iscritto tra le immobilizzazioni finanziarie.

(11) Cfr. Principio contabile OIC n. 20. In generale, l’iscrizione delle quote avviene prevalentemente, nella prassi, nell’attivo circolante, in quanto – nel contesto di un’impresa commerciale o industriale – l’investimento in quote di fondi comuni si presta maggiormente a essere utilizzato come strumento di gestione della tesoreria, tenuto conto anche della possibilità di liquidazione agevole e immediata delle quote secondo le necessità finanziarie dell’impresa. Peraltro, l’iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie potrebbe risultare meno complessa, in quanto non è interessata dalla rettifica contabile derivante dalle valutazioni (o meglio, svalutazioni) di fine esercizio.

(12) I fondi “ad accumulazione” non distribuiscono i proventi realizzati ma, sia gli utili conseguiti con la compravendita, sia gli interessi o i dividendi incassati sui titoli costituenti il patrimonio del fondo, sono reinvestiti e vanno a incrementare il valore delle quote. È comunque sempre possibile per l’investitore richiedere in qualsiasi momento il rimborso, anche parziale, del capitale investito.

(13) I fondi “a distribuzione”, distribuiscono periodicamente gli utili ottenuti con la gestione dei diversi strumenti finanziari. In base all’andamento del fondo, vengono distribuiti i redditi ottenuti dagli investimenti.

(14) Cfr. F. Caleffi – D. Muratori, Fondi comuni d’investimento mobiliare di diritto italiano. Sottoscrizione da parte di società ed enti. Implicazioni fiscali, in il fisco, 1992, 8902.

(15) Per gli investimenti effettuati prima del 1° luglio 2014, il comma 12 dell’art. 3 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), prevede che sui proventi realizzati a decorrere dal 1° luglio 2014 riferibili ad importi maturati antecedentemente si applica l’aliquota del 20%.

(16) Per i fondi italiani e per i fondi lussemburghesi storici la ritenuta si applica solamente a partire dalle operazioni effettuate dal 1° luglio 2011, a seguito della riforma della tassazione di tali prodotti finanziari disposta dal D.L. n. 225/2010.

(17) Pertanto, se al termine del primo esercizio il fondo – la cui quota è stata sottoscritta a 100 – riporta un valore (NAV) di 80, l’impresa deve rettificare l’importo iscritto tra le attività dello stato patrimoniale imputando 20 tra i componenti negativi del conto economico e influenzando corrispondentemente l’utile di esercizio. Se, al termine del successivo esercizio, il valore è pari a 110, l’importo di 20 deve essere nuovamente riportato a conto economico, questa volta con effetto positivo sull’utile di esercizio (non ha invece alcun riflesso contabile il plusvalore di 10 rispetto al costo di acquisto).

(18) Cfr. OIC n. 20, par. 6.3. Si noti che il principio contabile OIC n. 20 nella versione rinnovata e pubblicata il 26 giugno 2014 si applica ai bilanci chiusi successivamente alla data del 31 dicembre 2014, sebbene ne sia consentita un’applicazione anticipata.

(19) Le proroghe sono state determinate dai seguenti provvedimenti: art. 1 del D.M. 24 luglio 2009 per il 2009, art. 52, comma 1-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2014, n. 122), per il 2010, art. 1 del D.M. 27 luglio 2011 per il 2011, e art. 1 del D.M. 18 dicembre 2012 per il 2012.

(20) Per gli investitori in regime di impresa è prevista una specifica disciplina transitoria per il recupero, quale credito di imposta, dell’imposta sostitutiva pagata dal fondo fino al 30 giugno 2011.

(21) L’aliquota è stata variata, con decorrenza dal 1° luglio 2014, dall’art. 3 del D.L. n. 66/2014. Per gli investimenti effettuati prima di tale data sugli importi maturati fino al 30 giugno la ritenuta continua ad applicarsi, al momento del realizzo, nella misura del 20 per cento.

(22) Tale modifica presenta particolari conseguenze a livello pratico, soprattutto con riferimento ai fondi quotati nei mercati regolamentati (ad esempio, gli ETF), per i quali gli effetti dell’investimento dovevano essere “scomposti” dal sostituto di imposta in due componenti: la prima – corrispondente alla differenza tra i valori dei prospetti periodici (c.d. “delta NAV”) – reddito di capitale, la seconda – corrispondente alle variazioni di prezzo sul mercato – reddito diverso di natura finanziaria.

(23) In tali ipotesi, pertanto, la ritenuta costituisce una mera anticipazione della tassazione dei proventi e, conseguentemente, detta ritenuta potrà essere scomputata in sede di determinazione del reddito imponibile dell’anno in cui i proventi sono stati effettivamente percepiti.

(24) Art. 85, primo comma, lett. c), del TUIR.

(25) Art. 85, primo comma, lett. d), del TUIR.

(26) Art. 85, primo comma, lett. e), del TUIR.

(27) Cfr. G. Corasaniti, Gli Strumenti finanziari nella fiscalità d’impresa, Milano, 2013, 165.

(28) A tale proposito, si noti che nella circ. 4 agosto 2004, n. 36/E, par. 2.2.3.3., in Boll. Trib., 2004, 1165, l’Agenzia delle entrate ha specificato che le quote dei fondi comuni di investimento mobiliare, anche se iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie, sono escluse dall’applicazione della participation exemption, in quanto non rientranti nella categoria delle «azioni e quote di partecipazione in società ed enti». Anche tale circostanza indurrebbe a ritenere che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del TUIR, le quote dei fondi comuni di investimento siano classificabili nella categoria degli «altri titoli in serie o di massa» richiamati dall’art. 85, primo comma, lett. e), del TUIR.

(29) Diversamente, per banche, società finanziarie e assicurative, anche i proventi in questione concorrono alla formazione della base imponibile ai fini IRAP. Ai sensi dell’art. 5-bis del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, la base imponibile per le persone fisiche e le società di persone è determinata sulla base dell’ammontare dei ricavi di cui all’art. 85, primo comma, lett. a), b), f) e g), del TUIR, e le variazioni delle rimanenze di cui agli artt. 92, 92-bis e 93 del medesimo decreto. Sono quindi esclusi dalla base imponibile i proventi di cui all’art. 85, primo comma, lett. e), tra i quali rientrano gli investimenti in quote di OICR. Sul fronte dei ricavi, sono inoltre da aggiungere le variazioni delle rimanenze di cui agli artt. 92 e 93 del TUIR. Il secondo comma dell’art. 5-bis prevede inoltre anche la facoltà, per le società di persone e per le imprese individuali, in contabilità ordinaria, di optare per la determinazione del valore della produzione netta previsto per le società di capitali e degli enti commerciali, secondo le regole dettate dall’art. 5 dello stesso D.Lgs. n. 446/1997. Ai sensi dell’art. 5 il valore della produzione netta è determinato come «differenza tra il valore e i costi della produzione di cui al primo comma, lett. A e B dell’art. 2425 del Codice Civile, con esclusione delle voci 9), 10), lett. c e d, 12) e 13), come risultanti dal Conto economico dell’esercizio». Essendo i proventi e oneri delle obbligazioni e altri titoli di massa di cui all’art. 85, primo comma, lett. e), del TUIR, inclusi nella lettera C del conto economico, risultano pertanto irrilevanti ai fini IRAP con riferimento alle imprese industriali.

(30) In Boll. Trib., 2011, 1130.

(31) Cfr. circ. n. 33/E/2011, cit., la quale, al par. 3.1.2., afferma quanto segue: «Si ritiene, altresì, che debbano assumere rilevanza fiscale anche i trasferimenti effettuati da un comparto all’altro del medesimo organismo di investimento, vale a dire le cosiddette operazioni di switch. Come noto, con il termine switch si fa riferimento sia alle operazioni di conversione di quote di un fondo in quote di altro fondo gestito dalla medesima SGR, regolamentati unitariamente e conseguentemente offerti tramite uno stesso prospetto informativo (cc.dd. “famiglie di fondi”), sia alle operazioni di conversione delle quote di un comparto nelle quote di un altro comparto nell’ambito di organismi di investimento di tipo “multicompartimentale”. La rilevanza fiscale di tali operazioni, in linea con quanto accade nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, discende essenzialmente dalla circostanza che sotto il profilo giuridico, ai sensi dell’articolo 36, comma 6, del TUF, “Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo.”. In tale ottica, nel regolamento di attuazione della Banca d’Italia del 14 aprile 2005, le operazioni di switch sono disciplinate nell’ambito delle operazioni di rimborso. Disposizioni di analogo contenuto sono, altresì, previste in ambito comunitario con riferimento ai fondi esteri. Pertanto, deve ritenersi superata l’interpretazione resa con la circolare n. 165/E del 1998, paragrafo 3.3.1 che, in un contesto normativo differente e in relazione ai soli OICVM di diritto estero, aveva ritenuto che eventuali passaggi all’interno dell’organismo stesso, non comportando la materiale percezione dei proventi, non realizzano alcun presupposto impositivo. D’altra parte, qualificare detti passaggi quali cessioni, e come tali suscettibili di imposizione, avrebbe comportato l’introduzione di una disciplina difforme rispetto a quella prevista negli ordinamenti di settore che regolano il rapporto di partecipazione a tali organismi e che risultano fissati sulla base anche di direttive comunitarie, alle quali l’ordinamento italiano si è già adeguato fin dal 1992».