12 Gennaio, 2018

ALBERGHI E TASSA SUI RIFIUTI SOLIDI URBANI

Anche a distanza di quasi un lustro dall’abolizione … definitiva della vecchia e coriacea TARSU, istituita e regolata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e applicata dalla maggioranza dei Comuni (circa 6.000!) fino al 31 dicembre 2012, continua il “braccio di ferro” fra enti locali impositori ed esercizi alberghieri in merito all’equa e corretta quantificazione della tariffa applicabile su detti esercizi e sul rapporto tariffario con le civili abitazioni: la contesa, infatti, trae origine dai disposti degli artt. 65 e 68 del citato decreto legislativo del 1993, che affidano alla regolamentazione locale il compito, arduo e complesso, di fissare le tariffe della tassa tenendo conto simultaneo del costo complessivo del servizio e dell’entità media e presunta dei rifiuti producibili in ogni tipologia di attività e di destinazione dei locali tassabili; compito arduo e complesso, perché anche nell’ambito di ciascuna categoria di attività appare necessario od opportuno operare distinzioni tariffarie connesse alla diversa quantità di rifiuti solidi (sempre media e presunta) da raccogliere e smaltire.
Ai fini dell’applicazione della TARSU, l’art. 68 del D.Lgs. n. 507/1993 disponeva che i Comuni erano tenuti ad adottare apposito regolamento, che doveva, fra l’altro, contenere la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie dei locali soggetti a tassazione, nonché la loro articolazione agli effetti della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, gruppi di attività o di utilizzazione, fra i quali la norma, al secondo comma, lett. c), comprende «locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze ed esercizi alberghieri».
L’inclusione nella medesima categoria delle abitazioni e degli alberghi, cioè di due tipologie di attività e di utilizzazione nettamente diverse, ha subito imposto la necessità della loro distinzione in apposite sottocategorie e, conseguentemente, in differenti parametri di valutazione delle tariffe applicabili per esse. Il problema è antico e destinato a perpetuarsi anche per le altre forme impositive sui rifiuti, attuali e in itinere: già con il tributo previsto dal T.U. per la finanza locale del 1931, regolato dalla legge 20 marzo 1941, n. 366, le aziende alberghiere sollevarono la questione di una logica e corretta diversificazione, rispetto alle abitazioni, della misura della tariffa unitaria in relazione alla normale, distinta utilizzazione dei vari locali compresi nel complesso alberghiero, quali, da un lato, le camere e, dall’altro, bar, ristoranti, cucine, sale di attesa, sale per convegni e riunioni, etc.
Portata all’attenzione del Ministero delle finanze, la proposta non trovò adesione (1) nella precipua considerazione che le tariffe della tassa de qua sono commisurate alla destinazione globale del complesso e non dei singoli locali da cui lo stesso è costituito; in altri termini, non sarebbe corretto e ammissibile, per esempio, distinguere per le abitazioni la tariffa della superficie della cucina e del bagno da quella della sala di ricevimento o destinata agli ospiti occasionali.
La rilevante differenziazione della misura della tariffa fra abitazioni private e complessi alberghieri, adottata da molti Comuni, ha oggi dato vita ad un vasto contenzioso, di cui le tre sentenze sopra pubblicate sono solo una significativa ma limitata testimonianza: il problema, posto dinanzi alla giustizia amministrativa in sede di impugnazione diretta dei regolamenti comunali contenenti l’articolazione delle tariffe per le varie categorie di utenza, ha condotto a responsi autorevoli di accoglimento delle censure degli albergatori, sotto il profilo della illegittimità delle determinazioni comunali affette dal vizio di illogicità manifesta, in quanto basate non sulla valutazione oggettiva della quantità presumibile di rifiuti prodotti nei locali interessati, ma su altri parametri e criteri estranei alla funzione e alla natura della tassa sui rifiuti, come la diversa capacità economica delle varie utenze (2).
La realtà è un’altra: come chi scrive ha denunciato da tempo (3) la tendenza irrefrenabile di molte, troppe Amministrazioni comunali è stata quella di trasformare la tassa sui rifiuti solidi da tributo-corrispettivo per un servizio reso ai cittadini, commisurato al suo costo e alla quota di rifiuti conferita da ciascun utente, in un tributo sui redditi, i patrimoni e la forza economica delle singole categorie di utenza, trasformazione respinta con fermezza dall’unanime responso giurisprudenziale (4).
Applicando correttamente il tributo nel rispetto della sua funzione peculiare, non si arriverebbe alle aberrazioni lamentate non solo dagli esercizi alberghieri nella quantificazione delle tariffe impositive, né – a nostro modesto avviso – si risolverebbe il problema con la distinzione, nell’ambito delle singole categorie di utenza, di distinte aliquote per le varie destinazioni dei locali ricompresi nel complesso delle attività tassate: la tariffa fissata per ogni tipologia di utenza è o dovrebbe essere, in altri termini, il risultato di sintesi di una valutazione complessiva delle attività e utilizzazioni esaminate, un risultato, cioè, che tenga conto di tutti gli elementi, positivi e negativi, di tali attività; sotto questo profilo, la vecchia risoluzione ministeriale sopra rammentata ci sembra basata su una corretta e rispondente interpretazione delle norme di legge preposte alla determinazione delle tariffe unitarie delle varie forme impositive sui rifiuti (5), almeno fino a quando (ma la soluzione pratica è estremamente difficile) non si riuscirà a rapportare l’onere fiscale alla quantità effettiva dei rifiuti prodotti da ciascun utente.
Fino a quel momento soluzioni come quelle adottate dalle sentenze qui commentate ci sembrano meritevoli di pieno consenso.

Dott. Eugenio Righi

(1) Ved. ris. 27 novembre 1980, n. 4/4501, in Boll. Trib., 1981, 528.
(2) Così Cons. Stato, sez. V, 1° agosto 2015, n. 3781, in Boll. Trib. On-line, e le altre pronunce richiamate nel contesto delle sentenze in esame.
(3) E. RIGHI, Elementi di connessione e di … confusione fra i vari tributi locali, in Boll. Trib., 1984, 25.
(4) Ved. le sentenze richiamate da E. RIGHI, op. cit.
(5) In tale più rispondente logica va inquadrata e valutata Cass., sez. trib., 19 agosto 2015, n. 16972, in Boll. Trib. On-line, sulla tariffa applicabile ai rifiuti delle attività di bed and breakfast, da considerare come categoria intermedia fra le tariffe relative alle abitazioni civili e quelle alberghiere.

TARSU – Tariffe – Alberghi – Differenziazione delle tariffe rispetto a quelle stabilite per le civili abitazioni – Legittimità – Omessa distinzione nel regolamento comunale fra le aree destinate esclusivamente a camere e le aree destinate a usi comuni – Illegittimità – Disapplicazione della regolamentazione comunale ex art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 – Consegue.

TARSU – Applicazione del tributo per gli anni 2010 e 2011 – Legittimità – Abrogazione del tributo a norma dell’art. 47 del D.L. n. 201/2011 con decorrenza dal 1° gennaio 2013.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Potere di rappresentanza processuale del Comune – Appartiene al sindaco – Delega ad un dirigente – Ammissibilità solo se espressamente prevista dallo statuto comunale.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale – Non necessita – Previsione nello statuto comunale di una autorizzazione giuntale o dirigenziale per il conferimento della legittimazione processuale all’organo titolare della rappresentanza – Necessità dell’autorizzazione – Consegue.

In materia di TARSU, se è pur vero che deve ritenersi legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe con cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata a una tariffa superiore per la maggiore capacità produttiva di rifiuti dei predetti esercizi rispetto alle civili abitazioni, è altrettanto vero che la differenziazione tariffaria fra le due tipologie di utenza suindicate deve prevedere anche una distinzione di oneri, nell’ambito degli alberghi, fra le aree destinate esclusivamente a camere e quelle destinate ad usi comuni, in difetto della quale la regolamentazione comunale va ritenuta illegittima e conseguentemente disapplicata dal giudice tributario, ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

La TARSU deve considerarsi legittimamente applicabile anche per gli anni 2010 e 2011, in base alla sua ultrattività stabilita, fino al 31 dicembre 2012, dall’art. 47 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).

Anche nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali spetta al sindaco l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e tuttavia lo statuto del Comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico-amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria non sussista, il sindaco è l’unico soggetto abilitato a rappresentare in giudizio l’ente.

Ai fini della rappresentanza processuale del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale di prevedere l’autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia, di talché ove l’autonomia statutaria si sia così indirizzata, l’autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell’organo titolare della rappresentanza.

[Commissione trib. regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, sez. XXVI (Pres. e rel. Sepe), 7 aprile 2016, sent. nn. 825, 826 e 827*, ric. Comune di San Giovanni Rotondo c. Gorgoglione di F.G. & F.lli s.n.c.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Il Comune di San Giovanni Rotondo proponeva appello avverso la sentenza della Commissione Provinciale di Foggia, depositata il 4 giugno 2014, che aveva accolto il ricorso presentato dalla società Gorgoglione di F.G. & F.lli snc contro il diniego di rimborso – notificatole dal Comune il 12 settembre 2012 a seguito di istanza inoltrata dalla società il 21 giugno 2012 – della TARSU corrisposta per l’“Hotel Pegaso” relativamente agli anni dal 2007 al 2011. L’istanza della contribuente era stata motivata eccependo la illegittimità della tariffa che prevedeva una tassa per gli esercizi alberghieri eccessivamente elevata rispetto a quella dei locali per uso abitativo, in violazione dell’art. 68, D.Lgs. 507/1993, con riguardo agli anni dal 2007 al 2009 e l’intervenuta abrogazione della suddetta tassa a partire dal 2010, con conseguente illegittimità della pretesa per gli anni 2010 e 2011.
Il giudice di primo grado, premesso che la TARSU era ancora vigente negli anni 2010 e 2011, essendone stata da ultimo prevista la proroga fino al 31 dicembre 2012 dall’art. 14, comma 46, del D.L. 201/2011 (istitutivo della TARES), convertito in L. 214/2011, argomentava la pronuncia di accoglimento del ricorso, affermando che l’art. 68, D.Lgs. 507/1993, nel prevedere la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria, aveva raggruppato, alla lettera c) del comma 2, in un’unica categoria “locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri”, con assimilazione, dunque, degli esercizi alberghieri ai locali adibiti ad uso abitativo, quanto a potenzialità di produzione di rifiuti.
A sostegno del gravame, l’appellante richiamava l’orientamento consolidato della S.C. secondo il quale in tema di TARSU è da ritenere legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, che assoggettano gli esercizi alberghieri ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile alle civili abitazioni, in relazione alla maggiore capacità produttiva di rifiuti dei primi rispetto alle seconde.
Costituitasi la società appellata, eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, in primo luogo, perché il difensore, l’avv. S.A.T., si era costituito nel presente giudizio in virtù di procura ad litem rilasciata nel giudizio di primo grado, senza alcun riferimento al giudizio d’appello, dal Sindaco e non dal dirigente del Servizio tributi, e in secondo luogo, per difetto di specificità dei motivi d’appello. Nel ribadire l’istanza di ammissione di consulenza tecnica d’ufficio per determinare i metri quadrati tassabili, riferibili ad ogni singola categoria (stanze ed accessori – bar – ristorante e cucina) e gli importi da rimborsare, proponeva appello incidentale per il mancato riconoscimento dell’intervenuta abrogazione della TARSU a partire dal 2010.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Deve innanzi tutto esaminarsi l’eccezione, solleva dall’appellata, di difetto di legittimazione in capo all’avv. T. quale difensore del Comune di San Giovanni Rotondo sia perché la procura sarebbe stata rilasciata soltanto per il giudizio avanti la CTP di Foggia, sia perché sottoscrittore della stessa risulta essere il Sindaco e non il dirigente del Servizio tributi del Comune.
Quanto al primo motivo, esso è palesemente smentito dalla procura speciale in calce alle controdeduzioni con le quali il Comune si è costituito in giudizio avanti la Commissione di primo grado. In tale atto si legge che detta procura è stata conferita dall’Ente, in persona del Sindaco, all’avv. S.A.T. “affinché lo rappresenti, assista e difenda in ogni stato e grado del giudizio’’ promosso dalla ricorrente nominativamente indicata, con elezione di domicilio presso lo studio del difensore.
In ordine al secondo motivo, si osserva che anche nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, spetta al sindaco l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Tuttavia lo statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco è l’unico soggetto abilitato a rappresentare in giudizio l’Ente (S.U. 2005/12868, 12869, 12871; Cass. 2006/8101, 15228; 2008/29832; 2012/4556; 2014/7402). Né, ai fini di tale rappresentanza, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale costituisce ancora, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale – competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio (“ex” art. 6, secondo comma, del testo unico delle leggi sull’ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) – di prevedere l’autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia). Ove l’autonomia statutaria si sia così indirizzata, l’autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell’organo titolare della rappresentanza (S.U. 2005/12868, 12869, 12871; Cass. 2005/26047; 2006/3879, 21330; 2011/24433). Nel caso di specie, non risulta che lo statuto del Comune di San Giovanni Rotondo ponga una siffatta condizione al potere del Sindaco di rappresentare l’Ente in giudizio.
Inoltre, in materia tributaria, l’art. 11, comma 3, D.Lgs. 546/1992, nella nuova versione introdotta dall’art. 3-bis della L. n. 88 del 31 maggio 2005, di conversione del D.L. n. 44 del 31 marzo 2005, recita: “L’ente locale nei cui confronti è proposto ricorso sta in giudizio direttamente anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio’’ La portata innovativa della norma è soltanto quella di prevedere la legittimazione cumulativa (“anche’’’) di tale organo, sia pure privo di carattere dirigenziale, rispetto all’organo cui compete, in via generale, di stare in giudizio per l’Ente in virtù del suo ordinamento.
In ordine all’altra eccezione di inammissibilità dell’appello perché non sorretto da motivi specifici, anch’essa non appare fondata, risultando argomentata la censura mossa dal Comune, con richiami alla giurisprudenza della S.C., per contestare l’assimilazione sostenuta in sentenza degli esercizi alberghieri ai locali adibiti ad uso abitativo, in quanto entrambi inclusi nella stessa lettera c) dell’art. 68 del D.Lgs. n. 507 del 1993.
Passando al merito della questione oggetto del gravame proposto dal Comune, che verte sulla legittimità o no della maggiore tariffa applicata agli esercizi alberghieri rispetto ai locali di civile abitazione, è ius receptum della S.C. che “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore” ed ancora che “i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (Cass. 2007/5722 (1); S.U. 2008/8278 (2); Cass. ord. 2009/11655 (3); Cass. 2010/302 (4); ord. 2014/4797 (5)).
Orbene, secondo quanto ritenuto dal G.A. (C. di S., Sez. V, 1 agosto 2015; TAR Emilia, Sez. II, 2 dicembre 2015) se appare evidente che la produzione di rifiuti di un albergo nel suo complesso è maggiore di quella delle abitazioni private, soprattutto nel caso in cui l’albergo sia dotato di ristorante, non trova tuttavia giustificazione che nella distinzione tra parti comuni e camere – rispondente ad un criterio assolutamente logico – queste siano assoggettate ad una tariffa di gran lunga più gravosa rispetto alle civili abitazioni, atteso che la maggiore produzione di rifiuti viene prodotta dalle parti comuni dell’albergo, saloni di ricevimento, sale destinate a ristorante o a prima colazione, cucine, lavanderie, magazzini. Né risulta quale sia stato il percorso logico seguito dal Comune di San Giovanni Rotondo nel determinare la tariffa per i “locali ad uso abitazione” nella misura di euro 1,97, mentre per gli “alberghi senza ristorante” l’ha determinata nella misura di euro 6,18, più del triplo della precedente, e per gli “alberghi con ristorante” nella misura di euro 7,30, ancora maggiore (v. tariffe 2005). E ciò in aperta violazione dell’art. 65, comma 2, e dell’art. 69, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993 e del principio “chi inquina paga”, affermatosi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Dalla suindicata normativa emerge con chiarezza che la determinazione delle tariffe con riguardo alle diverse categorie e sottocategorie deve tener conto della idoneità a produrre rifiuti dei locali e delle aree tassabili.
Nel caso di specie, viceversa, il Comune di San Giovanni Rotondo ha utilizzato una differenziazione di tariffe che, sebbene possa far ritenere, in linea di principio, giustificato un regime di tassazione più elevato per gli alberghi, in considerazione del fatto che l’esercizio di un’attività di questo tipo può determinare una maggiore quantità di rifiuti, non appare corretto laddove non prevede alcuna distinzione, nell’ambito degli alberghi, fra aree destinate esclusivamente a camere e quelle destinate ad usi comuni.
Dovendosi, dunque, ritenere illegittimo, per tale parte, il regolamento comunale con relative tariffe, va disapplicato dal Collegio, ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 546 del 1992.
Pertanto non merita accoglimento la doglianza dell’appellante principale.
La società appellata, a sua volta, ha proposto appello incidentale per avere la CTP di Foggia ritenuto legittima la tassazione TARSU anche per gli anni 2010 e 2011, assumendosi cessato il regime di proroga, previsto dall’art. 5, comma 1, del D.L. n. 208 del 30 dicembre 2008, convertito in L. n. 13 del 27 febbraio 2009, con lo spirare dell’panno 2009. Ha escluso che una proroga successiva possa ritenersi intervenuta per effetto dell’art. 14, comma 7, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che così dispone: “Sino alla disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”. Mentre con tale norma è stata confermata la sopravvivenza sia della TARSU che della TIA 1, ove non adottata la TIA 2, la società appellata sostiene che ‘’sarebbe del tutto incostituzionale ritenere applicabile per effetto dell’art. 14, c. 7, cit., una disciplina normativa ormai abrogata, quale è appunto quella in materia di TARSU, attraverso un mero rinvio di una norma al regolamento comunale, fonte secondaria”. La censura è destituita di qualsiasi fondamento, in quanto l’ultrattività della TARSU è stata prevista da una norma primaria ed era sicuramente nella facoltà del legislatore legittimare l’ulteriore vigenza di tale tassa, la cui abrogazione è stata espressamente stabilita con decorrenza dal 1° gennaio 2013, a norma dell’art. 47 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (istitutivo della TARES), convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214.
Ne consegue il rigetto del gravame incidentale.
Anche l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio va respinta, non essendo stata sollevata alcuna contestazione sulla superficie tassata.
Stante il contrasto di giurisprudenza esistente sulla questione, si compensano le spese di giudizio.

P.Q.M. – rigetta l’appello proposto dal Comune di San Giovanni Rotondo e quello incidentale proposto dalla società Gorgoglione di F.G. & F.lli snc, confermando la sentenza impugnata.
Spese compensate

(1) Cass. 12 marzo 2007, n. 5722, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 31 marzo 2008, n. 8278, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 19 maggio 2009, n. 11655, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 12 gennaio 2010, n. 302, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 28 febbraio 2014, n. 4797, in Boll. Trib. On-line.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *