1. Premessa
Sotto il profilo strettamente processuale, l’ordinanza in rassegna non rappresenta altro che una semplice pronuncia di estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso, un provvedimento che in genere non sollecita alcuna particolare curiosità o riflessione.
Né può suscitare qualche interesse il fatto che, nel dichiarare l’estinzione del procedimento per rinuncia al ricorso, la Suprema Corte abbia condannato la parte ricorrente a rifondere le spese processuali del giudizio di legittimità.
Trattasi, invero, di un’evenienza tutt’altro che eccezionale visto che in tale giudizio, a norma dell’art. 391 c.p.c., «L’ordinanza o la sentenza, che provvede sulla rinuncia, dispone la restituzione del deposito e condanna il rinunciante alle spese … La condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale».
Ciò che rende l’annotata ordinanza meritevole di segnalazione è, invece, la circostanza che nel caso di specie ha rinunciato al ricorso per cassazione una contribuente che, nelle more del giudizio, aveva presentato dichiarazione di adesione alla “definizione agevolata” dei carichi affidati all’agente della riscossione di cui all’art. 6 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), nota anche come c.d. “rottamazione dei ruoli” (1).
La richiamata disposizione agevolativa prevede espressamente che, ove siano pendenti giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la definizione, il contribuente interessato alla stessa assuma l’impegno, tra le altre cose, a rinunciare a quei giudizi.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha chiarito, implicitamente, che la “rottamazione dei ruoli” non implica ex se, nei giudizi interessati (in tutto o in parte) da quella definizione, la cessazione della materia del contendere (e con essa la compensazione delle spese di lite), un dettaglio non proprio indifferente per chi si è avvalso del predetto strumento ed ha assunto l’impegno a formalizzare la rinuncia a quei giudizi (2).
Anche tale chiarimento, ancorché autorevole, di per sé non rappresenta una novità degna di nota, visto che la differenza tra l’estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso e l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è ormai chiara per tutti gli addetti ai lavori.
Sennonché, l’Agenzia delle entrate, nel fornire i propri chiarimenti «in merito all’applicazione dell’art. 6 del D.L. n. 193/2016» (3), sembra non abbia avuto ben presente la suddetta differenza, fornendo un’interpretazione della disposizione agevolativa del tutto fuorviante.
Di qui l’opportunità di annotare l’ordinanza in rassegna, essenzialmente allo scopo di fornire il nostro personale contributo di chiarezza in subiecta materia.
2. La disposizione agevolativa
L’art. 6, primo comma, del D.L. n. 193/2016, nella versione originaria (4), disponeva che «Relativamente ai carichi inclusi in ruoli, affidati agli agenti della riscossione negli anni dal 2000 al 2015, i debitori possono estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni incluse in tali carichi, gli interessi di mora …, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive …, provvedendo al pagamento integrale, anche dilazionato, entro il limite massimo di quattro rate, sulle quali sono dovuti gli interessi …:
a) delle somme affidate all’agente della riscossione a titolo di capitale e interessi;
b) di quelle maturate a favore dell’agente della riscossione …, a titolo di aggio sulle somme di cui alla lettera a) e di rimborso delle spese per le procedure esecutive, nonché di rimborso delle spese di notifica della cartella di pagamento».
Il successivo secondo comma, sempre nella versione originaria, disponeva che «Ai fini della definizione di cui al comma 1, il debitore manifesta all’agente della riscossione la sua volontà di avvalersene, rendendo, entro il novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita dichiarazione, con le modalità e in conformità alla modulistica che lo stesso agente della riscossione pubblica sul proprio sito internet nel termine massimo di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in tale dichiarazione il debitore indica altresì il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1, nonché la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi».
Seppure le richiamate disposizioni siano state successivamente modificate, sia in sede di conversione del decreto nella citata legge n. 225/2016, sia con appositi interventi normativi (5), finalizzati essenzialmente ad estendere la definibilità ai ruoli affidati all’agente della riscossione nel 2016 ed a prorogare taluni termini, l’impianto definitorio nella sua sostanza è rimasto quello originario e soprattutto, per quanto qui rileva, è rimasta immutata la previsione secondo cui il soggetto interessato alla rottamazione dei ruoli, nell’apposita dichiarazione, indica «la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi».
La formulazione di tale segmento della disposizione agevolativa è talmente generica e lacunosa che i commentatori più accorti hanno segnalato da subito le criticità della «rottamazione dei ruoli in contenzioso», evidenziando al riguardo che «a fronte di problematiche complesse e variegate, la norma si limita a pochissime indicazioni» (6).
Non è chiaro, per esempio, se l’impegno a rinunciare al ricorso, formalizzato nella dichiarazione presentata all’agente della riscossione, sia o meno reversibile o revocabile; né la norma offre maggiori certezze sulla sorte dei giudizi che hanno per oggetto pretese ulteriori rispetto alle somme iscritte a ruolo (si pensi al contenzioso che ha per oggetto avvisi di accertamento rispetto ai quali il ricorrente abbia inteso rottamare le imposte iscritte a titolo provvisorio).
E ancora: che impegno doveva assumere il contribuente che, risultato vincitore in primo o secondo grado, pendente il giudizio nel grado successivo intendeva definire il carico a ruolo non sgravato dall’ente impositore? Quale rinuncia deve (o avrebbe dovuto) formalizzare in tale giudizio nel quale, evidentemente, non ha proposto lui il ricorso? Quale iniziativa deve (o avrebbe dovuto) adottare in tale processo? Cosa accade se la trattazione del ricorso è (o era) fissata tra la scadenza del termine per presentare la dichiarazione di definizione (21 aprile 2017) e il perfezionamento della stessa? Il giudice può o deve rinviare la trattazione della causa?
Sono sufficienti queste poche domande per comprendere la superficialità con cui il nostro legislatore ha disciplinato la definizione dei ruoli interessati, in tutto o in parte, da un contenzioso ancora pendente.
3. I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Ai molteplici dubbi e alle richieste di chiarimenti formulate da più parti ha cercato di rispondere l’Agenzia delle entrate con la circolare 8 marzo 2017, n. 2/E (7), naturalmente con riferimento esclusivo ai carichi dalla stessa affidati all’agente della riscossione.
Seppure non direttamente attinente alle tematiche di cui ci stiamo occupando, merita di essere segnalata, in primis, la precisazione dell’Amministrazione finanziaria secondo cui «La definizione si perfeziona non con la presentazione della dichiarazione o con il versamento della prima rata (in caso di opzione per il pagamento rateale), ma con il pagamento integrale e tempestivo delle somme dovute».
Ciò premesso, passiamo all’esame dei chiarimenti relativi alla definizione dei “Carichi oggetto di giudizio”.
L’Agenzia delle entrate, dopo avere ricordato che il debitore, a norma dell’art. 6, secondo comma, del D.L. n. 193/2016, nella dichiarazione di adesione alla definizione agevolata deve indicare, tra l’altro, la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assumere l’impegno a rinunciare agli stessi, afferma innanzitutto che quell’impegno «non corrisponde strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del D.Lgs. n. 546 del 1992».
Il significato di tale affermazione viene chiarito nella nota n. 43, ovvero rimandando ai chiarimenti forniti dalla stessa Agenzia delle entrate in merito alle novità introdotte dall’art. 11 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, in materia di autotutela parziale (8), secondo i quali «La norma non richiede la contestuale formalizzazione da parte del contribuente della rinuncia all’impugnazione proposta né subordina la definizione all’accettazione della rinuncia da parte dell’ente impositore».
Tale considerazione induce l’Amministrazione finanziaria a ritenere che «il puntuale e tempestivo versamento integrale dell’importo dovuto», da un lato, è sufficiente per il perfezionamento della definizione agevolata e, dall’altro, deve intendersi come «comportamento concludente con cui il contribuente manifesta la propria intenzione di rinunciare alla lite … Il contribuente può limitarsi a comunicare al Giudice tributario e all’Ufficio dell’Agenzia parte in giudizio che è venuta a cessare la materia del contendere, allegando la documentazione che attesta l’avvenuto pagamento e richiedendo la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio. In caso di inerzia del contribuente, la comunicazione e richiesta in questione possono essere formulate anche dall’Ufficio».
Chiarite le ragioni per le quali l’impegno a rinunciare al ricorso non corrisponderebbe «strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del D.Lgs. n. 546 del 1992», l’Agenzia delle entrate precisa che «l’efficace definizione rileva negli eventuali giudizi in cui sono parti l’Agente della riscossione o l’Ufficio o entrambi, facendo cessare integralmente la materia del contendere, qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia, ovvero superando gli effetti della pronuncia giurisdizionale eventualmente emessa. In sintesi, gli effetti che il perfezionamento della definizione agevolata produce di norma prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi».
Peraltro, l’Amministrazione finanziaria ritiene che «anche qualora il debitore irregolarmente abbia omesso di assumere formalmente l’impegno a rinunciare al giudizio nella dichiarazione di adesione alla definizione, ma provveda al pagamento di quanto necessario ai fini del perfezionamento della stessa, si produce parimenti la causa di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, sempreché il carico definito abbia ad oggetto l’intero valore in contestazione. La cessazione della materia del contendere, come prevede il comma 3 dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546 del 1992, comporta che nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate».
I chiarimenti che precedono, in tutta evidenza, attengono all’ipotesi in cui il carico rottamato rappresenti l’intera pretesa dedotta in giudizio, poiché «qualora il carico affidato all’Agente della riscossione non rechi l’intera pretesa tributaria persiste l’interesse alla decisione nel merito della lite».
L’Agenzia delle entrate sottolinea, inoltre, che non è prevista alcuna sospensione dei termini processuali e dei giudizi potenzialmente interessati dalla definizione agevolata, motivo per il quale «potrebbe verificarsi che venga emessa una pronuncia esecutiva prima della presentazione della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata o nel periodo intercorrente tra la presentazione della dichiarazione e il perfezionamento della definizione».
L’ultima precisazione degna di nota ci sembra quella secondo cui «nell’ipotesi in cui il carico definito abbia ad oggetto l’intero valore in contestazione, qualora il contribuente dichiari di aver aderito alla definizione agevolata e chieda un rinvio della trattazione della controversia, l’Ufficio di norma non è opportuno che si opponga, salvo che la richiesta risulti dilatoria».
4. La rinuncia al ricorso e le spese di lite
L’Amministrazione finanziaria sembra essere consapevole della lacunosità della disposizione agevolativa e, in tutta evidenza, cerca di porvi rimedio offrendo un’interpretazione della stessa in parte additiva, in parte manipolativa.
Uno sforzo che, tuttavia, si rivela insufficiente a risolvere tutte le questioni che possono emergere nell’applicazione concreta della norma.
In questa sede, naturalmente, limiteremo le nostre osservazioni alle questioni, ancora irrisolte, che hanno risvolti di carattere processuale.
In primo luogo, osserviamo che l’impegno assunto dal contribuente a rinunciare ai giudizi che hanno per oggetto, in tutto o in parte, i carichi a ruolo che si intendono rottamare, non vincola in alcun modo lo stesso contribuente a formalizzare – né contestualmente, né successivamente – la rinuncia al ricorso.
La scelta del legislatore di non porre alcun vincolo, in tal senso, a carico del soggetto interessato alla rottamazione si spiega col fatto che, dopo la presentazione dell’apposita dichiarazione all’agente della riscossione, quest’ultimo è tenuto a comunicare al richiedente (entro il 15 giugno 2017) le somme dovute e, considerato che fino a quel momento la procedura ancora non si è perfezionata, ben potrebbe accadere che dopo quella comunicazione il debitore non sia più interessato alla definizione agevolata – per esempio perché non la giudica più conveniente – motivo per il quale deve essergli comunque garantita la possibilità di continuare a coltivare il giudizio pendente.
Naturalmente, ove nell’attesa della suddetta comunicazione dell’agente della riscossione venga fissata l’udienza di trattazione della controversia, momento ultimo entro il quale può essere formalizzata la rinuncia al ricorso, è opportuno che il soggetto interessato alla definizione agevolata chieda un rinvio della trattazione (9).
Se, dunque, concordiamo con l’Agenzia delle entrate quando afferma che la dichiarazione da presentare all’agente della riscossione non necessita della preventiva o contestuale formalizzazione della rinuncia al giudizio, non condividiamo, invece, l’assunto secondo cui «il puntuale e tempestivo versamento integrale dell’importo dovuto», in quanto sufficiente e idoneo a perfezionare la definizione agevolata, possa intendersi come «comportamento concludente con cui il contribuente manifesta la propria intenzione di rinunciare alla lite».
Invero, l’art. 44 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non consente affatto alla parte di rinunciare al ricorso “per fatti concludenti”, occorrendo al contrario che una specifica quanto inequivoca manifestazione di volontà in tal senso sia formalizzata in un atto scritto (10) o, se rappresentata nel corso della pubblica udienza, consti espressamente dal verbale di udienza (11).
Pertanto, se è vero che, ove siano pendenti giudizi aventi ad oggetto carichi a ruolo, il perfezionamento della rottamazione, sul piano sostanziale, fa venire meno (in tutto o in parte) la materia del contendere tra il contribuente e l’ente impositore (12), non altrettanto avviene sul piano strettamente processuale, sia perché la definizione agevolata potrebbe anche non riguardare l’intera pretesa contestata in giudizio, sia perché in giudizio potrebbe essere costituito l’agente della riscossione che, essendo estraneo alla definizione del suddetto rapporto sostanziale, ben potrebbe avere interesse alla prosecuzione della controversia, anche al solo fine di recuperare le spese di lite.
Tale è la ragione per la quale, a nostro avviso, il legislatore ha fatto esplicito riferimento all’istituto della rinuncia al ricorso e non alla cessazione della materia del contendere, nella consapevolezza che, nella gran parte di quei giudizi è (o potrebbe essere) costituito un soggetto estraneo al rapporto sostanziale definibile con la rottamazione ed, evidentemente, anche tale soggetto deve essere tutelato.
Di qui l’onere per il contribuente di formalizzare una rinuncia al ricorso, ovvero di depositare un atto che non produce alcun effetto estintivo nel giudizio se non è accettato «dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo» (art. 44, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992).
Non è casuale che la dottrina più avveduta, fin da subito, ha avvertito che «la rinuncia al contenzioso prescritta dalla disciplina in esame comporta di norma il pagamento delle spese di giudizio in favore delle altre parti. Sarà quindi consigliabile munirsi di una richiesta congiunta di estinzione del giudizio, con compensazione delle spese» (13).
La correttezza delle nostre osservazioni, se non fosse già sufficiente l’inequivoco riferimento dell’art. 6, secondo comma, del D.L. n. 193/2016, alla rinuncia al giudizio, è confortata proprio dall’ordinanza che annotiamo, dove la Suprema Corte, nonostante la comunicata «adesione alla definizione di cui al D.L. 193/2016» e il deposito di un atto di rinuncia al ricorso per cassazione, in assenza di espressa accettazione di quest’ultima da parte della controricorrente, ha dichiarato l’estinzione del giudizio, condannando tuttavia la parte rinunciante al pagamento delle spese processuali, in considerazione della sua “soccombenza virtuale”, per pronosticata infondatezza del primo motivo di impugnazione e inammissibilità del secondo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, ci sembra del tutto fuorviante e comunque fallace l’affermazione dell’Agenzia delle entrate secondo cui il contribuente che abbia rottamato il carico a ruolo «può limitarsi a comunicare al Giudice tributario e all’Ufficio dell’Agenzia parte in giudizio che è venuta a cessare la materia del contendere, allegando la documentazione che attesta l’avvenuto pagamento e richiedendo la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio».
Né può essere sufficiente, in caso di inerzia del contribuente, che la comunicazione di avvenuta definizione e la richiesta di cessata materia del contendere vengano “formulate dall’Ufficio”.
La materia del contendere, come abbiamo visto, non viene meno per via del semplice perfezionamento della rottamazione dei ruoli di riscossione, ben potendo ancora sussistere un interesse delle parti costituite a una pronuncia sulla “residua parte” della pretesa controversa eventualmente non definita ovvero sulla regolazione delle spese di lite.
Di qui la non pertinenza del riferimento, contenuto nella citata circolare n. 2/E/2017, all’art. 46, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, e, con esso, alla regolazione delle spese di lite ivi prevista.
5. Conclusioni
Concludiamo la presente nota osservando che l’ordinanza in rassegna non rappresenta solo un’autorevole conferma che la rinuncia al ricorso, ove non accettata dalle altre parti costituite in giudizio, non salva il rinunciante dalla condanna al pagamento delle spese processuali, nemmeno quando abbia dimostrato di avere prodotto tempestiva dichiarazione di adesione alla definizione di cui all’art. 6 del D.L. n. 193/2016.
La pronuncia in commento dimostra anche quanto sia fuorviante ed errata l’affermazione dell’Agenzia delle entrate secondo cui «l’efficace definizione rileva negli eventuali giudizi in cui sono parti l’Agente della riscossione o l’Ufficio o entrambi, facendo cessare integralmente la materia del contendere, qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia, ovvero superando gli effetti della pronuncia giurisdizionale eventualmente emessa».
In realtà, la rottamazione dei ruoli non può in alcun modo superare gli effetti di un’eventuale pronuncia giurisdizionale, per la semplice ragione che manca una specifica previsione normativa in tal senso.
La ricorrente nella controversia decisa dalla Suprema Corte, come qualunque altro contribuente che non si premuri di acquisire l’accettazione della rinuncia al ricorso, sottoscritta da tutte le altre parti costituite in giudizio, prima di presentarla al giudice, resterà irrimediabilmente obbligata a rifondere alle controparti le spese processuali, senza che la pronuncia in tal senso dello stesso giudice possa in alcun modo essere neutralizzata o vanificata dal perfezionamento della rottamazione.
Bene farebbe, allora, l’Amministrazione finanziaria a rinunciare al recupero di quelle spese processuali – e di quelle eventualmente liquidate in favore dell’agente della riscossione costituito in giudizio – nei confronti di tutti quei soggetti che, in buona fede, hanno ritenuto attendibili le indicazioni contenute nella citata circolare n. 2/E/2017.
Pur dubitando che ciò possa davvero verificarsi, sarebbe il modo migliore per tutelare l’affidamento che i contribuenti ripongono nella credibilità dei documenti di prassi.
Dott. Domenico Carnimeo
(1) Per un approfondimento sull’argomento cfr. L. LOVECCHIO, La nuova “rottamazione” delle cartelle di pagamento, in Boll. Trib., 2016, 1532.
(2) Vale segnalare che la dottrina più attenta, già in occasione dei primi commenti alla disciplina della c.d. “rottamazione” dei ruoli, aveva bollato come incongruente la scelta di imporre al contribuente la rinuncia al ricorso, mentre sarebbe stato più opportuno «disporre la cessazione della materia del contendere per effetto della definizione agevolata. In questo modo si sarebbe determinata per legge la compensazione delle spese di giudizio, in base all’articolo 46 del decreto legislativo 546/1992»: cfr. L. LOVECCHIO, Cartelle, le insidie delle liti in corso, in Il Sole 24 Ore del 14 novembre 2016.
(3) Cfr. la circ. 8 marzo 2017, n. 2/E, in Boll. Trib., 2017, 388.
(4) Prima delle modificazioni introdotte in sede di conversione nella legge n. 225/2016 nonché dai provvedimenti normativi indicati alla nota 5.
(5) Cfr. l’art. 11 del D.L. 9 febbraio 2017, n. 8 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 aprile 2017, n. 45), nonché l’art. 1 del D.L. 27 marzo 2017, n. 36 (decaduto per mancata conversione in legge).
(6) Cfr. L. LOVECCHIO, Cartelle, le insidie delle liti in corso, cit.; nonché A. IORIO, In contenzioso sanatoria da valutare, in Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2016.
(7) Cit. alla nota 3.
(8) Cfr. la circ. 8 aprile 2016, n. 12/E, par. 19.2.1, in Boll. Trib., 2016, 589.
(9) Bene farebbe il debitore, peraltro, a presentare la richiesta di rinvio della trattazione unitamente alle altre parti costituite in giudizio.
(10) Sulla necessità che la rinuncia al ricorso sia «fatta per iscritto e sottoscritta dalle parti personalmente e dai difensori», escludendo la possibilità di una «rinuncia verbale fatta nell’udienza pubblica», ved. altresì la circ. 23 aprile 1996, n. 98/E, in Boll. Trib., 1996, 687.
(11) Secondo la giurisprudenza di legittimità in linea di principio alle parti non è vietata, dall’art. 44 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la possibilità di «rendere dichiarazioni di rinuncia in ordine alla materia del contendere, nella forma della dichiarazione “a verbale”. Posto che la norma prevede la forma scritta, una dichiarazione resa in udienza, alla presenza del segretario e del Collegio, integra gli estremi del verbale-atto pubblico, fidefacente, talché siffatta dichiarazione assume la forma – e la garanzia – dell’atto di fede privilegiata, quindi un quid pluris rispetto all’altro scritto. La sostituzione della forma scritta con la dichiarazione a verbale nel corso dell’udienza pubblica è pertanto da considerarsi ammissibile»: così Cass., sez. trib., 15 marzo 2004, n. 5270, in Boll. Trib. On-line.
(12) Non a caso l’Agenzia delle entrate afferma, nella già citata circ. n. 2/E/2017, che «l’efficace definizione rileva negli eventuali giudizi in cui sono parti l’Agente della riscossione o l’Ufficio o entrambi, facendo cessare integralmente la materia del contendere, qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia, ovvero superando gli effetti della pronuncia giurisdizionale eventualmente emessa».
(13) Così L. LOVECCHIO, La nuova “rottamazione” delle cartelle di pagamento, cit.
Procedimento – Giudizio di cassazione e giudizio avanti le Commissioni – Rinuncia al ricorso a seguito di adesione alla definizione agevolata di cui all’art. 6 del D.L. n. 193/2016 – Spese processuali – Condanna alle spese di lite in caso di soccombenza virtuale – Consegue.
Il ricorrente che abbia presentato dichiarazione di adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione di cui all’art. 6 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225), con impegno a rinunciare ai giudizi relativi ai c.d. ruoli “rottamati”, e che abbia quindi depositato atto di rinuncia al ricorso a cui consegue l’estinzione del giudizio, va tuttavia condannato al pagamento delle spese processuali allorquando sussista la sua soccombenza virtuale.
[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Iacobellis, rel. Iofrida), 31 marzo 2017, ord. n. 8377]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – P.L. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 1621/16/2015, depositata in data 28/9/2015 (1), con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRPEF ed IRAP dovute in relazione all’anno d’imposta 2008, per effetto della asserita mancata contabilizzazione di alcuni ricavi derivanti dall’attività di tabaccheria (vendita di schede telefoniche e di digitale terrestre, i cui costi di acquisto erano stati invece computati in detrazione), annessa a quella del bar, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380-bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.
Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. La ricorrente, avendo presentato, in data 15/2/2017, dichiarazione di adesione alla definizione agevolata di cui al d.l. 193/2016, con impegno a rinunciare ai giudizi relativi ai c.d. ruoli “rottamati”, ha depositato, nel febbraio 2017, atto di rinuncia al ricorso.
Ne consegue l’estinzione del giudizio.
2. La parte rinunziante va tuttavia condannata alle spese processuali, liquidate come in dispositivo, in considerazione della sua soccombenza virtuale per le seguenti ragioni indicate: a) infondatezza del primo motivo (violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 24 l. 4/1929 e 12 comma 7 l. 212/2000), richiamati i principi di diritto da ultimo affermati dalle S.U. nella sentenza n. 24823/2015 (2), nonché quanto chiarito da Corte (Cass. 7843/2015 (3)) in ordine al fatto che l’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni solo in caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, e, nella specie, non è in discussione che non vi è stato accesso, ispezione nei locali dell’impresa; b) inammissibilità del secondo motivo (violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2 commi 8 e 8-bis DPR 322/1998, non avendo la C.T.R. dato rilievo all’errore contabile commesso nella compilazione della dichiarazione dei redditi, essendo stati indicati, quanto all’attività annessa di bar, “componenti positive e negative di reddito invece inesistenti perché inserite solo per la redazione di una situazione infraannuale previsionale”), in quanto la ricorrente non ha censurato la ragione di rigetto del motivo correlata alla impossibilità di operare “una compensazione” tra ricavi dell’attività di bar (asseritamente indicati in dichiarazione in maniera erronea, in danno alla contribuente) e ricavi dell’attività di tabaccheria (accertati dall’Ufficio) ed assume, poi, per accertato in fatto dai giudici di appello e pacifico tra le parti, “un errore contabile” affatto riconosciuto dalla C.T.R. e dall’Ufficio.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato estinto il giudizio. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M. – La Corte dichiara estinto il giudizio. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.500,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.
(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222.
(3) Cass. 17 aprile 2015, n. 7843, in Boll. Trib., 2015, 947.