Circolare 30 dicembre 2014, n. 31/E, dell’Agenzia delle entrate
premessa – capitolo i: semplificazioni per le persone fisiche – 1. semplificazioni in materia di addizionali comunali e regionali all’irpef (articolo 8) – 2. spese di vitto e alloggio dei professionisti (articolo 10); 2.1 rilevanza per il committente; 2.2 redditi di lavoro autonomo non abituale; 2.3 entrata in vigore – 3. dichiarazione di successione: esoneri e documenti da allegare (articolo 11) – 4. abrogazione della comunicazione all’agenzia delle entrate per i lavori che proseguono per più periodi di imposta ammessi alla detrazione irpef delle spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici (articolo 12) – capitolo ii: semplificazioni per i rimborsi – 5. rimborso dei crediti d’imposta e degli interessi in conto fiscale (articolo 14) – 6. compensazione dei rimborsi da assistenza (articolo 15) – capitolo iii: semplificazioni per le società – 7. razionalizzazione comunicazioni dell’esercizio di opzione (articolo 16) – 8. razionalizzazione delle modalità di presentazione e dei termini di versamento nelle ipotesi di operazioni straordinarie poste in essere da società di persone (articolo 17) – 9. società in perdita sistematica (articolo 18) – capitolo iv: semplificazioni riguardanti la fiscalità internazionale – 10. semplificazioni delle dichiarazioni di società o enti che non hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello stato (articolo 19) – 11. comunicazione all’agenzia delle entrate dei dati contenuti nelle lettere d’intento (articolo 20) – 12. comunicazione delle operazioni intercorse con paesi black list (articolo 21) – 13. richiesta di autorizzazione per effettuare operazioni intracomunitarie (articolo 22) – 14. elenchi intrastat servizi (articolo 23) – 15. termini di presentazione della denuncia dei premi incassati dagli operatori esteri (articolo 24) – 16. sanzioni per omissione o inesattezza dati statistici degli elenchi intrastat (articolo 25) – capitolo v: eliminazione di adempimenti superflui – 17. eliminazione della richiesta di autorizzazione dell’agenzia delle entrate (articolo 26) – 18. ritenute su agenti – comunicazione di avvalersi di dipendenti o terzi (articolo 27) – 19. coordinamento, razionalizzazione e semplificazione di disposizioni in materia di obblighi tributari (articolo 28); 19.1 abrogazione della solidarietà passiva in materia di appalti; 19.2 estinzione della società e responsabilità dei liquidatori – capitolo vi: semplificazioni e coordinamenti normativi – 20. modifica al regime di detrazione forfetario delle sponsorizzazioni di cui all’art. 74, sesto comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 (articolo 29); 20.1 enti con opzione per le disposizioni di cui alla legge n. 398 del 1991; 20.2 enti esercenti attività di intrattenimento – 21. adeguamento del valore di riferimento degli omaggi alla disciplinadelle imposte sui redditi (articolo 30) – 22. rettifica iva crediti non riscossi (articolo 31) – 23. regime fiscale dei beni sequestrati (articolo 32) – 24. allineamento definizione prima casa iva – registro (articolo 33); 24.1 definizione “prima casa” – agevolazione iva; 24.2 cessioni di case di abitazione diverse dalla “prima casa” – 24.3 appalti relativi alla costruzione di fabbricati tupini – 25. disposizioni per la cooperazione nell’attività di rilevazione delle violazioni in materia di attestazione della prestazione energetica (articolo 34) – 26. requisiti per l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale e requisiti delle società richiedenti e dei centri autorizzati (articolo 35); 26.1 procedimento di autorizzazione; 26.2 formula organizzativa dei centri; 26.3 relazione tecnica iniziale; 26.4 relazione tecnica annuale; 26.5 controllo agenzia delle entrate – 27. soppressione dell’obbligo di depositare copia dell’appello presso la commissione tributaria provinciale (articolo 36).
«premessa
La presente circolare fornisce i primi chiarimenti in ordine alle novità fiscali contenute nel decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (d’ora innanzi, decreto), recante disposizioni in materia di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata.
Per chiarezza espositiva, la circolare è divisa in sei capitoli, ciascuno dei quali esamina le semplificazioni introdotte dal decreto, distinte in base alla natura giuridica del soggetto interessato dalle stesse (capitoli I e III), oppure in considerazione della natura degli adempimenti fiscali che sono stati semplificati (capitoli II, IV, V).
L’ultimo capitolo, infine, commenta le semplificazioni fiscali ottenute rimuovendo le differenze, sino ad oggi esistenti, all’interno dei diversi comparti impositivi, con riguardo alla definizione di prima casa e al limite di importo oltre il quale le cessioni gratuite di beni non si considerano fuori campo IVA e le spese di rappresentanza comportano l’indetraibilità dell’IVA sugli acquisti [articolo 19-bis primo comma, lettera h), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633].
Nello stesso capitolo sono, inoltre, illustrate:
– le modifiche introdotte al comma 2 dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di note di variazioni in diminuzione a seguito di un accordo di ristrutturazione debiti ex art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito anche l. fall.) o di un piano attestato ex art. 67 l. fall.;
– le novità in materia di regime fiscale dei beni sequestrati.
Le novità in materia di dichiarazione precompilata e di rimborsi IVA, introdotte queste ultime con la riformulazione dell’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, ad opera dell’art. 13 del decreto, saranno esaminate in successivi documenti di prassi, alle stesse appositamente dedicate.
capitolo i: semplificazioni per le persone fisiche
1. semplificazioni in materia di addizionali comunali e regionali all’irpef (articolo 8)
L’art. 8 del decreto interviene sull’art. 50 del d.lgs. n. 446 del 1997 e sull’art. 1 del decreto legislativo n. 360 del 1998, con l’obiettivo di semplificare e uniformare le disposizioni in materia di addizionali regionale e comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Per quanto concerne l’addizionale regionale, l’art. 8, comma 1, del decreto modifica l’art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 446 del 1997, prevedendo che l’addizionale debba essere versata alla regione in cui il contribuente ha il domicilio fiscale al 1° gennaio, e non più al 31 dicembre, dell’anno cui l’addizionale stessa si riferisce.
In tal modo il decreto rende uniforme la data rilevante per la verifica del domicilio fiscale per l’addizionale regionale con quella già prevista per l’addizionale comunale, oggi fissata al 1° gennaio.
Per quanto concerne l’addizionale comunale, l’art. 8, comma 2, del decreto modifica l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 360 del 1998, semplificando il calcolo dell’acconto dell’addizionale comunale; in particolare, è soppressa la previsione che consentiva la possibilità di variare l’aliquota per l’acconto mediante delibere pubblicate entro il 20 dicembre precedente l’anno di riferimento. Per effetto della modifica, l’acconto dell’addizionale comunale sarà sempre calcolato con la stessa aliquota deliberata dal comune per l’anno precedente e validamente pubblicata nel Portale del federalismo fiscale.
Da quanto sopra consegue che, relativamente al periodo d’imposta 2014, l’addizionale regionale all’IRPEF sarà determinata con riferimento al domicilio fiscale al 1° gennaio 2014. Pertanto, nelle certificazioni e nei modelli dichiarativi relativi all’anno d’imposta 2014 (730/2015 e Unico Persone fisiche 2015) non sarà più richiesta l’indicazione del domicilio fiscale al 31 dicembre 2014.
Per quanto concerne l’addizionale comunale, invece, la determinazione dell’acconto 2015 dovrà essere effettuata utilizzando la stessa aliquota prevista per il saldo 2014. Eventuali deliberazioni comunali relative alle aliquote dell’addizionale comunale all’IRPEF per il 2015 troveranno applicazione nel calcolo del saldo della medesima addizionale, che sarà determinato nelle certificazioni e nelle dichiarazioni dei redditi relative all’anno d’imposta 2015.
L’art. 8 del decreto, infine, per semplificare l’attività di predisposizione della dichiarazione dei redditi e l’attività dei sostituti d’imposta, dei centri di assistenza fiscale e degli altri intermediari, prevede, sia per le regioni e le province autonome (comma 1, lett. a), sia per i comuni (comma 3), l’obbligo di comunicare “i dati (…) individuati con decreto del Ministero delle finanze” ai fini della loro pubblicazione sul sito Dipartimento delle finanze.
In questo modo sarà data immediata evidenza ai dati rilevanti per l’applicazione delle addizionali regionale e comunale, prima desumibili esclusivamente dall’esame delle leggi e delle delibere approvate dalle regioni, dalle province autonome e dai comuni.
2. spese di vitto e alloggio dei professionisti (articolo 10)
L’art. 10 del decreto interviene sulla determinazione del reddito di lavoro autonomo, sostituendo il secondo periodo dell’art. 54, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. n. 917 del 1986 (di seguito, TUIR) riguardante il trattamento fiscale delle spese di vitto e alloggio sostenute direttamente dal committente.
Si ricorda che, in base al primo periodo del comma 5 dell’art. 54 del TUIR, non modificato dal decreto, “Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta”.
In base al secondo periodo del medesimo comma, applicabile fino al periodo di imposta 2014, “Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
Con circolari n. 28/E del 2006[1], par. 38, e n. 11/E del 2007[2], par. 7.2 e 7.3, cui si rinvia per approfondimenti, ferma restando la natura di compenso dei rimborsi spese, sono stati specificati gli adempimenti da seguire da parte del committente e del professionista, per consentire al professionista di dedurre integralmente dal reddito di lavoro autonomo le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sostenute dal committente per suo conto. Tali adempimenti prevedono, tra l’altro, il “riaddebito” da parte del professionista delle spese sostenute per suo conto dal committente.
La nuova disposizione, applicabile a decorrere dal periodo d’imposta 2015, prevede, invece, che “Le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.
La disposizione in esame, a differenza di quella in vigore fino al 2014, non attribuendo carattere di “compensi in natura” a talune prestazioni e somministrazioni (se acquistate direttamente dal committente), introduce una deroga al principio generale secondo il quale costituisce compenso per il professionista il rimborso delle spese da parte del committente ovvero il sostenimento delle spese direttamente da parte del committente.
Tale deroga comporta per il professionista la completa irrilevanza dei valori corrispondenti alle prestazioni e somministrazioni, acquistate dal committente, di cui lo stesso professionista ha beneficiato per rendere la propria prestazione, sia quali compensi in natura, sia quali spese per la produzione del reddito (da addebitare in fattura).
Per il committente (impresa o lavoratore autonomo), la deducibilità del costo sostenuto per il servizio alberghiero e/o di ristorazione non sarà più subordinata alla ricezione della parcella del professionista e dipenderà dalle regole ordinariamente applicali alle rispettive categorie reddituali.
Per quanto concerne gli adempimenti, nella relazione illustrativa è chiarito che, per effetto della modifica, “I professionisti (…) non devono ‘riaddebitare’ in fattura tali spese al committente e non possono considerare il relativo ammontare quale componente di costo deducibile dal proprio reddito di lavoro autonomo”.
Tale precisazione descrive le conseguenze essenziali della modifica normativa sugli “adempimenti” da seguire, in base alla disposizione vigente fino al 2014, per fruire della integrale deducibilità delle spese.
Le differenze sono sintetizzate nello schema seguente.
Schema di sintesi delle differenze di trattamento delle spese sostenute dal committente relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande
Fino al 2014: costituisce compenso | Dal 2015: non costituisce compenso |
Il committente riceve da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione, il documento fiscale a lui intestato con l’esplicito riferimento al professionista che ha fruito del servizio. | Il committente riceve da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione, il documento fiscale a lui intestato con l’esplicito riferimento al professionista che ha fruito del servizio. |
Il committente:– comunica al professionista l’ammontare della spesa effettivamente sostenuta;– invia al professionista copia della relativa documentazione fiscale.
In questo momento il costo non è deducibile per l’impresa committente.
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Il committente:– non comunica al professionista l’ammontare della spesa effettivamente sostenuta;– non invia al professionista copia della relativa documentazione fiscale.
Il costo è deducibile per il committente in base alle ordinarie regole applicabili alla propria categoria di reddito (lavoro autonomo o impresa) |
Il professionista:– emette la parcella comprensiva dei compensi e delle spese pagate dal committente;– considera il costo integralmente deducibile, qualora siano state rispettate le predette condizioni. | Il professionista: – emette la parcella non comprendendo le spese sostenute dal committente per l’acquisto di prestazioni alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande; – considera non deducibili le spese sostenute dal committente per l’acquisto di prestazioni alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande. |
L’impresa committente, ricevuta la parcella, imputa a costo la prestazione, comprensiva dei rimborsi spese. | Il costo è deducibile per il committente in base alle ordinarie regole applicabili alla propria categoria di reddito (lavoro autonomo o impresa) |
Per espressa previsione, il secondo periodo del comma 1 dell’art. 54 del TUIR si applica solo alle “prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente”. Di conseguenza, il regime, ivi stabilito, non troverà applicazione nell’ipotesi in cui tali prestazioni e somministrazioni siano acquistate dal lavoratore autonomo e analiticamente addebitate in fattura al committente, né nell’ipotesi di prestazioni diverse, quali ad esempio le spese di trasporto, ancorché acquistate direttamente dal committente.
Quale ulteriore effetto della modifica normativa, si fa presente che le prestazioni e somministrazioni in esame, non costituendo compensi in natura, non devono essere considerate nell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta che, in base al comma 5 dell’art. 54 del TUIR, costituiscono la base di commisurazione:
– del limite del 2% di deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande, fermo restando la loro deducibilità nella misura del 75 per cento del relativo importo (primo periodo);
– del limite dell’1% di deducibilità delle spese di rappresentanza.
Si precisa, infine, che pur facendo riferimento ai “professionisti”, la disposizione in esame deve intendersi generalmente applicabile nella determinazione del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni di cui all’art. 53, comma 1, del TUIR e, quindi, anche agli “artisti”.
2.1 rilevanza per il committente. L’art. 54, comma 5, primo periodo, del TUIR, concernente la determinazione del reddito di lavoro autonomo, e l’art. 109, comma 5, quarto periodo, del medesimo Testo Unico, concernente la determinazione del reddito d’impresa, prevedono la limitazione al 75% della deducibilità delle spese sostenute per prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande.
Al riguardo, si evidenzia che la modifica normativa in esame, stabilendo l’irrilevanza quale compenso in natura delle prestazioni e somministrazioni acquistate dal committente, è diretta a semplificare gli adempimenti in precedenza previsti per dare piena rilevanza fiscale per il professionista delle spese alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande, ma non comporta, per il committente, un trattamento fiscale delle spese in questione peggiorativo rispetto a quello applicabile prima della modifica stessa.
In altri termini, la funzione della spesa deve continuare a ritenersi assorbita dalla prestazione di servizi resa dal professionista beneficiario al committente.
Si ritiene, quindi, che il suddetto limite di deducibilità del 75% non operi per il committente per le spese sostenute per l’acquisto di prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, di cui sono beneficiari i professionisti nel contesto di una prestazione di servizi resa al committente, imprenditore o lavoratore autonomo.
Quanto precede presuppone, naturalmente, che sia dimostrabile l’inerenza della spesa rispetto all’attività del committente, l’effettività della stessa e che dalla documentazione fiscale risultino gli estremi del professionista o dei professionisti che hanno fruito delle prestazioni e somministrazioni.
2.2 redditi di lavoro autonomo non abituale. Considerata la sostanziale identità tra la nozione di compenso riferibile all’attività di lavoro autonomo professionale e quella riferibile all’attività di lavoro autonomo non abituale di cui alla lett. l) del comma 1 dell’art. 67 del TUIR (cfr. circolari nn. 1 del 1973[3] e 58 del 2001[4], risoluzioni nn. 20 del 1998[5], 69 del 2003[6] e 49 del 2013[7]) si ritiene che la disposizione de qua sia applicabile anche nella determinazione dei redditi diversi derivanti da tali attività occasionali.
Pertanto, gli importi relativi alle prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiranno compensi in natura e non saranno deducibili dal reddito di lavoro autonomo non abituale. Quanto precede rileva anche nel caso, diverso da quello oggetto della citata risoluzione n. 49 del 2013, in cui l’attività di lavoro autonomo occasionale non sia sostanzialmente gratuita, in quanto è previsto un compenso di importo eccedente le spese sostenute.
2.3 entrata in vigore. In relazione all’entrata in vigore, l’art. 10 del decreto specifica che “La disposizione di cui al periodo precedente si applica a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015”.
Dato che la disposizione introdotta dal decreto riguarda la determinazione del reddito di lavoro autonomo, è necessario fare riferimento al periodo di imposta dei titolari di reddito di lavoro autonomo, normalmente coincidente con l’anno solare (persone fisiche e associazioni professionali residenti).
Pertanto, la disposizione in esame troverà applicazione dal 1° gennaio 2015. Al riguardo rileverà la data della prestazione alberghiera e delle somministrazioni di alimenti e bevande risultanti dai documenti fiscali emessi da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione, intestati al committente e con l’indicazione degli estremi del professionista che ha fruito del servizio.
3. dichiarazione di successione: esoneri e documenti da allegare (articolo 11)
Con l’art. 11 del decreto sono apportate modifiche agli artt. 28, 30 e 33 del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, approvato con d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (di seguito, TUS), al fine di semplificare gli adempimenti in materia di dichiarazione di successione.
In particolare, l’art. 28, comma 6, del TUS, come integrato dall’articolo 11, lettera a), del decreto, prevede che: “Se dopo la presentazione della dichiarazione della successione sopravviene un evento, diverso da quelli indicati all’art. 13, comma 4, e dall’erogazione di rimborsi fiscali, che dà luogo a mutamento della devoluzione dell’eredità o del legato ovvero ad applicazione dell’imposta in misura superiore, i soggetti obbligati, anche se per effetto di tale evento, devono presentare dichiarazione sostitutiva o integrativa”.
Coerentemente l’art. 33, comma 1, del TUS – che disciplina le modalità di liquidazione dell’imposta sulle successioni da parte dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate – nel testo modificato dalla lettera c) del citato art. 11 prevede che l’Ufficio “liquida l’imposta in base alla dichiarazione della successione, anche se presentata dopo la scadenza del relativo termine ma prima che sia stato notificato l’accertamento d’ufficio, tenendo conto delle dichiarazioni integrative o modificative già presentate a norma dell’articolo 28, comma 6, e dell’art. 31, comma 3, nonché dei rimborsi fiscali di cui allo stesso articolo 28, comma 6, erogati successivamente alla presentazione della dichiarazione di successione”.
Le modifiche degli articoli 28, comma 6, e 33, comma 1, sono dirette a semplificare gli adempimenti dichiarativi degli eredi in presenza di crediti fiscali a favore del de cuius. In sostanza, l’erogazione dei rimborsi fiscali dopo la presentazione della dichiarazione di successione non comporta l’obbligo di presentazione della dichiarazione integrativa.
Per effetto di tali modifiche, l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, nel liquidare l’imposta di successione dovuta, terrà conto degli eventuali rimborsi fiscali erogati dalla stessa Agenzia delle entrate.
In sostanza, le novità in commento sono dirette ad evitare un ulteriore adempimento a carico dell’erede, quando è la stessa Agenzia delle entrate che provvede, sia alla liquidazione dell’imposta di successione sia all’erogazione dei rimborsi.
Le nuove disposizioni si applicano ai rimborsi non ancora riscossi alla data di entrata in vigore del decreto.
L’art. 11 modifica, inoltre, l’art. 28, comma 7, dello stesso TUS, al fine di ampliare i casi di esonero della presentazione della dichiarazione di successione.
Il novellato comma 7 esclude, infatti, l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione nei casi in cui l’eredità è “devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a euro centomila e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare”.
Viene, quindi, innalzato da euro 25.833 ad euro 100.000 il limite di valore dell’attivo ereditario, in relazione al quale non sussiste l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione, al ricorrere delle condizioni di cui al citato art. 28, comma 7.
L’art. 11, lettera b), modifica, infine, l’art. 30 del TUS, che elenca i documenti da allegare alla dichiarazione di successione, inserendo dopo il comma 3, il comma 3-bis, secondo cui “I documenti di cui alle lettere c), d), g), h) e i) possono essere sostituiti anche da copie non autentiche con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’articolo 47, del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante che le stesse costituiscano copie degli originali. Resta salva la facoltà dell’Agenzia delle entrate di richiedere i documenti in originale o in copia autentica”.
Si rammenta che i documenti individuati dal citato art. 30, lettere c), d), g), h) e i) sono:
c) la copia autentica degli atti di ultima volontà dai quali è regolata la successione;
d) la copia autentica dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata dai quali risulta l’eventuale accordo delle parti per l’integrazione dei diritti di legittima lesi;
g) la copia autentica dell’ultimo bilancio o inventario di cui all’art. 15, comma 1, del TUS, e all’art. 16, comma 1, lettera b), nonché delle pubblicazioni e prospetti di cui alla lettera c) dello stesso art. 16 del TUS;
h) la copia autentica degli altri inventari formati in ottemperanza a disposizioni di legge;
i) i documenti di prova delle passività e degli oneri deducibili nonché delle riduzioni e detrazioni di cui agli artt. 25 e 26 del TUS.
Pertanto, in relazione ai predetti documenti – ferma restando la possibilità, da parte dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate di richiedere, ove necessario, i documenti in originale o in copia autentica – il contribuente potrà allegare alla dichiarazione di successione copie non autenticate, unitamente alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000, attestante che le stesse costituiscono copia degli originali, corredata di copia del documento di identità del dichiarante.
Le nuove disposizioni, introdotte dal legislatore per ampliare le ipotesi di esonero dall’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione e semplificare le modalità di presentazione di alcuni documenti da allegare alla dichiarazione, si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto in commento anche con riferimento alle successioni che a tale data risultano già aperte.
In applicazione del principio del favor rei dettato dall’articolo 3, comma 2, del D.lgs. n. 472 del 1997, non si darà, tuttavia, luogo all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei soggetti che abbiano omesso di presentare la dichiarazione di successione entro i termini previsti e che, sulla base delle modifiche introdotte con il decreto in commento, non risultano più tenuti a detto adempimento.
4. abrogazione della comunicazione all’agenzia delle entrate per i lavori che proseguono per più periodi di imposta ammessi alla detrazione irpef delle spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici (articolo 12)
L’art. 12 del decreto semplifica gli adempimenti previsti per la fruizione della detrazione IRPEF e IRES per le spese sostenute per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici di cui all’art. 1, commi da 344 a 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sopprimendo l’obbligo di inviare la comunicazione all’Agenzia delle entrate per i lavori che proseguono per più periodi di imposta.
Tale effetto è ottenuto mediante l’abrogazione del comma 6 dell’art. 29 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che stabiliva, tra l’altro, l’obbligo per i contribuenti interessati alla detrazione di inviare un’apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate nei termini e secondo le modalità previsti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia.
Il provvedimento di attuazione del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 6 maggio 2009, nell’approvare il modello di comunicazione, ne prevedeva la presentazione esclusivamente per interventi di riqualificazione energetica che proseguono oltre il periodo d’imposta, al fine di ridurre il numero dei soggetti obbligati all’adempimento.
La comunicazione doveva essere inoltrata in via telematica entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese ovvero, per i soggetti con il periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, entro 90 giorni dalla fine del periodo di imposta in cui le spese erano state sostenute.
Con circolare n. 21/E del 2010[8], par. 3.5, è stato precisato che l’omesso o irregolare assolvimento dell’adempimento non comporta la decadenza dal beneficio, ma la sola applicazione della sanzione in misura fissa (da euro 258 a euro 2.065) prevista dall’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, nelle ipotesi di omesso o irregolare invio di ogni comunicazione prescritta dalle norme tributarie.
Per quanto evidenziato, la soppressione dell’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate riguarda:
– i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, per le spese sostenute nel 2014 in relazione a lavori che proseguiranno nel 2015;
– i soggetti con il periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, per le spese sostenute nel periodo di imposta rispetto al quale il termine di 90 giorni scada a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto.
In applicazione del principio espresso dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 (c.d. principio del favor rei) devono ritenersi non applicabili le sanzioni indicate nella citata circolare n. 21/E del 2010 anche in relazione a fattispecie di omesso o irregolare invio della comunicazione commesse prima dell’entrata in vigore del decreto per le quali, alla medesima data, non sia intervenuto provvedimento di irrogazione definitivo.
capitolo ii: semplificazioni per i rimborsi
5. rimborso dei crediti d’imposta e degli interessi in conto fiscale (articolo 14)
L’art. 14 del decreto introduce un’importante semplificazione nella procedura per la corresponsione degli eventuali interessi maturati sulle somme chieste a rimborso, modificando l’art. 78, comma 33, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, che disciplina l’esecuzione dei rimborsi in conto fiscale da parte degli agenti della riscossione.
Tale disposizione stabilisce che, insieme alla restituzione del credito chiesto a rimborso, l’Agente della riscossione liquidi e corrisponda i relativi interessi nella misura determinata dalle specifiche leggi di imposta, senza più bisogno di una separata istanza da parte del contribuente (modello G). Gli interessi dovuti saranno, pertanto, corrisposti automaticamente e il diritto alla percezione degli stessi da parte del contribuente non sarà più soggetto ad alcun onere, ma soltanto all’effettiva spettanza.
Per effetto della nuova formulazione del citato art. 78, comma 33, lett. a), viene inoltre, previsto che l’erogazione del rimborso in conto fiscale è effettuata:
– entro 60 giorni, quando il rimborso è erogato direttamente dall’Agente della riscossione;
– entro 20 giorni dalla ricezione di apposita comunicazione dell’Ufficio competente quando, invece, il rimborso è disposto direttamente dall’Agenzia delle entrate.
Gli interessi, quindi, calcolati sul capitale, decorrono nel primo caso dal sessantunesimo giorno, mentre nel secondo caso dal ventunesimo giorno, qualora l’erogazione del rimborso non avvenga entro i predetti termini a causa della mancanza od insufficienza dei fondi, così come disposto dall’art. 20, comma 5, del decreto 28 dicembre 1993, n. 567, recante il regolamento di attuazione dell’art. 78, commi da 27 a 38 della legge n. 413 del 1991.
La nuova formulazione del citato art. 78 si riallinea pienamente con il contenuto della norma secondaria contenuta nel citato decreto n. 567 del 1993, che già prevedeva un diverso termine per l’erogazione dei rimborsi a seconda della specifica tipologia di istanza (rimborso ordinario o semplificato).
Le modifiche all’art. 78, comma 33, della legge n. 413 del 1991 si applicano ai rimborsi erogati a partire dal 1° gennaio 2015. Ne consegue che la nuova disciplina si applica anche ai rimborsi in corso di esecuzione a quella data.
6. compensazione dei rimborsi da assistenza (articolo 15)
La disposizione modifica, in un’ottica di maggiore trasparenza e semplificazione, le modalità attraverso le quali il sostituto d’imposta recupera le ritenute versate in più rispetto al dovuto nonché i rimborsi effettuati nei confronti del sostituito.
A decorrere dal 2015, infatti, i sostituti d’imposta recuperano le somme rimborsate ai sostituiti nel mese successivo a quello in cui è stato effettuato il rimborso – nel limite delle ritenute d’acconto relative al periodo d’imposta in corso al momento della presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’articolo 37, comma 4, del d.lgs. n. 241 del 1997 – mediante compensazione tramite modello F24.
A seguito della modifica, è possibile effettuare la compensazione utilizzando gli importi a debito indicati nella delega di versamento.
In sostanza, il sostituto d’imposta espone il dettaglio emergente dai prospetti di liquidazione e dai risultati contabili nel modello F24, raggruppati per tributo, anche in caso di dichiarazione congiunta. In caso di rateazione, le rate sono calcolate sul risultato contabile a debito.
Le medesime modalità devono essere osservate da parte dei sostituti per il recupero di versamenti di ritenute o imposte sostitutive superiori al dovuto, dando evidenza nel citato modello di pagamento dello scomputo operato dai successivi versamenti, seguendo le modalità di cui al citato art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997.
Le compensazioni sopra richiamate non concorrono alla determinazione del limite di compensazione attualmente fissato in 700.000 euro per ciascun anno solare dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Per le medesime compensazioni effettuate nei limiti delle ritenute relative al periodo d’imposta, in caso di importi superiori a 15.000 euro annui, non sussiste l’obbligo di apposizione del visto di conformità ovvero di sottoscrizione alternativa da parte dei soggetti che esercitano il controllo contabile di cui all’articolo 1, comma 574, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Si fa presente che l’obbligo di apposizione del visto di conformità ovvero di sottoscrizione alternativa sussiste invece nel caso in cui l’eccedenza scaturente dalla dichiarazione sia riportata ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 per compensare i pagamenti di importi diversi dalle ritenute dovuti nell’anno successivo, posto che, come precisato con la circolare n. 28/E del 2014[9], il limite dei 15.000 euro, al cui superamento scatta l’obbligo di apporre il visto di conformità, è riferibile esclusivamente alla compensazione orizzontale dei crediti.
Ai fini di una migliore comprensione delle modifiche normative si ricorda che, originariamente, il sostituto era tenuto ad operare uno scomputo “interno” dei maggiori versamenti effettuati, nel senso che lo scomputo era possibile solo dai versamenti delle ritenute relative alla stessa categoria di reddito nella quale le eccedenze erano maturate, come individuate dall’art. 6 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
A decorrere dal 2000, per effetto delle modifiche introdotte dal d.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, al sostituto è stata riconosciuta la possibilità di compensare le ritenute in eccesso con i versamenti successivi delle ritenute relative a qualsiasi tipo di provento (ad esempio, un’eccedenza di ritenuta da lavoro autonomo poteva essere utilizzata per ridurre un versamento di ritenute applicate sul reddito di lavoro dipendente). Non era, però, previsto che lo scomputo transitasse in F24, dovendo nel modello di versamento essere esclusivamente indicato il versamento a debito del sostituto al netto dell’avvenuto scomputo.
Per effetto della semplificazione, pertanto, le richiamate operazioni effettuate dal sostituto dovranno essere esposte nel modello di pagamento F24. Considerata la necessità di favorire la trasparenza degli adempimenti in capo ai sostituti d’imposta, si chiarisce che le predette modalità di scomputo devono essere adottate per tutte le compensazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2015, indipendentemente dall’anno di formazione delle eccedenze, sempreché la compensazione non sia riferita all’anno 2014. Si tratta, ad esempio, delle ritenute compensate a febbraio 2015 e relative a retribuzioni erogate entro il 12 gennaio 2015 relative al 2014 o delle ritenute compensate nell’ambito del conguaglio relativo al 2014.
Con risoluzione saranno forniti i codici tributo da utilizzare per le compensazioni.
capitolo iii: semplificazioni per le società
7. razionalizzazione comunicazioni dell’esercizio di opzione (articolo 16)
L’art. 16 del decreto, rubricato “Razionalizzazione comunicazioni dell’esercizio di opzione”, semplifica le modalità con cui aderire a regimi speciali, eliminando l’obbligo di inviare apposita comunicazione per perfezionare il regime opzionale prescelto ed accentrando, all’interno della dichiarazione dei redditi, le autonome comunicazioni relative all’esercizio delle stesse.
La finalità perseguita dal Legislatore è quella di ridurre le ipotesi in cui il mancato (o non corretto) adempimento di un onere formale determini conseguenze di carattere sostanziale per il contribuente, con eventuali recuperi d’imposta e irrogazione di sanzioni.
Con analoghe finalità, nel 2012 il Legislatore, a mezzo del d.l. n. 16, ha introdotto l’istituto della remissione in bonis.
Le nuove disposizioni che, in base al comma 5 del medesimo art. 16, si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (e dunque, dal modello Unico 2015), hanno apportato rilevanti modifiche alle disposizioni relative ai seguenti regimi opzionali:
1) Trasparenza fiscale.
Con riferimento alla trasparenza – ossia alla possibilità di imputare il reddito della società partecipata a ciascun socio in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione, indipendentemente dall’effettiva percezione – la disposizione in esame modifica l’art. 115 del d.P.R. n. 917 del 1986 (“TUIR”) al comma 4 che, nella versione previgente, prescriveva che l’opzione fosse esercitata entro il primo degli esercizi sociali di efficacia dell’opzione.
In forza dell’attuale formulazione della disposizione, l’opzione, irrevocabile per tre esercizi sociali della società partecipata ed esercitata da tutte le società, è comunicata all’Amministrazione finanziaria “con la dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione”.
Al riguardo, in forza del richiamo contenuto nell’art. 116 del TUIR all’art. 115, deve ritenersi che le modifiche introdotte trovino applicazione anche in riferimento all’esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria, di cui allo stesso art. 116 del TUIR.
2) Consolidato nazionale.
La disposizione modifica l’art. 119 del TUIR, che disciplina le modalità di esercizio dell’opzione per il consolidato.
Per effetto delle modifiche apportate dalla novella, con decorrenza dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’esercizio congiunto dell’opzione deve essere comunicato all’Agenzia delle entrate con la dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
In altri termini, l’opzione per la tassazione di gruppo – consistente nella determinazione in capo alla società o ente controllante di un unico reddito imponibile, corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti aderenti e, conseguentemente, di un’unica imposta sul reddito delle società del gruppo stesso (cfr. gli articoli 117 e ss. del TUIR) – irrevocabile e vincolante per tre esercizi sociali, non è più esercitata con apposita comunicazione da inviare entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa (cfr. il D.M. 9 giugno 2004).
Va inoltre evidenziato che la modifica introdotta riguarda tanto l’esercizio dell’opzione, quanto il suo rinnovo – secondo la previsione dell’art. 14 del citato D.M. 9 giugno 2004, che per essa dispone l’applicazione delle modalità e dei termini previsti per l’esercizio dell’opzione stessa – ivi compresa l’ipotesi di allargamento dei soggetti facenti parte del consolidato (con l’ingresso, ad esempio, di una o più nuove società).
Non trovano, invece, rappresentazione in dichiarazione altri eventi connessi al consolidato fiscale, quali la comunicazione dell’interruzione della tassazione di gruppo (art. 13 del D.M. 9 giugno 2004) o la comunicazione per l’importo delle perdite residue attribuito a ciascun soggetto in caso di mancato rinnovo dell’opzione (art. 14 del citato D.M.), cui deve essere data evidenza attraverso una separata comunicazione da inviare entro 30 giorni decorrenti, rispettivamente, dal verificarsi dell’evento interruttivo o dal termine per la presentazione della dichiarazione.
Volendo esemplificare, dunque, dal 1° gennaio 2015, si avrà la seguente situazione:
a) società che accedono al consolidato o lo rinnovano a decorrere dal periodo d’imposta 2015: l’opzione sarà esercitata con il modello Unico SC 2015 della società consolidante, da presentare entro il 30 settembre 2015;
b) società che interrompono il consolidato per una delle cause legislativamente previste (ad esempio, per cessazione del requisito del controllo ex art. 124 TUIR, il 1° maggio 2015: presentazione in via telematica da parte della consolidante, entro il 31 maggio 2015, del modello “Comunicazione relativa al regime di tassazione del consolidato nazionale” (reperibile sui siti internet www.agenziaentrate.gov.it e www.finanze.gov.it).
3) “Tonnage tax”.
La disposizione in commento modifica le modalità di esercizio dell’opzione per la tonnage tax che, fino all’intervento della novella normativa, doveva essere esercitata ai sensi dell’art. 155, comma 1, del TUIR, entro tre mesi dall’inizio del periodo d’imposta a partire dal quale si intende fruire della stessa con le modalità di cui al decreto previsto dall’art. 161 (D.M. 23 giugno 2005).
Dal 2015, pertanto, i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lettera a), del TUIR potranno calcolare il proprio reddito imponibile con le modalità proprie del regime in commento qualora comunichino un’opzione in tal senso all’Agenzia delle entrate con la dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
4) Imposta regionale sulle attività produttiva (IRAP).
Viene parzialmente riscritto l’art. 5-bis, del d.lgs. n. 446 del 1997.
La norma, come noto, consente alle società di persone ed agli imprenditori individuali, in contabilità ordinaria, di optare per la determinazione della base imponibile secondo le modalità proprie delle società di capitali e degli enti commerciali.
A seguito delle novità introdotte, la relativa opzione non è più comunicata entro 60 giorni dall’inizio del periodo d’imposta per il quale la si esercita (cfr., sul punto, la circolare n. 60/E del 2008[10]), ma con la dichiarazione IRAP presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale viene esercitata.
8. razionalizzazione delle modalità di presentazione e dei termini di versamento nelle ipotesi di operazioni straordinarie poste in essere da società di persone (articolo 17)
In un’ottica di semplificazione, l’art. 17 del decreto prevede che anche le società di persone ed enti equiparati, con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, utilizzino i “vecchi modelli dichiarativi”, ossia quelli approvati nel corso dello stesso anno nel quale si chiude il periodo d’imposta, così come le società di capitali.
La novità viene introdotta attraverso una modifica dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. 22 luglio del 1998, n. 322, che disciplina le modalità di redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, da cui è stato eliminato il riferimento ai soggetti di cui all’art. 2, comma 2, del d.P.R. n. 322 del 1998 (soggetti IRES).
Prima della modifica normativa, le società di persone ed enti equiparati, anche quando il periodo d’imposta non era coincidente con l’anno solare, erano comunque tenuti ad utilizzare i modelli approvati entro il 31 gennaio dell’anno di presentazione della dichiarazione (anno n+1).
Si ipotizzi una società di persone con periodo d’imposta 1.1.2014-27.07.2014 (anno n). Prima della modifica, per dichiarare tale periodo d’imposta, la società era tenuta ad utilizzare il modello di dichiarazione da approvare entro il 31.01.2015 (anno n+1).
Per effetto della modifica, per dichiarare il medesimo periodo d’imposta, la società può utilizzare il modello di dichiarazione già approvato nel 2014 (anno n).
Con il comma 2 viene riformulato l’art. 17, comma 1, del d.P.R. n. 435 del 2001, che disciplina i termini di versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione dei redditi ed alla dichiarazione IRAP.
In particolare, fermo restando la scadenza del 16 giugno dell’anno di presentazione della dichiarazione per l’effettuazione dei predetti versamenti da parte delle persone fisiche e delle società o associazioni, la modifica normativa interviene sul termine di versamento per le società di persone interessate da operazioni straordinarie (liquidazione, trasformazione, fusione e di scissione). Viene stabilito, infatti, che in tali ipotesi il temine di versamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ed a quella dell’IRAP è il giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione.
Prima della modifica, nel caso di trasformazione di una società di persone (o altra operazione straordinaria o liquidazione) nel periodo compreso tra gennaio e marzo dell’anno, il termine di presentazione della dichiarazione scadeva entro l’anno stesso. Conseguentemente, poiché i termini di versamento erano normativamente ancorati per tali soggetti all’anno di presentazione dichiarazione, gli stessi scadevano in ogni caso il 16 giugno dello stesso anno.
Così, ad esempio, una società di persone che si era trasformata a marzo 2012 doveva presentare la dichiarazione entro dicembre 2012 e versare il saldo entro giugno 2012. Una che si era trasformata ad aprile 2012 doveva presentare la dichiarazione entro gennaio 2013 e versare il saldo entro giugno 2013.
La modifica normativa, che trova applicazione alle operazioni poste in essere a partire dall’entrata in vigore del decreto, consente di eliminare la predetta anomalia che si generava per le società di persone in caso di operazione straordinaria o liquidazione.
9. società in perdita sistematica (articolo 18)
Con le modifiche introdotte con l’art. 18 del decreto, è stato ampliato il c.d. periodo di osservazione per l’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica, di cui all’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, passando così dagli originari tre a cinque periodi d’imposta.
Di conseguenza, il presupposto per l’applicazione di tale disciplina è ora costituito da cinque periodi d’imposta consecutivi in perdita fiscale ovvero, indifferentemente, quattro in perdita fiscale ed uno con reddito imponibile inferiore al c.d. reddito minimo, di cui all’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
In deroga a quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, tale modifica trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso all’entrata in vigore del decreto legislativo che la introduce.
Pertanto, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, la disciplina sulle società in perdita sistematica troverà applicazione per il periodo d’imposta 2014, solo qualora il medesimo soggetto abbia conseguito perdite fiscali per i precedenti cinque periodi d’imposta (ossia, per i periodi 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013) ovvero sia, indifferentemente, in perdita fiscale per quattro periodi (ad esempio, i periodi 2009, 2010, 2012 e 2013) e per uno con reddito imponibile inferiore al c.d. reddito minimo (2011).
capitolo iv: semplificazioni riguardanti la fiscalità internazionale
10. semplificazioni delle dichiarazioni di società o enti che non hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello stato (articolo 19)
L’art. 19 del decreto, con efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, abroga l’art. 4, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede, per le società o enti che non hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato, l’obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi l’indirizzo dell’eventuale stabile organizzazione nel territorio stesso, e in ogni caso, le generalità e l’indirizzo in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari. Pertanto, le società o enti non residenti non avranno più l’obbligo di indicare tali dati nella propria dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2014.
Si tratta, infatti, di dati già in possesso dell’Amministrazione finanziaria.
Con la soppressione di tale adempimento, inoltre, non solo si semplifica la dichiarazione dei redditi per le società o enti non residenti, ma si eliminano anche eventuali incertezze e possibili conseguenze negative in fase di notifica degli atti, in caso di divergenza tra i dati finora indicati da tali soggetti nel modello dichiarativo e quelli presenti nell’anagrafe tributaria.
11. comunicazione all’agenzia delle entrate dei dati contenuti nelle lettere d’intento (articolo 20)
L’art. 20 del decreto interviene sulla disciplina della comunicazione all’Agenzia delle entrate dei dati contenuti nella dichiarazione di intento relativa ad operazioni IVA non imponibili, effettuate da soggetti qualificati come esportatori abituali, modificando l’art. 1, comma 1, lettera c) del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17.
Con provvedimento del 12 dicembre 2014, prot. n. 159674/2014, è stato approvato il modello per la dichiarazione d’intento relativa all’acquisto o importazione di beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, delle relative istruzioni e delle specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati.
La previgente disciplina individuava il soggetto onerato della comunicazione nel cedente o prestatore, prevedendo che questi, ricevuta la dichiarazione dall’esportatore anteriormente all’effettuazione dell’operazione, comunicasse telematicamente all’Agenzia delle entrate i dati dalla stessa risultanti entro il termine di effettuazione della prima liquidazione periodica IVA, mensile o trimestrale, nella quale fossero confluite le operazioni realizzate senza applicazione dell’imposta.
Con riferimento al termine di comunicazione della dichiarazione di intento da parte del cedente o prestatore, si ricorda che, prima delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 4, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, – convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44 – il termine era fissato “entro il giorno 16 del mese successivo”.
A decorrere dal 1° gennaio 2015, la procedura per l’invio e la consegna delle lettere d’intento è radicalmente modificata.
Infatti, l’esportatore è tenuto a trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica. Successivamente l’esportatore curerà la consegna al fornitore – o in dogana – della dichiarazione di intento e della relativa ricevuta di presentazione presso l’Agenzia.
Il fornitore sarà, pertanto, tenuto a verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle entrate prima di effettuare la relativa operazione, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 7, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, come riformulato per tenere conto delle nuove modalità applicative dell’istituto.
Il riscontro, a regime, potrà essere effettuato secondo due modalità alternative. Da subito, per tutti gli operatori, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it è resa disponibile una funzione a libero accesso attraverso la quale, inserendo il codice fiscale del cedente/prestatore, del cessionario/committente nonché il numero di protocollo della ricevuta telematica, sarà possibile effettuare il predetto riscontro telematico.
A breve, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o Fisconline sarà possibile verificare nel proprio cassetto fiscale l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento da parte del cessionario/committente, unitamente alla ricevuta telematica. Questa seconda modalità richiede tempi tecnici, per cui sarà inizialmente visibile solo la ricevuta e, successivamente, anche il documento.
Il medesimo fornitore provvederà, infine, a riepilogare i dati delle dichiarazioni di intento ricevute nella dichiarazione IVA annuale.
Inoltre, le nuove disposizioni mantengono in vigore alcuni preesistenti obblighi in capo al dichiarante ed al fornitore, quali la tenuta ed aggiornamento del registro a norma dell’art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni; per le dichiarazioni ricevute, il fornitore dovrà continuare ad indicare gli estremi delle stesse nelle fatture emesse, indicando il regime di non imponibilità.
Con riferimento all’ipotesi di presentazione della lettera di intento presso la dogana si rileva che, in armonia con lo spirito della disposizione in commento, è previsto che l’Agenzia delle entrate metta a disposizione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nel termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni in esame, l’accesso alla Banca dati delle dichiarazioni di intento, al fine di fornire uno strumento idoneo a garantire una celere circolazione delle informazioni necessarie all’espletamento degli adempimenti doganali.
Come accennato, in considerazione della nuova struttura della fattispecie di comunicazione delle dichiarazioni d’intento, il legislatore ha modificato la disciplina sanzionatoria contenuta nell’art. 7, comma 4-bis, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, recante la disciplina delle “Violazioni relative alle esportazioni”.
Tale disposizione, nella formulazione previgente, puniva con la sanzione dal cento al duecento per cento dell’imposta il cedente o il prestatore che ometteva di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di intento o la inviava con dati incompleti o inesatti. Tale sanzione è attualmente applicabile laddove il cedente o prestatore effettui operazioni nei confronti dell’esportatore abituale prima di aver ricevuto da parte di questi la dichiarazione d’intento ed averne riscontrato l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate.
Le disposizioni richiamate trovano applicazione per le operazioni senza applicazione d’imposta da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015, a nulla rilevando la circostanza che l’esportatore abituale abbia già inviato al proprio fornitore o prestatore la lettera d’intento, secondo la precedente disciplina. Nondimeno, la decorrenza delle nuove disposizioni deve essere coordinata con l’emanazione del citato provvedimento di attuazione del 12 dicembre 2014, che ha stabilito le concrete modalità applicative della nuova procedura di comunicazione e predisposto gli strumenti tecnici necessari nonché con i principi recati dallo Statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212.
In particolare, il punto 5 del Provvedimento – Decorrenza e disposizioni transitorie – prevede che, fino all’11 febbraio 2015, gli operatori possono consegnare o inviare la dichiarazione d’intento al proprio cedente o prestatore secondo le modalità previgenti. Tale previsione consente di dare piena attuazione ai principi contenuti nello Statuto del contribuente che, all’articolo 3, comma 2, richiede che le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. In tal caso, il fornitore non dovrà verificare l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate.
Rimane, comunque, salva la possibilità per gli operatori di avvalersi del nuovo sistema di presentazione in via telematica disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle entrate.
In ossequio al dato testuale della disposizione – che individua, come discrimine per l’entrata in vigore delle nuove regole, le operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2015 – viene previsto che, per le dichiarazioni d’intento già consegnate o inviate secondo le precedenti regole che esplicano, tuttavia, effetti per operazioni poste in essere successivamente all’11 febbraio 2015, sussiste l’obbligo di applicare la nuova disciplina, a partire dal 12 febbraio 2015.
Pertanto, eventuali dichiarazioni d’intento inviate nel corso del 2014 o dopo il 1° gennaio 2015, laddove riferite ad operazioni effettuate successivamente all’11 febbraio 2015, dovranno essere effettuate secondo le modalità indicate dalla nuova disciplina.
12. comunicazione delle operazioni intercorse con paesi black list (articolo 21)
L’art. 21 del decreto semplifica le modalità con cui adempiere all’obbligo di comunicazione delle operazioni economiche intercorse con Paesi black list.
In particolare, la stessa interviene sull’art. 1, comma 1, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, che detta le disposizioni in materia di contrasto alle frodi fiscali e finanziarie internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere».
Secondo la disciplina previgente, i soggetti passivi IVA avevano l’obbligo di comunicare telematicamente all’Agenzia delle entrate tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo superiore ad euro 500 effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi black list. Tali comunicazioni avevano cadenza mensile o trimestrale a seconda dell’ammontare delle operazioni da comunicare.
La nuova disposizione semplifica tale disciplina, prevedendo che i dati relativi ai rapporti intercorsi con Paesi black list siano forniti con cadenza annuale ed elevando ad euro 10.000 la soglia di valore complessivo delle operazioni da comunicare.
Con riferimento alla nozione di “importo complessivo annuale” si ricorda che, in sede del prescritto esame del decreto da parte delle Commissioni parlamentari competenti, il parere favorevole delle stesse, è stato condizionato all’espresso ed inequivoco chiarimento che il limite del 10.000 euro introdotto dall’art. 21 si intende non per singola operazione, come a legislazione previgente, ma come limite complessivo annuo, con la conseguenza di prevedere l’obbligo di comunicazione una volta superato il limite di 10.000 euro di valore complessivo di operazioni.
Sul punto, coerentemente con l’indicazione fornita dal Parlamento, si ritiene che tale importo complessivo annuale debba riferirsi al complesso delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate e ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. black list.
Le nuove norme si applicano, per espressa previsione dell’art. 21 del decreto, alle operazioni, interessate dall’obbligo, poste in essere nell’anno solare in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
Come già rappresentato nel comunicato stampa del 19 dicembre 2014, per evidenti finalità di semplificazione e per consentire gli adempimenti dell’intero anno 2014 secondo le regole già adottate per la maggior parte dell’anno, evitando in tal modo di introdurre maggiori oneri, i contribuenti possono continuare ad effettuare le comunicazioni mensili o trimestrali secondo le regole previgenti, fino alla fine del 2014. Tali comunicazioni saranno ritenute pienamente valide secondo le nuove modalità previste dall’art. 21 del decreto.
Al riguardo si precisa che la facoltà per gli operatori economici di assolvere all’adempimento con riferimento alle comunicazioni relative all’anno 2014 secondo le regole previgenti, consente di non effettuare le comunicazioni per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo inferiore a 500 euro, anche se effettuate o ricevute dalla data di entrata in vigore del decreto fino al 31 dicembre 2014. Pertanto, stante la facoltà riconosciuta agli operatori di applicare le regole previgenti all’art. 21 del decreto, per tali operazioni potrà essere omessa la comunicazione prevista dal predetto articolo 21, anche se le stesse sono di importo complessivo superiore a 10.000 euro.
Poiché la norma è entrata in vigore il 13 dicembre 2014, deve ritenersi che eventuali violazioni commesse in vigenza della precedente formulazione che, per effetto delle modifiche, non siano più da considerare illecito, in applicazione dell’articolo 3, comma 3, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non siano sanzionabili, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto già definitivo.
13. richiesta di autorizzazione per effettuare operazioni intracomunitarie (articolo 22)
All’art. 35 del d.P.R. n. 633 del 1972 sono state apportate alcune importanti modifiche finalizzate a consentire, ai soggetti che intendono operare in ambito comunitario, l’immediata inclusione nella banca dati di cui all’art. 17 del regolamento del Consiglio, del 7 ottobre 2010 (UE) n. 904/2010, le cui informazioni sono scambiate tra i Paesi aderenti mediante il Vat Information Exchange System (di seguito banca dati VIES).
In particolare, la nuova disposizione modifica l’art. 35 del d.P.R. n. 633 del 1972, intervenendo sui commi 7-bis (sostituito), 7-ter (abrogato), 15-bis (integrato), 15-quater (abrogato).
Le predette modifiche vengono introdotte allo scopo di assicurare una maggiore conformità della disciplina IVA nazionale al diritto comunitario ed hanno l’effetto di rispondere alle esigenze di maggiore speditezza del sistema, manifestate dagli operatori interessati ad effettuare scambi di beni e servizi con altri operatori dell’Unione europea.
L’art. 35, comma 2, lettera e-bis), del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che i soggetti interessati ad effettuare operazioni intracomunitarie, di cui al Titolo II, Capo II, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, devono far risultare “la volontà di effettuare dette operazioni” nella dichiarazione di inizio di attività ovvero in altra dichiarazione successiva.
Prima della modifica in commento, il comma 7-bis del medesimo articolo prevedeva che l’Ufficio competente potesse emettere un provvedimento di diniego ad effettuare tali operazioni, entro 30 giorni dalla relativa manifestazione di volontà.
Nel predetto lasso di tempo, il contribuente non poteva porre in essere né cessioni o acquisti intracomunitari di beni né scambi di servizi intra UE. Tali operazioni potevano essere poste in essere soltanto a partire dallo scadere di tale termine se, a seguito del controllo preventivo, non fosse intervenuto il provvedimento di diniego.
Ne derivava che la soggettività passiva d’imposta poteva risultare limitata nel predetto periodo alle sole operazioni domestiche e a quelle intercorse con soggetti extra UE.
In seguito alla modifica normativa in commento, il soggetto passivo – diversamente da quanto precedentemente disposto – ottiene l’iscrizione nella banca dati VIES già al momento della attribuzione della partita IVA o, se la volontà di effettuare operazioni intracomunitarie è manifestata successivamente, al momento in cui manifesta tale volontà.
Per i soggetti già titolari di partita IVA, la richiesta di inclusione nella banca dati VIES potrà avvenire esclusivamente in modalità telematica, tramite i servizi on line disponibili sul sito dell’Agenzia delle entrate, e l’inclusione nella stessa banca dati avrà effetto immediato.
Per coloro invece che dichiarano di volere effettuare operazioni intracomunitarie (art. 35, comma 2, lett. e-bis) in sede di dichiarazione di inizio attività, l’inclusione nella banca dati VIES avverrà contestualmente all’attribuzione ai medesimi soggetti della Partita IVA.
Il nuovo comma 7-bis dell’art. 35 prevede, inoltre, una prima ragione di esclusione dei soggetti passivi dalla banca dati VIES. L’esclusione può, infatti, essere disposta nel caso in cui i predetti soggetti non abbiano presentato alcun elenco riepilogativo delle operazioni intracomunitarie per quattro trimestri consecutivi. In tal caso, la norma presume che gli stessi non intendano più effettuare operazioni intracomunitarie e, pertanto, l’Ufficio, previo invio di apposita comunicazione all’interessato, procede all’esclusione della relativa partita IVA dal VIES.
Al riguardo si ritiene che la verifica sui quattro trimestri consecutivi di mancata presentazione degli elenchi Intra operi dal momento di entrata in vigore della disposizione in argomento, essendo ininfluenti i trimestri antecedenti l’entrata in vigore del decreto.
Pertanto, l’Agenzia delle entrate procederà alla cancellazione dalla Banca dati VIES dei soggetti iscritti a partire dall’anno successivo all’entrata in vigore del decreto, inviando, a tal fine, un’apposita comunicazione per assicurare al contribuente un’adeguata informazione e consentire gli adempimenti conseguenti. Per le medesime finalità, l’esclusione avrà effetto a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di spedizione della comunicazione da parte dell’Ufficio competente.
Pertanto, nel periodo intercorrente tra il ricevimento della comunicazione e la cancellazione, il contribuente interessato a conservare l’iscrizione potrà rivolgersi all’Ufficio competente per le attività di controllo ai fini dell’IVA, al fine di superare la presunzione di cui al comma 7-bis dell’art. 35 del d.P.R. n. 633/72, fornendo la documentazione di tutte le operazioni intracomunitarie effettuate nel predetto periodo dei quattro trimestri di riferimento previsto dalla norma, ovvero fornire adeguati elementi circa la operazioni intracomunitarie in corso o da effettuare.
In alternativa il contribuente può manifestare l’intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie.
Resta inteso che l’ufficio applicherà, nel caso in cui ricorrano i relativi presupposti, le sanzioni previste dall’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997.
I soggetti esclusi, ove si manifesti successivamente l’esigenza di effettuare operazioni intracomunitarie, potranno comunque nuovamente richiedere l’inclusione nella Banca dati VIES.
Per le operazioni effettuate in vigenza della precedente normativa, si ritiene applicabile il principio del favor rei, previsto dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. del 18 dicembre 1997 n. 472, ai sensi del quale “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”.
Per effetto di tale principio, non è, pertanto, più sanzionabile il comportamento posto in essere da un soggetto passivo che avesse effettuato operazioni intracomunitarie prima che fossero trascorsi i trenta giorni entro i quali, ai sensi del vecchio comma 7-bis, l’Ufficio avrebbe potuto emettere un provvedimento di diniego all’iscrizione al VIES.
In particolare, qualora il provvedimento di irrogazione delle sanzioni non sia divenuto definitivo, non saranno applicabili le sanzioni previste dall’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471.
14. elenchi intrastat servizi (articolo 23)
L’art. 23 del decreto prevede che, con provvedimento dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, di concerto con il Direttore dell’Agenzia delle entrate e d’intesa con l’ISTAT, da emanarsi, ai sensi dell’art. 50, comma 6-ter, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, sono apportate modifiche al contenuto degli elenchi riepilogativi relativi alle prestazioni di servizi generiche – vale a dire alle prestazioni di servizi per le quali il presupposto territoriale si realizza nello Stato in cui è stabilito il committente – rese a soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro dell’UE e quelle da questi ultimi ricevute, diverse da quelle di cui agli artt. 7-quater e 7-quinquies del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Le modifiche in questione sono volte alla semplificazione del contenuto informativo delle specifiche sezioni dei modelli Intrastat (rispettivamente: INTRA1-quater, servizi resi registrati nel periodo, INTRA1-quinquies; rettifiche ai servizi resi indicati in sezioni 3 di periodi precedenti, INTRA2-quater; servizi ricevuti registrati nel periodo, INTRA2-quinquies rettifiche ai servizi ricevuti indicati in sezioni 3 di periodi precedenti) relative alle prestazioni di servizi rese o ricevute, il quale viene ridotto alle seguenti informazioni:
– numeri d’identificazione IVA delle controparti,
– valore totale delle transazioni;
– codice indicativo del tipo di prestazione resa o ricevuta;
– Paese di pagamento.
Conseguentemente, viene disposta l’abrogazione dell’obbligo di fornire le altre informazioni, quali il numero e la data della fattura, le modalità di incasso o pagamento dei corrispettivi e di erogazione del servizio, non essendo le stesse essenziali ai fini di un’analisi del rischio. In tal modo, gli obblighi informativi connessi alle prestazioni di servizio intracomunitarie vengono maggiormente adeguati agli standard degli altri Paesi europei.
Le nuove modalità di compilazione si rendono applicabili a partire dalla data che sarà indicata dal Provvedimento.
15. termini di presentazione della denuncia dei premi incassati dagli operatori esteri (articolo 24)
L’art. 24 del decreto introduce alcune modifiche all’art. 4-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216, che disciplina l’applicazione dell’imposta sui premi per i contratti conclusi da imprese di assicurazione che operano in Italia in regime di libera prestazione di servizi.
In particolare, con la previsione recata dalla lettera a) dell’art. 24 del decreto viene sostituito il comma 5 del citato art. 4-bis, che definisce il termine di presentazione della denuncia dei premi da parte del rappresentante fiscale delle imprese estere operanti sul territorio nazionale in regime di libera prestazione di servizi.
Nella nuova formulazione, il comma 5 del citato art. 4-bis prevede che “Il rappresentante fiscale deve presentare entro il 31 maggio di ciascun anno, con le modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, la denuncia dei premi ed accessori incassati nell’anno solare precedente, distinguendo i premi stessi per categoria e per aliquota applicabile. Si applicano al rappresentante fiscale le disposizioni dell’articolo 9”.
Sulla base di tale disposizione, dunque, il rappresentante fiscale delle imprese estere deve procedere alla presentazione di una denuncia annuale (e non più mensile) dei premi ed accessori incassati nell’anno solare precedente, entro il 31 maggio di ciascun anno.
Analoga previsione è stata, inoltre, inserita con riferimento alle imprese di assicurazione estere che non si avvalgono di un rappresentante fiscale.
Anche tali soggetti, infatti, per effetto delle modifiche introdotte con la lettera b) dell’art. 24 del decreto, al comma 6-bis dell’art. 4-bis, sono tenuti alla presentazione di una denuncia annuale dei premi ed accessori incassati nell’anno solare precedente, entro il 31 maggio di ciascun anno.
Tali modifiche sono state introdotte dal legislatore al fine di uniformare i termini di presentazione della denuncia dei premi incassati dagli assicuratori esteri, operanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi, con quelli previsti per le imprese stabilite in Italia.
Per effetto del richiamo dell’art. 9 della legge n. 1216 del 1961 che disciplina gli adempimenti dichiarativi e di versamento delle imprese di assicurazione, sono estese anche agli assicuratori esteri operanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi alcune previsioni già applicate per gli operatori nazionali.
Trattasi, in particolare, del comma 4 del citato art. 9, ai sensi del quale “Sulla base della denuncia l’ufficio del registro procede entro il 15 giugno alla liquidazione definitiva dell’imposta dovuta per l’anno precedente. L’ammontare del residuo debito o dell’eccedenza di imposta, eventualmente risultante dalla predetta liquidazione definitiva, deve essere computato nel primo versamento mensile successivo a quello della comunicazione della liquidazione da parte dell’ufficio del registro”.
Poiché la denuncia da presentare entro il 31 maggio di ogni anno si riferisce ai premi ed accessori incassati nell’anno solare precedente, si è dell’avviso che, per gli assicuratori esteri, il nuovo termine di presentazione della dichiarazione trovi applicazione in relazione ai premi ed accessori incassati a decorrere dal 1° gennaio 2015.
Pertanto, tali soggetti – qualora abbiano presentato tutte le denunce mensili per i premi incassati nel 2014 – presenteranno la prima dichiarazione annuale entro maggio 2016, relativamente ai premi ed accessori incassati nel 2015.
Diversamente i soggetti che non abbiano presentato tutte le denunce mensili per i premi incassati nel 2014 avranno l’obbligo di presentare la predetta denuncia annuale al fine di veder liquidata l’imposta definitiva entro il 15 giugno e di poter computare l’eventuale debito/credito che residua entro il primo versamento mensile successivo a quello di comunicazione della liquidazione da parte dell’Agenzia delle entrate.
Resta, in ogni caso, fermo l’obbligo di trasmettere entro il termine del 31 maggio 2015 la comunicazione degli importi annualmente versati alle province, distinti per contratto ed ente di destinazione, secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 4, del D.lgs. 6 maggio 2011, n. 68 e successive modificazioni ed integrazioni.
16. sanzioni per omissione o inesattezza dati statistici degli elenchi intrastat (articolo 25)
L’art. 25 del decreto sostituisce il comma 5 dell’art. 34 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, in materia di sanzioni per omessa o inesatta comunicazione dei dati statistici degli elenchi Intrastat.
La novella normativa è finalizzata a limitare e semplificare l’onere comunicativo-statistico, nella considerazione che gli eventuali errori commessi in sede di adempimento comunicativo hanno natura formale, in quanto non idonei ad arrecare un danno erariale.
In particolare, l’omissione o l’inesattezza dei dati statistici negli elenchi Intrastat – punita, dall’art. 11 del d.lgs. n. 322 del 1989, con la sanzione da 516,00 a 5.164,00 euro – si applica alle sole imprese che rispondono ai requisiti indicati nei decreti del Presidente della Repubblica emanati annualmente, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del citato d.lgs. n. 322 del 1989.
Tale disposizione prevede, al comma 1, secondo periodo, che “(…) è annualmente definita, in relazione all’oggetto, ampiezza, finalità, destinatari e tecnica di indagine utilizzata per ciascuna rilevazione statistica, la tipologia di dati la cui mancata fornitura, per rilevanza, dimensione o significatività ai fini della rilevazione statistica, configura violazione dell’obbligo di cui al presente comma”.
In forza dell’ultimo decreto pubblicato, trattasi delle imprese che realizzano scambi commerciali con i paesi dell’Unione europea per un ammontare pari o superiore a 750 mila euro, secondo quanto indicato nel d.P.R. 19 luglio 2013 (pubblicato nella GU-Serie Generale n. 201 del 28 agosto 2013).
La norma in commento precisa, infine, che la sanzione prevista dal citato art. 11 del d.lgs. n. 322 del 1989 è applicata una sola volta per ogni elenco Intrastat mensile inesatto o incompleto, a nulla rilevando il numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nello stesso.
capitolo v: eliminazione di adempimenti superflui
17. eliminazione della richiesta di autorizzazione dell’agenzia delle entrate (articolo 26)
L’art. 26 del decreto è intervenuto sulla procedura che disciplina la deducibilità delle quote di ammortamento finanziario per le concessioni relative alla costruzione e all’esercizio di opere pubbliche, di cui al comma 4 dell’art. 104 del TUIR.
In particolare, la disposizione riduce gli adempimenti a carico dei soggetti operanti nei predetti settori, eliminando la previsione secondo cui la deduzione di quote di ammortamento, determinate in misura diversa da quella ordinaria (ossia, per quote costanti), doveva essere oggetto di un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Per le imprese concessionarie di servizi pubblici, in relazione ai beni gratuitamente devolvibili al termine della concessione, che ne regola la costruzione e l’esercizio (vale a dire su quei beni che l’impresa ottiene in concessione da un ente pubblico con l’obbligo di restituirli all’ente concedente al termine della durata della concessione), l’art. 104, comma 1, del TUIR consente di dedurre quote di ammortamento finanziario in luogo delle ordinarie quote di ammortamento tecnico previste dagli artt. 102 e 103 del medesimo TUIR.
L’ammortamento finanziario anzidetto deve essere calcolato, dunque, in quote costanti determinate dividendo il costo dei beni gratuitamente devolvibili (diminuito degli eventuali contributi del concedente) per il numero degli anni di durata della concessione, considerando tali anche le frazioni (cfr. comma 2, dell’art. 104 del TUIR).
Per le concessioni relative alla costruzione e all’esercizio di opere pubbliche, il comma 4 dell’art. 104, del TUIR, nella versione previgente, ammetteva la deduzione di quote di ammortamento finanziario “differenziate” anziché costanti – da calcolare sull’investimento complessivo realizzato in rapporto proporzionale alle quote previste nel piano economico finanziario della concessione – previa autorizzazione mediante un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Si ricorda che tale decreto, a seguito dell’istituzione delle Agenzie fiscali, è stato surrogato da un provvedimento di autorizzazione emanato dal direttore dell’Agenzia delle entrate.
In sintesi, le imprese operanti nel settore della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche in concessione potevano ammortizzare il costo dei beni in uso in quote costanti oppure, previa autorizzazione, dedurre quote di ammortamento differenziate proporzionali alle quote previste nel piano economico finanziario della concessione. Tale ultimo aspetto, quindi, imponeva l’onere, ogni qual volta tali imprese provvedevano a rideterminare il proprio c.d. piano economico finanziario, di richiedere la predetta autorizzazione.
Con la soppressione di parte del comma 4 dell’art. 104 del TUIR, operata con l’art. 26 del decreto, non è più richiesto ai predetti soggetti di adempiere alla descritta procedura.
Tale semplificazione, come precisato nella relazione al decreto, si fonda sulla “(…) rilevanza del piano economico finanziario, che risulta approvato dal concedente e costituisce parte integrante della concessione relativa alla costruzione e all’esercizio di opere pubbliche”.
Nel previgente sistema, con il citato provvedimento del direttore, si autorizzava la deduzione di quote di ammortamento differenziate in rapporto proporzionale a quelle previste nel piano economico finanziario della concessione. Pertanto, fermo restando il rispetto del principio di imputazione, di cui al comma 4 dell’art. 109 del TUIR, il provvedimento del direttore poteva consentire la deduzione di quote differenziate in rapporto proporzionale a quelle individuate nel piano, sempreché proporzionali.
In conseguenza dell’eliminazione del citato provvedimento del direttore, si ritiene consentita la deduzione di quote di ammortamento secondo lo stesso criterio di proporzionalità adottato nel piano economico finanziario della concessione, nei limiti della quota imputata in bilancio.
La disposizione in commento trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in commento. Pertanto, per le imprese con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, si applica a decorrere dal 2014.
In altri termini, le imprese operanti nel settore della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche in concessione che sottoscrivono una convenzione (oppure adeguano il loro piano economico finanziario) a partire dal periodo d’imposta 2014 (per i soggetti con esercizio corrispondente all’anno solare), avranno la possibilità di dedurre il costo dei beni in uso:
– secondo i coefficienti tabellari di cui al decreto 31 dicembre 1988 (art. 102 del TUIR);
– in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge (art. 103 del TUIR);
– in quote costanti (comma 1, art. 104 del TUIR);
– in quote differenziate, in rapporto proporzionale a quelle previste nel piano economico finanziario, senza la necessità di richiedere alcuna autorizzazione (comma 4, art. 104 del TUIR).
In considerazione del nuovo assetto normativo, per garantire la semplificazione degli adempimenti, si ritiene che per le medesime tipologie di imprese che hanno sottoscritto una convenzione (oppure hanno adeguato il loro piano economico finanziario) in periodi d’imposta precedenti al 2014 (per i soggetti con esercizio corrispondente all’anno solare) le quote indicate nel bilancio relativo all’esercizio 2014 risultano deducibili secondo le modalità di cui ai punti precedenti, a prescindere dall’esistenza o meno di provvedimento di autorizzazione dell’Agenzia.
Diversamente, per le quote contabilizzate negli esercizi precedenti al 2014, in mancanza di autorizzazione, è consentita esclusivamente la deduzione secondo quanto disposto al comma 1 dell’art. 104 del TUIR (quote costanti).
In ultimo, alla luce dell’evoluzione del sistema giuridico e fiscale avente ad oggetto il settore della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche in concessione, appare opportuno fornire alcune precisazioni concernenti l’ultimo inciso del comma 4, dell’art. 104 del TUIR in esame, in cui si prevede che le quote di ammortamento differenziato deducibili siano determinate “includendo nel costo ammortizzabile gli interessi passivi anche in deroga alle disposizioni del comma 1 dell’articolo 110”.
Tale disposizione, derogando al comma 1 dell’articolo 110, garantiva che le modalità con cui si contabilizzavano in bilancio le quote di ammortamento, secondo quanto disposto dagli schemi di convenzione vigenti, fossero coerenti con la misura con cui le stesse potevano essere dedotte (previa autorizzazione).
Infatti, a fronte della previsione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’art. 110 del TUIR per cui la capitalizzazione degli interessi passivi era consentita fino al momento di entrata in funzione del relativo bene, la citata deroga di cui al comma 4 dell’art. 104 consentiva la capitalizzazione dei predetti oneri finanziari anche oltre il momento di entrata in funzione dei relativi beni, in linea con quanto eventualmente previsto dagli schemi di convenzione all’epoca vigenti.
Sotto il profilo giuridico, le modifiche apportate con le disposizioni di cui all’art. 2, commi 82-90, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286), come ulteriormente modificato dall’art. 1, comma 1030, della legge finanziaria 2007 (n. 296/2006), hanno introdotto un nuovo schema unico di convenzione che non prevede alcuna regola specifica in merito alle modalità con cui devono essere capitalizzati gli oneri finanziari. Pertanto, l’imputazione degli oneri finanziari risulta orientata esclusivamente dalla corretta applicazione delle regole contabili adottate in bilancio (principi contabili nazionali ed internazionali).
In tale nuovo contesto, l’applicazione della deroga contenuta nel comma 4 dell’art. 104 del TUIR imporrebbe alle sole imprese che si occupano della costruzione e dell’esercizio di opere pubbliche in concessione di considerare un costo fiscale dei beni gratuitamente devolvibili diverso rispetto al valore iscritto in bilancio, determinando, conseguentemente, un disallineamento fra valori contabili e fiscali.
Pertanto, si ritiene necessario superare il dato letterale dell’ultimo inciso del comma 4 dell’art. 104 del TUIR in quanto la deroga all’articolo 110, non rispondendo alla sua funzione originaria, risulterebbe incoerente con la ratio della norma in commento, ossia quella di garantire l’allineamento tra il trattamento contabile, derivante dalla convenzione, e le regole di deducibilità fiscale.
Va da sé che, qualora i contribuenti avessero adottato un comportamento difforme rispetto a quello appena indicato non si ritengono applicabili le sanzioni a causa dell’esistenza di obiettive condizioni di incertezza.
18. ritenute su agenti – comunicazione di avvalersi di dipendenti o terzi (articolo 27)
L’art. 25-bis, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’acconto dell’IRPEF o dell’IRES dovuta dai percipienti all’atto del pagamento delle provvigioni comunque denominate per le prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari, salve le eccezioni previste nell’articolo medesimo.
Per espressa previsione del secondo comma, la base imponibile della ritenuta è pari al cinquanta per cento dell’ammontare delle provvigioni. Se i percipienti dichiarano ai loro committenti, preponenti o mandanti che, nell’esercizio della loro attività, si avvalgono in via continuativa dell’opera di dipendenti o di terzi, la ritenuta è pari al venti per cento dell’ammontare delle provvigioni stesse.
L’attuale disciplina della dichiarazione, cui è subordinata l’applicazione della ritenuta sul 20 per cento della provvigione, è dettata dal D.M. 16 aprile 1983, previsto dal settimo comma dell’art. 25-bis.
Al riguardo, si evidenzia che l’art. 3 del D.M. 16 aprile 1983 prevede, tra le altre cose, che:
– la dichiarazione debba essere spedita al committente, preponente o mandante, per ciascun anno solare, entro il 31 dicembre dell’anno precedente mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (primo comma);
– se le condizioni previste per la riduzione al venti per cento della base imponibile della ritenuta si verificano in corso d’anno, la relativa dichiarazione deve essere presentata non oltre quindici giorni da quello in cui le condizioni stesse si sono verificate. Entro lo stesso termine devono essere dichiarate le variazioni in corso d’anno che fanno venire meno le predette condizioni (secondo comma);
– se per l’anno o frazione di anno in cui ha inizio l’attività il percipiente, presumendo il verificarsi delle relative condizioni, intende avvalersi della riduzione al venti per cento della base imponibile delle ritenute, deve farne dichiarazione non oltre i quindici giorni successivi alla stipula dei contratti, o accordi, di commissione, di agenzia, di rappresentanza di commercio e di procacciamento d’affari o alla eseguita mediazione (terzo comma).
In tale contesto, l’art. 27 del decreto sostituisce il settimo comma dell’art. 25-bis in esame, stabilendo che il decreto di attuazione dovrà prevedere che la dichiarazione:
– possa essere trasmessa anche tramite posta elettronica certificata (secondo periodo);
– non possa avere limiti di tempo e sarà valida fino a revoca ovvero fino alla perdita dei requisiti da parte del contribuente (terzo periodo).
Sebbene l’attuazione dell’art. 27 del decreto sia demandata a un decreto ministeriale di attuazione, si ritiene che – nelle more dell’adozione del decreto di attuazione e coerentemente con le finalità di semplificazione della legge delega – sia possibile la trasmissione della dichiarazione prevista dal D.M. 16 aprile 1983 anche tramite posta elettronica certificata, rispettando comunque i termini ivi previsti.
La dichiarazione, trasmessa con raccomandata con avviso di ricevimento o mediante posta elettronica certificata, conserverà validità al fini dell’applicazione della ritenuta sul venti per cento dell’ammontare delle provvigioni anche oltre l’anno cui si riferisce. In altri termini, le dichiarazioni inviate dall’agente e dalle altre figure previste dall’art. 25-bis entro il 31 dicembre 2013 o entro i 15 giorni successivi al verificarsi dei presupposti, oppure ancora entro i 15 giorni successivi alla stipula dei contratti o alla esecuzione della mediazione conservano validità fino alla perdita dei requisiti. Pertanto, in tali casi, nel presupposto del mantenimento dei requisiti previsti dal D.M. 16 aprile 1983, non dovrà essere nuovamente inviata la dichiarazione entro il 31 dicembre 2014.
Rimane fermo l’obbligo di dichiarare con le medesime modalità il venire meno delle predette condizioni entro 15 giorni dalla data in cui si verificano.
Sono salve in ogni caso le prescrizioni che saranno stabilite dal nuovo decreto di attuazione dell’art. 27 del decreto.
Per quanto concerne le sanzioni, l’ultimo periodo del settimo comma dell’art. 25-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, come sostituito dall’art. 27 in esame, prevede che “L’omissione della comunicazione relativa alle variazioni che comportano il venir meno delle predette condizioni comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 11, del decreto legislativo 18 dicembre1997, n. 471, e successive modificazioni”.
La disposizione sostituita prevedeva che “In caso di dichiarazione non veritiera si applica la pena pecuniaria da due a tre volte la maggiore ritenuta che avrebbe dovuto essere effettuata”.
Nella relazione illustrativa al decreto è specificato che l’omessa comunicazione comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 258 a 2.065 euro. Si tratta della sanzione amministrativa prevista dall’art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 471 del 1997 per la “omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli uffici o dalla Guardia di finanza al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di verifica ed accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri”.
Al riguardo, considerato che un’eventuale dichiarazione non veritiera circa la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della ritenuta in misura ridotta ha i medesimi effetti dell’omessa comunicazione del venir meno dei presupposti stessi, e rilevato che la riportata lett. a) del comma 1 dell’art. 11 del d.lgs. n. 471 del 1997 prevede l’applicazione della sanzione amministrativa anche in caso di “invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri”, si ritiene che tale sanzione sia applicabile anche nel caso in cui la dichiarazione dell’agente o delle altre figure previste sia incompleta o non veritiera.
In applicazione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 per le dichiarazioni non veritiere inviate prima dell’entrata in vigore del decreto si applica, se più favorevole, la sanzione amministrativa prevista dal settimo comma dell’art. 25-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, come sostituito dall’art. 27 del decreto, salvo che il provvedimento di irrogazione della pena pecuniaria sia divenuto definitivo.
19. coordinamento, razionalizzazione e semplificazione di disposizioni in materia di obblighi tributari (articolo 28)
19.1 abrogazione della solidarietà passiva in materia di appalti. Con l’art. 28 del decreto si è inteso superare, nell’ambito della razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia di obblighi tributari, la disciplina relativa alla responsabilità solidale nell’ambito degli appalti di opere o di servizi – prevista dall’art. 35, commi da 28 a 28-ter, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – relativa alle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.
Già l’art. 50, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 (c.d. decreto del “fare”) aveva escluso l’IVA dall’ambito oggettivo di applicazione della disciplina, sia con riferimento al rapporto che intercorre tra il committente e l’appaltatore, sia riguardo agli eventuali rapporti di subappalto.
A seguito di tali modifiche, pertanto, sulla base della disciplina previgente rimaneva la responsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore in relazione ai dipendenti impiegati nell’ambito del contratto di subappalto.
Nel rapporto tra committente ed appaltatore, la norma prevedeva, in luogo della responsabilità solidale, l’applicazione di una sanzione da 5.000,00 a 200.000,00 euro, qualora il committente avesse pagato il corrispettivo del contratto di appalto senza aver ottenuto idonea documentazione circa la correttezza del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dall’appaltatore e dal subappaltatore.
Tale disposizione ha destato molte criticità in capo ai soggetti operanti nell’ambito degli appalti, per i quali erano previsti adempimenti complessi, con rischi reali di blocco dei pagamenti tra i soggetti coinvolti nella filiera degli appalti.
Nell’incertezza della prova, infatti, taluni committenti/appaltatori hanno sospeso i pagamenti a favore di appaltatori/subappaltatori, aggravando così la situazione in cui si trovano le imprese, già molto colpite e messe in difficoltà dalla stretta creditizia e dalla recessione economica.
Tale effetto è apparso, peraltro, in netto contrasto con le finalità della Direttiva europea n. 7 del 2011, contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 192 del 2012.
Tanto premesso, con il comma 1 della novella normativa in esame è stata disposta l’abrogazione del richiamato art. 35, commi da 28 a 28-ter, del d.l. n. 223 del 2006, ossia degli adempimenti amministrativi sopra richiamati.
Tuttavia, al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale nell’ambito degli appalti, è stata prevista una corrispondente modifica all’art. 29, comma 2, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (c.d. legge Biagi), che prevede, in materia di appalti di opere o di servizi, una responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro con l’appaltatore – ed eventuali subappaltatori – per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi, nonché dei contributi previdenziali e assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
In particolare, nella parte in cui viene previsto che il committente, che abbia eseguito il pagamento dei trattamenti retributivi dei lavoratori, può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato, è stato inserito l’obbligo, per il committente, di assolvere, ove previsto, gli adempimenti del sostituto d’imposta, ai sensi delle disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Tale previsione ha natura confermativa di un principio di carattere generale, già risultante dall’applicazione delle ordinarie disposizioni in materia di sostituzione d’imposta previste dal citato D.P.R. n. 600 del 1973 (cfr., ad esempio, la risoluzione n. 481/E del 2008[11] per la sussistenza dell’obbligo per il committente di assolvere gli adempimenti del sostituto d’imposta in relazione ai pagamenti effettuati ai dipendenti dell’appaltatore anche a seguito delle azioni proposte ai sensi dell’articolo 1676 del codice civile).
Con la stessa finalità, nel successivo comma 3 dell’articolo in commento, è stato introdotto l’obbligo per l’INPS di comunicare all’Agenzia delle entrate, con cadenza mensile, i dati relativi alle aziende, gestite dallo stesso Istituto previdenziale, nonché le posizioni contributive dei relativi dipendenti.
In attuazione del principio di legalità, di cui all’articolo 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997 (c.d. favor rei), non trova applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 5.000 a euro 200.000) posta a carico del committente per le violazioni commesse prima del 13 dicembre 2014 e non ancora definitive alla medesima data.
Il medesimo principio non trova applicazione in relazione alla responsabilità solidale prevista in capo all’appaltatore per violazioni commesse dal subappaltatore entro la data di entrata in vigore della disposizione in esame, posto che il principio del favor rei trova applicazione con esclusivo riferimento alle fattispecie sanzionatorie rimanendo, per contro, regolata dal principio generale della successione delle leggi nel tempo (c.d. tempus regit actum) e, in particolare, dal principio d’irretroattività, l’applicazione della norma precettiva, tra cui va annoverata quella costitutiva della responsabilità per l’imposta.
19.2 estinzione della società e responsabilità dei liquidatori. Sempre nell’ambito della semplificazione fiscale, il comma 4 dell’art. 28 del decreto stabilisce che – ai soli fini della liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi – l’estinzione della società, disciplinata dall’art. 2495 del codice civile, produce effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese.
Trattandosi di norma procedurale, si ritiene che la stessa trova applicazione anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto in commento.
Il comma 5 modifica l’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 – relativo alla responsabilità ed obblighi degli amministratori, liquidatori e soci – al fine di una più compiuta tutela del credito erariale.
In particolare, la disposizione in esame prevede una diretta responsabilità dei liquidatori delle società che hanno distribuito utili ai soci – in violazione dell’obbligo di rispettare il grado di privilegio dei crediti – relativi all’anno di liquidazione oppure ad anni precedenti, salvo prova contraria.
In sostanza, laddove i liquidatori non riescano a dimostrare di aver assolto tutti gli oneri tributari, comprese le ritenute dei lavoratori dipendenti, prima dell’assegnazione dei beni ai soci, ovvero di non aver estinto con precedenza crediti di rango inferiore in danno di quelli tributari, gli stessi rispondono in proprio del versamento dei tributi dovuti dalla società estinta, nei limiti dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Quindi, rispetto alla precedente formulazione, l’onere probatorio è traslato sul liquidatore (inversione dell’onere della prova).
La responsabilità dei soci ed amministratori, invece – già prevista nei limiti delle somme e/o dei beni ricevuti nel corso della liquidazione o nel corso degli ultimi due periodi di imposta anteriori alla messa in liquidazione, fatte salve ulteriori responsabilità – è parametrata al valore dei beni sociali ricevuti, che si presume, salva prova contraria, proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio o associato.
Il comma 6 dell’art. 28 del decreto dispone, poi, che dalle disposizioni contenute nei precedenti commi 4 e 5 non discendono, per i contribuenti, obblighi dichiarativi nuovi o diversi rispetto a quelli vigenti.
Da ultimo, il comma 7 modifica l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 46 del 1999, che individua le disposizioni del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – recante la disciplina in materia di riscossione – che si applicano alle sole imposte sui redditi.
In particolare, viene eliminato il riferimento, ivi previsto, all’art. 36 del citato d.P.R. n. 602 del 1973, avente ad oggetto la responsabilità e gli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci dei soggetti IRES per le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori, con la conseguenza che il regime di responsabilità avrà ad oggetto tutte le imposte e non più solo le imposte dirette.
capitolo vi: semplificazioni e coordinamenti normativi
20. modifica al regime di detrazione forfetario delle sponsorizzazioni di cui all’art. 74, sesto comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 (articolo 29)
L’art. 29 del decreto, rubricato “Detrazione forfetaria per prestazioni di sponsorizzazione”, modifica la disciplina della detrazione IVA relativa alle prestazioni di sponsorizzazione prevista nell’ambito del regime forfetario recato dall’art. 74, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Il citato regime forfetario IVA stabilisce, in via generale, la forfetizzazione della detrazione nella misura del 50 per cento dell’imposta relativa alle operazioni imponibili.
Per le cessioni e concessioni di diritti di ripresa televisiva e trasmissione radiofonica è prevista, invece, una percentuale ridotta di detrazione forfetizzata pari a un terzo.
Anteriormente alle modifica introdotta dall’art. 29 del decreto, una specifica percentuale di detrazione forfetizzata era stabilita anche per le operazioni di sponsorizzazione nella misura pari al 10 per cento.
La modifica normativa apportata dal citato art. 29, avendo eliminato, nella disposizione di cui all’art. 74, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, il riferimento alle prestazioni di sponsorizzazione e alla relativa percentuale di detrazione forfetizzata del 10 per cento, ha così ricondotto le medesime nella regola generale della forfetizzazione della detrazione nella misura del 50 per cento.
Tale modifica – intervenendo solo sulla disciplina della forfetizzazione per le prestazioni di sponsorizzazione – ha lasciato inalterate le altre previsioni contenute nell’art. 74, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, sia relativamente ai soggetti destinatari del regime, sia con riguardo alle diverse modalità applicative che tale regime presenta rispetto alle differenti categorie di soggetti beneficiari.
Si ricorda, infatti, che il regime forfettario IVA di cui trattasi è riservato, per espressa previsione normativa, ai soggetti che organizzano attività di intrattenimento di cui alla tariffa allegata al d.P.R. n. 640 del 1972 ed è esteso, ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. n. 544 del 1999, anche agli enti che esercitano l’opzione per l’applicazione delle disposizioni agevolative di cui alla legge n. 398 del 1991.
In particolare, sono ammessi all’esercizio dell’opzione per le disposizioni di favore di cui alla legge n. 398 del 1991 e, quindi, in presenza di tale opzione, applicano il regime forfetario IVA, i seguenti soggetti:
– le associazioni e le società sportive dilettantistiche (v. art. 1 della legge n. 398 del 1991 e art. 90, comma 1, della legge n. 289 del 2002);
– le associazioni senza fini di lucro e pro loco (v. art. 9-bis del D.l. 30 dicembre 1991, n. 417, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 1992, n. 66);
– le associazioni bandistiche e cori amatoriali, filodrammatiche, di musica e danza popolare, legalmente costituite senza fini di lucro (v. art. 2, comma 31, della legge 24 dicembre 2003, n. 350).
Il regime forfetario IVA presenta un differente ambito applicativo a seconda che lo stesso venga adottato dagli enti con opzione per le disposizioni di cui alla legge n. 398 del 1991 ovvero dagli esercenti attività di intrattenimento.
20.1 enti con opzione per le disposizioni di cui alla legge n. 398 del 1991. Tali soggetti applicano il regime forfetario IVA, in relazione a tutti i proventi (derivanti anche da attività diverse da quelle di intrattenimento) conseguiti nell’esercizio di attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali (cfr. circolare n. 165/E del 2000[12], par. 3.3) e, quindi, in relazione anche ai proventi relativi a prestazioni di pubblicità.
Per tali proventi l’Amministrazione finanziaria ha chiarito (cfr. circolari n. 165 del 2000, par. 3.1, e n. 21 del 22 aprile 2003[13], par. 3.1.2) che, in assenza di una specifica previsione nell’ambito della disposizione di cui all’art. 74, sesto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, gli stessi godono della detrazione del 50 per cento stabilita in via generale dalla stessa disposizione.
Pertanto, prima della modifica introdotta dall’art. 29 del decreto, gli enti in parola applicavano la forfetizzazione della detrazione IVA distinguendo le prestazioni di pubblicità (detrazione forfetizzata del 50 per cento) da quelle di sponsorizzazione (detrazione forfetizzata del 10 per cento).
Nei settori di operatività di tali soggetti (in particolare, nel settore dello sport dilettantistico) si sono manifestate incertezze applicative ed oggettive difficoltà nel distinguere le prestazioni di pubblicità e le prestazioni di sponsorizzazione, sia in ragione delle particolari modalità promozionali con cui vengono rese nel contesto delle attività e degli eventi istituzionali (ad es. sportivi), sia in ragione del contenuto degli atti negoziali adottati dalle parti.
Come chiarito dalla relazione illustrativa all’art. 29 del decreto, la previsione di un’unica percentuale (50 per cento) di detrazione forfetaria per le operazioni di sponsorizzazione e di pubblicità, è stata adottata proprio con particolare riferimento ai soggetti che optano per il regime di cui alla legge n. 398 del 1991, in un’ottica di semplificazione e di riduzione delle sopra evidenziate incertezze applicative causate dalla distinzione tra pubblicità e sponsorizzazione.
A seguito della modifica introdotta dall’art. 29 del decreto, pertanto, per gli enti in argomento la distinzione tra le prestazioni di pubblicità e quelle di sponsorizzazione non è più necessaria, in quanto la percentuale di detrazione forfettizzata è uniformata nella misura del 50 per cento.
20.2 enti esercenti attività di intrattenimento. Per i soggetti che esercitano attività di intrattenimento, invece, il regime forfetario IVA trova applicazione solo per i proventi che concorrono a formare la base imponibile dell’imposta sugli intrattenimenti (ISI), mentre, per i proventi non soggetti ad ISI, l’IVA si applica secondo i criteri ordinari (cfr. circolare n. 165/E del 7 settembre 2000, par. 3.1).
In particolare, rientrano tra i proventi non soggetti ad ISI quelli derivanti da prestazioni pubblicitarie (cfr. circolare n. 165/E del 2000, par. 3.1); i proventi derivanti dalle sponsorizzazioni, invece, concorrono alla formazione della base imponibile ISI e, quindi, sono assoggettati all’applicazione del regime forfetario IVA (cfr. art. 3, comma 2, lettera c), del d.P.R. n. 640 del 1972).
Pertanto, a seguito della modifica introdotta dall’art. 29 del decreto, i citati soggetti applicano la forfettizzazione della detrazione nella misura del 50 per cento alle sole prestazioni di sponsorizzazione.
Gli stessi soggetti, tuttavia, anche dopo la modifica introdotta dall’art. 29 del decreto, continuano ad assoggettare le prestazioni pubblicitarie alle regole ordinarie di detrazione dell’IVA di cui agli artt. 19 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972.
21. adeguamento del valore di riferimento degli omaggi alla disciplinadelle imposte sui redditi (articolo 30)
L’art. 30 del decreto ha la finalità di creare un maggiore coordinamento, in materia di spese di rappresentanza, tra la disciplina delle imposte sul reddito e la disciplina IVA.
Il legislatore, in particolare, adotta, anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, il limite di 50 euro già previsto (sin dal 1° gennaio 2008) ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa dei costi sostenuti per le spese di rappresentanza dall’art. 108, comma 2, del TUIR. Detto articolo dispone, infatti, che “(…) Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa. Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.
L’art. 30 del decreto eleva da 25,82 a 50 euro l’importo utilizzato quale riferimento sia per l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’imposta delle cessioni gratuite di beni e servizi, sia ai fini della detrazione dell’imposta afferente le spese di rappresentanza.
La disposizione, in particolare, interessa tre articoli del d.P.R. n. 633 del 1972.
In primo luogo, grazie alla modifica dell’art. 2, secondo comma, numero 4), del d.P.R. n. 633 del 1972, si considera fuori del campo di applicazione dell’imposta la cessione gratuita di beni, la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, il cui costo unitario sia uguale o inferiore a 50 euro (risultando, quindi, superato il precedente limite di 25,82 euro).
In secondo luogo, in forza della modifica recata all’art. 3, terzo comma, primo periodo, del d.P.R. n. 633/1972, si considerano fuori del campo di applicazione dell’imposta le prestazioni di servizi il cui valore sia inferiore o uguale a 50 euro, anche se effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Rende, infine, più omogeneo il quadro normativo, l’intervento del legislatore sul comma 1 dell’art. 19-bis1 del d.P.R. n. 633/1972, la cui lettera h) dispone – in seguito alle modifiche – che “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a euro cinquanta”.
Il Decreto del 19 novembre 2008 del Ministro dell’economia e finanze, con cui sono state fornite le disposizioni attuative dell’art. 108, comma 2, del TUIR, resta il riferimento per determinare, anche ai fini IVA, quali siano le spese che debbono essere considerate “di rappresentanza”, con conseguente indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto ad esse relativa.
Tuttavia, in seguito alle modifiche in esame, l’importo di 50 euro diviene la soglia massima comune sia ai fini della deducibilità dal reddito di impresa del costo sostenuto per l’acquisto di beni distribuiti gratuitamente, sia al fine di individuare l’IVA detraibile relativa a tali beni.
Le disposizioni sopra commentate si applicano alle operazioni effettuate a partire dalla data di entrata in vigore del decreto.
22. rettifica iva crediti non riscossi (articolo 31)
L’art. 31 del decreto ha esteso la portata applicativa dell’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, disciplinante le fatture rettificative (c.d. “note di variazione in diminuzione”), ossia le note che i cedenti/prestatori hanno facoltà di emettere ogni qual volta l’ammontare imponibile o l’imposta di un’operazione già registrata si riduca in conseguenza di eventi patologici (dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose), nonché in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.
In particolare, il Legislatore ha espressamente attribuito rilievo al mancato pagamento derivante da procedure che, sebbene disciplinate dalla legge fallimentare, non hanno pienamente natura concorsuale, basandosi su un accordo/piano di ristrutturazione del debito che non presuppone lo stato d’insolvenza, ma serve ad evitarlo.
Prima delle modifiche, in considerazione del contenuto tendenzialmente pattizio delle procedure in esame, la nota di variazione non poteva essere emessa oltre l’anno dalla data di effettuazione dell’operazione, stante il disposto dell’art. 26, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Allo stato attuale, invece, le note di variazione possono essere emesse senza limiti temporali – salvo il termine per esercitare il corrispondente diritto di detrazione – “a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese”.
Come emerge dalla relazione illustrativa alla modifica normativa de qua, la stessa ha inteso allineare la disciplina attualmente in vigore della deducibilità delle perdite su crediti, con riferimento alle imposte sui redditi (cfr. l’art. 101 del TUIR), e la disciplina IVA prevista dal citato art. 26, attribuendo autonoma rilevanza alla rideterminazione dei crediti generata da tali particolari procedure.
Dunque, a seguito della stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis, ovvero di un piano attestato ex art. 67, comma 3, lettera d), l. fall., pubblicato nel registro delle imprese, oltre alla possibilità di dedurre le perdite su crediti ai fini della determinazione del reddito d’impresa, il fornitore/prestatore che ha emesso una fattura in relazione ad operazioni successivamente falcidiate per effetto dell’omologazione, potrà ora recuperare l’IVA originariamente versata all’erario al momento di effettuazione della fornitura/servizio anche oltre il termine dell’operazione originaria.
23. regime fiscale dei beni sequestrati (articolo 32)
L’art. 32 del decreto riformula il comma 3-bis dell’art. 51 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 [c.d. “Codice delle leggi antimafia”], aggiunto dall’art. 1, comma 189, lett. d), n. 2), della legge 24 dicembre 2012, n. 228 [c.d. legge di stabilità per il 2013], con il quale viene definito un regime fiscale speciale per i beni immobili oggetto dei provvedimenti di sequestro e confisca non definitiva.
La modifica in esame è volta a meglio delimitare l’ambito di applicazione del suddetto regime fiscale, finalizzato ad evitare che l’amministrazione giudiziaria anticipi il versamento di somme in una fase del procedimento di prevenzione in cui non è ancora chiara la destinazione finale dell’immobile che è stato appreso (devoluzione allo Stato o restituzione al soggetto proposto).
In particolare, il comma 3-bis, nella precedente formulazione, prevedeva, a far data dal 1° gennaio 2013, un’esenzione da imposte, tasse e tributi dovuti in relazione ai beni immobili oggetto dei provvedimenti di prevenzione. Esenzione, comunque, temporanea dal momento che, in caso di restituzione dei suddetti beni al soggetto sottoposto alla misura cautelare, era prevista la liquidazione, in capo a quest’ultimo, di quanto dovuto per il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria.
Per effetto della nuova formulazione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, in luogo della “esenzione” è disposta la “sospensione del versamento” da imposte, tasse e tributi il cui presupposto impositivo consista nella titolarità del diritto di proprietà o nel possesso di un bene immobile. Si tratta, ad esempio, dell’IMU – imposta municipale propria (quale componente della IUC – imposta unica comunale) – che ha per presupposto, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 [c.d. “Federalismo Fiscale Municipale”], il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale; oppure dell’IVIE – imposta sul valore degli immobili situati all’estero – dovuta, in base all’art. 19, comma 13, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 [c.d. “Decreto Monti”], convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dal proprietario dell’immobile ovvero dal titolare di altro diritto reale sullo stesso. Essendo la “sospensione” limitata al “versamento”, ne consegue che, anche con riguardo ai beni immobili, non viene meno, in capo all’amministratore giudiziario, l’obbligo di adempiere agli ulteriori oneri fiscali, compresi quelli dichiarativi, durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca non definitiva.
Ai sensi del secondo periodo del novellato comma 3-bis, non risulta, invece, dovuto, perché oggetto di esenzione espressa, il versamento delle imposte di registro, ipo-catastale e di bollo qualora gli atti ed i contratti posti in essere durante il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria abbiano ad oggetto i beni immobili la cui proprietà o il cui possesso costituiscano presupposto impositivo di imposte, tasse e tributi.
Quanto al reddito prodotto dai beni immobili oggetto dei provvedimenti di sequestro e confisca non definitiva, il terzo periodo del novellato comma 3-bis dispone espressamente l’irrilevanza dello stesso, ai fini della determinazione complessiva delle imposte sui redditi, qualora sia determinato secondo le regole del reddito fondiario. In particolare, per effetto della nuova formulazione della disposizione de qua, è disposto che non concorrono alla formazione del reddito imponibile i redditi prodotti dai beni immobili situati nel territorio dello Stato e dai beni immobili situati all’estero, anche se locati, quando determinati secondo le disposizioni del capo II del titolo I (“Redditi fondiari”) e dell’art. 70 (“Redditi di natura fondiaria”) del TUIR. È disposto, inoltre, che i medesimi redditi non rilevano anche nell’ipotesi di cui all’art. 90, comma 1, quarto e quinto periodo (“Proventi immobiliari”) del TUIR. Da tale “irrilevanza” discende che il reddito prodotto dai richiamati beni non concorre alla determinazione del reddito imponibile. Nondimeno lo stesso deve, comunque, essere esposto in dichiarazione dei redditi, al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria la liquidazione dell’imposta dovuta in caso di revoca della misura cautelare.
Resta, invece, confermata, rispetto alla precedente formulazione, la previsione di cui all’ultimo periodo del comma 3-bis, secondo cui nei casi di revoca della misura di prevenzione, l’amministratore giudiziario ne da comunicazione all’Agenzia delle entrate ed agli altri enti competenti che provvedono alla liquidazione delle imposte, tasse e tributi dovuti per il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria ed il cui versamento è stato sospeso, in capo al soggetto cui i beni sono stati restituiti.
24. allineamento definizione prima casa iva – registro (articolo 33)
24.1 definizione “prima casa” – agevolazione iva. L’art. 33 del decreto modifica i criteri per individuare le case di abitazione per le quali è possibile fruire dell’agevolazione “prima casa” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (i.e. applicazione dell’aliquota ridotta del 4 per cento agli atti imponibili ad IVA che abbiano ad oggetto detti immobili).
In particolare, per effetto delle modifiche apportate dalla citata disposizione al numero 21) della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, l’aliquota IVA del 4 per cento si applica – ricorrendo le ulteriori condizioni previste a tal fine (cfr. nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) – agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) classificate o classificabili nelle categorie catastali diverse dalle seguenti:
– cat. A/1 – abitazioni di tipo signorile;
– cat. A/8 – abitazioni in ville;
– cat. A/9 – castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici.
L’applicazione dell’agevolazione IVA “prima casa” è, dunque, vincolata alla categoria catastale dell’immobile, non assumendo più alcun rilievo, ai fini dell’individuazione delle case di abitazione oggetto dell’agevolazione, le caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969, che contraddistinguono gli immobili “di lusso”.
L’art. 33 del decreto allinea, peraltro, la nozione di “prima casa” rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA del 4 per cento alla definizione prevista dalla disciplina agevolativa in materia di imposta di registro (i.e. aliquota nella misura del 2 per cento per i trasferimenti delle case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9).
Pertanto, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, in sede di stipula dell’atto di trasferimento o di costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende fruire dell’aliquota IVA del 4 per cento, deve essere dichiarata la classificazione o la classificabilità catastale dell’immobile nelle categorie che possono beneficiare del regime di favore (cat. A/2 – abitazioni di tipo civile; cat. A/3 – abitazioni di tipo economico; cat. A/4 – abitazioni di tipo popolare; cat. A/5 – abitazioni di tipo ultra popolare; cat. A/6 – abitazioni di tipo rurale; cat. A/7 – abitazioni in villini; A/11 – abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi), oltre all’attestazione della sussistenza delle ulteriori condizioni prescritte per usufruire dell’agevolazione (cfr. nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Qualora in sede di stipula di contratto preliminare di vendita sia stata effettuata la classificazione dell’abitazione come immobile “di lusso” ai sensi del decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969, con la conseguente applicazione dell’imposta agli acconti sul prezzo di compravendita con un’aliquota superiore all’aliquota del 4 per cento, è possibile rettificare le relative fatture mediante variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, al fine di applicare l’aliquota IVA del 4 per cento sull’intero corrispettivo dovuto (cfr. risoluzione 7 dicembre 2000, n. 187[14]).
Resta inteso che l’agevolazione IVA “prima casa” non trova applicazione in relazione ai trasferimenti di immobili non abitativi, quali quelli rientranti nella categoria catastale A/10 – uffici e studi privati.
24.2 cessioni di case di abitazione diverse dalla “prima casa”. Il numero 127-undecies) della tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 10 per cento agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) non “di lusso” secondo i criteri di cui al decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969 per le quali non ricorrono le condizioni previste per l’applicazione dell’agevolazione “prima casa”, richiamate dal numero 21) della Tabella A, parte II, allegata al medesimo d.P.R. n. 633 del 1972.
L’art. 33 del decreto legislativo in commento non ha coordinato il numero 127-undecies) con la nuova formulazione del numero 21) della parte II della medesima Tabella.
Il citato numero 127-undecies), infatti, ai fini dell’individuazione delle abitazioni “di lusso”, fa ancora riferimento alle caratteristiche previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969.
Tuttavia, dall’espresso richiamo al numero 21), si evince che l’applicazione dell’aliquota del 10 per cento presuppone che oggetto del trasferimento sia un immobile avente la medesima natura/classificazione catastale di quelli che potrebbero potenzialmente fruire dell’agevolazione “prima casa”, in presenza di tutte le altre condizioni previste dalla nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.
In base ad un’interpretazione sistematica delle citate disposizioni in materia di trasferimenti immobiliari, deve ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA del 10 per cento alle cessioni o agli atti di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione diverse dalla “prima casa”, non assume più alcun rilievo la definizione di “abitazione di lusso” di cui al decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 agosto 1969 che deve, pertanto, ritenersi superata.
In base alle medesime considerazioni, la definizione di case di abitazione “di lusso” di cui al D.M. Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969 deve, altresì, intendersi superata anche ai fini dell’individuazione dei fabbricati o porzioni di fabbricato di cui all’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408 (c.d. fabbricati Tupini), la cui cessione, ricorrendo le condizioni previste dal medesimo n. 127-undecies), è soggetta ad IVA con aliquota del 10 per cento.
Di conseguenza, l’aliquota IVA del 10 per cento si applica – sussistendo gli altri presupposti richiesti dalla norma – agli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione (anche in corso di costruzione) ovvero fabbricati Tupini classificati o classificabili nelle categorie catastali diverse dalle cat. A/1, cat. A/8, cat. A/9, effettuati a decorrere dall’entrata in vigore del presente provvedimento.
Le cessioni e gli atti di costituzione di diritti reali aventi ad oggetto immobili classificati o classificabili in queste ultime categorie catastali sono soggetti ad IVA con applicazione dell’aliquota nella misura ordinaria del 22 per cento.
24.3 appalti relativi alla costruzione di fabbricati tupini.Il n. 39) della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972 prevede l’applicazione dell’aliquota IVA in misura del 4 per cento alle prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla costruzione dei fabbricati di cui all’art. 13 della legge n. 408 del 1949 (c.d. fabbricati Tupini), effettuate nei confronti dei soggetti che svolgono attività di costruzione di immobili per la successiva vendita o di soggetti per i quali ricorrono le condizioni richiamate nel n. 21) (condizioni agevolazioni “prima casa”).
Anche in tal caso, in forza delle considerazioni espresse nel paragrafo precedente, ai fini dell’individuazione delle abitazioni la cui costruzione può fruire dell’aliquota agevolata prevista per la “prima casa”, nonché ai fini dell’individuazione dei fabbricati Tupini, rileva, in luogo delle caratteristiche dell’abitazione (di lusso secondo il decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 agosto 1969), soltanto la classificazione catastale dell’immobile.
In entrambi i casi, deve trattarsi di immobili classificati o classificabili catastalmente in categorie diverse dalle cat. A/1, cat. A/8, cat. A/9.
25. disposizioni per la cooperazione nell’attività di rilevazione delle violazioni in materia di attestazione della prestazione energetica (articolo 34)
L’art. 34 del decreto modifica l’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, individuando nel Ministero dello sviluppo economico l’Amministrazione competente all’irrogazione delle sanzioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, nei casi di violazioni relative alle disposizioni in materia di attestato di prestazione energetica.
Il pagamento della sanzione non esenta comunque dall’obbligo di presentare l’attestato, in caso di omessa dichiarazione o allegazione dello stesso, al citato Ministero.
L’Agenzia delle entrate, sulla base di apposite intese con il Ministero dello sviluppo economico, individuerà, nel quadro delle informazioni disponibili, acquisite con la registrazione nel sistema informativo dei contratti di cui al comma 3 dell’art. 6 citato, quelle considerate rilevanti ai fini del procedimento sanzionatorio e le trasmetterà, in via telematica, allo stesso Ministero dello sviluppo economico per l’accertamento e la contestazione della violazione.
26. requisiti per l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale e requisiti delle società richiedenti e dei centri autorizzati (articolo 35)
L’art. 35 modifica il decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164 (Regolamento recante norme per l’assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza fiscale per le imprese e per i dipendenti, dai sostituti d’imposta e dai professionisti ai sensi dell’articolo 40 del decreto legislativo n. 241 del 1997) e, in particolare, gli articoli 7, 10 e 11.
La disposizione è stata inserita al fine di garantire, come prevede la legge delega, l’idoneità tecnico-organizzativa delle società richiedenti l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale e dei centri autorizzati di assistenza fiscale, in particolare integrando ovvero modificando le previsioni del decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, sulla base dei seguenti principi:
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a) prevedere la presenza sul territorio in almeno un terzo delle province;
b) prevedere un numero minimo di dichiarazioni che ciascun Centro autorizzato di assistenza fiscale deve presentare;
c) stabilire che le società richiedenti e i centri autorizzati di assistenza fiscale debbano redigere una relazione tecnica annuale dalla quale emerga:
1) il rispetto dei requisiti concernenti le garanzie di idoneità tecnico-organizzativa in relazione alla formula organizzativa assunta, anche in ordine ai rapporti di lavoro dipendente;
2) i sistemi di controllo interno volti a garantire la correttezza dell’attività di assistenza fiscale, anche in ordine all’affidamento a terzi dell’assistenza;
3) un piano di formazione del personale differenziato in base alle funzioni svolte dalle diverse figure professionali.
Tenuto conto del tempo trascorso dall’emanazione delle norme di riferimento in materia di assistenza fiscale e delle nuove responsabilità a carico degli intermediari nel processo di verifica dei dati delle dichiarazioni dei redditi modello 730, con il nuovo decreto legislativo sono introdotti più stringenti requisiti per l’attività di assistenza fiscale.
Inoltre, al fine di garantire adeguati livelli di servizio, è prevista la presentazione all’Amministrazione finanziaria di una relazione tecnica sull’attività svolta nell’anno precedente.
Il comma 4 dell’art. 35 in commento prevede che rimanga fermo il potere regolamentare, attribuito dalla legge al Ministro dell’economia e delle finanze, di modifica del regolamento ministeriale n. 164, del 1999.
Per completezza, si segnala che per effetto delle modifiche apportate dall’articolo 6, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 175 del 2014, rispettivamente agli articoli 6 e 22 del decreto n. 164 del 1999, è stato adeguato il massimale della polizza di assicurazione della responsabilità civile da due miliardi di lire a tre milioni di euro.
In particolare, si ricorda che il massimale deve essere adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di conformità, delle asseverazioni e delle certificazioni tributarie rilasciati, e comunque non inferiore al limite previsto, e trova applicazione con riferimento al rilascio dei visti di conformità su tutti i modelli di dichiarazione e non solo con riferimento al 730.
Per quanto riguarda la decorrenza del nuovo massimale, in assenza di una specifica previsione al riguardo, trova applicazione quella del 13 dicembre 2014, data di decorrenza del decreto legislativo.
26.1 procedimento di autorizzazione. Il comma 1 dell’articolo 35 citato modifica la disciplina di rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività dei CAF contenuta nell’articolo 7 del decreto n. 164 del 1999, prevedendo, a differenza della generica indicazione contenuta nella precedente formulazione dell’articolo 7, comma 1, lettera d), l’indicazione delle sedi e degli uffici periferici presso i quali è svolta l’attività di assistenza fiscale, compresi quelli di cui all’articolo 11 che, per i centri costituiti ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettere d), e) e f) del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (CAF dipendenti), devono essere presenti in almeno un terzo delle province. Per i centri di assistenza fiscale riconducibili alla medesima associazione od organizzazione o a strutture da esse delegate, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, il requisito indicato nella presente lettera è considerato complessivamente.
In sostanza, nel confermare che al momento della richiesta dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di assistenza fiscale la società debba indicare le sedi presso le quali svolge l’attività, si precisa che tra le sedi debbano essere ricompresi anche gli uffici periferici di cui all’articolo 11 dello stesso decreto n. 164 del 1999 (per le modifiche introdotte all’articolo 11 si rinvia al paragrafo 26.2).
In linea con le disposizioni recate dalla legge di delega fiscale, la nuova norma è diretta ad assicurare un adeguato livello dei servizi erogati anche mediante la revisione dei requisiti dimensionali dei CAF.
In particolare, la previsione della presenza sul territorio in almeno un terzo delle province è ritenuta una condizione idonea a garantire un adeguato livello di servizi.
La norma, inoltre, stabilisce che detto requisito possa essere raggiunto complessivamente per i CAF riconducibili alla medesima associazione od organizzazione o a strutture da esse delegate ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, riconoscendo il valore della matrice associativa nella costituzione dei CAF, già presente nel decreto legislativo n. 241 del 1997.
Si ricorda che ai sensi del predetto articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 i centri di assistenza fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati possono essere costituiti dai seguenti soggetti:
(…)
d) organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti e pensionati od organizzazioni territoriali da esse delegate, aventi complessivamente almeno cinquantamila aderenti;
e) sostituti di cui all’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, aventi complessivamente almeno cinquantamila dipendenti;
f) associazioni di lavoratori promotrici di istituti di patronato riconosciuti ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, aventi complessivamente almeno cinquantamila aderenti.
Al riguardo, si ritiene che la generica formulazione normativa consente di considerare complessivamente il requisito territoriale non solo con riferimento ai CAF-dipendenti costituiti ai sensi della lettera d), ma anche a quelli costituiti ai sensi della lettere e) ed f), in presenza delle condizioni previste dalla norma, ovvero dell’esistenza del rapporto associativo.
Una diversa interpretazione introdurrebbe elementi di disparità in capo ai CAF costituiti da sostituti d’imposta o da associazioni di patronato che confliggerebbe con la sostanza e la lettera della norma e che sarebbe derivata solo da diverse formule organizzative determinate in conseguenza di scelte strategiche interne all’associazione stessa.
La predetta soluzione interpretativa è coerente con quella adottata in relazione alla possibilità per i CAF–dipendenti, costituiti da sostituti d’imposta (lettera e), di avvalersi di società di servizi di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto n. 164 del 1999.
In particolare, il suddetto articolo 11, comma 1, stabilisce che per lo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale, il CAF può avvalersi di una società di servizi il cui capitale sociale sia posseduto, a maggioranza assoluta, dalle associazioni o dalle organizzazioni che hanno costituito il CAF o dalle organizzazioni territoriali di quelle che hanno costituito i CAF, ovvero sia posseduto interamente dagli associati alle predette associazioni e organizzazioni.
Al riguardo, con la nota n. 168865 del 24 novembre 1999, è stato chiarito che anche i CAF formati dai sostituti d’imposta possono avvalersi di una società di servizi, in quanto il riferimento del menzionato articolo 11 del decreto n. 164 del 1999 alle associazioni sindacali e alle organizzazioni territoriali non costituisce una limitazione alla predetta linea interpretativa.
A questo proposito, si chiarisce che in caso di costituzione di una società di servizi da parte di un CAF formato da sostituti d’imposta, tenuto conto della disciplina relativa al trasferimento delle quote o delle azioni dei CAF di cui all’articolo 9, comma 4, dello stesso decreto n. 164, il requisito del possesso del capitale sociale in capo a uno o più sostituti, che fanno parte del CAF, è riferito al momento della costituzione della società di servizio, ancorché i predetti sostituti siano subentrati successivamente nella compagine sociale originaria del CAF stesso.
26.2 formula organizzativa dei centri. Con l’articolo 35, comma 1, lettera c), sono apportate modifiche all’articolo 11 menzionato, secondo le quali per l’attività di assistenza fiscale, oltre alle società di servizi di cui al comma 1, i centri possono avvalersi esclusivamente di lavoratori autonomi individuati tra gli intermediari di cui all’articolo 3, comma 3, lettere a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, che agiscono in nome e per conto del centro stesso. I CAF, pertanto, potranno avvalersi:
– degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti ed esperti contabili e dei consulenti del lavoro;
– degli iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o del diploma di ragioneria.
Le nuove disposizioni si applicano sia ai CAF dipendenti sia ai CAF impresa.
26.3 relazione tecnica iniziale. L’art. 35, comma 1, lettera a), n. 3, modifica l’art. 7, comma 2, lettera d), del decreto n. 164 del 1999, stabilendo i requisiti e il contenuto della relazione tecnica che le società devono presentare all’atto della richiesta di autorizzazione all’esercizio dell’attività di assistenza fiscale.
In particolare, la nuova formulazione della norma prevede la presentazione della suddetta relazione tecnica dalla quale emerga:
1. il rispetto dei requisiti sulle garanzie di idoneità tecnico-organizzativa del centro;
2. la formula organizzativa assunta anche in ordine ai rapporti di lavoro dipendente utilizzati nel rispetto del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e successive modificazioni;
3. i sistemi di controllo interno volti a garantire la correttezza dell’attività, anche in ordine all’affidamento a terzi dell’attività di assistenza fiscale e a garantire adeguati livelli di servizio;
4. il piano di formazione del personale differenziato in base alle funzioni svolte dalle diverse figure professionali che operano nei centri. Al riguardo, è previsto che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità dell’attività formativa.
In base all’art. 35, comma 2, per i centri di assistenza fiscale già autorizzati al 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del decreto), in fase di prima applicazione della normativa ed al fine di garantire un opportuno lasso temporale per poter adeguare la propria struttura alle nuove regole e nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze relativo alle modalità dell’attività formativa, con riferimento all’anno 2015 e successivi, la relazione tecnica dovrà essere presentata entro il 31 gennaio 2015 e dovrà garantire almeno il rispetto dei requisiti di cui ai precedenti punti 1, 2 e 3.
Si rammenta che, ai sensi degli articoli 7 e 9 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164, i CAF devono comunicare all’Agenzia delle entrate, tra l’altro, i dati relativi alle sedi operative con modalità telematica, secondo le istruzioni fornite nella circolare n. 14 del 2005[15].
26.4 relazione tecnica annuale. L’art. 35, comma 1, lettera a), n. 4, introduce nell’art. 7 i commi 2-bis e 2-ter prevedendo, al fine di garantire una continuità dei livelli di servizio, che i CAF-dipendenti presentino annualmente all’Amministrazione finanziaria una relazione tecnica in ordine:
– alla capacità operativa e alle risorse umane utilizzate, con indicazione delle tipologia di rapporti di lavoro instaurati e alla formazione svolta;
– all’affidamento a terzi dell’attività di assistenza fiscale;
– ai controlli effettuati, volti a garantire la qualità del prodotto, la qualità e l’adeguatezza dei livelli di servizio;
– al numero di dichiarazioni validamente trasmesse all’Agenzia delle entrate.
La relazione deve essere presentata, dopo il primo anno di attività, entro il 31 gennaio dai CAF-dipendenti, con riferimento all’attività svolta nell’anno precedente.
26.5 controllo agenzia delle entrate. In base al nuovo comma 2-ter introdotto nell’art. 7 del decreto n. 164 del 1999, l’Agenzia delle entrate verifica che il numero delle dichiarazioni validamente trasmesse da ciascun centro sia almeno pari all’uno per cento del rapporto risultante tra la media delle dichiarazioni trasmesse dal centro nel triennio precedente e la media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio.
Per i centri autorizzati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, il requisito del numero di dichiarazioni validamente trasmesse nei primi tre anni di attività si considera soddisfatto se è inviato annualmente un numero di dichiarazioni pari all’uno per cento, con uno scostamento massimo del 10 per cento, del rapporto risultante tra le dichiarazioni trasmesse dal centro in ciascuno dei tre anni e la media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel triennio precedente, compreso quello considerato.
Le disposizioni indicate nel periodo precedente si applicano anche per i centri di assistenza fiscale già autorizzati alla data di entrata in vigore del decreto con riferimento alle dichiarazioni trasmesse negli anni 2015, 2016 e 2017.
Per i centri di assistenza fiscale riconducibili alla medesima associazione od organizzazione o a strutture da esse delegate ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, il requisito numerico indicato è considerato complessivamente. Al riguardo si rinvia alle considerazioni espresse nei capitoli precedenti.
La mancanza di almeno uno dei requisiti richiesti nella relazione tecnica annuale determina la decadenza dall’autorizzazione allo svolgimento dell’assistenza fiscale ai sensi dell’articolo 10 del decreto n. 164 del 1999. La decadenza interviene successivamente al completamento dell’attività di assistenza in corso allo scadere del termine di 30 giorni, di cui al comma 3 dello stesso articolo 10 del decreto n. 164 del 1999.
27. soppressione dell’obbligo di depositare copia dell’appello presso la commissione tributaria provinciale (articolo 36)
L’art. 36 del decreto ha disposto l’eliminazione del secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui, qualora l’appello “non sia stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata” (1).
Ai fini della ritualità della proposizione dell’appello tributario non è pertanto più necessario procedere al deposito di copia del gravame presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale.
In mancanza di specifica disposizione transitoria, opera il principio generale secondo cui la norma processuale sopravvenuta trova applicazione anche con riguardo ai singoli atti di processi già in corso (2).
Conseguentemente, la nuova disposizione si applica agli appelli notificati dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto.
Per gli appelli notificati fino al 12 dicembre 2014, invece, si ritiene prudenzialmente che continui a valere la precedente disciplina e quindi resta necessario procedere al deposito di copia del gravame presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, tenendo presente che l’adempimento, secondo quanto chiarito con orientamento consolidato dalla Corte costituzionale (3) e dalla Corte di cassazione (4), va effettuato entro trenta giorni dalla notifica dell’appello, termine stabilito per la costituzione in giudizio dell’appellante.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli uffici dipendenti».
(1) In merito alla disposizione ora abrogata sono stati forniti chiarimenti con circolare 13 marzo 2006, n. 10/E, punto 7.4, in Boll. Trib., 2006, 486.
(2) Principio confermato da ultimo da Cass. 3 luglio 2014, n. 15272; 26 agosto 2014, n. 18261.
(3) Corte cost., sentenza 4 dicembre 2009, n. 321, nonché ordinanze 11 febbraio 2010, n. 43; 20 gennaio 2011, n. 17; 15 aprile 2011, n. 141.
(4) Cass. 13 marzo 2013, n. 6393; 12 aprile 2013, n. 8963; 4 settembre 2013, n. 20253; 28 febbraio 2014, nn. 4817, 4818 e 4819; 6 giugno 2014, n. 12861.
[1] Circ. 4 agosto 2006, n. 28/E, in Boll. Trib., 2006, 1285.
[2] Circ. 16 febbraio 2007, n. 11/E, in Boll. Trib., 2007, 350.
[3] Circ. 15 dicembre 1973, n. 1/50550, in Boll. Trib., 1974, 53.
[4] Circ. 18 giugno 2001, n. 58/E, in Boll. Trib., 2001, 956.
[5] Ris. 20 marzo 1998, n. 20/E, in Boll. Trib., 1998, 699.
[6] Ris. 21 marzo 2003, n. 69/E, in Boll. Trib. On-line.
[7] Ris. 11 luglio 2013, n. 49/E, in Boll. Trib., 2013, 1339.
[8] Circ. 23 aprile 2010, n. 21/E, in Boll. Trib., 2010, 691.
[9] Circ. 25 settembre 2014, n. 28/E, in Boll. Trib., 2014, 1318.
[10] Circ. 28 ottobre 2008, n. 60/E, in Boll. Trib., 2008, 1682.
[11] Ris. 19 dicembre 2008, n. 481/E, in Boll. Trib. On-line.
[12] Circ. 7 settembre 2000, n. 165/E, in Boll. Trib., 2000, 1323.
[13] In Boll. Trib., 2003, 691.
[14] In Boll. Trib. On-line.
[15] Circ. 14 aprile 2005, n. 14/E, in Boll. Trib., 2005, 610.