SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La disciplina in materia di transfer price: i diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza – 3. L’infondatezza della tesi secondo cui l’art. 110, settimo comma, del TUIR, disciplinerebbe una fattispecie elusiva – 4. Le operazioni intercompany abusive in quanto prive di sostanza economica e che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti – 5. L’interesse tutelato nell’art. 110, settimo comma, del TUIR, e la ripartizione del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza – 6. L’esimente introdotta con l’art. 26 del D.L. n. 78/2010 – 7. Transfer price, abuso del diritto e riparto del potere impositivo – 8. Conclusioni.
1. Premessa
L’oggetto della presente indagine è la disposizione del TUIR (art. 110, settimo comma) nella versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 59 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, secondo cui i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida (1).
Nella relazione illustrativa si legge che l’intento legislativo è quello di adeguare la normativa nazionale in materia di prezzi di trasferimento alle indicazioni emerse in sede OCSE (in seno al c.d. progetto BEPS) per la corretta determinazione del valore delle operazioni tra imprese associate estere. In particolare si introduce quale parametro per la determinazione dei redditi derivanti da tali operazioni, in luogo del criterio del “valore normale”, il riferimento al principio della libera concorrenza e l’indicazione del valore delle transazioni tra soggetti indipendenti, nel caso di operazioni che comportano un aumento del reddito. Lo stesso criterio trova applicazione nel caso di diminuzione del reddito derivante dalle operazioni con le società estere collegate; tuttavia sono specificamente elencate le ipotesi di riconoscimento di variazioni in diminuzione. Il comma 2 introduce l’articolo 31-quater al D.P.R. n. 600 del 1973, che prevede i casi tassativi in cui possono essere riconosciute le variazioni in diminuzione del reddito derivanti dall’applicazione del principio di libera concorrenza, di cui al secondo periodo del modificato articolo 110, settimo comma, del TUIR. Più in dettaglio, la rettifica in diminuzione può essere riconosciuta:
a) in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi, ovvero dalla Convenzione 90/436/CE del 23 luglio 1990, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili delle imprese associate; b) a conclusione dei controlli effettuati nell’ambito di attività di cooperazione internazionale i cui esiti siano condivisi dagli Stati partecipanti; c) a seguito di istanza da parte del contribuente, da presentarsi secondo le modalità e i termini la cui determinazione è affidata a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, a fronte di una rettifica in aumento definitiva e conforme al principio di libera concorrenza effettuata da uno Stato con il quale è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi che consenta un adeguato scambio di informazioni. Resta ferma, in ogni caso, la facoltà per il contribuente di richiedere l’attivazione delle procedure amichevoli, ove ne ricorrano i presupposti.
2. La disciplina in materia di transfer price: i diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza sull’art. 110, settimo comma del TUIR
Occorre preliminarmente accennare ai diversi orientamenti della dottrina, della giurisprudenza (2) e dell’Amministrazione finanziaria sulle diverse tematiche che si prospettano all’interprete. La prima questione attiene alla natura giuridica della disposizione in esame e va subito rilevato come sul punto non vi è univocità di vedute. A tale riguardo si è infatti detto che la norma conterrebbe una presunzione assoluta (3), oppure che conterrebbe un criterio legale di determinazione del corrispettivo e predeterminerebbe normativamente il reddito effettivo (4), o che sarebbe una norma di carattere antielusivo (5) in senso lato o, ancora, che sarebbe una norma antievasione (6). Alla diversa qualificazione dell’art. 110, settimo comma, possono corrispondere differenze di carattere sistematico e operativo estremamente significative. Infatti, se la norma contenesse una presunzione assoluta – come ha ritenuto l’Amministrazione finanziaria (7) (ma smentita dalla Corte di Cassazione) (8) – la questione si porrebbe sul piano della regola legale che limita il potere del giudice di valutazione; se, invece, si trattasse di norma di carattere antielusivo, si porrebbe il problema di coerenziare la disposizione con l’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (quindi motivazione rafforzata, obbligatorietà del rispetto del contraddittorio procedimentale tipizzato, etc.)
Esaminiamo ora partitamente le diverse questioni.
Se alla norma si attribuisse una matrice antiabusiva tre sono le principali questioni che si pongono: il tema della prova, il tema del procedimento, il tema delle sanzioni. Quanto al tema della prova la questione si inserisce nel più ampio e generale tema dell’abuso del diritto con il conseguente onere dell’Amministrazione finanziaria di provare (9) le condizioni e i prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili. Quanto al tema del procedimento si porrebbe la questione dell’applicabilità o meno dell’art. 10-bis (10). Come noto, tale disposizione conferisce all’Amministrazione finanziaria il potere di disconoscimento e detta una specifica disciplina procedimentale che caratterizza la rettifica. In particolare, ove l’Amministrazione contesti l’esistenza di un’operazione elusiva deve richiedere chiarimenti scritti al contribuente (il quale dispone di sessanta giorni per rispondere), esponendo già nella richiesta i motivi per i quali ritiene applicabile l’art. 10-bis; l’avviso di accertamento deve poi motivare esplicitamente i motivi per i quali l’Ufficio fiscale non ha ritenuto fondate le giustificazioni fornite dal contribuente. Sia la richiesta di chiarimenti sia l’obbligo di motivazione con riferimento alle giustificazioni del contribuente sono imposti “a pena di nullità”. La terza questione attiene al profilo sanzionatorio in materia di norme antiabuso o antielusione. A questo riguardo si prospettano due diverse posizioni: la prima per la non applicabilità delle sanzioni, la seconda, invece, per la sanzionabilità. Nella prima impostazione le sanzioni non sono applicabili “ontologicamente”: l’elusione, infatti, non ammette l’illecito in quanto – per definizione – non vi è conflitto con la norma ma solamente “aggiramento”, abuso, elusione della stessa. Gli argomenti a supporto di tale tesi sono diversi e segnatamente: a) l’incompatibilità logica della sanzione con l’elusione fiscale; b) l’indeterminatezza della condotta e quindi la mancanza del requisito di tipicità; c) il “concorso di colpa” del legislatore (per avere formulato la lettera della legge in modo ab origine disallineato rispetto alla ratio di essa cosicché, a colpe “concorrenti”, non può corrispondere una sanzione unilaterale); d) l’inopponibilità della operazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria comporta soltanto che sia ristabilita «la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato» (11).
Sotto un altro profilo potrebbe nondimeno sostenersi la tesi per cui le sanzioni amministrative sarebbero comunque applicabili alle fattispecie abusive e/o elusive; ma in tal caso si porrebbero necessariamente le questioni di verifica del riscontro dell’elemento oggettivo e soggettivo dell’illecito così come il tema dell’applicabilità delle circostanze esimenti. Più precisamente, per quanto riguarda il profilo dell’esclusione della punibilità per la sussistenza delle «obiettive condizioni di incertezza», di cui all’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, un primo orientamento interpretativo del giudice di legittimità tende ad escludere l’inapplicabilità delle sanzioni, poiché le obiettive condizioni di incertezza sussisterebbero solamente quando la disciplina normativa «si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivanti da elementi positivi di confusione» (12); elementi la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (13). Successivamente, la Suprema Corte ha tuttavia mandato esente da responsabilità tributaria e, conseguentemente, disapplicato le sanzioni amministrative, «in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma sanzionatoria, nel cui ambito di applicazione è riconducibile la violazione di un principio di ordine generale, come l’abuso del diritto» (14). La vaghezza del principio abuso/elusione diviene un fattore di incertezza riconosciuto, che può fondare di per sé l’esclusione della punibilità (15). In prima conclusione sul punto possiamo dunque osservare come il problema della sanzionabilità delle condotte elusive/abusive è, allo stato, un problema (ancora) aperto cui possono seguire diverse opzioni: a un estremo si colloca la soluzione “punitiva”, ciò che comporta l’estensione dell’obbligo dichiarativo anche alle situazioni elusive, con la conseguente irrogabilità delle sanzioni; all’estremo opposto si colloca, invece, la soluzione “non punitiva”, fondata sull’incompatibilità “ontologica” delle sanzioni. Peraltro, qualunque tra le soluzioni predette venga accolta, appare inevitabile riconoscere come ad oggi emergano ancora indiscutibili profili di incertezza sul punto quanto dubbi di legittimità costituzionale (16). Diverse considerazioni varrebbero, invece, qualora – accedendo alla seconda delle prospettive ricordate – si accogliesse la tesi per cui la violazione dell’art. 110, settimo comma, del TUIR, determina un illecito (17). In questo caso il comportamento illecito si risolve nella sovra o sottofatturazione dei beni o servizi scambiati. Peraltro, nell’edizione 2010 delle Guidelines l’OCSE ha chiarito che non è (più) necessario il rispetto della gerarchia dei metodi ivi indicati per la determinazione del prezzo di trasferimento, giacché la correttezza del prezzo di trasferimento (in linea generale) prescinde dall’utilizzo dell’uno piuttosto che dell’altro metodo individuati dall’OCSE, dovendosi piuttosto preferire quello che, di volta in volta, appare maggiormente idoneo a garantire l’attendibilità del risultato. Una volta che il prezzo di trasferimento sia stato così ricostruito spetterà poi all’Agenzia – in sede contenziosa – attivarsi per contrastare detta valutazione, eventualmente anche attraverso l’utilizzo di tutti gli strumenti processuali e procedimentali. È appena il caso di chiarire che, in tal caso, non si discuterà ovviamente dell’applicabilità delle sanzioni giacché, trattandosi di fattispecie – in thesi – evasive, alla contestazione erariale seguirà il normale regime sanzionatorio di cui ai D.Lgs. 18 dicembre 1997, nn. 471 e 472.
3. L’infondatezza della tesi secondo cui l’art. 110, settimo comma, del TUIR, disciplinerebbe una fattispecie elusiva
3.1. Occorre ora esaminare la prima delle questioni poste in precedenza e cioè la matrice elusiva o non elusiva della norma in commento. In linea generale il tema del transfer pricing attiene al potere dell’Amministrazione finanziaria di rideterminare l’ammontare dei componenti reddituali rilevanti nella determinazione del carico impositivo. Il legislatore tributario recepisce normalmente i corrispettivi contrattuali ciò in quanto, nell’ambito delle transazioni tra operatori economici indipendenti, è ragionevole attendersi che il prezzo pattuito corrisponda al valore economico attuale e di mercato della transazione economica. Infatti l’ordinario conflitto di interessi tra i privati costituisce solitamente la migliore garanzia di “effettività” (cioè che il prezzo pattuito misuri il vero spostamento di ricchezza sottostante). Quando invece l’operazione economica (ossia la transazione) avviene all’interno dell’impresa o del gruppo di imprese o di società non è detto che il prezzo pattuito misuri effettivamente il vero spostamento di ricchezza sottostante poiché vi possono essere ragioni, anche economicamente fondate, che giustificano corrispettivi non aderenti al valore economico attuale e di mercato della transazione economica. In tal caso gli interessi di cui sono portatori i soggetti giuridici appartenenti al gruppo non sono necessariamente in conflitto, cosicché i reciproci vantaggi e svantaggi dei soggetti appartenenti al gruppo trovano compensazione e composizione in seno a un superiore interesse collettivo. La transazione commerciale tra due società consociate e il prezzo della transazione potrà essere determinato da “normali logiche di mercato” che appartengono ai gruppi e che possono essere diverse da quelle esistenti tra operatori economici indipendenti e non per questo non giustificabili sul piano della economicità (ad esempio, il management è interessato ad enfatizzare le performance di determinate entità giuridiche del gruppo con preferenza rispetto ad altre, la politica di gruppo è nel senso di praticare prezzi inferiori al prezzo di produzione per acquisire nuovi mercati o per politiche di dumping, etc.). Per il gruppo è irrilevante l’apporzionamento della ricchezza prodotta tra le diverse entità posto che tale ricchezza è comunque acquisita al gruppo, mentre è importante la minimizzazione del carico fiscale complessivo, non di ogni singola società, ma di gruppo. In tali casi le ragioni che inducono il legislatore tributario a fare affidamento ai corrispettivi contrattuali vengono a cadere: manca la ragionevolezza del fatto che tali corrispettivi esprimano gli effettivi sottostanti spostamenti di ricchezza, poiché gli stessi possono essere fissati con altri obiettivi, e in primis come si è detto in funzione della minimizzazione del carico fiscale. In tal caso non è detto che i corrispettivi infragruppo siano “simulati” poiché il corrispettivo pattuito tra parti correlate è un corrispettivo effettivo e realmente voluto dalle parti soltanto che potrebbe non corrispondere al prezzo di mercato determinato cioè in condizioni di libera concorrenza e praticato da soggetti indipendenti. Si è detto che in tal caso la situazione è diversa rispetto a quella che si verifica tra parti indipendenti, dove la divergenza tra il prezzo contrattuale e il “valore di mercato” può nascondere una controdichiarazione avente ad oggetto il corrispettivo reale: quando la controparte contrattuale è realmente “terza”, cioè non stretta da alcun vincolo di appartenenza al gruppo o da vincoli di altra natura in grado di determinare una comunanza di interessi nella fissazione dei corrispettivi, una significativa discrepanza tra il corrispettivo pattuito e il valore di mercato del bene potrebbe sottendere un’ipotesi di simulazione o parziale occultamento di corrispettivo, che va invece in linea di massima esclusa nei rapporti tra imprese emanazione di un unico soggetto economico. Come ha osservato la Corte di Cassazione (18): «l’art. 110, comma 7, del D.P.R. n. 917/1986 … ha la finalità di evitare che, mediante fenomeni non simulatori come l’alterazione del prezzo di trasferimento, l’Erario italiano abbia a subire comunque un concreto pregiudizio. In altri termini, l’applicazione delle norme sul transfer pricing non combatte l’occultamento del corrispettivo, costituente una forma di evasione, ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro, sì da influire in concreto sul regime dell’imposizione fiscale».
3.2. Per escludere la matrice antielusiva dell’art. 110, settimo comma, del TUIR, è sufficiente porre a confronto la lettera della norma in esame con la lettera della norma che disciplina l’abuso del diritto. La norma in commento prevede che i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, mentre nel primo comma dell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente è previsto che configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti. Da questa semplice comparazione normativa emerge che la norma sulle valutazioni ha ad oggetto operazioni che hanno sostanza economica, poiché se fossero operazioni prive di sostanza economica non rientrerebbero nell’art. 110 ma nell’art. 10-bis. Da questa semplice constatazione emergono due conseguenze: a) alle operazioni ex art. 110, settimo comma, è inapplicabile la disciplina contenuta nell’art. 10-bis (motivazione rafforzata, contraddittorio tipicizzato, etc.); e b) alle operazioni intercompany aventi ad oggetto fra società residenti e non residenti prive di sostanza economica e che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti si applica l’art. 10-bis.
4. Le operazioni intercompany abusive in quanto prive di sostanza economica e che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti
Esaminiamo ora le operazioni internazionali intercompany abusive in quanto prive di sostanza economica, non conformi a normali logiche di mercato e che realizzano vantaggi fiscali indebiti. L’area dell’abuso del diritto tributario per quanto riguarda le operazioni intercompany è caratterizzata da un ambito in cui le “normali logiche di mercato” non si identificano con quelle intercorrenti tra operatori indipendenti. Nelle operazioni intercompany l’autonomia privata viene esercitata da attori che sono dotati di poteri di fatto idonei a determinare interferenze sui processi decisionali e che esercitano le facoltà e i poteri, come si è visto in precedenza, non nell’interesse della singola impresa o società ma nell’interesse del gruppo. I termini naturali dell’atto o del contratto in questo caso determinano un assetto degli interessi non della singola entità ma del gruppo; ciò ovviamente non accade nelle operazioni senza sostanza economica poste in essere tra soggetti indipendenti e in tal caso l’indagine che andrà operata avrà ad oggetto il risultato, il frutto delle determinazioni volitive del gruppo che se volte all’ottenimento di un “vantaggio fiscale indebito” integreranno il presupposto per l’applicazione dell’art. 10-bis. In altre parole un conto sono le normali logiche di mercato tra soggetti indipendenti ed un conto sono le normali logiche di mercato tra imprese intercompany. In linea generale il mercato può atteggiarsi in due forme alternative (in linea teorica i due archetipi sono la concorrenza e il monopolio) che nella esperienza reale divengono la forma “tendenzialmente concorrenziale” e la forma “tendenzialmente monopolistica” e che vengono definiti come “i principi organizzativi dell’istituzione mercato”. In particolare la concorrenza, dal punto di vista economico, costituisce uno strumento per garantire l’efficienza allocativa, mentre dal punto di vista giuridico è una regola sulla autonomia privata poiché preclude a tutti gli attori presenti nel mercato di influire sui processi decisionali, sui termini e sulle condizioni dello scambio. Mentre le condizioni di libera concorrenza sono lo strumento di controllo dei prezzi di trasferimento, le normali logiche di mercato (monopolistico) caratterizzano lo strumento di controllo delle operazioni economiche abusive intercompany. Le operazioni intercompany si prestano agevolmente ad essere contestate dall’Amministrazione finanziaria come elusive anche se non è detto che siano effettivamente elusive. Ad esempio, il prezzo pattuito può non corrispondere al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti ed in condizioni di libera concorrenza poiché vi possono essere ragioni, economicamente fondate, che giustificano corrispettivi non corrispondenti a tale prezzo. In questi casi occorrerà accertare se l’operazione economica persegua un interesse meritevole di tutela da parte del legislatore tributario: in questo caso se l’atto è conforme al fine economico per il quale è stato conferito il potere di autonomia a quel determinato soggetto l’operazione economica è legittima. Infatti per accertare l’abuso è necessario esaminare il fine della condotta dell’agente (cioè l’interesse acquisitivo, modificativo, costitutivo a un bene della vita), il fine tipico (cioè la finalità prevista dall’ordinamento in vista della quale è attribuito a quell’atto quel particolare effetto giuridico) e il fine economico (cioè la finalità dell’operazione coerente con la normale logica di mercato). Nel legittimo risparmio di imposta il fine dell’agente, il fine tipico e il fine economico coincidono; nell’abuso il fine dell’agente e il fine tipico coincidono ma diverge il fine economico; nell’illecito il fine dell’agente e il fine economico coincidono, ma diverge il fine tipico. Le conseguenze dal punto di vista giuridico sono che: nella liceità non vi è né violazione nè inopponibilità né recupero di imposte né irrogazione di sanzioni; nell’abuso non vi è violazione, non vi è irrogazione di sanzioni ma vi è inopponibilità consistente nel recupero delle sole maggiori imposte dovute alla “destrutturazione” dell’operazione nel perseguimento del fine economico; nella illiceità vi è la violazione che comporta il recupero delle imposte ordinarie e l’irrogazione delle sanzioni. Per correggere le distorsioni viene conferito all’Amministrazione finanziaria uno specifico potere in funzione correttiva («il potere di disconoscimento del vantaggio tributario»); il disconoscimento opererà, ad esempio, mediante la finzione giuridica della riqualificazione dei valori economici considerati nell’operazione elusiva e successivamente nella quantificazione della differenza tra il carico fiscale emergente prima e dopo detta riqualificazione.
5. L’interesse tutelato nell’art. 110, settimo comma, del TUIR, e la ripartizione del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza
5.1. Esclusa la matrice antielusiva dell’art. 110, settimo comma, del TUIR, occorre porci l’interrogativo di individuare quale sia l’interesse tutelato nella disciplina tributaria in materia di transfer price. In primo luogo osserviamo che la disposizione: a) attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di rettificare le componenti di reddito da operazioni infragruppo, qualora non corrispondano al prezzo praticato in condizioni di libera concorrenza; b) è applicazione dell’arm’s length principle di cui all’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE; c) attiene alla determinazione della base imponibile. Per rispondere adeguatamente al nostro interrogativo è necessario preliminarmente verificare se il legislatore nella fase di confezionamento della disposizione abbia dato indicazioni utili per l’interprete (19). Un primo prezioso elemento lo si rinviene nella stessa lettera della legge; infatti i componenti di reddito da operazioni infragruppo «sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili; la rettifica in diminuzione può essere riconosciuta: a) in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi, ovvero dalla Convenzione 90/436/CE del 23 luglio 1990, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili delle imprese associate; b) a conclusione dei controlli effettuati nell’ambito di attività di cooperazione internazionale i cui esiti siano condivisi dagli Stati partecipanti; c) a seguito di istanza da parte del contribuente, da presentarsi secondo le modalità e i termini la cui determinazione è affidata a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, a fronte di una rettifica in aumento definitiva e conforme al principio di libera concorrenza effettuata da uno Stato con il quale è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi che consenta un adeguato scambio di informazioni». Quindi la norma assume che gli Stati cooperino fra di loro allo scopo di evitare distorsioni che possano derivare dalla doppia imposizione. Se raffiniamo l’indagine attraverso l’esame delle recenti Guidelines OCSE (20) si ottengono ulteriori utili elementi. Nelle Guidelines si legge: «when independent enterprises transact with each other, the conditions of their commercial and financial relations (e.g. the price of goods transferred or services provided and the conditions of the transfer or provision) ordinarily are determined by market forces. When associated enterprises transact with each other, their commercial and financial relations may not be directly affected by external market forces in the same way, although associated enterprises often seek to replicate the dynamics of market forces in their transactions with each other … Tax administrations should not automatically assume that associated enterprises have sought to manipulate their profits. There may be a genuine difficulty in accurately determining a market price in the absence important to bear in mind that the need to make adjustments to approximate arm’s length transactions arises irrespective of any contractual obligation undertaken by the parties to pay a particular price or of any intention of the parties to minimize tax. Thus, a tax adjustment under the arm’s length principle would not affect the underlying contractual obligations for non-tax purposes between the associated enterprises, and may be appropriate even where there is no intent to minimize or avoid tax. The consideration of transfer pricing should not be confused with the consideration of problems of tax fraud or tax avoidance, even though transfer pricing policies may be used for such purposes». L’OCSE coglie un profilo decisivo ai fini di individuare quale sia la finalità della disciplina legislativa in materia di transfer price: mentre tra independent enterprises si presume che il prezzo sia determinato dalle market forces, tra associated enterprises non può presumersi altrettanto poiché il prezzo può essere influenzato da diverse variabili. Ed è importante il corollario che segue a tale assunto: non può sempre presumersi che il transfer price infragruppo sia manifestazione di una condotta elusiva o evasiva delle imposte («tax administrations should not automatically assume that associated enterprises have sought to manipulate their profits»). Anche dall’esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia emergono utili elementi. Si è consolidato un orientamento che segue il seguente andamento argomentativo: a) l’imposizione delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri (21); b) in mancanza di un’armonizzazione da parte del diritto comunitario, spetta agli Stati membri stabilire i criteri di ripartizione dei loro poteri impositivi mediante la stipula di convenzioni contro le doppie imposizioni o attraverso misure unilaterali (22); c) è ragionevole che gli Stati membri si ispirino alla prassi internazionale e ai modelli di convenzione elaborati dall’OCSE (23); d) pratiche abusive costituite da costruzioni di puro artificio finalizzate a eludere l’applicazione della normativa dello Stato membro interessato (24) sono una forma particolare d’ingerenza nella ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Il fatto di ricorrere a costruzioni artificiose al fine di sottrarre i redditi all’imposizione in uno Stato membro e di assoggettarli, invece, ad imposta in un altro Stato costituisce un pregiudizio alla ripartizione equilibrata della competenza fiscale (25). Di conseguenza, la lotta a pratiche siffatte non è fine a se stessa, ma persegue l’obiettivo più ampio di garantire il diritto dello Stato membro all’esercizio della competenza impositiva sulle attività attuate nell’ambito del suo territorio; e) il ricorso al criterio della costruzione artificiosa è necessario tutte le volte che operazioni transfrontaliere si presentano esteriormente come normali attività economiche. In questo caso, in sostanza, si presume che l’operazione sia stata effettuata nell’ambito di un esercizio legittimo della libertà di stabilimento (26). Solo qualora tale apparenza sia smentita dalla prova che, effettivamente, non sussiste un reale contesto economico per l’operazione nella sua forma concreta, risulta pregiudicata la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri; f) la lotta alle pratiche abusive nella forma di costruzioni artificiose ai fini di evasione fiscale rappresenta un corollario della ragione giustificativa della tutela di una ripartizione equilibrata del potere impositivo. Pertanto se società aventi sede in diversi Stati membri concludono operazioni in condizioni economiche normali, la ripartizione del potere impositivo è salva (27); g) la ripartizione del potere impositivo sotto i profili della territorialità (sede dell’impresa o fonte dei redditi ubicate nel territorio nazionale) ha lo scopo di conferire in via prioritaria a uno Stato il diritto di tassare determinati redditi. Insieme alla disciplina contro le doppie imposizioni esiste dunque un sistema internazionale di competenze per l’imposizione fiscale. Esso – anche se non scevro da lacune su singoli aspetti – deve in linea di massima garantire che tutti i redditi siano veramente tassati soltanto una volta (28); h) il fatto che le imprese cerchino di trarre vantaggio dalle differenze tra i regimi tributari nazionali costituisce una forma legittima di agire economico ed è inevitabile in un mercato interno in cui la tassazione delle imprese non è armonizzata. Conseguentemente non si può, ad esempio, impedire in assoluto a un’impresa di spostare la propria sede in un altro Stato membro che offra condizioni fiscali generali più vantaggiose. Solo quando una siffatta “ottimizzazione fiscale” mina al contempo la ripartizione del potere impositivo degli Stati membri si possono giustificare limitazioni delle libertà fondamentali (29).
5.2. La Corte ha esaminato il caso di una società belga che aveva concesso a una società francese ad essa collegata un c.d. beneficio straordinario e senza contropartita (30). La società belga aveva dedotto l’ammontare quale “spesa professionale” riducendo il proprio onere fiscale. L’Amministrazione finanziaria belga ha contestato la deducibilità in applicazione della normativa nazionale che prevede che se un’impresa con sede in Belgio concede benefici straordinari o senza contropartita questi sono sommati agli utili propri di detta impresa, a meno che tali benefici non concorrano alla formazione della base imponibile del reddito della società beneficiaria. In particolare qualora la società beneficiaria sia non residente sono sommati agli utili propri i benefici straordinari o senza contropartita che, in virtù delle disposizioni della legislazione del Paese ove sono stabiliti, non sono ivi assoggettati a un’imposta sul reddito o sono assoggettati a un regime fiscale notevolmente più vantaggioso di quello a cui è sottoposta l’impresa stabilita in Belgio. La norma belga è in attuazione della Convenzione 23 luglio 1990 90/436/CEE, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate il cui art. 4, n. 1, corrisponde testualmente all’art. 9, n. 1, del modello di convenzione OCSE sul principio della libera e piena concorrenza. La Corte di Giustizia ha ritenuto la disposizione belga compatibile con le norme del Trattato in relazione alle libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali. In particolare la Corte di Giustizia ha osservato che: «una normativa nazionale che si fondi su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali va considerata come non eccedente quanto necessario per raggiungere gli obiettivi relativi alla necessità di salvaguardare la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e a quella di prevenire l’elusione fiscale quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui esiste il sospetto che una transazione ecceda ciò che le società interessate avrebbero convenuto in un regime di piena concorrenza, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione sia stata conclusa. In secondo luogo, qualora la verifica di siffatti elementi porti alla conclusione che la transazione di cui trattasi eccede quanto le società interessate avrebbero convenuto in un regime di piena concorrenza, la misura fiscale correttrice deve limitarsi alla frazione che supera ciò che sarebbe stato convenuto in mancanza di una situazione d’interdipendenza tra queste ultime» (31). In un’altra fattispecie la Corte di Giustizia (32) ha constatato che i sussidi tra imprese collegate eludono la ripartizione del potere impositivo. Infatti, qualora si dovessero riconoscere fiscalmente siffatti trasferimenti, le imprese di un gruppo, qualunque sia il luogo in cui gli utili sono stati realizzati, potrebbero scegliere liberamente lo Stato membro in cui assoggettare questi ultimi a imposta (33). In altra sentenza si è osservato che le disposizioni che ostacolano le costruzioni artificiose avvalendosi del principio della piena concorrenza possono rifiutare il riconoscimento fiscale a simili costruzioni esclusivamente nei limiti in cui esse deroghino a quanto le società indipendenti avrebbero convenuto in un contesto di piena concorrenza (34). Pertanto, ad esempio, un prezzo eccezionalmente basso o eccezionalmente alto convenuto per una prestazione tra imprese collegate non deve comportare che l’operazione complessiva non sia riconosciuta fiscalmente. Ciò deve implicare piuttosto che i prezzi stessi siano aumentati o diminuiti, a fini fiscali, al livello abituale (35).
5.3. In conclusione può osservarsi che sia il testo normativo che le Guidelines dell’OCSE che le indicazioni contenute nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (secondo cui il principio della piena concorrenza che rappresenta un criterio idoneo per distinguere le costruzioni artificiose dalle reali transazioni commerciali) (36) consentono di ritenere che l’art. 110, settimo comma, del TUIR, persegue il fine prioritario di tutelare la ripartizione equilibrata del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza.
5.4. L’art. 110, settimo comma, del TUIR, ricalca l’art. 9 del modello di convenzione OCSE e l’art. 4 della convenzione arbitrale. L’applicazione in concreto della norma richiede che sia compiuta una valutazione in merito alle operazioni poste effettivamente in essere tra imprese collegate poiché, secondo il principio della piena concorrenza, si deve stabilire se le transazioni infragruppo siano o meno anormali dal punto di vista economico. Il criterio del prezzo pattuito tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza viene così assunto a parametro per la verifica della ordinarietà dell’operazione; se la transazione non rispetta tale criterio è stato leso l’interesse alla ripartizione equilibrata del potere impositivo e quindi si procede a rettificare il valore dell’operazione adeguandolo a quello che sarebbe stato pattuito tra soggetti indipendenti. Inoltre occorre a mio avviso distinguere tra il criterio di determinazione del prezzo di trasferimento (il “transfer price”) e i comportamenti concretamente posti in essere dall’imprenditore (“la politica d’impresa relativa ai transfer price”). Il primo è un criterio oggettivo di verifica della anormalità ed è indifferente rispetto al tema della condotta, mentre la seconda può essere strutturata e concertata al fine di sottrarre gettito allo Stato indipendentemente dalle condizioni di mercato della transazione. L’art. 110, settimo comma, del TUIR, attraverso la disciplina del criterio di controllo del prezzo di trasferimento tutela direttamente l’interesse al riparto equilibrato del potere impositivo e indirettamente, mediatamente, consente la sindacabilità da parte dell’Amministrazione finanziaria delle scelte di politica d’impresa relative al transfer price.
6. L’esimente introdotta con l’art. 26 del D.L. n. 78/2010
6.1. Per quanto attiene la disciplina sanzionatoria l’art. 1 del D.Lgs. n. 471/1997, concernente le violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette, al sesto comma prevede che, in caso di rettifica da transfer price «da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito», la sanzione relativa al caso di infedele dichiarazione dei redditi «non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati»; e ciò sempreché della tenuta della DPT sia stata data comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini indicati nel predetto provvedimento. «In assenza di detta comunicazione», si legge ancora nell’ultimo periodo del comma 2-ter citato, «si rende applicabile il comma 2», il quale prevede, appunto, l’applicabilità della sanzione amministrativa dal 90% al 180% delle maggiori imposte (o differenze di credito) dovute. La ratio della previsione consiste – come si legge anche nella relazione illustrativa – nel fatto che la tenuta di una DPT standardizzata consente di incrementare l’efficacia dell’azione di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulle operazioni infragruppo cui si riferisce l’art. 110, settimo comma, del TUIR, controllo reso oggi difficile dalla «mancanza di un’adeguata collaborazione da parte del contribuente, essendo caratterizzato da elementi di rilevante complessità, anche tecnica». La previsione medesima, si legge ancora nella relazione illustrativa, «costituisce una efficace leva motivazionale nei confronti di tutte le imprese residenti appartenenti a gruppi multinazionali per adeguarsi all’onere imposto per legge, senza attendere il momento del controllo o della verifica» ed è «in linea con i principi fondamentali che disciplinano il rapporto tra Fisco e contribuente». Per quanto poi riguarda, più specificamente, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle entrate la tenuta della DPT, la relazione illustrativa giustifica un siffatto onere con l’esigenza di «consentire all’Amministrazione fiscale, di procedere ad una più efficace analisi preliminare dello specifico rischio fiscale, soprattutto con riferimento a quei soggetti privi della stessa». Ciò che emerge da tale inciso è il fatto che il non tenere la prescritta documentazione potrebbe costituire un “campanello di allarme” per l’Amministrazione finanziaria e, conseguentemente, aumentare la probabilità che venga innescato un controllo a carico del contribuente che non si sia giovato della facoltà concessagli dall’art. 1, sesto comma, del D.Lgs. n. 471/1997. Si tratta ora di esaminare i principali temi applicativi. In primo luogo la questione della legittimità costituzionale della norma stessa; se si aderisse alla tesi in precedenza illustrata secondo cui all’art. 110, settimo comma, è norma antielusione (e, perciò stesso, non sarebbero applicabili sanzioni per le motivazioni cui si è poc’anzi accennato), la norma in esame dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 23 e 25 Cost.: la norma che introduce l’esimente, infatti, presuppone l’applicabilità della sanzione alla infedele dichiarazione tributaria; norma questa che è di per sé comunque inapplicabile sotto il profilo della mancanza della tipicità della condotta illecita in materia di transfer pricing. Se accogliessimo la tesi della natura antielusiva dell’art. 110, settimo comma, del TUIR, dunque, la norma in questione sarebbe sostanzialmente un “nato morto”, in quanto di per sé inidonea a spiegare qualsiasi effetto, giacché l’inapplicabilità delle sanzioni discenderebbe direttamente dalla mancanza di una norma che tipicizzi il comportamento illecito punibile.
6.2. Si è in precedenza osservato che l’interesse protetto è la ripartizione equilibrata del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza. Pertanto è a mio avviso pienamente giustificata la potestà punitiva poiché l’operazione caratterizzata dalla anormalità dal punto di vista economico può essere di per sé idonea a ripartire in modo distorto il carico tributario a svantaggio del nostro Paese, in altre parole se la condotta posta in essere dal gruppo internazionale è finalizzata alla sottrazione di materia imponibile da un lato l’operazione è rettificabile e dall’altro saranno applicabili le sanzioni. Una volta ritenute in astratto applicabili le sanzioni amministrative alla fattispecie di cui al settimo comma dell’art. 110 del TUIR, si pongono una serie di temi quali: la conformazione dell’esimente della non applicazione delle sanzioni pecuniarie; la distinzione fra inapplicabilità della sanzione a seguito dell’esimente ex art. 26 per l’obiettiva incertezza piuttosto che per carenza degli elementi soggettivo od oggettivo dell’illecito; l’idoneità formale o sostanziale della documentazione offerta in conoscenza all’Amministrazione finanziaria; nonché, da ultimo, la diversa gradualità di conseguenze che seguono all’adempimento pieno, parziale o mendace dell’onere di consegna documentale nonché, ovviamente, al non adempimento tout court di tale onere. Quanto alle caratteristiche essenziali dell’esimente, queste rilevano quale soluzione del problema delle divergenze valutative insite nelle comunicazioni di conoscenza dei fatti economici che manifestano l’attitudine alla contribuzione tributaria, in quanto posto che vi sono oggettive difficoltà valutative che non possono non essere prese in considerazione dal legislatore il comportamento pienamente collaborativo del contribuente che consente all’Amministrazione finanziaria di verificare con quali modalità è stato costruito il prezzo di trasferimento esclude che nella specie sia stato posto in essere un comportamento in violazione dell’interesse protetto. Non vi è alcun dubbio infatti che, come ha osservato l’OCSE nelle Guidelines del 2010, nel caso di operazioni infragruppo vi possono essere numerose variabili da prendere in considerazione al fine di determinare il prezzo di trasferimento. Punto di partenza obbligato al riguardo è la determinazione del prezzo che sarebbe stato pattuito, ciò che rappresenta una tipica attività di carattere valutativo. Infatti in materia di transfer pricing vi è da registrare la complessità intrinseca delle questioni trattate, oltre che la difficoltà di interpretazione delle norme e la difficoltà di valutazione delle circostanze concrete che compongono la fase di adempimento dell’obbligo (basti pensare alla comparability analysis). In sintesi il comportamento collaborativo viene considerato non contrastante con l’interesse dell’Amministrazione finanziaria e si salvaguarda un interesse (non punire fatti non dannosi) che ha un valore uguale o superiore a quello che si sacrifica. Tenendo presente quanto esposto in precedenza, si comprende quindi come l’esimente non incida sull’elemento soggettivo o psicologico dell’illecito. La ragione per cui il fatto non deve essere punito va al di là del momento soggettivo dell’illecito e investe il fatto stesso nella sua materialità, poiché in questo non si riscontrano i presupposti di danno e di pericolosità che soli possono giustificare la conseguenza punitiva. In altri termini, la circostanza esimente possiede una intrinseca carica connotativa di ordine oggettivo in quanto opera per il fatto stesso che esiste, indipendentemente dall’opinione dell’agente. Ciò è di palese evidenza se si condivide l’idea che l’interesse protetto sia la ripartizione equilibrata del potere impositivo fra gli Stati in attuazione del principio di libera concorrenza. Infatti le caratteristiche del comportamento che giustifica l’esimente consistono nel porre in condizione l’Amministrazione finanziaria italiana di conoscere tutti gli elementi che hanno concorso alla formazione del prezzo di trasferimento e quindi di consentire all’Amministrazione stessa di verificare se l’operazione comporti o meno sottrazione di materia imponibile al potere di imposizione dello Stato italiano. La formulazione della norma non consente, dunque, nell’esame e nella valutazione delle circostanze che conducono alla non applicazione della sanzione, spazio per apprezzamenti subiettivi; si deve trattare di fattispecie delle quali si possa desumere la sussistenza del presupposto consistente nella duplice condizione di preventiva comunicazione e di idoneità della documentazione conservata. In sostanza, la doppia condizione è fatto costitutivo dell’effetto del dovere di disapplicazione della sanzione. Non v’è dubbio peraltro che l’art. 1, sesto comma, incida su fattispecie giuridiche complete, impedendo il prodursi delle conseguenze sfavorevoli che seguirebbero alla realizzazione delle fattispecie sanzionatorie. Com’è noto, quando il fatto corrisponde esattamente al modello disegnato dalla norma, le conseguenze giuridiche contemplate nella norma devono senz’altro prodursi; alla perfetta integrazione degli elementi che compongono la fattispecie sanzionatoria deve seguire l’efficacia tipica del modello rispetto al quale il fatto si qualifica come perfetto. In conseguenza di ciò è da escludere che la norma operi all’interno dei meccanismi di esercizio della funzione repressivo-punitiva, agendo sugli elementi (soggettivi e oggettivi) di formazione della fattispecie sanzionatoria; né si può ravvisare in tale norma la fonte di una particolare forma di esercizio del potere sanzionatorio a livello sostanziale. Analogamente occorre osservare che l’esimente non osta all’applicazione – qualora ne ricorrano i presupposti – della concorrente esimente della obiettiva incertezza di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997.
7. Transfer price, abuso del diritto e riparto del potere impositivo
7.1. Avere individuato la ratio dell’art. 110, settimo comma, del TUIR, nell’esigenza di tutela della ripartizione del potere impositivo fra gli Stati, piuttosto che nell’esigenza di combattere l’elusione fiscale o l’abuso del diritto ha, come si è già anticipato, una serie di ricadute e di precipitazioni applicative rilevanti. Infatti si tratta di una disposizione che nulla a che fare con “i fenomeni distorsivi e le integrazioni normative” che tipicamente caratterizzano l’elusione (37); in questo caso gli illeciti sono vere e proprie violazioni frontali delle disposizioni in tema di determinazione dei componenti positivi e negativi di reddito. In tali casi l’Amministrazione finanziaria accerta se nell’analisi del comportamento tenuto dal contribuente vi è stata una condotta tesa a sottrarre materia imponibile alla tassazione e qualora ciò avvenga dovrà procedere a contestare al contribuente la violazione della norma (in ciò onerandosi di provare i presupposti dell’illecito). Ne segue che l’Amministrazione finanziaria dovrà nella distribuzione degli oneri probatori provare non il vantaggio fiscale ottenuto dal contribuente (38), ma la difformità tra prezzo pattuito tra soggetti indipendenti ed il corrispettivo della transazione (39).
8. Conclusioni
In conclusione le indicazioni che provengono dall’OCSE e recepite dal legislatore nel D.L. n. 50 del 2017 sono importanti e significative: mentre i prezzi relativi alle transazioni negoziate tra imprese indipendenti sono di norma determinate dal mercato, così non è per i prezzi relativi alle operazioni infragruppo (ancorché in buona fede le imprese infragruppo possano cercare di replicare le dinamiche del mercato). Esiste una oggettiva difficoltà nella determinazione dei prezzi di trasferimento delle imprese infragruppo poiché vi possono essere diverse variabili da prendere in considerazione. La prima conseguenza è che le Amministrazioni finanziarie non possono presumere che nelle transazioni infragruppo le imprese sempre cerchino di “costruire” prezzi allo scopo di manipolare i profitti in relazione alla fiscalità dei diversi Stati interessati. Infatti un conto è il criterio di determinazione del “transfer price” e un conto è «la politica d’impresa relativa ai transfer price»: il primo è neutro e indifferente, mentre la seconda può essere strutturata e concertata a fini illeciti. L’art. 110, settimo comma, del TUIR, nel perseguire l’interesse all’equilibrato riparto del potere di imposizione attribuisce incisivi strumenti di controllo. Corollario di ciò è che, nelle questioni afferenti il transfer pricing, non esiste un’unica risposta esatta all’interrogativo di quale sia l’effettivo prezzo pattuito tra soggetti indipendenti, essendo possibile soltanto addivenire a un intervallo di valori che, plausibilmente, si avvicini ai valori dei prezzi che sarebbero stati convenuti tra parti indipendenti, in condizioni di libero mercato. Invero, l’OCSE stessa, nelle predette direttive del 1995, precisa che: «occorre ricordare, a questo punto, che il transfer pricing non è una scienza esatta, ma richiede una valutazione da parte dell’amministrazione fiscale e del contribuente» (40). La conseguenza immediata di quanto precede è che, trattandosi di fattispecie valutativa, è possibile che il contribuente e l’Agenzia delle entrate – basando la rispettiva valutazione su considerazioni e parametri divergenti – giungano a conclusioni tra di loro diverse ma entrambe ragionevolmente fondate tenendo anche presente che per il principio di simmetria dei flussi reddituali occorre evitare la doppia imposizione del medesimo flusso reddituale (41). Individuata la ratio della normativa nel riparto del potere impositivo fra gli Stati è necessario proseguire nella costruzione di un nuovo e diverso impianto normativo che preveda la definizione delle divergenze valutative ontologicamente presenti nel transfer price (42) attraverso modelli procedimentali in contraddittorio tra le Amministrazioni finanziarie dei diversi Stati e il contribuente.
Prof. Mario Miscali
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Documentazione: Commissione europea, “Communication from the Commission to the Council, the European Parliament and the European Economic and Social Committee on the work of the EU Joint Transfer Pricing Forum in the period March 2007 to March 2009 and a related proposal for a revised Code of Conduct for the effective implementation of the Arbitration Convention (90/436/EEC of 23 July 1990) {SEC(2009) 1168} {SEC(2009) 1169}”, [COM(2009)472], 14 settembre 2009; Commissione europea, Double Taxation in the Single Market, [COM(2011)712], 11 novembre 2011; Commissione europea, Recommendation on aggressive tax planning [2012/772/EU], 6 dicembre 2012; OECD, Manual on Effective Mutual Agreement Procedures (MEMAP), February 2007 Version; OECD, Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations, July 2010 Version; OECD, Model Tax Convention on Income and on Capital, 22 July 2010; OECD, Discussion Draft Proposed Revision of the Section on Safe Harbours in Chapter IV of the OECD Transfer Pricing Guidelines and Draft Sample Memoranda of Understanding for Competent Authorities to Establish Bilateral Safe Harbours, 6 June 2012; OECD, The Comments Received Respect to the Discussion Draft on the Revision of the Safe Harbours Section of the Transfer Pricing Guidelines, 29 October 2012; OECD, Public Consultation: Draft Handbook on Transfer Pricing Risk Assessment, 30 April 2013; OECD, Addressing Base Erosion and Profit Shifting Report, 12 February 2013; OECD, Revised Section E on Safe Harbours in Chapter IV on the Transfer Pricing Guidelines, 16 May 2013; OECD, Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting, 19 July 2013.
(1) http://www.camera.it/leg17/995.
(2) Per quanto riguarda la dottrina vedi la nota bibliografica in calce al presente articolo, mentre per quanto riguarda la giurisprudenza ved. da ultimo Cass., sez. trib., 13 maggio 2015, n. 9709; Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18392; e Cass., sez. trib., 22 aprile 2016, n. 8130; tutte in Boll. Trib. On-line.
(3) Circ. 22 settembre 1980, n. 32, in Boll. Trib., 1980, 1644.
(4) L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, 222 ss. e sulle diverse tesi ved. E. DELLA VALLE, Il transfer price nel sistema di imposizione sul reddito, in Riv. dir. trib., 2009, 133.
(5) In questo senso, tra la giurisprudenza di legittimità, ex pluribus Cass., sez. trib., 31 marzo 2011, n. 7343, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 16 maggio 2007, n. 11226, ivi; e Cass., sez. trib., 13 ottobre 2006, n. 22023, in Boll. Trib., 2007, 575, con nota di A. MUSSELLI, Manca la prova elusiva: un ‘’classico’’ nel transfer pricing; tra la giurisprudenza di merito cfr. invece Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. I, 21 marzo 2011, n. 134; e Comm. trib. prov. di Pisa, sez. II, 9 maggio 2007, n. 52, entrambe in Boll. Trib. On-line. In dottrina si vedano in particolare S. CIPOLLINA, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili interni e comunitari, in Giur. it., 2010, 1728, e A. MARCHESELLI, «Transfer price» e differenze inventariali: le garanzie dei contribuenti, in Corr. trib., 2011, 1595.
(6) Comm. trib. reg. del Piemonte, sez. XXXIV, 14 aprile 2010, n. 25, in Boll. Trib. On-line.
(7) Così la già citata circ. n. 32/1980.
(8) E questo anche sotto la vigenza della precedente formulazione della norma (corrispondente all’art. 76, quinto comma, del “vecchio” TUIR): Cass. n. 11226/2007, cit.; e Cass. n. 22023/2006, cit.
(9) F. TESAURO, Abuso e processo: poteri del giudice e oneri di prova, in AA.VV., Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, 197; Cass. n. 11226/2007, cit.; Cass. n. 22023/2006, cit.; nonché Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. IV, 18 gennaio 2007, n. 88, in Boll. Trib. On-line.
(10) Sul punto nella vigenza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 cfr. E. MARELLO, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili procedimentali e processuali, in Giur. it., 2010, 1731; mentre ora ved. i contributi di CONTRINO – AMATUCCI – FRANZONI, in AA.VV., Abuso del diritto ed elusione fiscale, cit.
(11) Cfr. Corte Giust. UE 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, in Boll. Trib. On-line, in cui la Corte europea ha precisato che: «la constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni dell’IVA assolta a monte». Da ciò «discende che operazioni implicate in un comportamento abusivo devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato».
(12) Cass., sez. trib., 15 settembre 2008, n. 23633, in Boll. Trib. On-line.
(13) Così S. CIPOLLINA, Elusione fiscale ed abuso, cit., 1730.
(14) Così Cass., sez. trib., 25 maggio 2009, n. 12042, in Boll. Trib., 2009, 1223, con nota di F. BRIGHENTI, Abuso del diritto: sì al recupero dell’imposta, no alle sanzioni.
(15) Cfr. S. CIPOLLINA, Elusione fiscale ed abuso, cit., 1730.
(16) L. DEL FEDERICO, Abuso del diritto e sanzioni, in AA.VV., Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016.
(17) Comm. trib. reg. del Piemonte n. 25/2010, cit.
(18) Cfr. Cass., sez. trib., 13 luglio 2012, n. 11949, in Boll. Trib., 2013, 223, con nota di M. FAGGION – M. ZILIOTTO, Transfer price, natura della norma e onere della prova: la confusione persiste.
(19) Nella ricostruzione storico evolutiva della disciplina operata da C. GARBARINO, Transfer price, in Dig. priv., sez. comm., XVI, Torino, 1999, viene evidenziato che le diverse disposizioni normative succedutesi nell’ordinamento tributario, sin dai primi esempi del 1936, rispondevano alla necessità sia di disciplinare i riflessi per l’ordinamento interno delle operazioni cross border che di adeguare la disciplina interna alla normativa internazionale. Che la disciplina sul transfer price tragga origine dalla ricerca operata dagli Stati di trovare strumenti di cooperazione per eliminare gli effetti distorsivi è sottolineato anche da G. MAISTO quando osserva che: «l’inquadramento della disciplina del transfer price nel contesto legislativo interno e dei vari Paesi, la genesi storica dell’istituto, il suo evolversi in relazione alle mutate condizioni economiche del commercio internazionale e delle strutture societarie devono essere analizzati congiuntamente ad una rassegna delle attività che, nella specifica materia, le organizzazioni internazionali hanno profuso alla ricerca di strumenti di cooperazione tra Stati volti a eliminare gli effetti distortivi delle differenti valutazioni operate dalle Amministrazioni finanziarie. … non può, infatti, disconoscersi alle varie iniziative internazionali una funzione pre-legislativa sugli sviluppi normativi interni»: così G. MAISTO, Il transfer price nel diritto tributario italiano e comparato, Padova, 1985, 23. Già da tali indicazioni emerge che la normativa ha lo scopo di ripartire equilibratamente il potere impositivo tra gli Stati.
(20) OECD Transfer pricing guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations, luglio, 2010, 31.
(21) Corte Giust. 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer (punto 29); Corte Giust. 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (punto 40); Corte Giust. 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, (punto 25); e Corte Giust. 18 giugno 2009, causa C-303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha (punto 24); tutte in Boll. Trib. On-line.
(22) Corte Giust. 12 maggio 1998, causa C 336/96, Gilly, punti 24 e 30; Corte Giust. 23 febbraio 2006, causa C 513/03, Van Hilten Van der Heijden, punto 47; Corte Giust. causa C-524/04 del 2007, punto 49; e Corte Giust. 18 luglio 2007, causa C-231/05, OY-AA, punto 52; in Boll. Trib. On-line.
(23) Corte Giust. causa C 336/96 del 1998, punto 31; Corte Giust. causa C 513/03 del 2006, punto 48; e Corte Giust., sez. grande, 19 settembre 2006, causa C-356/04, Lydl Belgium, punto 22; in Boll. Trib. On-line.
(24) Corte Giust. causa C-196/04 del 2006, punto 51; e Corte Giust. causa C-524/04 del 2007, punto 72.
(25) Corte Giust. causa C-196/04 del 2006, punto 56.
(26) Corte Giust. causa C-524/04 del 2007, punto 73.
(27) Corte Giust. 21 gennaio 2010, causa C 311/08, Société de Gestion Industrielle (SGI), in Boll. Trib. On-line.
(28) Corte Giust. causa C-231/05 del 2007, punto 55.
(29) Corte Giust. causa C-231/05 del 2007, punti 62 e 63.
(30) Corte Giust. causa C 311/08 del 2010, punti 71 e 72.
(31) Punti 71 e 72 della sentenza.
(32) Corte Giust. causa C-231/05 del 2007.
(33) Corte Giust. causa C-231/05 del 2007, punti 55 e 56, nonché, per analogia, riguardo al trasferimento delle perdite, Corte Giust. causa C-446/03 del 2005, punti 45 e 46; e Corte Giust. causa C-356/04 del 2006, punto 32.
(34) Corte Giust. causa C-524/04 del 2007, punto 80; e Corte Giust., sez. IV, 17 gennaio 2008, causa C-105/07, Lammers & Van Cleeff, punto 29, in Boll. Trib. On-line.
(35) Corte Giust. causa C-524/04 del 2007, punto 83.
(36) Corte Giust. causa C-524/04 del 2007.
(37) In questo senso G. ZIZZO, Elusione ed evasione tributaria, in Diz. dir. pubbl., Milano, 2006, 2175.
(38) Come sostenuto negli orientamenti giurisprudenziali richiamati in nota 28.
(39) Un esempio pratico dovrebbe chiarire i termini della questione. Si ipotizzi il caso di un distributore X appartenente al Gruppo Zeta localizzato nel paese B che vende rotoli di tessuto, diverso dal Paese A in cui è localizzata la casa madre produttrice del tessuto Y. Allo scopo di verificare che il prezzo di trasferimento applicato da Y a X sia conforme al criterio del valore normale si procede all’identificazione della tested party; dopodiché si procede alla scelta del metodo secondo la gerarchia definita dall’OCSE. Poniamo che nel caso specifico sia applicabile il metodo del confronto del prezzo (o Comparable Uncontrolled Price, “CUP”), che consiste nel confrontare il prezzo dei beni oggetto di transazioni infragruppo con il prezzo di beni oggetto di transazioni comparabili tra soggetti indipendenti. La tested party Z è un distributore indipendente che vende lo stesso bene, rotoli di tessuto di tipo, qualità e quantità simili a quello venduto tra Y e X del Gruppo Zeta, presumibilmente allo stesso momento, allo stesso stadio di commercializzazione e in condizioni simili. In questo caso perché tale transazione sia considerata potenzialmente comparabile si è accertato che: le differenze nella qualità del prodotto non influiscono sostanzialmente sul prezzo; non vi sono differenze nella marca che hanno ricadute sul prezzo; non ci sono differenze rilevanti nelle condizioni di vendita (trasporto, assicurazione, quantità vendute) che possano influire sul prezzo. Le condizioni contrattuali sono sostanzialmente simili tra le due transazioni: entrambi i distributori godono, infatti, del diritto di esclusiva nel rispettivo mercato. I mercati in cui operano i distributori, pur essendo geograficamente diversi, non sono dissimili sotto il profilo economico dato che appartengono entrambi all’Unione europea. La strategia messa in atto dal Gruppo nei due mercati è sostanzialmente simile. Alla luce di quanto sopra, i fattori base di comparabilità sono allineati. Poniamo che il prezzo di acquisto del tessuto pagato da Z a Y sia 100 e che i costi di trasporto 16 siano a carico del produttore Y; poniamo inoltre che il Paese di B abbia vantaggi fiscali rispetto al Paese di A. Possiamo così avere quattro diverse ipotesi: a) il prezzo che X paga per il tessuto a Y è di 84; b) il prezzo che X paga per il tessuto a Y è di 80 (la differenza di 4 è dovuta alla remunerazione per rischio insolvenza commerciale che viene riconosciuto da X a Y per operare nel Paese B); c) il prezzo che X paga per il tessuto a Y è di 80 (la differenza di 4 è dovuta alla scelta di sottrarre materia imponibile alla tassazione nel Paese A e al minor carico fiscale di Y nel Paese B); d) il prezzo che X paga per il tessuto a Y è di 80 (la differenza di 4 è il corrispettivo di un contratto di assistenza commerciale). Nell’ipotesi a) il prezzo praticato di 84 è conforme al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti in condizioni di libera concorrenza di 100 in quanto il produttore si accolla il costo di trasporto di 16. Nell’ipotesi b) il prezzo praticato di 80 non è conforme al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti, non è giustificabile applicando il principio dell’arm’s length e sulla base delle Guidelines OCSE ma c’è una norma che ammette l’inerenza e quindi la deducibilità dei costi di remunerazione dei rischi di insolvenza commerciale. Nell’ipotesi c) il prezzo praticato di 80 non è conforme al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti, non è giustificabile applicando il principio dell’arm’s length e sulla base delle Guidelines OCSE, è motivato da politiche di prezzo di gruppo che fiscalmente e che economicamente comportano un minor prelievo fiscale per il Paese A. Nell’ipotesi d) il prezzo praticato di 80 è dovuto a un contratto di assistenza commerciale privo di sostanza economica e stipulato al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. Vediamo quali sono le conseguenze. In b) non viene leso l’interesse alla ripartizione del potere impositivo fra gli Stati poiché se è vero che il Paese A subisce un ridotto prelievo fiscale dovuto al fatto che il prezzo di trasferimento praticato non è conforme al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti, d’altro canto nell’ordinamento tributario di questo Paese vi è una norma che riconosce l’inerenza e quindi la deducibilità dei costi di remunerazione dei rischi di insolvenza commerciale e pertanto il comportamento dell’impresa è perfettamente legittimo; se invece tale norma non vi fosse stata l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto rettificare il corrispettivo della transazione mediante applicazione del criterio del prezzo pattuito tra soggetti indipendenti senza riconoscere la componente di prezzo infragruppo denominata “remunerazione per rischio insolvenza commerciale”. In c) viene leso l’interesse alla ripartizione del potere impositivo fra gli Stati poiché il Paese A ha un ridotto prelievo fiscale dovuto al fatto che il prezzo di trasferimento praticato non è conforme al prezzo pattuito tra soggetti indipendenti in quanto Y intende sottrarsi all’applicazione delle norme impositive del Paese A trasferendo materia imponibile a un soggetto localizzato in un Paese a più bassa fiscalità; cosicché l’Amministrazione finanziaria rettificherà il valore della transazione applicando le sanzioni che seguono all’infedeltà del comportamento nei confronti dell’Amministrazione fiscale. In d) il fine perseguito dalle parti e il fine tipico coincidono, ma diverge il fine economico poiché il contratto di assistenza commerciale non è conforme alle “normali logiche di mercato” ed è quindi, in quanto privo di sostanza economica, inopponibile all’Amministrazione finanziaria.
(40) Par. 1.12. delle Transfer price Guidelines OCSE del 1995.
(41) D. STEVANATO, Servizi intercompany, divieto di doppia imposizione e simmetria dei flussi reddituali, in Dial. trib., 2011, 65.
(42) Si è sottolineata l’inadeguatezza della normativa sul transfer price anche se con riferimento all’art. 9 del TUIR: «Trattasi evidentemente di previsioni assolutamente inadeguate a disciplinare una materia tanto complessa quale quella concernente l’individuazione del (l’astrattamente congruo) prezzo di trasferimento infragruppo. Ed invero esse sono state concepite allo scopo di individuare un valore da sottoporre a tassazione in quei casi in cui la transazione o è priva di corrispettivo o lo stesso non è espresso monetariamente e non appaiono in grado di assolvere al più gravoso compito di individuare i criteri per addivenire alla quantificazione del prezzo di trasferimento ad arm’s length in transazioni in cui, non di rado, sono coinvolti beni e servizi unici o ad alto contenuto tecnologico (si pensi a determinati intangibels)»: così E. DELLA VALLE, op. cit.