29 Gennaio, 2016

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il problema degli eredi – 3. Il disallineamento dei termini di prescrizione per le persone fisiche – 4. Il problema del raddoppio penale dei termini – 5. Il disallineamento dei termini di prescrizione per le persone fisiche rispetto alle società soggette ad IRES.

 

 

1. Premessa

I periodi di imposta che devono (sottolineiamo devono, non “possono”) 1 essere interessati dalla procedura di collaborazione volontaria (comunemente nota come “voluntary disclosure”) disciplinata dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186, sono identificati in più disposizioni normative contenute nella medesima legge. In particolare vanno menzionati: (i) l’art. 5-quater, comma 1, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227), come modificato dall’art. 1 della legge n. 186/2014, dove il presupposto temporale è identificato nella “violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, commessa fino al 30 settembre 2014”; (ii) l’art. 5-quater, comma 1, lett. a), del D.L. n. 167/1990, come modificato dall’art. 1 della legge n. 186/2014, dove il presupposto temporale è identificato in “tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta [cioè al 30 settembre 2015 2, n.d.r.], non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1”; (iii) l’art. 1, comma 2, della legge n. 186/2014, dove il periodo temporale è identificato nelle “violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, commesse fino al 30 settembre 2014”; (iv) l’art. 1, comma 3, della legge n. 186/2014, dove il periodo temporale è identificato in “tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta [cioè al 30 settembre 2015, n.d.r.], non sono scaduti i termini per l’accertamento di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni”.

I termini disciplinati sub (i) e (ii) riguardano le irregolarità dichiarative previste dalla disciplina del cosiddetto “monitoraggio fiscale”, cioè le violazioni connesse alla omissione (o infedele compilazione) del quadro RW

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3 da allegare all’unico delle Persone Fisiche (o da presentare autonomamente, in caso di esonero dalla compilazione del modello unico) 4, per consentire l’emersione spontanea dei capitali detenuti illecitamente all’estero, e le irregolarità dichiarative ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP, dell’IVA e dei contributi previdenziali, sia nell’ipotesi in cui i redditi evasi siano confluiti nelle attività estere (c.d. collaborazione volontaria internazionale) 5, sia nell’ipotesi in cui i redditi evasi non siano confluiti all’estero [i maggiori imponibili c.d. “non connessi” di cui alla lett. a) dell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990, c.d. collaborazione volontaria nazionale 6], ma siano rimasti in Italia.

I termini disciplinati sub (iii) e (iv) riguardano invece i contribuenti non soggetti agli obblighi di monitoraggio fiscale quali, ad esempio, le società di capitali. Come chiarito nel par. 2.1 della circolare del 13 marzo 2015, n. 10/E 7, “la ratio sottesa all’ampliamento della procedura di collaborazione volontaria prevista dal comma 2 dell’art. 1 della citata legge n. 186/2014, deve essere ricondotta alla finalità di venire incontro a due esigenze principali: quella di evitare che all’emersione di imponibili sottratti a società italiane e detenuti all’estero potesse seguire un automatico accertamento fiscale su tali società e quella di evitare disparità di trattamento, difficilmente sostenibili, tra i contribuenti che trasferiscono gli imponibili all’estero e quelli che lasciano tali imponibili in Italia8.

Il problema che ci preme affrontare è come si pone il doppio termine previsto dalla normativa in commento che, tanto nella collaborazione internazionale, quanto in quella nazionale, pone due limiti temporali: uno per la commissione delle violazioni che deve essere avvenuta entro il 30 settembre 2014, l’altro dato dai termini per la constatazione delle violazioni concernenti il monitoraggio fiscale (nel caso della collaborazione internazionale) o dei tributi a norma dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel caso della collaborazione nazionale delle società).

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A quanto sopra si aggiunge l’ulteriore fattispecie del raddoppio dei termini di decadenza della potestà di accertamento, previsto dall’art. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, e dall’art. 57, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, per le infedeltà od omissioni dichiarative che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, a prescindere dal fatto che il perfezionarsi della procedura comporti la non punibilità dello stesso (c.d. “raddoppio penale” dei termini).

2. Il problema degli eredi

Posto che per le persone fisiche il periodo di imposta coincide con l’anno solare (art. 7 del TUIR) e che la dichiarazione deve essere presentata entro il 30 settembre di ciascun anno (a norma dell’art. 2, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322), dal fatto che la legge faccia riferimento alla violazione commessa fino al 30 settembre 2014 consegue che l’ultimo periodo di imposta che deve essere compreso nella collaborazione volontaria è rappresentato dall’anno 2013. Peraltro, il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta 2014 è il 30 settembre 2015 e in pari data scade il termine per l’attivazione della procedura di collaborazione volontaria (a norma del comma 5 dell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990), di talché il 2014, in caso di attività estere possedute da un contribuente che vuole usufruire della collaborazione volontaria, dovrà essere compilato in modo ordinario dichiarando le attività estere e i relativi redditi [fatta salva l’applicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso 9 e dell’integrativa entro i novanta giorni 10], non potendosi realizzare l’estensione, anche al periodo di imposta 2014, della procedura di collaborazione volontaria, visto che non può configurarsi alcuna violazione commessa entro il 30 settembre 2014.

Il secondo riferimento ai periodi di imposta “per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1” esclude anch’esso il periodo di imposta 2014, includendo tutti i periodi anteriori, a partire dal 2013, soggetti ad accertamento. Infatti, gli obblighi di dichiarazione relativi al periodo di imposta 2014 non possono realizzare alcuna violazione in quanto il modello RW per il 2014 deve essere inviato al 30 settembre 2015, cioè alla medesima scadenza prevista per l’attivazione della procedura di collaborazione volontaria e, conseguentemente, non è configurabile alcun periodo per il quale “non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione”, posto che tali termini non sono nemmeno iniziati.

Alla luce di quanto sopra appare non del tutto chiara la motivazione di una diversa formulazione dei due termini temporali, ben potendosi far unicamente riferimento ai periodi di imposta “per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1” anche nell’incipit dell’art. 5-quater, comma 1, del D.L. n. 167/1990 11.

Il caso che risulta irragionevolmente escluso dalla normativa in esame è quello del decesso di un contribuente avvenuto, ad esempio, in data 1° luglio 2014. Per effetto dell’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, “Tutti i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti entro quattro mesi da essa, compresi il termine per la presentazione della dichiarazione e il termine per ricorrere contro l’accertamento, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi”. In tale ipotesi la dichiarazione relativa al 2013 deve essere presentata entro il 31 marzo 2015 con la conseguenza che al 30 settembre 2014 nessuna violazione può considerarsi realizzata e, per contro, alla data del 30 settembre 2015 sono già in corso i termini per l’accertamento o la contestazione di violazioni inerenti tale dichiarazione.

Qualora gli eredi che hanno sottoscritto la dichiarazione avessero omesso il quadro RW (perché mai compilato dal de cuius nei precedenti periodi di imposta o per errore loro proprio) o non avessero incluso dei redditi imponibili non solo connessi alle attività estere, ma anche di altro tipo, il tenore letterale della norma non sembra consentire la possibilità di beneficiare della collaborazione volontaria.

Si ritiene che, trattandosi di una dichiarazione sottoscritta dagli eredi (ancorché inerente a redditi riferibili al de cuius), non operi la intrasmissibilità delle sanzioni di cui all’art. 8 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che è sicuramente applicabile alle dichiarazioni sottoscritte (o che avrebbero dovuto esserlo) dal de cuius. Ancora più delicata è la problematica qualora la dichiarazione fosse infedele per effetto di un reddito non dichiarato il cui ammontare configura un reato previsto dal D.Lgs. n. 74/2000. Il fatto di non potere accedere alla collaborazione volontaria preclude agli eredi la riduzione delle sanzioni e il beneficio dell’inapplicabilità delle sanzioni penali.

La citata circolare n. 10/E/2015, al par. 4.3, non fornisce particolari ragguagli a tale proposito, limitandosi a disciplinare il caso di decesso dopo il 31 maggio 2015 con conseguente slittamento al 31 dicembre 2015 (anziché al 31 marzo 2015) dell’accesso alla procedura di collaborazione volontaria in quanto coincide con il termine per le attività di controllo delle annualità in scadenza 12.

3. Il disallineamento dei termini di prescrizione per le persone fisiche

La circolare n. 10/E/2015 distingue i termini di prescrizione per l’accertamento delle violazioni connesse al monitoraggio fiscale rispetto alle violazioni connesse alle dichiarazioni dei redditi e IVA.

Con riferimento ai redditi (e corrispettivi ai fini dell’IVA), nel par. 5.2 della circolare si legge che “La decadenza dei termini per l’accertamento è disciplinata dall’articolo 43 del d.P.R n. 600 del 1973, e dall’articolo 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, che dispongono che gli avvisi di accertamento devono essere notificati a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o del quinto anno successivo, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di una dichiarazione nulla. Pertanto, dovranno essere ricomprese nella procedura tutte quelle infedeltà dichiarative commesse nei periodi d’imposta dal 2010 al 2013, mentre in caso di omessa 13 dichiarazione dovranno essere oggetto di emersione anche le violazioni della specie commesse a partire dal periodo d’imposta 2009”.

Analizzando la collaborazione disciplinata nell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990, che comprende sia il lato internazionale sia quello nazionale, ma sempre partendo dal presupposto che vi sia stata una violazione al monitoraggio fiscale, vediamo che la lett. a) del comma 1 – come già detto sopra sub (ii) – prevede che vengano indicati nell’apposita richiesta documenti e informazioni “per la determinazione dei redditi” che sono serviti per costituire gli investimenti esteri, dei “maggiori imponibili” rilevanti ai fini delle imposte dirette, IRAP, IVA e contributi previdenziali “non connessi” alle attività estere relativi a “tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1”.

Come si può notare non c’è alcun riferimento né all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 né all’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 [diversamente da quanto previsto nel comma 3 dell’art. 1 della legge n. 186/2014, richiamato sopra sub (iv)].

A norma dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997, “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. L’applicabilità dell’art. 20 alle sanzioni irrogabili a fronte delle irregolarità commesse nella compilazione del quadro RW è confermata dalla disposizione contenuta nell’art. 12(2-ter) del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), in base al quale “Per le violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati”.

Da un punto di vista letterale, in base all’art. 5-quater, comma 1, lett. a), del D.L. n. 167/1990, sembrerebbe quindi che l’accesso alla procedura di collaborazione volontaria internazionale che comporti la dichiarazione di maggiori imponibili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e IVA, in caso di dichiarazioni presentate, ma infedeli, l’originario termine di quattro anni stabilito dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 sia esteso in quanto deve valere il maggior termine di cinque anni stabilito per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni per le irregolarità relative al quadro RW.

Tale interpretazione, oltre a non trovare alcuna conferma nella circolare n. 10/E/2015 (cfr. paragrafi 5.1 e 5.2), non è sostenibile nemmeno avuto riguardo alla disposizione contenuta nel menzionato comma 1, lett. a), dell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990.

Assume innanzitutto rilevanza l’entrata in vigore della legge n. 186/2014 che, essendo stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 17 dicembre 2014 e non prevedendo deroghe all’entrata in vigore disposta all’art. 10 delle preleggi (“Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”), entra in vigore nel 2015. La norma in argomento per potere prorogare i termini di prescrizione per le dichiarazioni infedeli relativa al 2009 sarebbe dovuta entrare in vigore prima dello spirare dei termini di prescrizione ordinaria, quindi prima del 31 dicembre 2014. Ma ciò non è stato e, conseguentemente, il termine prescrizionale per accertare maggiori imponibili e imposte relativamente alle dichiarazioni infedeli presentate per il periodo di imposta 2009 deve considerarsi definitivamente realizzato 14.

Conseguentemente appare plausibile ritenere che, ancorché gli articoli di legge non siano stati espressamente richiamati, i “termini per l’accertamento” di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990 debbano essere necessariamente quelli degli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973, e 57 del D.P.R. n. 633/1972.

Tale conclusione è avvalorata dal fatto che nel comma 4 del medesimo art. 5-quater, modificato dal D.L. 31 dicembre 2014, n. 192 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11), si distingue tra periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini di “accertamento” (senza alcun richiamo ai D.P.R. n. 600/1973 e n. 633/1972) e i termini di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997, lasciando tuttavia intendere, in modo inequivocabile, che i termini di accertamento si riferiscono alla dichiarazione dei redditi ed IVA, visto il riferimento al raddoppio dei termini di cui all’art. 12, comma 2-bis, del D.L. n. 78/2009, nel quale viene effettuato esplicitamente il rinvio ai termini disciplinati degli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973, e 57 del D.P.R. n. 633/1972 (mentre nel comma 2-ter del medesimo art. 12 viene nuovamente citato l’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997).

A quanto detto sopra si aggiunge infine che per le violazioni degli obblighi di dichiarazione di cui all’art. 4, comma 1, del D.L. n. 167/1990, non è tecnicamente corretto fare riferimento all’istituto dell’“accertamento”, visto che gli artt. 16 e 20 del D.Lgs. n. 472/1997 disciplinano esclusivamente “l’atto di contestazione” e “l’atto di irrogazione”, fattispecie diverse dall’avviso di accertamento, come si desume chiaramente dalle disposizioni contenute nell’art. 17 del medesimo decreto n. 472 15. Pertanto l’accertamento non può che essere riferito alle violazioni connesse ai maggiori imponibili ai fini delle imposte dirette ed IVA, i cui termini sono regolati da disposizioni diverse dall’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997.

In conclusione, nel caso di dichiarazione dei redditi omessa e di paese “Black List con accordo” (ad esempio la Svizzera) 16 gli anni per i quali dovrà essere attivata la collaborazione volontaria saranno i periodi di imposta dal 2009 al 2013 mentre, in caso di dichiarazione dei redditi presentata, ma infedele in quanto non sono stati indicati redditi prodotti dalle attività disponibili all’estero e/o altri redditi non connessi con le attività estere (e/o i maggiori imponibili ai fini IVA), si avrà un disallineamento tra i periodi di imposta per i quali dovranno pagarsi le sanzioni (ridotte) per irregolarità del quadro RW (dal 2009 al 2013), rispetto ai periodi di imposta relativamente ai quali dovranno essere dichiarati i redditi dalle attività disponibili all’estero ed eventuali altri redditi non dichiarati, nonché eventuali maggiori imponibili ai fini IVA (dal 2010 al 2013).

Sul punto è stato osservato dalla dottrina che la circolare “assume posizioni in contrasto con la giurisprudenza consolidata. Il termine di cinque anni per le violazioni sul modulo RW non è legittimo (Cassazione 24009/2013 e 26848/2014)17, pertanto (ci sembra di capire che) se l’accertamento dei redditi relativi a una dichiarazione (infedele) si prescrive entro il quarto anno successivo a quello di presentazione, analoga regola dovrebbe valere per le irregolarità del quadro RW, attesa la natura tributaria della violazione 18.

Non vi è dubbio che le citate sentenze ribadiscono la natura tributaria della sanzione, rifacendosi tutte al precedente giurisprudenziale della Cassazione, espresso con la sentenza 21 luglio 2010, n. 17051 19.

La sopracitata sentenza si occupa di un caso di omesso quadro W (oggi RW) relativo al 1992 per il quale era stato notificato un atto di contestazione nel novembre 1998.

Per comprendere l’esatta portata della decisione è necessario ricostruire il quadro normativo al quale la stessa fa riferimento.

Nel 1992 l’art. 5, comma 4, del D.L. n. 167/1990, disponeva che “La violazione dell’obbligo di dichiarazione previsto nell’articolo 4, comma 1, è punita con la pena pecuniaria di lire un milione” (mancata indicazione delle c.d. consistenze), mentre il comma 5 del medesimo articolo disponeva che “La violazione dell’obbligo di dichiarazione previsto nell’articolo 4, comma 2, è punita con la pena pecuniaria dal 5 al 25 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati” (mancata indicazione dei c.d. flussi).

Va altresì ricordato che nel 1992 (e fino alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 1999, cfr. l’art. 16 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241) il termine di prescrizione per l’accertamento previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, era “il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione” in caso di dichiarazione infedele mentre, in caso di omessa dichiarazione, era “31 dicembre del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”. I termini attualmente in vigore sono stati introdotti dall’art. 15, comma 1, lett. a) e b), del D.Lgs. n. 241/1997.

Con la legge 18 dicembre 1997, n. 471, venne definito un nuovo regime sanzionatorio per le violazioni delle norme tributarie, in vigore a partire dal 1° gennaio 1998; in pari data entrava in vigore la legge n. 472/1997, il cui art. 20 (testo originario) disponeva che “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dalla commissione della violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”.

La norma fu modificata dal D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, con decorrenza dal 1° aprile 1998, nella seguente “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel maggior termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. Con questa modifica è stato allungato il termine quinquennale originariamente previsto e il termine “diverso” è stato sostituito con “maggiore”. Sempre con decorrenza 1° aprile 1998, la disposizione è stata nuovamente modificata con il D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 99, nel seguente testo tuttora in vigore “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. La modifica determina la sostituzione di “maggiore” ripristinando l’originario termine “diverso”.

Il primo punto che preme sottolineare della citata sentenza n. 17051/2010 è che una della tesi difensive sostenute dal contribuente si basava sul par. 9.2.5 della circolare 17 maggio 2000, n. 98/E 20, dove il Ministero sosteneva che poiché «l’art. 8, comma 1, del menzionato decreto [D.Lgs. 471/1997, di riforma del regime sanzionatorio, n.d.r.] prevede la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni se nella dichiarazione dei redditi, tra l’altro, “non è indicato in maniera esatta e completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli”» e “L’art. 16 del medesimo decreto prevede l’abrogazione di alcune norme, espressamente richiamate al comma 1, e di ogni altra disposizione in contrasto con il decreto stesso (comma 2)”, …. “si ritiene che le sanzioni applicabili alle violazioni connesse con la compilazione del quadro RW, previste dall’art. 5, commi 2, 4, 5 e 6, del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla l. 4 agosto 1990, n. 227, debbano considerarsi abrogate, in quanto diversamente disciplinate dalle sopravvenute disposizioni normative, sopra richiamate”.

La Corte di Cassazione, smentendo l’interpretazione ministeriale, precisa che le sanzioni comminate dall’art. 5 del D.L. n. 167/1990 devono considerarsi ancora operanti in quanto colpiscono un comportamento autonomo e specifico. Ricorda come in altri precedenti avesse «già evidenziato (e ribadito con Cass., trib., 18 febbraio 2009 n. 3830) che “il D.L. n. 167 del 1990, convertito con modificazioni con L. n. 227 del 1990, nasce nel quadro della liberalizzazione valutaria a seguito della Direttiva comunitaria n. 88-361-CEE del 24 giugno 1988, attuata mediante l’emanazione del Decreto interministeriale del 27 aprile 1990 entrato in vigore dal 14 maggio 1990” … Attesa, poi, “la non corrispondenza delle finalità della disciplina di cui al D.L. n. 167 del 1990, alle finalità tipiche della normativa valutaria”, nella stessa decisione si è riconosciuto “al citato decreto la natura di normativa di carattere fiscale”. L’indicata finalità (“monitorare i trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva”) perseguita dalla norma evidenzia la non sussumibilità della relativa violazione nella generale nozione di omessa, ovvero di inesatta od incompleta indicazione di “dati rilevanti … per la determinazione del tributo” punite dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e, di conseguenza, impongono di confermare il principio per il quale (Cass., trib., 11 giugno 2003 n. 9320) “la specialità della previsione sanzionatoria de qua – contenuta in un testo di legge avente ad oggetto esclusivamente il c.d. monitoraggio fiscale ed integrato … da altro testo normativo (D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 125) recante norme in materia di circolazione transfrontaliera di capitali, in attuazione della direttiva 91-308-CEE – rende palese la volontà del legislatore di sanzionare in modo specifico ed autonomo le violazioni di cui al più volte menzionato art. 4 D.L. 167 del 1990: con la conseguenza che la relativa disciplina deve ritenersi non essere stata tacitamente abrogata, per incompatibilità (contrasto) delle rispettive previsioni, dell’invocato art. 16 comma 2 D.Lgs. n. 471 del 1997».

Il secondo argomento di difesa del contribuente, per la parte che qui interessa, è rappresentato dal fatto che la norma contenuta nel testo originario dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997 prevedeva che la sanzione (per l’omesso quadro RW) dovesse essere comminata entro cinque anni dalla commissione della violazione, quindi entro il 31 maggio 1998 (essendo la dichiarazione dei redditi relativa al 1992 presentata il 31 maggio 1993), pertanto l’atto di contestazione notificato nel novembre del 1998 doveva considerarsi tardivo. Né poteva attribuirsi rilevanza alla modifica apportata all’art. 20 secondo la quale tale termine era stato esteso al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione, visto che a norma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 203/1998 non poteva applicarsi una norma che modificasse “il trattamento sanzionatorio in senso più sfavorevole al contribuente”.

Su tale punto la Corte di Cassazione afferma che «non è necessario stabilire se la previsione modificata (“entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avvenuta la violazione”) integri un “trattamento sanzionatorio … più sfavorevole al contribuente” rispetto alla previsione originaria (“nel termine di cinque anni dalla commissione della violazione”) – per effetto della quale ultima la decadenza si sarebbe compiuta il 31 maggio 1998 – perché alla specie non è applicabile tale termine decadenziale ma quello (rimasto invariato, quindi in vigore ex se sin dal 1° aprile 1998) previsto dall’ultimo inciso della stessa norma, ovverosia quello che collega la decadenza per l’irrogazione delle sanzioni al “diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”».

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, «La presunzione (legale, suscettibile, secondo quanto dispone in prosieguo lo stesso art. 6 21, di “prova contraria”) di fruttuosità (nella “misura pari al tasso ufficiale medio di sconto vigente in Italia nel relativo periodo di imposta” fissata dalla norma) delle somme e degli altri “strumenti” finanziari “trasferiti o costituiti all’estero” e, quindi, di redditività fiscale degli stessi (univocamente desumibile dall’obbligo di dichiarare, comunque, i “redditi effettivi”) evidenzia l’indissolubile collegamento genetico e funzionale esistente tra la sanzione irrogata per (parole del giudice a quo) la “disponibilità di capitali all’estero” e l’imponibilità fiscale dei redditi presuntivamente tratti da quella “disponibilità”». Per effetto di tale collegamento genetico la Corte conclude affermando che vi è «la sussumibilità della fattispecie unicamente nell’inciso finale dell’art. 20, comma 1, (contenuto, come rilevato, nel testo normativo primigenio) che consente all’Ufficio di notificare l’“atto” di contestazione o di irrogazione di sanzione “nel maggior termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”, ove la sanzione sia collegata (come accertato innanzi nella specie) a tale “accertamento”».

Sulla base della lettura fornita dalla Suprema Corte nella menzionata sentenza si desume che (i) le sanzioni disposte dall’art. 5 del D.L. n. 167/1990 sono sanzioni “autonome” finalizzate a colpire lo specifico comportamento del contribuente per la violazione dell’obbligo di monitoraggio fiscale e (ii)il diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi” previsto nell’ultimo inciso del primo periodo del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997 assume rilevanza solo se maggiore, rispetto al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione (autonomamente sanzionabile) degli obblighi di monitoraggio fiscale.

Tale interpretazione risulta confermata nella sentenza della Corte di Cassazione 23 ottobre 2013, n. 24009 22 (richiamata dalla citata dottrina), dove, con riferimento ad una dichiarazione relativa al 1992, presentata il 30 giugno 1993, si legge che deve, «per contro, essere applicato nel caso concreto l’art. 20 D.Lgs. n. 472 del 1997, contenente le disposizioni in tema di “sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie”, a tenore del quale “l’atto di contestazione … ovvero di irrogazione (delle sanzioni,) devono essere notificati, a pena di decadenza nel termine di cinque anni dalla commissione della violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. Va, peraltro, chiarito, al riguardo, che il termine di decadenza per l’irrogazione della sanzione che l’art. 5, commi 4 e 5, L. n. 227 del 1990, prevede per l’omissione della dichiarazione annuale per investimenti ed attività di natura finanziaria all’estero di cui all’art. 4 della stessa legge, va individuato, tra quelli indicati dall’art. 20 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non nel termine che fa riferimento al tempo della commissione della violazione, bensì in quello maggiore previsto per l’accertamento del tributo dovuto». «Pertanto poiché il termine per l’accertamento, in caso di omessa dichiarazione, ai sensi dell’art. 43, comma 2, D.P.R. n. 600 del 1973 (con riferimento, nella specie, all’omessa dichiarazione della disponibilità delle somme in contestazione) scadeva, nel caso concreto, il 31.12.1998 (31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, ossia il 1993), deve trovare applicazione, nel caso in esame, la proroga al 30.6.1999, prevista dall’art. 9 L. n. 448 del 1998. Con la conseguenza che la notifica dell’atto di irrogazione delle sanzioni, avvenuta il 15.4.1999 (come affermato dallo stesso contribuente in ricorso) deve ritenersi tempestiva».

Infine, anche la sentenza 18 dicembre 2014, n. 26848 23 (richiamata dalla menzionata dottrina), facendo riferimento alla sentenza n. 17051/2010 sopra citata, ricorda che “il termine di decadenza per l’irrogazione della sanzione che l’art. 5, commi 4 e 5, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 1990, n. 227, prevede per l’omissione della dichiarazione annuale per investimenti ed attività di natura finanziaria all’estero di cui all’art. 4 dello stesso decreto legge, va individuato, tra quelli indicati dall’art. 20 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non nel termine che fa riferimento al tempo della commissione della violazione, ma in quello maggiore previsto per l’accertamento del tributo dovuto, atteso che la presunzione legale di fruttuosità delle somme e degli altri strumenti finanziari trasferiti o costituiti all’estero e, quindi, di redditività fiscale degli stessi (univocamente desumibile dall’obbligo di dichiarare, comunque, i redditi effettivi), prevista dall’art. 6 D.L. n. 167 cit., evidenzia l’indissolubile collegamento genetico e funzionale esistente tra la sanzione irrogata per la disponibilità di capitali all’estero e l’imponibilità fiscale dei redditi presuntivamente tratti da quella disponibilità”.

In sintesi, nessuna delle sentenze richiamate si occupa della riduzione del termine previsto dalla prima parte del comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997 (“entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione”), ma – al contrario – solo della sua estensione qualora l’accertamento dei tributi possa avvenire in un termine maggiore (“diverso”).

Per completezza di trattazione è necessario commentare la modifica, con decorrenza 1° aprile 1998, apportata con il D.Lgs. n. 99/2000, all’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997, con la quale il termine “maggiore” è stato sostituito con l’originario “diverso”. Al riguardo la circolare 5 luglio 2000, n. 138/E, par. 2.4 24, ha chiarito che è “stata così eliminata l’eventualità, consentita in base al precedente testo, che il termine quinquennale per irrogare la sanzione rimanesse fermo anche nei casi in cui il termine per l’accertamento del tributo fosse stato più breve (come avviene, per esempio, per il tributo di registro o successorio) e che quindi l’Erario potesse pretendere di applicare una misura punitiva commisurata ad un’imposta non più accertabile, per intervenuta decadenza”.

Come già detto, l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione nelle sentenze citate ha l’obiettivo di estendere temporalmente l’applicabilità delle sanzioni relative al monitoraggio fiscale oltre il quinquennio, qualora le dichiarazioni dei redditi alle quali dette sanzioni sono collegate sono soggette ad accertamento oltre tali limiti, ma non consente il contrario, cioè di accorciare “il quinquennio” qualora i termini per l’accertamento delle dichiarazioni dei redditi siano più brevi. Perché questo sia possibile è necessaria una modifica normativa.

Né può sostenersi che ciò possa determinare che l’Erario applichi una misura punitiva commisurata ad un’imposta non più accertabile, per intervenuta decadenza, alla luce della “specialità della previsione sanzionatoria de qua – contenuta in un testo di legge avente ad oggetto esclusivamente il c.d. monitoraggio fiscale finalità collegata a consentire il monitoraggio dei movimenti transfrontalieri dei capitali”, come affermato nella citata sentenza della Corte di Cassazione n. 17051/2010 (che, sul punto, richiama un precedente della stessa Corte).

Si può pertanto conclusivamente ritenere che il disallineamento tra i periodi di imposta per i quali si deve accedere alla collaborazione volontaria ai fini del monitoraggio fiscale ed i periodi di imposta per i quali si deve accedere alla collaborazione volontaria per la dichiarazione di redditi evasi sia inevitabile conseguenza dell’attuale assetto normativo contenuto nel comma 1 dell’art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997, così come interpretato dalla Corte di Cassazione.

Un ulteriore aspetto che deve essere esaminato in tema di disallineamento dei periodi di imposta per i quali si applicano le sanzioni per le violazioni del monitoraggio fiscale rispetto a quelli per i quali si devono dichiarare i redditi evasi e corrispondere le correlate sanzioni è rappresentato dal raddoppio dei termini di accertamento applicabile, in sede di collaborazione volontaria, alle attività detenute in paesi “Black List senza accordo”. Per tali paesi, non operando la deroga prevista dall’art. 5-quater, comma 4, del D.L. n. 167/1990 25, si applica il raddoppio dei termini di cui all’art. 12, commi 2-bis 26 e 2-ter 27, del D.L. n. 167/1990.

Mentre è chiaro il raddoppio dei termini per l’applicazione delle sanzioni relative alle violazioni connesse al monitoraggio fiscale che, pertanto, saranno applicabili dal 2004 in poi, la possibilità di raddoppiare i termini di accertamento per i redditi evasi che, in caso di omessa dichiarazione, riguarderebbero i periodi di imposta dal 2004 al 2013 mentre, in caso di dichiarazione infedele, riguarderebbero i periodi di imposta dal 2006 al 2013, necessita un approfondimento.

La disposizione contenuta nel comma 2-bis dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009 contiene un inciso estremamente rilevante stabilendo che il raddoppio dei termini per l’accertamento si applica per “l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2”, e il comma 2 dispone che “in deroga ad ogni vigente disposizione di legge” a fronte di “investimenti e … attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato … in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 … ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate”.

La norma contenuta nel comma 2 dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009 opera una presunzione iuris tantum, cioè superabile mediante prova contraria, attraverso la quale dimostrare che le attività estere non sono state costituite mediante redditi sottratti a tassazione. Solo nel caso in cui non sia superabile la presunzione allora scatta la disposizione in tema di raddoppio dei termini di accertamento (oltre che di raddoppio delle sanzioni pecuniarie).

In altri termini, se un contribuente detiene in un paese “Black List senza accordo” cinquecentomila euro ereditati nell’anno 2000 senza alimentare ulteriormente tale attività (nemmeno per effetto di redditi dalla stessa generati, in quanto inesistenti), la prova contraria che tali attività non derivano da reddito sottratti a tassazione risulta alquanto agevole. Una volta provato il contrario “l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2” non è legittimamente possibile e, conseguentemente, non opera nemmeno il raddoppio dei termini.

La circolare n. 10/E/2015, ripetutamente citata, nel par. 5.2.1, afferma che “ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento in parola, non assume rilevanza che l’accertamento sia emesso determinando il reddito su base presuntiva ma è rilevante che inizialmente ci fossero i presupposti per l’applicazione della presunzione stessa. Si osserva, infatti, che la determinazione su base analitica dei frutti conseguiti nei singoli periodi, non può mai essere considerata un superamento o una disapplicazione della presunzione stessa, quanto piuttosto una sua conferma”.

Effettivamente, con riferimento all’esempio precedentemente proposto (somme ereditate anteriormente all’anno 2000), qualora le attività estere avessero prodotto dei redditi imponibili (obbligatoriamente soggetti ad imposizione in Italia per il principio di tassazione mondiale contenuto nell’art. 3 del TUIR) 28, la presunzione che – di base – si applica ad un ammontare pari all’intera attività, verrà parzialmente superata per il capitale ereditato, mentre troverà conferma, mediante specificazione della tipologia di reddito, relativamente ai frutti prodotti dalle attività estere.

Si può quindi concludere che, ferma restando la necessità di predisporre la relazione prevista dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 30 gennaio 2015, n. 13193, emanato sulla base di quanto previsto dall’art. 5-sexies del D.L. n. 167/1990, con riferimento a tutti gli anni “accertabili” (quindi, in caso di omessa dichiarazione, dal 2004 al 2013), ove da detta relazione dovesse emergere in modo inequivocabile che le attività estere non hanno prodotto redditi soggetti ad imposizione in Italia, non opererà il raddoppio dei termini ai fini della corresponsione delle imposte e delle sanzioni raddoppiate sui redditi evasi.

In caso contrario opererà il raddoppio dei termini, ma – nell’esempio ipotizzato sopra – solo con riferimento ai redditi derivanti dalle attività estere sottratti a tassazione in Italia, non rendendosi applicabile alcun raddoppio per i redditi eventualmente evasi in Italia negli stessi periodi di imposta (collaborazione volontaria nazionale), alla luce della specificità della norma sul raddoppio dei termini contenuta nell’art. 12, comma 2-bis, del D.L. n. 78/2009, e salvo quanto si dirà nel prosieguo con riferimento al “raddoppio penale” dei termini.

Naturalmente, per quanto invece riguarda il quadro RW, i termini rimarranno sempre raddoppiati con obbligo di accedere alla collaborazione volontaria sanando i periodi di imposta dal 2004 al 2013.

4. Il problema del raddoppio penale dei termini

Alla luce della giurisprudenza citata nel paragrafo che precede si ritiene che, qualora vi sia la necessità di accedere alla procedura di collaborazione volontaria anche per anni anteriori al 2009 per effetto del “raddoppio penale” dei termini si renderà necessario, con riferimento allo specifico periodo di imposta interessato, provvedere non solo al pagamento di imposte, contributi previdenziali e sanzioni con riferimento ai maggiori imponibili non dichiarati, ma anche al pagamento delle sanzioni per l’omessa o irregolare compilazione del quadro RW, beneficiando ovviamente della riduzione delle sanzioni previste dalla normativa in commento.

In pratica, ipotizzando un contribuente che ha sempre presentato la dichiarazione dei redditi e con disponibilità di attività estere in Svizzera (paese “Black List con accordo”) fin dall’anno 2000, qualora tali attività siano state incrementate nel 2007 con redditi soggetti ad IRPEF (quindi redditi diversi da quelli prodotti dalle attività estere) non dichiarati dal contribuente di ammontare tale da configurare un reato punibile ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000, la collaborazione volontaria dovrà comprendere i periodi 2007 e dal 2009 fino al 2013 con riferimento al quadro RW e, per quanto riguarda le imposte sui redditi, il periodo 2007 e dal 2010 fino al 2013.

La stessa cosa accade anche nel caso in cui i redditi evasi di ammontare tale da configurare un reato punibile ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000 non siano confluiti nelle attività estere ma siano rimasti in Italia.

Infine, ove le attività estere fossero di ammontare molto elevato, potrebbe accadere che i redditi di capitale (o di locazione, in caso di immobili) raggiungano soglie tali da configurare un’evasione di imposta penalmente rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000.

Se il paese in cui si trovano le attività estere fosse la Svizzera (paese “Black List con accordo”, per il quale non si applica il raddoppio dei termini di cui all’art. 12, comma 2-ter, del D.L. n. 78/2009, in tema di violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale), i periodi di imposta oggetto della procedura potrebbero essere dal 2006 al 2013 sia con riferimento alle violazioni del monitoraggio fiscale sia con riferimento alla infedele dichiarazione dei redditi. Per completezza si ricorda che qualora il contribuente fosse un lavoratore dipendente (o pensionato) che non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi in quanto esonerato, i periodi di imposta oggetto di collaborazione potrebbero essere dal 2004 al 2013 sia con riferimento alle violazioni del monitoraggio fiscale, sia con riferimento alla omessa dichiarazione dei redditi, anche nel caso della Svizzera.

In tutte le predette ipotesi, tuttavia, le sanzioni rimarrebbero comunque le più favorevoli previste per i paesi “Black List con accordo”, a norma dell’art. 5-quinquies, comma 7, del D.L. n. 167/1990, sia con riferimento alle violazioni del monitoraggio fiscale sia con riferimento alle imposte sui redditi non dichiarati 29.

In tema di raddoppio penale dei termini deve essere segnalato che l’art. 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23 (c.d. “Delega Fiscale”), ha delegato il Governo a provvedere, mediante Decreto legislativo, alla definizione della “portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi”.

Il Consiglio dei Ministri n. 60, in data 21 aprile 2015, ha approvato tre decreti attuativi tra i quali quello recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, il cui art. 2 aggiunge al terzo comma dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, e al terzo comma dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972, il seguente periodo “Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”.

Nel probabile caso in cui il decreto entri in vigore anteriormente al termine di presentazione della collaborazione volontaria (30 settembre 2015), trattandosi di norma procedurale avente efficacia retroattiva con riferimento ai termini ancora pendenti, il raddoppio penale dei termini di cui si tratta non sarebbe più operante, con positivi effetti di semplificazione e di alleggerimento degli oneri (tributi e sanzioni) per il contribuente che intende regolarizzare la propria posizione.

5. Il disallineamento dei termini di prescrizione per le persone fisiche rispetto alle società soggette ad IRES

Sulla base del doppio termine esposto in premessa sub (iii) e (iv), l’ultimo periodo di imposta che le società soggette ad IRES devono definire è quello chiuso entro il 31 dicembre 2013. Infatti, a norma dell’art. 2, comma 1, del D.P.R. n. 322/1998, i “soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, presentano la dichiarazione secondo le disposizioni di cui all’articolo 3 in via telematica, entro l’ultimo giorno del nono mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta”. Nel caso di periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, ad esempio 1° febbraio – 31 gennaio, la dichiarazione relativa all’esercizio chiuso al 31 gennaio 2014 doveva essere presentata il 31 ottobre 2014, di talché non si possono configurare violazioni “degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, commesse fino al 30 settembre 2014” in quanto a tale data non era ancora scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione. Mentre tale esercizio rientrerebbe tra “i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta [cioè al 30 settembre 2015, n.d.r.], non sono scaduti i termini per l’accertamento di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni”.

A questo punto potrebbe esserci un disallineamento tra le irregolarità imputabili alla persona fisica che nel corso dell’anno solare 2013 ha costituito attività all’estero sottraendo imponibili alla società italiana nel corso del periodo di imposta della società italiana che va dal 1° febbraio 2013 al 31 gennaio 2014. Con riferimento a tale periodo di imposta, sulla base del doppio termine di cui sopra sub (iii) e (iv), non è possibile realizzare quanto affermato nel par. 2.1 della circolare n. 10/E/2015, dove si legge che “come si evince anche dai lavori parlamentari, la ratio sottesa all’ampliamento della procedura di collaborazione volontaria prevista dal comma 2 dell’articolo 1 della legge, deve essere ricondotta alla finalità … di evitare che alla emersione di imponibili sottratti a società italiane e detenuti all’estero potesse seguire un automatico accertamento fiscale su tali società”. Perché tale obiettivo sia effettivamente conseguibile il termine iniziale di cui sub (iii) dovrebbe essere eliminato mantenendo soltanto il termine finale sub (iv). In tale caso, infatti, verrebbero coperti tutti i periodi di imposta delle società chiusi anteriormente al 1° dicembre 2014, posto che per tali periodi la dichiarazione sarebbe dovuta essere presentata anteriormente al 30 settembre 2015 (data di presentazione dellarichiesta di collaborazione volontaria) data in cui può considerarsi già iniziato, ma certamente non scaduto, il termine per l’accertamento di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973.

Dott. Alvise Weisz

1 Pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 5-septies del D.L. n. 167/1990, come modificato dall’art. 1 della legge n. 186/2014, in base al quale “L’autore della violazione di cui all’articolo 4, comma 1, che, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui all’articolo 5-quater, esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni”.

 2 A norma dell’art. 5-quater, comma 5, del D.L. n. 167/1990, la richiesta di collaborazione volontaria deve essere presentata entro il 30 settembre 2015.

 3 Obbligo previsto dall’art. 4, comma 1, del D.L. n. 167/1990, in base al quale “Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi”.

4 Nelle istruzioni al modello Unico 2015 Persone Fisiche, fascicolo 2, quadro RW, viene precisato che “Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi o qualora il contribuente abbia utilizzato il mod. 730/2015, il quadro RW per la parte relativa al monitoraggio deve essere presentato con lemodalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del modello UNICO 2015 Persone fisiche debitamente compilato (in tal caso il quadro RW costituisce un “quadro aggiuntivo” al modello 730)”.

5 La circ. 13 marzo 2015, n. 10/E, in Boll. Trib., 2015, 422, nel par. 5.2 precisa che “Rientrano nel campo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria internazionale i redditi che servirono per costituire o acquistare gli investimenti e le attività finanziarie oggetto di emersione o derivanti dalla loro utilizzazione o dismissione nonché, in presenza di tali redditi, quelli derivati nazionali, non connessi cioè a tali attività estere”.

6 La circ. n. 10/E/2015, cit., nel par. 5.2 chiarisce che “Rientrano invece nella procedura di collaborazione volontaria nazionale i maggiori imponibili non connessi con gli investimenti e le attività illecitamente costituite o detenute all’estero, agli effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dei contributi previdenziali, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute”.

 7  In Boll. Trib., 2015, 422.

 8 In realtà, leggendo il comma 2 dell’art. 1 della legge n. 186/2014, sono ricompresi anche i soggetti obbligati alla compilazione del quadro RW “che vi abbiano adempiuto correttamente”, quindi le persone fisiche. Non è del tutto chiaro come questa categoria si ponga con quella alla quale si rende applicabile la collaborazione volontaria nazionale disciplinata dalla lett. a) dell’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990, precedentemente analizzata. In particolare, dall’esame letterale delle disposizioni in commento, emerge che mentre nella collaborazione nazionale di cui alla lett. a) è richiesto il non corretto adempimento degli obblighi dichiarativi concernenti il quadro RW (visto il riferimento alla “violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, commessa fino al 30 settembre 2014”), per poter accedere alla collaborazione nazionale di cui al comma 2 dell’art. 1 della legge n. 186/2014, prerequisito è invece il corretto adempimento degli obblighi di monitoraggio fiscale. Non si comprende, quindi, che succeda a quelle persone fisiche che, prive di qualsiasi attività estera dalla quale derivino obblighi di monitoraggio fiscale, non hanno comunque dichiarato redditi imponibili. Per le motivazioni esposte nella menzionata circolare n. 10/E/2015 sembra potersi ritenere che anche tali soggetti dovrebbero potere beneficiare della collaborazione nazionale e, dal punto di vista normativo, possano comunque considerarsi “soggetti diversi da quelli indicati nell’art. 4 comma 1” in quanto non possessori di attività estere.

 9 Va ricordato che, a differenza delle agevolazioni previste dalla legge n. 186/2014 in caso di collaborazione volontaria, la regolarizzazione delle violazioni a norma dell’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 comporta: (i) la riduzione delle sanzioni; (ii) la “sterilizzazione” delle violazioni stesse ai fini del possibile aumento di pena in caso di recidiva, come previsto dall’art. 7, comma 3, nonché – secondo quanto si legge nella circ. 10 luglio 1998, n. 180/E (in Boll. Trib., 1998, 1173) ma non in alcuna norma – l’inapplicabilità delle sanzioni accessorie di cui all’art. 21 dello stesso D.Lgs.; (iii) sul piano penale costituisce, al pari di qualsiasi altra forma satisfattiva, presupposto per l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 13 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (cfr. circ. 4 agosto 2000, n. 154/E, par. 4.2.1, in Boll. Trib., 2000, 1237).

10 In base al comma 7 dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, “Sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”. Per completezza si ricorda altresì che a norma del comma 2 dell’art. 5 (delitti in materia di dichiarazione), del D.Lgs. n. 74/2000, “non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto”.

 11 Ricordiamo alcune norme del passato che consentivano la presentazione di dichiarazioni integrative o la definizione automatica degli anni pregressi (c.d. “condoni”). In particolare gli artt. 8 e 9 della legge n. 289/2002, che identificavano “Le dichiarazioni relative ai periodi d’imposta per i quali i termini per la loro presentazione sono scaduti entro il 31 ottobre 2002”: definizione precisa ed univoca dell’ambito temporale. L’art. 38 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, identificava per la dichiarazione integrativa con definizione automatica tutti i “periodi di imposta in relazione ai quali non sono scaduti alla data del 31 dicembre 1991 i termini per l’accertamento di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600”, mentre l’art. 32 della medesima legge consentiva le dichiarazioni integrative “per i periodi di imposta relativamente ai quali il termine per la presentazione della dichiarazione annuale è scaduto anteriormente al 30 novembre 1991”. Gli artt. 14 e 19 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516) prevedevano la possibilità di definire “ciascuno dei periodi d’imposta relativamente ai quali il termine per la presentazione della dichiarazione è scaduto anteriormente al 1-8-1982”.

 12 Le motivazioni addotte dalla circolare per coordinare la proroga di cui all’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973 con le disposizioni della legge n. 186/2014 non sono del tutto chiare. In ogni caso si segnala che, tenuto conto della intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 472/1997, l’attivazione della collaborazione volontaria per conto del de cuius, diversamente da quanto poteva verificarsi con riferimento alle passate definizioni agevolate di imposte e sanzioni [in particolare i vecchi “condoni” (precedentemente richiamati) e le varie versioni di “scudi fiscali” (ad esempio l’art. 13-bis del D.L. n. 78/2009)], è vantaggiosa nel solo caso di attività estere localizzate in paesi “Black List con accordo” per effetto della mancata applicazione del raddoppio dei termini per l’accertamento di cui all’art. 12, comma 2-bis, del D.L. n. 78/2009 (cfr. art. 5-quater, comma 4, del D.L. n. 167/1990).

 13 È utile ricordare che in caso di soli redditi di lavoro dipendente o assimilato (ad esempio di pensione) le certificazioni rilasciate dai sostituti di imposta e da questi comunicate all’Amministrazione finanziaria non valgono quali dichiarazioni dei redditi. Pertanto i soggetti in questione dovranno attivare la collaborazione volontaria a partire dal 2009 (salvo il caso di raddoppio dei termini per attività situate in paesi “Black Listsenza accordo”, si veda la nota 6 della circ. n. 10/E/2015) sia ai fini della regolarizzazione del quadro RW sia ai fini della regolarizzazione delle imposte sui redditi derivanti dalle attività estere. Per completezza si ricorda che il CUD è stato introdotto dall’art. 4 del D.P.R. n. 322/1998, emanato ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Prima della sua introduzione i redditi erano certificati con il modello 101, per i lavoratori dipendenti, e con il modello 201, per i pensionati. A partire dal 2015 il CUD è stato sostituito dalla c.d. Certificazione Unica. La circ. 30 aprile 1977, n. 7/1496, par. 45 (in Boll. Trib., 1977, 1251), aveva chiarito che “nel tenere presente i casi disciplinati nel quarto comma del richiamato art. 1 (nel testo integrato dall’art. 3 del DPR 28-3-1975, n. 60), concernenti l’esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione nelle situazioni previste in detta disposizione, sarà considerata omessa dichiarazione, stante la funzione sostitutiva del certificato di cui all’art. 3, primo comma, del DPR n. 600, la mancata presentazione del certificato medesimo e, per contro, la sua presentazione in luogo della dichiarazione allorché il contribuente non ne abbia titolo per insussistenza dei requisiti dell’esonero in parola …)”.

 14 Si condivide la tesi dell’Agenzia delle entrate, in tema di efficacia retroattiva delle norme procedurali, purché i termini in cui intervengono le modifiche siano ancora pendenti. Da ultimo si ricorda circ. 19 febbraio 2015, n. 6/E, par. 15.1 (in Boll. Trib., 2015, 271), dove si legge che “È prassi consolidata dell’Agenzia delle Entrate, considerare l’articolo 12, comma 2 del decreto – presunzione di reddito nel caso di attività detenute in Paesi Black List – e il successivo comma 2-bis – raddoppio dei termini per l’accertamento – quali norme di natura procedimentale e, pertanto, applicabili a tutti gli anni d’imposta in relazione ai quali i termini per l’accertamento ordinario, di cui all’articolo 43, primo e secondo comma, del DPR n. 600/73 e all’articolo 57, primo e secondo comma, del decreto IVA, non siano scaduti al momento di entrata in vigore del Decreto 78/2009”.

 15 Il comma 1 del menzionato art. 17 dispone che “In deroga alle previsioni dell’articolo 16, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate, senza previa contestazione e con l’osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità”.

 16 Come ricordato nella nota 2 della circ. n. 10/E/2015 “Gli accordi sono stati firmati con la Svizzera il 23 febbraio 2015, con il Liechtenstein il 26 febbraio 2015 e con il Principato di Monaco il 2 marzo 2015”.

 17 M. Piazza, Necessario un nuovo pacchetto di istruzioni, in Il Sole 24 Ore del 14 marzo 2015, e M. Leo, Sulla voluntary la mina del raddoppio dei termini, in Il Sole 24 Ore del 7 aprile 2015.

 18 La natura tributaria delle sanzioni previste nell’art. 5 del D.L. n. 167/1990, è stata affermata dall’Agenzia delle entrate in diverse occasioni, ad esempio, nella circ. 17 maggio 2000, n. 98/E, par. 9.2.5 (in Boll. Trib., 2000, 826); nella circ. 30 gennaio 2002, n. 9/E, par. 1.13 (ivi, 2002, 185), e nella circ. 23 dicembre 2013, n. 38/E, par. 5 (ivi, 2014, 66).

19  Cass., sez. trib., 21 luglio 2010, n. 17051, in Boll. Trib. On-line.

 20 Ved. nota 18.

 21 L’art. 6 del D.L. n. 167/1990 dispone, tuttora, che “Per i soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta, a meno che, in sede di dichiarazione dei redditi, venga specificato che si tratta di redditi la cui percezione avviene in un successivo periodo d’imposta, o sia indicato che determinate attività non possono essere produttive di redditi. La prova delle predette condizioni deve essere fornita dal contribuente entro sessanta giorni dal ricevimento della espressa richiesta notificatagli dall’ufficio delle imposte”.

 22  Cass., sez. trib., 23 ottobre 2013, n. 24009, in Boll. Trib. On-line.

 23  Cass., sez. trib., 18 dicembre 2014, n. 26848, in Boll. Trib. On-line.

 24  In Boll. Trib., 2000, 1087.

 25 Il menzionato comma 4 dispone che “ai soli fini della procedura di collaborazione volontaria, per la determinazione dei periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini di accertamento e i termini di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, non si applica il raddoppio dei termini di cui all’articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, qualora ricorrano congiuntamente le condizioni previste dall’articolo 5-quinquies, commi 4, primo periodo, lettera c), 5 e 7 del presente decreto”.

 26 In base al quale “Per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 43, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati”. Si segnala che non facendo riferimento al terzo comma tanto dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, quanto al comma 3 dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972, si evita il quadruplicamento dei termini in caso di reati tributari punibili a norma del D.Lgs. n. 74/2000.

 27 In base al quale “Per le violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati”.

 28 In base al quale “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

 29 Il menzionato comma 7 dell’art. 5-quinquies del D.L. n. 167/1990 dispone che “Ai soli fini della procedura di collaborazione volontaria, la misura della sanzione minima prevista per le violazioni dell’obbligo di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, indicata nell’articolo 5, comma 2, secondo periodo, nei casi di detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, è fissata al 3 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati se le attività oggetto della collaborazione volontaria erano o sono detenute in Stati che stipulino con l’Italia, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, accordi che consentano un effettivo scambio di informazioni ai sensi dell’articolo 26 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni predisposto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, anche su elementi riconducibili al periodo intercorrente tra la data della stipulazione e quella di entrata in vigore dell’accordo. Al ricorrere della condizione di cui al primo periodo non si applica il raddoppio delle sanzioni di cui all’articolo 12, comma 2, secondo periodo, del decreto legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102”. Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009 stabilisce che nel caso di attività detenute in paesi Black Listle sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate”. Per ragioni di mera completezza si segnala che il raddoppio delle sanzioni non dovrebbe valere relativamente alle imposte sui redditi che non sono confluiti nelle attività estere, vista la lettera della norma contenuta nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009. Resterebbe il problema pratico, nel caso di redditi evasi anche in Italia soggetti ad imposizione IRPEF progressiva, di come ripartire l’imposta per potere applicare le sanzioni in modo diversificato. Si ritiene che la ripartizione dell’imposta, su cui calcolare le sanzioni differenziate, in proporzione ai redditi lordi, rappresenti la soluzione più corretta.

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