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SOMMARIO: 1. Inquadramento sistematico della questione – 2. Presunzione legale relativa per le indagini finanziarie e onere della prova – 3. Delimitazione delle figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo nella sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014. – 4. Il contraddittorio nelle indagini bancarie: una opportunità mancata – 5. Conclusioni.
1. Inquadramento sistematico della questione
La sentenza della Corte Costituzionale n. 228 depositata il 6 ottobre 2014 (1), consente di fare il punto sulla questione relativa all’applicabilità della presunzione relativamente ai conti correnti dei professionisti (2). Essa interviene a dissipare ogni dubbio, peraltro già in altre sedi sollevato (3), circa l’applicazione della presunzione sui prelevamenti, equiparati ai compensi, per i contribuenti lavoratori autonomi seguendo il percorso decisorio che si conclude giudicando la presunzione in questione lesiva dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva. La Consulta ha, infatti, ritenuto incostituzionale la norma [art. 32, primo comma, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600] che consentiva di considerare compensi non dichiarati i prelievi dal conto corrente del soggetto verificato, dal medesimo non giustificati per i quali, cioè, non fosse stato indicato il beneficiario e, altresì, non risultanti dalle scritture contabili. Viene così a cadere l’estensione della presunzione relativamente ai compensi e, difatti, a fare data dal 6 ottobre, l’Agenzia delle entrate ha già emanato i primi provvedimenti di sgravio (4) per gli atti impositivi emanati.
In siffatto contesto di rilevata incostituzionalità della presunzione – con la motivazione secondo la quale è «arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito» – permane, però, una irragionevole esclusione del contribuente dal procedimento istruttorio; irragionevole, sia perché non coerente con le norme statutarie (5), perché avulsa dai modelli partecipativi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e, inoltre, poco in linea con gli orientamenti della Corte di Giustizia europea che ha attribuito al contraddittorio «il ruolo di principio fondamentale del diritto comunitario» (6).
Giova fare presente che, al di là della fattispecie esaminata dalla Suprema Corte nel caso oggetto della sentenza n. 19667/2014, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ribadiscano come «la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata”» (7) che si attua anche mediante la promozione del contraddittorio endoprocedimentale, corollario del principio statutario di leale collaborazione. Nella sentenza n. 19667 del 2014, ed in quella gemella n. 19668/2014, infatti, la Corte ha fatto propria la tesi sostenuta dalla «dottrina più moderna», secondo la quale è «priva di qualsiasi ragionevolezza» l’esclusione della partecipazione del soggetto d’imposta al procedimento di accertamento, affermando così una «doverosa e generalizzata applicazione del contraddittorio, anche se non espressamente previsto, prima della notificazione di qualsivoglia atto lesivo» (8) e sancendo l’osservanza del contraddittorio endoprocedimentale con riferimento a qualsiasi atto dell’Amministrazione finanziaria lesivo di diritti ed interessi del contribuente a prescindere dalla eventuale contemplazione del principio in seno ad una norma positiva.
Successivamente alle pronunce sopra ricordate, più di recente (9) è stata in via generalizzata – a differenza delle sentenze precedenti che hanno affrontato il tema del contraddittorio con specifico riferimento alle iscrizioni ipotecarie – affermata l’obbligatorietà del contraddittorio anche in relazione agli accertamenti fondati su ipotesi di abuso di diritto. E, in seguito, in materia di IVA, la Suprema Corte ha ribadito l’immanenza del principio de quo (10).
Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia 9 dicembre 2015, n. 24823 (11), e dopo avere analiticamente affrontato il tema del contraddittorio endoprocedimentale quale diritto fondamentale dell’Unione europea, mettono in evidenza come non vi sia coincidenza tra la disciplina europea e quella nazionale in quanto «la prima, infatti, prevede il contraddittorio endoprocedimentale, in materia tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda, lo delinea, invece, quale obbligo gravante sull’Amministrazione a pena di nullità dell’atto – e, non generalizzatamene, ogni qual volta essa si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente – ma, soltanto, in relazione ai singoli (ancorché molteplici) atti per i quali detto obbligo è esplicitamente contemplato».
Ciò porterebbe differenti ricadute quanto ai tributi c.d. non armonizzati (imposte dirette per tutti) rispetto a quelli armonizzati (IVA).
In definitiva, sempre secondo le Sezioni Unite, «per i tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge. Ai suddetti tributi, estranei alle competenze dell’Unione, non si applica, invero, il diritto europeo (v. Corte giust. 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics; 22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou; 26.2.2013, in causa 617/10, Akeberg Fransson; 26.9.13, in causa C-418/11, Texdata software, in causa C-349/07, Sopropè)».
Per completezza giova ricordare, inoltre, che la Corte Costituzionale (12) ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 24739/2013 (13) perché, come di recente ricordato dalla Commissione tributaria regionale della Toscana n. 736/1/2016 (14), l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 prevedeva il contraddittorio solo nelle ipotesi indicate dalla norma e non in tutte le altre ipotesi di abuso indicate dalla giurisprudenza.
In effetti, attribuendo al contraddittorio procedimentale il ruolo indefettibile di principio fondamentale ed immanente dell’ordinamento, si compie «un vero e proprio passo in avanti culturale, che consente ai giudici nazionali di colmare il divario rispetto alle più avanzate pronunce della giurisprudenza europea e, soprattutto di superare la primitiva impostazione secondo cui il diritto al contraddittorio, quale espressione del diritto di difesa, sarebbe rinvenibile solo nell’ambito della fase processuale» (15). In tal senso riteniamo discriminatoria la differenza operata di recente dalle Sezioni Unite fra tributi armonizzati e non. Per non dire poi delle forme di accertamento miste, dove l’Ufficio provvede ad accertare sia le imposte dirette e l’IRAP e sia l’IVA.
La sentenza non convince in quanto non si può ritenere che alcuni contribuenti abbiano diritto al contraddittorio (cioè quelli assoggettati a controlli per i tributi armonizzati) ed altri no!
La dottrina che si è occupata più di recente del tema (16) ha interpretato la pronuncia della Suprema Corte n. 19667/2014, «con mirabile esame dei principi generali, interni e comunitari», nel senso di ribadire «che il contraddittorio va applicato a tutti i procedimenti amministrativi, e che, se esso non viene effettuato, l’avviso di accertamento è nullo, perché l’avviso di accertamento è espressione di un potere sovrano che va esercitato in modo partecipato, per consentire il diritto di difesa e imporre una adeguata istruttoria» (17).
Alla luce di tutto ciò è possibile affermare che il contraddittorio sia, a nostro avviso, un momento essenziale del procedimento, rispondente cioè a criteri ed esigenze di «trasparenza e buon andamento, oltre che di ragionevolezza e proporzionalità» (18) e non possa essere subordinato alla tipologia e alla natura dei tributi, rivestendo la natura di principio immanente e democratico. In senso rafforzativo della sua centralità all’interno del procedimento di accertamento ricordiamo come la legge 11 marzo 2014, n. 23, aveva invitato il legislatore delegato a «rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale» (19).
Non si comprende, pertanto, come esso ancora rivesta natura discrezionale e non obbligatoria (20) a maggior ragione nella fattispecie riferibile alle indagini bancarie caratterizzate da stringenti presunzioni, dove l’esito dello stesso potrebbe incidere in maniera significativa sull’atto finale (21), tenuto conto, inoltre, che il suo mancato svolgimento non è in alcun modo sanzionato (22).
La questione sollevata davanti alla Corte Costituzionale si articola in due gruppi di censure: uno inerente l’estensione della inversione dell’onere della prova e della relativa presunzione ai compensi dei lavoratori autonomi, l’altro avente ad oggetto l’applicazione retroattiva della norma agli anni d’imposta precedenti all’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2004, n. 311, aspetto che non verrà in questa sede approfondito.
In via preliminare, ed al fine di chiarire la tematica, giova ripercorrere, in estrema sintesi, l’evoluzione della normativa sulle indagini bancarie che, da strumento istruttorio utilizzabile limitatamente ad ipotesi di particolare gravità specificamente individuate nell’art. 35 del D.P.R. n. 600/1973 (23), si è appunto evoluto sino alla definitiva abolizione del segreto bancario prevista dalla legge n. 30 dicembre 1991, n. 413. Gli artt. 18 e 20 della suddetta legge hanno introdotto strumenti maggiormente incisivi per esercitare l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria finalizzata a combattere il fenomeno dell’evasione, ridimensionando notevolmente la rilevanza del segreto bancario nella legislazione tributaria.
E, segnatamente, l’art. 18 ha modificato gli artt. 32 (Poteri degli Uffici) e 33 (Accessi, ispezioni e verifiche) del D.P.R. n. 600/1973, nonché l’art. 52 (Accessi, ispezioni e verifiche) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. L’art. 20 della legge n. 413/1991 ha previsto che le aziende ed istituti di credito e l’Amministrazione postale sono tenute a rilevare ed a tenere in evidenza i dati identificativi di ogni soggetto che intrattenga con loro rapporti di conto o di deposito o che comunque possono disporre del medesimo. Inoltre, la stessa norma ha delegato il Ministro dell’economia e delle finanze ad emanare un apposito provvedimento a cui è stata data attuazione dopo ben nove anni (24).
L’esigenza di un corretto e trasparente controllo dei flussi finanziari, nell’ottica di una maggiore incisività nella lotta all’elusione ed evasione fiscale, ha condotto il legislatore a varare, nel 2004, una ulteriore riforma delle indagini bancarie, confluita nella già citata legge n. 311/2004. La principale novità introdotta dall’art. 1 (che è intervenuto a modificare l’art. 32, primo comma, n. 2, e secondo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973) concerne la estensione dei soggetti destinatari della richiesta di informazioni anche a quelli non tipicamente bancari, comprendendo anche i diversi intermediari abilitati ad operare sui mercati finanziari, e dell’oggetto relativo alla richiesta di informazioni.
La nuova formulazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, consente di richiedere dati, notizie e documenti riguardanti «qualsiasi rapporto intrattenuto e/o operazione effettuata», ricomprendendo in tale generica nozione anche, ad esempio, la categoria dei servizi prestati e le operazioni a prescindere dal fatto che siano transitate o meno sui conti. La successiva approvazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha disposto, all’art. 7, l’obbligo a carico delle banche, degli intermediari finanziari, delle Poste italiane S.p.a., delle imprese di investimento, degli OICR, delle SGR, nonché di ogni altro operatore finanziario, di rilevare a tenere in evidenza i dati identificativi di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui qualsiasi operazione di natura finanziaria, ad esclusione di quelle di importo unitario inferiore ad euro 1.500.
Sarà poi il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, a disporre all’art. 7 che «l’Agenzia delle entrate può provvedere all’elaborazione di apposite liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo», dando così luogo alla creazione di una black list di soggetti sottoposti a controlli e prevedendo l’obbligo a carico degli istituti finanziari di comunicare all’Agenzia delle entrate le informazioni riguardanti i soggetti potenzialmente evasori.
Con il decreto Monti, approvato con D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2011, n. 214, la lotta all’evasione e l’emersione del sommerso assumono una connotazione strutturale tale da consentire all’Agenzia delle entrate, a scapito di «qualsiasi tutela della riservatezza» (25), di conoscere direttamente le movimentazioni finanziarie del singolo contribuente. Viene previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2012, che gli operatori finanziari siano obbligati a comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria non solo le movimentazioni, bensì le operazioni finanziarie effettuate al di fuori del rapporto continuativo, ordinate ed archiviate nell’apposita sezione, denominata archivio dei rapporti finanziari il cui accesso è consentito alla Guardia di finanza e all’Agenzia delle entrate.
Gli intermediari finanziari devono, dunque, inviare ai verificatori tutte le movimentazioni intervenute nei periodi d’imposta interessati che si presentino anomale, sebbene questa procedura ha fatto sorgere non poche questioni inerenti alla tutela della privacy. In effetti il Garante della privacy ha rilevato, in un primo provvedimento del 17 aprile 2012, che – alla luce della ingente mole di informazioni – sarebbero necessarie maggiori misure di sicurezza, al fine di ostacolare eventuali accessi abusivi ed utilizzi impropri e, a tal fine ha disposto, a tutela della privacy, che la trasmissione delle informazioni dovrà avvenire attraverso un canale telematico (Sistema di interscambio flussi dati SID) a cui si dovrà registrare ogni operatore finanziario.
Traendo alcune preliminari conclusioni è possibile prendere atto delle importanti ripercussioni relative alla dichiarazione di incostituzionalità della presunzione sui maggiori compensi, non tanto e non solo quanto agli accertamenti già notificati ed oggetto di contenzioso, ma soprattutto con riferimento agli atti impositivi non ancora impugnati ed i cui termini per ricorrere non siano ancora scaduti, per i quali riteniamo che il contribuente possa attivare l’istituto dell’autotutela piuttosto che l’accertamento con adesione.
In definitiva ci sembra indubbio che «la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 va così intesa come una sorta di “apripista”, apparendo destinata a produrre un effetto di complessivo ripensamento del sistema delle presunzioni legali riguardanti i movimenti finanziari in base ad un innovativo giudizio di infondatezza della specifica presunzione legale riguardante i prelevamenti dei professionisti» (26). Resta, tuttavia, il rammarico di non avere ritenuto legittimo l’obbligo del contraddittorio anche per quanto riguarda il procedimento relativo all’imprenditore.
2. Presunzione legale relativa per le indagini finanziarie e onere della prova
Particolarmente interessanti sono i collegamenti fra il tema delle presunzioni (27) e l’art. 23 Cost. (28); è stato, infatti, acutamente osservato come le «presunzioni assolute qualificate come vere e proprie sostituzioni di fattispecie attinenti il presupposto, i soggetti passivi o l’imponibile sono soggette non solo ai limiti sostanziali di legittimità costituzionale (artt. 3 e 53 Cost.), ma anche alla riserva di legge ex art. 23 Cost. (con la conseguenza che la razionalità della presunzione assoluta sarà soggetta al sindacato di legittimità costituzionale, non a quello del giudice amministrativo)» (29).
È opportuno, tuttavia, precisare che l’art. 23 Cost. non rappresenta il solo limite costituzionale di tale presunzione, ma ne determina anche i canoni della sua razionalità, nel senso, cioè, che la presunzione deve rivestire i caratteri della razionalità e della ragionevolezza. Quanto all’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, così come modificato dall’art. 1, comma 402, della legge n. 311/2004 (finanziaria per il 2005), esso dispone che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni intervenute tra banche, operatori finanziari e contribuenti «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti … se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine». La stessa disposizione stabilisce che «alle stesse condizioni sono posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni».
Spetta, dunque, al contribuente a cui si riferiscono quei dati, dimostrare che egli ne ha tenuto conto nella propria dichiarazione, oppure che di essi non doveva tenerne conto, trattandosi di ricchezze irrilevanti dal punto di vista fiscale. In mancanza di tale dimostrazione, quei dati sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, trasformandosi, così, in maggiore materia imponibile rispetto a quella indicata nella dichiarazione annuale (30).
In forza dell’esistenza di una presunzione legale relativa, l’Ufficio è tenuto «ad assumere per certo che i movimenti bancari sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’onere della prova» (31).
La presunzione in base alla quale sono considerati ricavi tutti i versamenti, non sembra di problematica applicazione né di difficile comprensione, in quanto è ragionevole supporre che il contribuente possa aver versato sul suo conto, o su quello di terzi, importi riscossi durante l’esercizio della propria attività con l’intenzione di sottrarli a tassazione.
Maggiormente problematica appare l’individuazione della natura giuridica della presunzione relativa ai prelevamenti. È stato correttamente rilevato (32) che dalla formulazione del testo «emerge la struttura di una presunzione legale relativa (iuris tantum): legale, in quanto il collegamento fra fatto noto (accredito o addebito in conto) e fatto ignoto (operazione rilevante per la determinazione del reddito od operazione imponibile ai fini dell’IVA) è in questo caso predeterminato dalla legge; relativa, in quanto il soggetto contro cui è fatta valere (il contribuente) può smentirla fornendo la prova contraria».
A questo proposito si individuano due opposti orientamenti dottrinali riferibili a chi (33) sostiene l’esistenza di una presunzione legale relativa in base alla quale tutte le operazioni rilevate nei conti e non regolarmente contabilizzate nelle scritture contabili, si ritengono sottratte a tassazione (a meno che non sia data dimostrazione che esse non potevano incidere nel calcolo della base imponibile) o piuttosto a chi (34) intravede l’esistenza di una presunzione semplice, in quanto la copia dei conti da sola è di per sé insufficiente ad attestare l’esistenza di operazioni sottratte a tassazione (35).
Abbiamo messo in evidenza come la legge finanziaria per il 2005 abbia inserito il termine “compensi” all’interno del testo normativo realizzando così l’estensione della presunzione legale relativa anche ai lavoratori autonomi che, percependo compensi e non ricavi, rimanevano così esclusi dall’ambito di applicazione della disposizione. Anche per gli esercenti arti e professioni, dunque, si applicava la doppia presunzione per cui un prelevamento si riteneva utilizzato per remunerare un acquisto inerente la produzione del reddito e quella per cui al costo non contabilizzato corrispondeva un ricavo altrettanto non contabilizzato. In realtà, l’estensione ai professionisti dell’operatività della presunzione prelevamenti = compensi, è considerata «di fatto inutile per la Cassazione perché, già secondo il previdente regime, l’inciso ricavi era sufficiente per riferire la presunzione legale non solo ai redditi d’impresa ma anche a quelli di lavoro autonomo» (36).
Sulla ragionevolezza di tale presunzione abbiamo sollevato non pochi dubbi (37) in quanto la prova contraria risulta molto ardua e complessa da rendere considerato che il contribuente professionista non solo potrebbe essere chiamato a distanza di tempo a giustificare e provare spese o incassi sostenuti, ma soprattutto in quanto sovente i prelevamenti nascono da esigenze estranee all’esercizio dell’attività professionale (38) e sarebbero funzionali al sostenimento di un costo o finalizzati a sopperire ad una temporanea carenza di liquidità, ma non sono direttamente riconducibili all’acquisizione di un compenso in nero.
La sentenza della Corte Costituzionale, in effetti, si inserisce nel contesto di un dibattito, sia dottrinale che giurisprudenziale che, in qualche modo, ci sembra riconducibile alla precedente sentenza 8 giugno 2005, n. 225, in cui la Consulta era già intervenuta sulla questione (39). Veniva, in quella sede, ritenuta non lesiva del canone di ragionevolezza la presunzione iuris tantum relativa ai prelevamenti dei professionisti. E, segnatamente, la Corte Costituzionale ammetteva la legittimità della norma (40) in quanto non arbitrario il meccanismo presuntivo previsto, stabilendo come non fosse irragionevole né «manifestatamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati da lui destinati all’esercizio dell’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile».
La decisione in commento, quindi, si differenzia totalmente dalla precedente giungendo ad una conclusione opposta; inoltre, la Corte Costituzionale chiarisce in maniera significativa il rapporto che esiste tra le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo precisando come «esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo». E, pertanto, la non ragionevolezza della presunzione è avallata dalla circostanza che i prelevamenti si inseriscono «in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali». La presunzione in esame, pertanto, oggi si presenta «lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito».
Tra l’altro, il riferimento normativo alla indicazione del soggetto beneficiario, non sembra richiedere al riguardo una evidenza documentale; tale circostanza ha correttamente indotto parte della dottrina a definire “anti omertà” (41), la norma de qua, in quanto il soggetto ispezionato è tenuto a fare il nome del destinatario dell’incasso, con il conseguente effetto di indirizzare verso quest’ultimo l’azione del fisco volta a verificare la veridicità di quanto affermato e, dall’altro, a constatare l’eventuale assoggettamento ad imposizione della componente reddituale correlata all’introito finanziario.
L’applicazione della presunzione per così dire erga omnes è stata ribadita dalla Corte di Cassazione con la sentenza 3 aprile 2013, n. 8047 (42), la quale specifica che la presunzione sui versamenti trova applicazione nei confronti di chiunque, anche se lavoratore dipendente.
Quanto all’onere della prova inerente all’esistenza delle presunzioni, va detto che essa deve avere i caratteri della documentabilità, certezza e specificità (43), nel senso che «la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, tale cioè da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili» (44). Più di recente, la Suprema Corte (45) ha ribadito che «in materia di IVA, allorquando l’Amministrazione finanziaria proceda ad accertamento induttivo, utilizzando i dati risultanti dai conti correnti bancari, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 51, co. 2, n. 2, del D.P.R. n. 633/72 (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche, distinte, causali dell’affluire di somme sui conti correnti. Il contribuente è, per vero, gravato – a fronte di tale presunzione – dall’onere di fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale dei movimenti rilevati sui suoi conti bancari».
È importante, in questa sede, evidenziare un ulteriore aspetto critico relativo alla difficoltà di risalire ad operazioni effettuate, anche per modesti importi, molti anni addietro.
La legge, infatti, non pone alcun limite quantitativo relativo all’importo per il quale si chiedono giustificazioni e, stante la oggettiva difficoltà di indicare il destinatario delle somme, la Commissione regionale di Milano (46) ha disposto come sia «indiscusso che sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari, anche in base a rapporti familiari o comunque qualificati da particolari affinità tali da giustificare la riferibilità al contribuente, vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito, ma la legittimità di tale presunzione non può prescindere da valutazioni in ordine all’onere della prova. Detto altrimenti, se i versamenti non giustificati sui citati conti correnti possono legittimare direttamente la presunzione di ricavi imputabili alla attività imprenditoriale del contribuente, tale presunzione, nel caso di prelevamenti dal conto corrente, deve risultare supportata da elementi di maggiore riferibilità al reddito d’impresa, avuto riguardo al fatto che le uscite sono sovente frequenti e frazionate, tipiche del vivere quotidiano del socio … tale caso di presunzione comporta l’inversione dell’onere della prova, tenuto conto dell’impossibilità materiale del soggetto a giustificare e documentare le innumerevoli operazioni, spesso quotidiane di prelevamento».
3. Delimitazione delle figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo nella sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014
Nella prospettiva delineata dalla Corte Costituzionale, e sopra soltanto accennata, ulteriore elemento degno di approfondimento concerne il discrimine tra le figure del lavoratore autonomo e dell’imprenditore considerato che il meccanismo presuntivo delle indagini finanziarie, relativamente alla presunzione sui prelevamenti, è stato ritenuto congruente con l’attività imprenditoriale, ma non con quella del professionista. Non ci sembra superfluo richiamare come il fondamento civilistico della figura del lavoratore autonomo sia riconducibile essenzialmente a due elementi «la natura spiccatamente personale ed intuitus personae dell’attività professionale, nonché il legame imprescindibile, per nulla influenzato dalle spese sostenute dal professionista, tra l’opera professionale ed il compenso ricevuto» (47), viceversa, quanto al concetto di impresa, prevale l’elemento economico/patrimoniale (impiego di capitale e di fattori produttivi finalizzati alla produzione della ricchezza) sull’attività personale.
Quanto alle differenze strutturali fra le due categorie di lavoratori, che ha indotto la Corte Costituzionale ad un trattamento differenziato relativamente all’applicabilità della presunzione, occorre subito chiarire come l’attività d’impresa sia caratterizzata «dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi» e che, viceversa, l’attività svolta dal lavoratori autonomi «si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apporto organizzativo» (48). E, difatti, la Consulta nella sentenza de qua precisa che «l’attività svolta dai lavoratori autonomi … si caratterizza per la preminenza dell’apporto di lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali» e, di conseguenza, «il requisito dell’organizzazione viene svalutato a favore della professionalità» (49). Alla luce di questo spiccato elemento di diversità fra le due categorie di soggetti, «solo nella logica d’impresa il prelievo si può ascrivere, secondo la Consulta, all’acquisto di fattori produttivi impiegati nella produzione di beni e servizi» (50).
Nella sentenza in esame la Corte Costituzionale si occupa quindi, a nostro avviso, anche di discriminare qualitativamente i redditi da lavoro autonomo e d’impresa, «allineandosi cosi all’impostazione assunta nella sentenza n. 42 del 1980 in tema di ILOR in cui venne proposta tout court una discriminazione qualitativa dei redditi dei professionisti rispetto agli imprenditori» (51) ed assumendo «una posizione unitaria e generalizzata in ordine alla discriminazione qualitativa dei redditi del lavoro autonomo rispetto ai redditi di impresa, indipendentemente da una formulazione più accurata in merito all’effettiva dimensione della organizzazione dell’attività economica» (52).
A questo punto è opportuno perlomeno accennare alle modalità di discriminazione, considerato che discriminare fiscalmente significa differenziare il prelievo tributario a seconda della quantità e della qualità dei redditi che devono essere tassati.
Già la riforma tributaria del 1971-1973 aveva condotto ad un metodo totalmente differente di attuazione della discriminazione qualitativa del prelievo. La Commissione Cosciani (53), infatti, aveva fatto prevalere la tesi della esigenza di applicare un’imposta che discriminasse a favore dei redditi di lavoro e colpisse esclusivamente quelli che provenissero dal patrimonio. Entrambe le categorie reddituali risultavano incluse nella nozione di capacità contributiva, ma mentre era più facile intendere i motivi che giustificavano la necessità di un prelievo differenziato e progressivo, quando ci si trovava in presenza di redditi diverso ammontare, era, invece, più difficile poter dare una spiegazione accettabile e giuridicamente attendibile del perché necessitasse un prelievo differenziato, a parità di ammontare di reddito, a seconda della provenienza dello stesso reddito, ovvero per i redditi provenienti da diversa fonte.
In seguito all’intervento della Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 42/1980 in tema di ILOR, si capì come «i criteri di individuazione e di differenziazione dei redditi, originariamente caratterizzati dal riferimento alla “fonte” come cespite materialmente identificabile, tendevano ad articolarsi, per certi redditi, che si considerano prodotti da un’attività, con conseguente riduzione della rilevanza dei profili oggettivi del “cespite”» (54). Dunque, il passaggio dalla fonte/cespite all’attività, e cioè alla qualità del soggetto passivo, ancora ci sembra che fortemente incida non solo sui criteri di determinazione del reddito, ma anche sul relativo accertamento degli stessi a maggior ragione nelle indagini finanziarie con particolare riguardo alla incostituzionalità della presunzione sui prelevamenti per i professionisti in generale.
Com’è noto, «con l’entrata in vigore della riforma tributaria si è rilevato da più parti come ad una siffatta definizione quantitativa si fosse sostituita una classificazione in termini qualitativi, basata pertanto sulla natura dell’attività esercitata» (55), giungendo, così, ad attribuire «un contenuto positivo ai concetti di lavoro autonomo e di arti e professioni usati dal legislatore ed in particolare delimitarli rispetto al più noto ed assorbente concetto di impresa» (56).
Venendo ora alla decisione di incostituzionalità, come accennato in premessa, la Consulta ritiene costituzionalmente illegittima, la norma che prevede l’applicazione della presunzione legale a favore del fisco dei maggiori compensi nei confronti dei professionisti. Già l’ordinanza n. 238/2013 la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva sollevato la questione (57), rimettendo alla Consulta la legittimità della norma, in quanto la presunzione di maggiori ricavi riferita ai prelevamenti non giustificati non poteva essere considerata sintomatica di acquisti in nero per i professionisti e comporterebbe a carico degli stessi un onere probatorio «imprevedibile ed impossibile da assolvere».
La Corte Costituzionale, nel condividere la tesi dei giudici laziali, ha altresì precisato – con particolare riferimento al tema trattato – la specificità che riveste la categoria del lavoratore autonomo rispetto a quella dell’imprenditore, considerato che la prima si caratterizza per «la preminenza dell’apporto del lavoro proprio» e per «la marginalità dell’apparato organizzativo», sebbene tale marginalità assuma differenti gradazioni a seconda della tipologia dell’attività, divenendo sfumata o assente del tutto in presenza di una natura prettamente intellettuale dell’attività svolta.
In definitiva, quanto al primo gruppo di censure sopra individuato, la Corte Costituzionale ha ritenuto che per il reddito da lavoro autonomo «non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa e il prelevamento sarebbe un “fatto oggettivamente estraneo all’attività di produzione del reddito professionale”, idoneo a costituire un “mero indice generale di spesa”». Dunque, la disposizione censurata sarebbe “irrazionale” e «tanto irrazionale quanto inutile sul piano dell’accertamento dei maggiori redditi».
Con riferimento al secondo gruppo di censure il giudice remittente afferma che la disposizione de qua non può essere applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa (58), poiché comporterebbe, come già precisato, un onere probatorio «imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l’art. 24 Cost. e con il principio di tutela dell’affidamento, richiamato anche nell’art. 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), nonché con l’art. 111 Cost. per violazione del principio di parità delle parti».
Orbene, ci sembra pacifico che il limite di legittimità delle presunzioni legali sia la loro ragionevolezza, «esse in tanto sono legittime, in quanto siano ragionevoli, cioè in quanto presumano cose probabili, altrimenti si costringerebbe una parte a provare cose che sono ovvie, attribuendo all’altra un vantaggio sproporzionato ed ingiustificato. Ebbene, è il caso di dire, in modo chiaro e netto, che la presunzione in esame, per come viene usualmente applicata, è del tutto irragionevole» (59).
La Consulta riconosce fondata nel merito la questione relativa alla censura di cui agli artt. 3 e 53 Cost., con conseguente assorbimento degli artt. 24 e 111 Cost.
La portata innovativa della pronuncia della Consulta va, a nostro avviso, ricondotta all’affermazione della non ragionevolezza della presunzione, considerato che «gli eventuali prelevamenti si innescano in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente si avvale la categoria degli autonomi» tenuto, altresì, conto che «il titolare del reddito di lavoro autonomo è obbligato ad annotare nella contabilità i compensi e le spese, non quei prelevamenti che potrebbero rispondere ad esigenze personali» (60). Dalla individuazione delle caratteristiche peculiari delle due figure di contribuenti ne conseguono ovvie ripercussioni quanto ai profili squisitamente contabili, poiché la contabilità d’impresa impone l’annotazione di tutte le movimentazioni in entrata ed in uscita sia economiche che finanziarie e patrimoniali, a differenza dei lavoratori autonomi che, invece, sono chiamati ad annotare unicamente le movimentazioni economiche e quelle finanziarie strettamente correlate all’attività, vigendo, per questi ultimi, un criterio di determinazione del reddito per cassa, e non per competenza.
In definitiva, è proprio il giudizio di non ragionevolezza che ci sembra particolarmente innovativo e che dovrebbe indurre il legislatore tributario ad una maggiore riflessione, considerato che esso «lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (61).
In limine, ci sembra interessante l’interpretazione in chiave sanzionatoria dell’irragionevole, ed anche incostituzionale, presunzione bancaria nel senso che si è inteso sanzionare (indirettamente) la reticenza del contribuente il quale, impedendo di risalire all’identità del soggetto che ha conseguito un ricavo, viene tassato per un ricavo attribuibile ad altri (62).
L’orientamento complessivo dell’azione amministrativa dipende non solo dalla qualità dell’attività istruttoria, ma anche dalla ragionevolezza dei risultati (63) e da un altrettanto «ragionevole rapporto fra la posizione del fisco e quella del contribuente» (64).
Principi di ragionevolezza e di proporzionalità, sebbene ontologicamente diversi, sono riferibili all’articolo 97 Cost., e dovrebbero, in conclusione, rappresentare i cardini di una democrazia tributaria efficiente e, dunque, garantire il «diritto alla giusta imposizione che, pur riconducibile, direttamente o indirettamente, ai principi costituzionali, non trovano concrete possibilità di tutela nel nostro sistema positivo» (65).
4. Il contraddittorio nelle indagini finanziarie: un’opportunità mancata
La rilevanza del contraddittorio endoprocedimentale – a prescindere dagli inevitabili collegamenti con le leggi n. 241/1990 (66) e n. 212/2000 (67) – non pare ormai essere messa in discussione sia in dottrina che in giurisprudenza (anche prima dell’entrata in vigore delle disposizioni statutarie) (68) a maggior ragione in seno alle indagini finanziarie rappresentando, la sua omissione, «una grave lesione dell’impianto sistematico della disciplina» (69).
Sebbene a tutt’oggi non sia espressamente codificata una disposizione di carattere generale che istituzionalizzi il contraddittorio nel procedimento amministrativo, non sono mancate in questi ultimi anni coraggiose pronunce (70) che identificavano nello stesso un momento opportuno per provocare la effettiva partecipazione del contribuente alla luce anche del principio di specialità e dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000 (71).
Oggi tale orientamento è pressoché consolidato, infatti la Suprema Corte – nel richiamare gli articoli 5 (72), 6 (73), 7 (74), 10 (75) e 12 (76) dello Statuto dei diritti del contribuente – individua la legittimità della pretesa tributaria nella «formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endo-procedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.» (77).
L’inevitabile riferimento è ancora una volta alle recenti sentenze nn. 19667 e 19668 del 2014 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che attribuiscono al preavviso di fermo la natura di atto determinante, all’interno della sequela procedimentale (78) esecutiva esattoriale, al fine di assicurare – attraverso la sua pronta conoscibilità – una più ampia tutela del contribuente.
Esse giungono a sancire «un principio generale, caratterizzante qualsiasi sistema di civiltà giuridica», ossia, «la doverosità della comunicazione di tutti gli atti lesivi della sfera giuridica del cittadino», atti strutturalmente funzionali «a consentire e a promuovere, da un lato, il reale ed effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente a tutela dei propri interessi e, dall’altro, l’interesse pubblico ad una corretta formazione procedimentale della pretesa tributaria e dei relativi mezzi di realizzazione» (79).
Nonostante ciò, e le numerose e fin troppo ricorrenti deroghe esplicite allo Statuto dei diritti del contribuente (80), il contraddittorio e la sua obbligatorietà è ondivagamente messa in discussione. Tale interpretazione svalutativa (81) è, purtroppo, avallata dall’ordinanza della Suprema Corte 24 giugno 2014, n. 14290 (82), con la quale si respinge acriticamente il ricorso del contribuente ribadendo il principio di diritto secondo il quale la mancata convocazione del contribuente non inficia la validità dell’avviso di accertamento, per quanto sarebbe ottima prassi convocare il contribuente al fine di chiedere notizie e/o chiarimenti.
Lo Statuto dei diritti del contribuente, agli artt. 10 e 12, prevede significative applicazioni del principio del contraddittorio (83) e, più di recente, la circolare 25/E/2014 dell’Agenzia delle entrate (84) rafforza in maniera significativa la posizione del contribuente con riferimento alle aperture da parte dell’Amministrazione finanziaria al contraddittorio, tuttavia ad oggi esso si presenta, anche in seno alle indagini finanziarie fondate essenzialmente su presunzioni, come una mera eventualità.
La sua discrezionalità è, infatti, chiaramente espressa nel disposto degli artt. 32, primo comma, punto 2), del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. n. 633/1972 e ribadita – come già precisato – dalla giurisprudenza (85) secondo la quale il contraddittorio rappresenta una mera facoltà discrezionale con «l’ulteriore conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà non trasforma in presunzione semplice la presunzione legale che riferisce i movimenti bancari all’attività svolta dal contribuente, su cui grava perciò l’onere della prova in sede contenziosa». Sebbene, come già accennato, non siano mancate pronunce (86) che identificano nel contraddittorio un momento opportuno per provocare la effettiva partecipazione del contribuente, esso riveste ancora oggi la natura di momento eventuale e non necessario all’interno del procedimento di accertamento tributario, non considerando che, in sede di confronto con il fisco, il contribuente potrebbe addurre elementi di prova che dimostrino la natura non imponibile delle operazioni contestate senza ulteriori elementi di discrezionalità riconducibili alla “consistenza” e alla “quantità degli elementi raccolti” (87).
E neppure è valsa la presa di posizione della dottrina (88) – nel disposto dell’articolo 97 Cost. – sulla centralità del contraddittorio come condizione della possibilità di utilizzo di dati non probanti, ma semplicemente indiziari, in grado di colmare eventuali lacune contabili.
4. Conclusioni
In conclusione, l’avere disposto l’incostituzionalità della presunzione di imponibilità dei prelevamenti per i contribuenti lavoratori autonomi consente di fare un significativo passo in avanti quanto all’applicabilità delle presunzioni secondo criteri di ragionevolezza.
Tuttavia, il mancato riconoscimento dell’obbligatorietà del contraddittorio nell’ipotesi di indagini finanziarie, tout court, rappresenta ancora un significativo vulnus della disciplina e dovrebbe rappresentare, invece, una conditio sine qua non al fine dell’utilizzo dei dati bancari e finanziari acquisiti.
Il tema del contraddittorio è intimamente collegato alla disclosure del materiale probatorio acquisito ed alla prova in generale. In effetti, secondo Pugliatti (89), il termine prova non ha «un significato univoco nella tradizione filosofica ed in quella scientifica. Si può, tuttavia, affermare che la prova costituisca il momento essenziale del processo di dimostrazione». Senza entrare nel merito della distinzione tra prova logica e prova storica, quella cioè relativa ai fatti, possiamo dire – sempre con Pugliatti – che «il territorio della prova è quello (della ricognizione e dell’accertamento) dei fatti rilevanti ai fini del giudizio, che sono sempre fatti particolari … il procedimento probatorio, dunque, si presenta, in una fase preliminare, come acquisitivo di conoscenze». Insomma, pur ammettendosi da parte di Pugliatti che «notevolmente ampi ed intensi sono i poteri ispettivi e di controllo che la legislazione speciale attribuisce agli organi e agenti dell’Amministrazione finanziaria», oggi assistiamo ad una ancora fragile tutela del contribuente nella fase procedimentale.
In effetti già la centralità dello Statuto dei diritti del contribuente, riconosciuto ormai dalla giurisprudenza come una “supernorma”, imporrebbe il rispetto della parità delle armi fra fisco e contribuente, anche ammettendo che la legge n. 212/2000 costituisca una occasione mancata per la codificazione formale del principio del contraddittorio. Quanto al mancato contraddittorio in sede di utilizzazione dei dati scaturenti dalle indagini bancarie – sebbene non sia normativamente prescritto come obbligatorio – esso genera, a nostro parere, un differimento della tutela del contribuente esclusivamente alla eventuale fase processuale, in cui il ricorrente dovrà fornire al giudice prove certe circa la genesi di prelevamenti e versamenti.
Non vi è dubbio, pertanto, che quand’anche dal testo della norma (art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 per le imposte sui redditi e art. 54 del D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA) con’un interpretazione letterale e non costituzionalmente o convenzionalmente orientata si evinca la non obbligatorietà del contraddittorio (gli Uffici possono), tuttavia, riteniamo che la codificazione di un momento dialettico in sede di indagini finanziarie sia indispensabile per una più efficace tutela del contribuente. Non si capisce, infatti, perché – avendone la facoltà – l’Amministrazione finanziaria non si attivi, anche alla luce della nuova cultura della valorizzazione del contraddittorio, che dovrebbe essere ormai recepita a tutto campo, al suo esercizio e, in tale senso, ci sembra pertanto irragionevole, al momento, la posizione della Corte Costituzionale.
In conclusione, ulteriore critica che ci sentiamo di condividere al decisum della Corte Costituzionale, concerne il discrimine tra l’attività di lavoro autonomo e quella d’impresa, tema che costituisce elemento significativo della ratio decidendi della sentenza. In effetti, siamo d’accordo con chi (90) afferma che «la Consulta prende a riferimento una realtà sociologica e normativa che non è quella reale», conferendo un valore giuridico allo stereotipato carattere intellettuale dell’attività svolta e prescindendo dalle evoluzioni delle due figure di contribuenti.
Prof. Maria Vittoria Serranò
Associato di Diritto tributario
Università di Messina
(1) Corte Cost. 6 ottobre 2014, n. 228, in Boll. Trib., 2014, 148, con nota di ACCORDINO, Il giusto rèvirement della Corte Costituzionale: i prelievi dal conto corrente bancario di un lavoratore autonomo non costituiscono compensi non dichiarati; e di BRIGHENTI, Lavoratori autonomi: l’abolizione da parte della Corte Costituzionale della presunzione prelevamenti bancari = compensi (un altro contenzioso come quello IRAP?).
(2) Per interessanti contributi sulla sentenza e sull’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria regionale del Lazio 10 giugno 2013, n. 238, si vedano BORIA, Un leading case della Corte Costituzionale in materia di presunzioni bancarie, in Riv. dir. trib., n. 6, 2015, 228; ARTUSO, Finalmente dichiarata incostituzionale la presunzione “prelevamento = compenso” per i professionisti: prime osservazioni “a caldo”, ibidem, 250 ss.; FRANSONI, Il coraggio della Consulta, il valore indiziario dei prelevamenti bancari e il principio di Al Capone, ibidem, 261; D’AYALA VALVA, La Corte Costituzionale elimina il “prelevometro”, in Riv. giur. trib., 12, 2014, 929; FRANSONI, Ancora alla Consulta la presunzione sui prelevamenti bancari, in Riv. dir. trib., 7-8, 2013, 386 ss.; MARCHESELLI, Presunzioni bancarie e accertamento dei professionisti: un “pasticciaccio brutto” tra illegittimità costituzionale e illecito comunitario dello Stato, in Dir. prat. trib., 5, 2013, 761 ss.; FREGNI, Verifiche bancarie e illegittimità della presunzione sui “compensi” ai lavoratori autonomi, in Riv. dir. fin. e sc. fin., n. 4, 2014, 105 ss.; DELLA VALLE, I prelievi bancari dei professionisti e la scomparsa della “relativa” presunzione, in il fisco, 2014, 4421; e VIOTTO, Considerazioni sull’incostituzionalità delle “presunzioni legali” concernenti i prelevamenti bancari dei lavoratori autonomi, in Giur. delle imposte, n. 3, 2015. Si veda altresì BRIGHENTI, Presunzione di prelevamenti bancari = ricavi o compensi: finalmente una sentenza che spiega tutto, in nota a Comm. prov. di Rieti 5 agosto 2013, n. 139, in Boll. Trib., 2015, 139.
(3) Ci sia consentito rinviare a SERRANÒ, Indagini finanziarie e accertamento bancario, Torino, 2012.
(4) Si veda in tal senso il Sole 24 Ore del 25 ottobre 2014.
(5) Sul principio del contraddittorio procedimentale e sui suoi inevitabili collegamenti con le leggi nn. 241/1990 e 212/2000 ci limitiamo a segnalare CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, in Boll. Trib., 2015, 86; VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, in nota a Corte Cass. 14 gennaio 2015, n. 527, ibidem, 146; GALLO, Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in Dir. prat. trib., n. 3, 2011, 467; DEL FEDERICO, I rapporti con lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente, Torino, 2012, 229; MARCHESELLI, L’effettività del contraddittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), op. cit., 413; MULEO, Il contraddittorio endoprocedimentale e l’affidamento come principi immanenti, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), op. cit., 406. Sempre sul tema si veda FANTOZZI, Violazioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., I, 2011, 137 il quale osserva che «il contatto tra amministrazione e contribuente (anche sotto l’influsso della legge n. 241/1990 ci si svincolava sempre più dalla tradizionale logica di soggezione del contribuente alla potestà dell’amministrazione finanziaria) era comunque stato pensato dal legislatore come forma di sussidio all’attività dell’amministrazione finanziaria più che come chance difensiva del contribuente».
(6) Cfr. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, 2009, 171, il quale – già in epoca antecedente alle recenti sentenze della Corte Giust. UE, cause riunite C-129/13 e C-130/13 – attribuiva al contraddittorio tale significativo ruolo.
(7) Così Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667, in Boll. Trib., 2014, 1740, con nota di ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato; si vedano altresì i commenti di MARCHESELLI, Il contraddittorio deve precedere ogni provvedimento tributario, in Corr. trib., n. 39, 2014, 3019; e TUNDO, Diritto al contraddittorio endoprocedimentale anche in assenza di previsione normativa, in Riv. giur. trib., 12, 2014, 945.
(8) Ved. MARCHESELLI, op. ult. cit., 3020.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 25759, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 406, ivi.
(10) Cfr. Cass., sez. trib., 29 luglio 2015, n. 16036; Cass., sez. trib., 27 marzo 2015, n. 6232; Cass., sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5632; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 992; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 961, tutte in Boll. Trib. On-line.
(11) Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in questo stesso fascicolo a pag. 222, con nota di AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere! Vedi, altresì, AZZONI, Dialogo tra un antico e un moderno intorno ai diritti dei contribuenti sottoposti a verifica fiscale secondo il pensiero della Suprema Corte (n. 24283/2015), ibidem, 184.
(12) Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 1272, con nota di AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.
(13) Cass., sez. trib., 5 novembre 2015, n. 24729, in Boll. Trib., 2013, 1684, con nota di AZZONI, Brevi riflessioni immediate intorno a uno spiazzante “revirement” concettuale della Suprema Corte.
(14) Cfr. Comm. trib. reg. della Toscana, sez. I, 10 gennaio 2016, n. 736, in Boll. Trib. On-line e di prossima pubblicazione in questa Rivista, con nota di AZZONI.
(15) Così si esprime TUNDO, Diritto al contraddittorio endoprocedimentale anche in assenza di previsione normativa, op. cit., 949
(16) Ved. MARCHESELLI, op. loco ult. cit.
(17) Ved. MARCHESELLI, op loco ult. cit.
(18) Cfr. FANTOZZI, Le violazioni del contraddittorio e l’invalidità degli atti, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), op. cit., 481 ss.
(19) Art. 9, primo comma, lett. b), della legge n. 23/2014.
(20) Dissentiamo in questo caso dalla dottrina (MARCHESELLI, op. ult. cit.) che ritiene nulli gli accertamenti bancari emessi senza contraddittorio, certamente sarebbe auspicabile un tale orientamento, ma il tenore della normativa non si esprime in tal senso.
(21) Si vedano in tal senso le sentenze della Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, in Boll. Trib., 2015, 458, con nota di SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario.
(22) Ved. FANTOZZI, op. loco ult. cit., il quale osserva come «in pratica, ogni volta che il legislatore ha ristretto la possibilità del contribuente di fornire la prova contraria, magari introducendo presunzioni o prescrivendone le modalità, ha di pari passo imposto all’amministrazione modalità varie di contraddittorio precontenzioso sanzionandone in vario modo la mancanza».
(23) L’art. 10, n. 12, della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825, prevedeva l’introduzione di deroghe al segreto bancario nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria, limitatamente ad ipotesi di particolare gravità, tassativamente determinate nel contenuto e nei presupposti, specificate e contenute nell’art. 35 del D.P.R. n. 600/1973 che, rubricato “Deroghe al segreto bancario”, nella sua originaria formulazione, così recitava: «Su conforme parere dell’ispettorato compartimentale delle imposte dirette, previa autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo grado territorialmente competente, può richiedere ad aziende ed istituti di credito e all’amministrazione postale di trasmettere entro un termine non inferiore a sessanta giorni, la copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie, prestate da terzi, nelle seguenti ipotesi: a) quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione e l’ufficio è in possesso di elementi certi dai quali risulta che nel periodo d’imposta ha conseguito ricavi o altre entrate per ammontare superiore a cento milioni di lire ovvero, se persona fisica, ha acquistato beni di cui al secondo comma dell’art. 2 per ammontare superiore a venticinque milioni di lire; b) quando da elementi certi in possesso dell’Ufficio risulta che il contribuente ha conseguito nel periodo d’imposta ricavi o altre entrate, rilevanti per la determinazione dell’imponibile, per ammontare superiore al quadruplo di quelli dichiarati, a meno che la differenza sia inferiore a cento milioni di lire; c) quando il contribuente non ha tenuto per tre periodi d’imposta consecutivi le scritture contabili prescritte dagli articoli 14, 18, 19 e 20. La richiesta può riguardare anche i conti successivi ai periodi d’imposta cui si riferiscono i fatti indicati nel precedente comma e può essere estesa ai conti cointestati al coniuge non legalmente ed effettivamente separato ed ai figli minori conviventi. Si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 34».
(24) L’attuazione si è avuta con il decreto 4 agosto 2000, n. 269.
(25) Cfr. BASILAVECCHIA, Emersione (diretta o indiretta) degli imponibili, in Corr. trib., n. 4, 2013.
(26) Si veda BORIA, L’illegittimità della presunzione legale di redditività per i movimenti finanziari operati dai professionisti, in Corr. trib., 2014, 3467.
(27) Quanto al collegamento fra il tema delle presunzioni ed i prelevamenti bancari si veda per tutti FRANSONI, Presunzioni legali relative e retroattività. A proposito dei prelevamenti bancari, in Riv. dir. trib., 2013, 394 ss.; ID., La presunzione di ricavi fondata sui prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte Costituzionale, ivi, 2005, I, 968.
(28) Sull’art. 23 Cost. per tutti si veda FEDELE, La riserva di legge, in Trattato di diritto tributario, diretto da AMATUCCI, Padova, 1994, 165; e ID., Commento all’articolo 23 Cost., in BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1978, 7 ss.
(29) Così FEDELE, Rapporti tra nuovi metodi di accertamento e principio di legalità, in Riv. dir. trib., 1995, 243.
(30) Cfr. BEGHIN, Diritto tributario, Padova, 2013.
(31) Cfr. Cass. 11 novembre 2009, n. 23852, in Boll. Trib., 2010, 58, con nota di FICARI, Movimentazioni bancarie ed accertamento in capo ad un lavoratore dipendente.
(32) Cfr. D’AYALA VALVA, Dubbi di costituzionalità del “prelevometro”, in Riv. giur. trib., 2013, 700 ss.
(33) Sulla riconducibilità della presunzione de qua alla natura di presunzione legale relativa cfr. CORDEIRO GUERRA, Questioni aperte in tema di accertamenti basati su dati estrapolati dai conti correnti bancari, in Rass. trib., 1998; FRANSONI, La presunzione di ricavi fondata sui prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, I, 967; SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, 241; e SAMMARTINO, La rilevanza fiscale delle operazioni bancarie di prelevamento, in PERRONE-BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte Costituzionale, Napoli, 2006, 449.
(34) Cfr. SCHIAVOLIN, Segreto bancario, in Riv. dir. trib., 1993, I, 1137; e TOSI, Segreto bancario: irretroattività e portata dell’art. 18 della legge n. 413/1991, in Rass. trib., 1995, 1383.
(35) In tal senso degna di menzione è la sentenza di Cass. 19 giugno 2001, n. 8340, in Boll. Trib., 2002, 1569, con la quale si afferma che «il legislatore della novella ha solo legalizzato una presunzione semplice già in precedenza utilizzabile sia pure con i limiti e le cautele connaturati a tali strumenti di prova, e lasciando in ogni caso alla parte interessata la facoltà di offrire una diversa spiegazione delle operazioni bancarie in questione».
(36) Cfr. ROCCO, Presunzione di ricavi del prelevamenti bancari. Conseguenze sul giudizio di fatto, in Dir. prat. trib., 2013, 1269 ss.
(37) Si veda SERRANÒ, Il principio di proporzionalità nella fase istruttoria dell’accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 2014, 871.
(38) Il prelevamento effettuato dal professionista potrebbe, infatti, rispondere ad esigenze di «liquidità temporanea in capo al contribuente, atta all’acquisizione di beni o servizi; quindi semmai funzionale al sostenimento di un costo, più che derivante dal conseguimento di un compenso» (FRANSONI, Presunzioni legali relative, op. cit., 397) e, di conseguenza, concordiamo con l’affermazione dell’Autore, secondo cui si nega l’esistenza «di una regola di comune esperienza che sottenda il nesso “prelevamenti uguale compensi neri”: infatti, i prelevamenti compiuti dal professionista potrebbero concernere esigenze di gestione familiare, totalmente avulse dall’esercizio dell’attività professionale; non solo: nel caso di rapporto bancario cointestato, anche altri soggetti, rispetto al professionista, hanno accesso e possibilità di utilizzo del conto».
(39) Cfr. Corte Cost. 8 giugno 2005, n. 225, in Boll. Trib., 2005, 1081, con nota di VOGLINO, Accertamento bancario e deducibilità dei costi occulti; si veda, altresì, TESAURO, Nota a Corte Cost. 8 giugno 2005, n. 225, in Giur. it., 2005, 2430.
(40) Nella sentenza della Corte Cost. n. 225/2005, secondo FRANSONI, op. ult. cit., 398, «non viene però affrontato il decisivo profilo attinente all’identificazione e quantificazione dei costi eventualmente deducibili, in quanto l’ammontare che sarebbe idoneo a rappresentarli (quello dei prelevamenti) è invece posto uguale ai compensi» e, quindi, «questa interpretazione rischia di produrre un risultato netto “a somma zero”, depotenziando la presunzione».
(41) Così BEGHIN, op. cit.
(42) In Boll. Trib. On-line.
(43) Si vedano Cass. 26 gennaio 2007, n. 1739; Cass. 17 agosto 2009, n. 18339; e Cass., sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 625, tutte in Boll. Trib. On-line. Sul tema cfr. ROCCO, op. cit., 1285, il quale ribadisce che, quanto all’applicazione di una presunzione legale, la prova contraria fornita dal contribuente dovrà essere specifica e non generica.
(44) Così Cass. 26 maggio 2011, n. 11650, in Boll. Trib. On-line.
(45) Si veda Cass., sez. trib., 2 aprile 2014, n. 7648, in Boll. Trib. On-line.
(46) Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. I, 10 gennaio 2013, n. 1, in Boll. Trib. On-line.
(47) Così D’AYALA VALVA, La Corte Costituzionale elimina il “prelevometro”, op. cit., 934.
(48) Cfr. BORIA, op. cit., 3461.
(49) Cfr. FANTOZZI, Imprenditore e impresa nelle imposte sui redditi e nell’IVA, Milano, 1982, 69.
(50) Ved. D’AYALA VALVA, op. loco ult. cit.
(51) Cfr. BORIA, op. cit., 3466. Per un articolato commento alla storica sentenza della Corte Cost. 26 marzo 1980, n. 42, in Boll. Trib., 1980, 619, si veda l’imprescindibile contributo di FEDELE, La “discriminazione” qualitativa dei redditi di lavoro autonomo ed i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, in Giur. it., CXXXII, 1797. Cfr., altresì, VERNA, La restituzione dell’ILOR sui redditi di lavoro autonomo, in Boll. Trib., 1980, 681.
(52) Si veda di recente BORIA, Un leading case della Corte Costituzionale in materia di presunzioni bancarie, cit., 245.
(53) Invero, all’interno della Commissione Cosciani si scontrarono due correnti di pensiero. La prima, che faceva capo proprio al Cosciani, propendeva per la necessità di un’imposta ordinaria sul patrimonio, sulla falsariga di quella istituita in periodo prebellico e che durò per il tempo della seconda guerra mondiale (R.D.L. 12 ottobre 1939, n. 1529, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 febbraio 1940, n. 100, soppressa con l’art. 90 del D.Lgs. 17 ottobre 1947, n. 1131, ratificato con legge 28 dicembre 1952, n. 4417). La seconda tesi era quella dello Stammati che, preoccupato delle possibili ripercussioni sui movimenti di capitali con l’estero determinate da quel tipo d’imposta, preferiva un’imposta che avesse ad oggetto i redditi patrimoniali e non il valore dei patrimoni.
(54) Così FEDELE, La “discriminazione” qualitativa dei redditi di lavoro autonomo ed i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, op. cit., 1806.
(55) Cfr. FANTOZZI, Imprenditore e impresa, cit., 115.
(56) Ved. FANTOZZI, op. loco ult. cit., 116.
(57) Per un articolato e puntuale commento all’ordinanza di Comm. trib. reg. del Lazio n. 238/2013, si veda MARCHESELLI, Presunzioni bancarie e accertamento dei professionisti: un “pasticciaccio brutto” tra illegittimità costituzionale e illecito comunitario dello Stato, in Dir. prat. trib., 2013, 773 ss.
(58) Cfr. FRANSONI, Ancora alla Consulta la presunzione sui prelevamenti bancari, in Riv. dir. trib., 2013, 386 ss., il quale argomenta chiaramente la questione relativa alla applicazione non retroattiva della norma.
(59) Ved. MARCHESELLI, Presunzioni bancarie e professionisti: retroattività illegittima?, in Corr. trib., 2014, 2768 ss.
(60) Ved. FRANSONI, Presunzioni legali relative, op. cit., 407.
(61) Ved. Corte Cost. 22 dicembre 1988, n. 1130.
(62) Ved. FANTOZZI, I rapporti tra il fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, in Riv. dir. fin,, 1984, I, 232.
(63) Ved. FEDELE, op. cit., 246 ss.
(64) Così FEDELE, I principi costituzionali e l’accertamento tributario, in Riv. dir. fin. Sc. fin., 1992, 477.
(65) Ved. FEDELE, op. ult. cit., 479.
(66) La legge n. 241/1990, all’art. 7, nel prevedere l’obbligo di preventiva comunicazione, in effetti, è espressione del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione ex art. 97 Cost. Essa, come efficacemente deciso da Cass., sez. un., n. 19667/2014, cit., ha come ratio fondante «1) la tutela dell’interesse – giuridicamente protetto – dei soggetti destinatari del procedimento: a) ad avere conoscenza di quest’ultimo; b) a poter controdedurre agli assunti sui cui si basa l’iniziativa procedimentale dell’Amministrazione; c) ad inserire nel complesso delle valutazioni procedimentali anche quelle attinenti ai legittimi interessi del privato destinatario; 2) la tutela dell’interesse pubblico al buon procedimento, interesse pubblico garantito da quell’apporto alla piena valutazione giuridico-fattuale che solo l’intervento procedimentale dei “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” può fornire; 3) altresì, la tutela dell’affidamento (anche al fine di consentire tempestive misure difensive o riparatorie) di soggetti incolpevolmente estranei alla scaturigine del procedimento lesivo, ed ignari di essa; 4) la medesima comunicazione dell’inizio del procedimento (v. Tar Lazio, Sez. 1, 4 settembre 2009, n. 8373)».
(67) Sul principio del contraddittorio procedimentale e sui suoi inevitabili collegamenti con le leggi nn. 241/1990 e 212/2000, oltre agli Autori ricordati alla precedente nota 4, ci limitiamo a segnalare DEL FEDERICO, I rapporti con lo Statuto e la legge generale sull’azione amministrativa, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente, Torino, 2012, 229; MARCHESELLI, L’effettività del contraddittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), op. cit., 413; e MULEO, Il contraddittorio endoprocedimentale e l’affidamento come principi immanenti, in BODRITO-CONTRINO-MARCHESELLI (a cura di), op. cit., 406.
(68) Si vedano, senza pretesa di esaustività FERLAZZO NATOLI-INGRAO, Il rispetto del contraddittorio e la residualità dell’accertamento tributario, in Boll. Trib., 2010, 487; TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, 388; e MANZONI, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, 345
(69) Si veda ARTUSO, Presunzioni legali relative e retroattività. A proposito di prelevamenti bancari, in nota a Comm. trib. reg. del Lazio, sez. XXIV, ord. n. 27, in Riv. dir. trib., 2013, 402.
(70) Per tutte ricordiamo Cass. 7 febbraio 2008, n. 2816, in Boll. Trib. On-line, che si esprime affermando come il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di un’espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa.
(71) Cfr. AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, tutti in nota a Cass, sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428; ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato, cit.; FIORINI, Ancora sulla nullità dell’avviso di accertamento anticipato senza giustificati motivi oggettivi, in nota a Comm. trib. prov. di Aosta 20 dicembre 2013, n. 23, ivi, 2014, 551; AZZONI, Quando la mano destra non sa cosa fa la sinistra, in nota a Cass., sez. trib., 18 ottobre 2013, 23690, ibidem, 543; RUSSO, Le conseguenze del mancato rispetto del termine di cui all’art. 12, ultimo comma, della legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., I, 2011, 1077; e TABET, Sospensione del potere impositivo dopo la chiusura delle operazioni di verifica?, in Boll. Trib., 2006, 1056.
(72) L’art. 5 della legge n. 212/2000 obbliga l’Amministrazione finanziaria a promuovere la conoscenza da parte del contribuente delle disposizioni legislative in considerazione della mutevolezza della disciplina.
(73) L’art. 6 della legge n. 212/2000 obbliga l’Amministrazione ad assicurare l’effettiva conoscenza degli atti da parte del destinatario prevedendo una serie di adempimenti a carico della stessa.
(74) L’obbligo di motivazione degli atti, secondo il principio codificato dall’art. 3 della legge n. 241/1990, è contemplato nell’art. 7 della legge n. 212/2000.
(75) Fondamentale è l’art. 10 della legge n. 212/2000 nel contesto de quo in quanto, rappresentando una garanzia di decisione partecipata, prevede il fondamentale principio secondo il quale i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
(76) L’art. 12, secondo comma, della legge n. 212/2000 stabilisce che «quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche».
(77) Così Cass., sez. un., n. 19667/2014, cit.
(78) Per le applicazioni del concetto civilistico di fattispecie giuridica alla materia tributaria si veda FERLAZZO NATOLI, Il fatto rilevante nel diritto tributario. Contributo allo studio del “presupposto di fatto del tributo”, in Riv. dir. trib., n. 5, 1994, 439; ID., Fattispecie tributaria e capacità contributiva, Milano, 1979, 3 ss.; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2011, 105 ss.; SERRANÒ, Evoluzione del concetto di fattispecie imponibile, in Boll. Trib., 2012, 1045 ss., la quale afferma che «lo studio della fattispecie giuridica tributaria consente non solo di individuare il fatto fiscalmente rilevante, già comunque “filtrato” dalla Costituzione fra quelli espressione di capacità contributiva ex articolo 53, ma anche di applicare lo schema di fattispecie a formazione successiva o progressiva a numerosi istituti del diritto tributario». Non è superfluo ricordare che la fattispecie a formazione successiva o progressiva si articola in segmenti che, nella fase esecutiva esattoriale, sono individuabili nei seguenti: provvedimento di fermo, preavviso, iscrizione del provvedimento emanato.
(79) Cfr. nota 77.
(80) La natura di legge ordinaria della citata legge n. 212/2000 consente il superamento da parte di altre leggi o decreti che negli ultimi 14 anni è successo ben 86 volte.
(81) Ved. BASILAVECCHIA, L’evoluzione dei controlli: verso un accertamento sostenibile?, in Corr. trib., n. 36, 2014, 2761.
(82) In Boll. Trib. On-line.
(83) La sentenza di Cass., sez. trib., 3 febbraio 2014, n. 2279, in Boll. Trib. On-line, conferma l’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 18184/2013, cit.) riportando il seguente principio di diritto: «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio».
(84) Cfr. circ. 6 agosto 2014, n. 25/E, in Boll. Trib., 2014, 1168.
(85) Così, per esempio, Cass., sez. trib., 24 gennaio 2013, n. 1682, in Boll. Trib. On-line.
(86) Cfr. nota 70.
(87) In tale senso si veda ROCCO, op. cit., 1278, il quale sostiene che «ci sono situazioni semplificate, come ad es. il rinvenimento di un deposito con un’unica operazione, oppure un conto con un solo movimento in entrata, che già di per sé, sono piuttosto indicative».
(88) Cfr. FICARI, Spunti in materia di documentazione bancaria ed accertamento dei redditi tra evoluzione normativa e dibattito giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., I, 935; e SALVINI, op. cit., la quale esclude che l’Ufficio possa fondare l’accertamento direttamente sui dati risultanti dai conti correnti.
(89) Cfr. PUGLIATTI, voce Conoscenza, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 90 ss.
(90) Cfr. FRANSONI, Il coraggio della Consulta, op. cit., 261 ss.