1. L’attenzione per le insidie di natura fiscale che si nascondono dietro la figura del contratto per persona da nominare è stata prevalentemente focalizzata sull’art. 32 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), tradizionalmente ispirato ad una ratio antielusiva, nel quale coesistono (i) una norma a fattispecie chiusa che, derogando alla disciplina civilistica, declina rigide condizioni e termini per assoggettare la electio amici a tassa fissa e (ii) una norma di chiusura, a fattispecie indeterminata, che dispone «in ogni altro caso è dovuta l’imposta per l’atto cui si riferisce la dichiarazione».
Come ha bene messo in evidenza una raffinata dottrina (1), all’origine di tale normativa c’è una valutazione di alto rischio di evasione che ha fatto paventare nella vicenda negoziale un fenomeno circolatorio-successorio di stampo speculativo, costituito dal passaggio, facilmente occultabile, dallo stipulante all’eletto. Ciò ha indotto il legislatore, sin della formulazione dell’analoga disposizione contenuta nel testo unico dell’imposta di registro del 1897, approvato con R.D. 20 maggio 1897, n. 217 (art. 43) (2), a introdurre nell’ambito del tributo di registro una normativa di contrasto, notevolmente restrittiva rispetto a quanto prevede l’art. 1404 c.c. perché operi l’effetto retroattivo della dichiarazione di nomina, alias la sostituzione ex tunc del nominato allo stipulante.
Ove però non ricorra la suddetta tassativa ipotesi, trova applicazione la norma residuale che, equiparando la electio ad un secondo spostamento patrimoniale, dispone che essa sconti una tassazione pari a quella alla quale è soggetto l’atto cui si riferisce la dichiarazione di comando. In altri termini, l’imposta dovuta per l’atto cui accede quest’ultima funge da parametro per l’imposizione della nomina fiscalmente irregolare.
Peraltro, è scontato che non vi è necessaria coincidenza tra l’atto ove è formulata la riserva e quello cui accede la nomina. Infatti, in caso di riserva formulata in un preliminare, può essere previsto che la successiva electio si riferisca tanto al preliminare quanto al definitivo (3): dunque, imposta fissa o proporzionale, a seconda questa si riferisca alla prima o alla seconda fattispecie negoziale.
A tale proposito, è opportuno anche ricordare che la pretesa erariale in punto di doppia imposizione è molto spesso generata proprio dalla diffusa prassi di inserire nel preliminare di compravendita immobiliare la clausola secondo cui lo scioglimento della riserva di nomina debba avvenire in sede di stipula del definitivo.
Premesso che in sede civilistica detta clausola combinatoria ammette una pluralità di configurazioni alternative (4), il più delle volte estranee alla stessa figura del contratto per persona da nominare (5), l’Amministrazione finanziaria, senza doversi avventurare nella scivolosa strada delle qualificazioni codicistiche, ha in questo caso buon gioco nel contestare la unitarietà del disegno negoziale.
Infatti, nell’assunto che il termine derogatorio di tre giorni previsto dall’art. 32 del D.P.R. n. 131/1986 per sciogliere la riserva non è stato rispettato, si reclama l’applicazione della norma residuale con conseguente iterazione della tassazione sul presunto doppio passaggio del bene; con l’avvertenza che, non incidendo la dichiarazione di comando sul preliminare (6), bensì sul definitivo, la tassazione proporzionale di quest’ultimo costituisce il parametro dell’imposta dovuta.
Non bisogna poi dimenticare che, anche in un comparto – come quello dell’IVA – nel quale non compare la norma antielusiva, al cospetto di una electio civilisticamente irregolare (in quanto affrancata da un termine certus an et quando per la nomina), l’Amministrazione finanziaria può essere ugualmente indotta a individuare nella vicenda negoziale un doppio passaggio, non ravvisando i presupposti della figura del contratto per persona da nominare.
Infatti, pur non disconoscendo in linea di principio che con la dichiarazione di nomina l’eligendo prende ab origine il posto dello stipulante (e dunque che sarebbe consentito attivare le note di variazione ex art. 26, qualora la sostituzione di soggetti implicasse una diversità dell’aliquota applicabile), l’Amministrazione finanziaria nega l’effetto civilistico retroattivo della sostituzione, eccependo l’indeterminatezza del termine per sciogliere la riserva (7).
2. Ma i lati oscuri non si esauriscono qui.
Per rimanere nell’ambito dell’imposta di registro, va evidenziato come la relativa normativa sia, da un lato, carente e, dall’altro, anacronistica rispetto a quella civilistica.
Quanto al primo profilo, l’art. 32 del D.P.R. n. 131/1986 mentre rispetto a quella codicistica detta una disciplina derogatoria che – come già si è detto – impone rigide condizioni e termini per sottoporre l’electio all’imposta fissa, è invece del tutto silente in ordine al regime del contratto concluso tra promittente e stipulante.
Movendo dall’assunto, largamente condiviso in dottrina, che sino alla dichiarazione di nomina il contratto versa in una situazione di stasi effettuale (8), si è osservato che esso è sempre soggetto a registrazione con la sola imposta fissa (art. 27, primo comma, del D.P.R. n. 131/1986), posto che l’eventuale imposta proporzionale ad esso afferente si rende dovuta al termine della fase interinale (art. 27, secondo comma) (9). D’altra parte, considerando che il soggetto nominato acquista con effetto retroattivo i diritti ed obblighi contrattuali e, in quanto parte, diviene soggetto passivo dell’imposta dovuta sull’atto cui la dichiarazione si riferisce (10), si è anche concluso che la responsabilità dello stipulante è limitata alla sola imposta fissa dovuta sul contratto concluso con il promittente, escludendo che dopo la regolare electio permanga la sua coobbligazione solidale anche per l’imposta proporzionale (11).
Ove però la fattispecie negoziale posta in essere tra le parti non rispetti le condizioni poste dalla norma tributaria, le cose cambiano: infatti, la esclusione dell’immissione del terzo con effetto ex tunc nella posizione originaria dello stipulante comporta la responsabilità di quest’ultimo per la doppia tassazione; con l’avvertenza che se la riserva è formulata nell’ambito di un contratto definitivo è quest’ultimo, soggetto alla imposta proporzionale al termine della fase interinale, che deve essere preso a parametro anche per la tassazione dell’electio.
Sulla ratio della duplicazione della tassazione, nel caso di inosservanza del termine di tre giorni per la designazione, essa – come già si detto – viene unanimemente considerata una misura antielusiva, volta a reprimere una serie di passaggi dissimulati del bene oggetto del contratto originario. L’alto rischio di evasione vale allora a giustificare la iterazione della tassazione nel caso di una electio civilisticamente regolare, ma fiscalmente considerata dissimulatoria di un fenomeno circolatorio del bene (12).
Peraltro, l’assoluta indeterminatezza della fattispecie residuale («in ogni altro caso»), che l’art. 32 del D.P.R. n. 131/1986 pone come presupposto della automatica equiparazione tra electio e secondo contratto di rivendita del bene, fa sorgere seri dubbi sulla legittimità costituzionale della norma, considerato che nessuno spostamento patrimoniale ulteriore potrebbe occultarsi dietro la nomina fiscalmente irregolare e dunque la tassazione verrebbe ad incidere su una capacità contributiva soltanto presunta. Tale interrogativo risulta tanto più attuale alla luce dell’evoluzione normativa che ha condotto alla introduzione nel sistema tributario di una clausola generale antiabuso (art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212) (13) che, per la sua elasticità, dovrebbe comportare il tendenziale superamento delle singole norme con ratio antielusiva, connotate invece da una eccessiva rigidità della loro applicazione.
Quid iuris poi nel caso di mancata o invalida electio anche per il diritto civile?
La norma codicistica del 1942 (art. 1405 c.c.), nel modellare l’istituto de quo, dispone che il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari e dunque che nessun effetto sorge in capo al mancato eletto, mentre la norma fiscale prevede anche in questo caso la duplicazione della tassazione. A buon diritto si è di nuovo dubitato (14) della legittimità costituzionale della disposizione, non essendo giustificabile, quando i requisiti da essa richiesti coincidono con quelli civilistici ed essi facciano difetto, che essa si spinga a tassare un evento che sul piano civilistico non si produce affatto e cioè la sostituzione del contraente, consolidandosi invece il contratto tra le parti originarie, con totale estraneazione del mancato eletto.
3. Non ancora esaurientemente risolto è anche il problema del rapporto tra riserva di nomina e agevolazioni tributarie, nei molti casi in cui, per potere godere di detti benefici, è richiesta, tra all’altro, una contestuale dichiarazione, da parte del richiedente, nell’atto di acquisto.
Un’antica decisione della Commissione Centrale (15), occupandosi del caso in cui lo stipulante aveva riservato all’acquirente di invocare le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, eventualmente a lui spettanti, escluse la possibilità di applicazione del suddetto beneficio, dovendo considerarsi atto di trasferimento l’atto stipulato per persona da nominare e non l’atto successivo con il quale l’acquirente scioglie la sua riserva, onde non può considerarsi contestuale la dichiarazione per cui si è fatto l’acquisto.
Una più recente sentenza della Commissione tributaria di Matera (16), occupandosi delle agevolazioni per l’acquisto della c.d. “prima casa” – nel caso, però, di utilizzo della diversa figura del contratto a favore del terzo (art. 1411 c.c.) – pur dando atto che le parti in senso proprio sono il promittente e lo stipulante, mentre il terzo è soltanto destinatario degli effetti prodotti, e come tale non può rendere alcuna dichiarazione, ha però concluso che questa ben può essere resa impersonalmente dalla parte stipulante, atteso che una diversa soluzione finirebbe per discriminare situazioni identiche solo in conseguenza dell’impiego di un diverso strumento negoziale.
La decisione è stata in prevalenza accolta favorevolmente (17), sulla base della rilievo che, prescrivendo le varie misure agevolative una dichiarazione e comportamenti dell’acquirente, e non dello stipulante, se intese alla lettera tali disposizioni non potrebbero osservarsi in caso di mancata partecipazione del terzo alla stipulazione, con conseguenze senza dubbio irragionevoli.
Si è quindi espresso l’avviso che l’impasse possa essere superata alternativamente:
– o che la prescritta dichiarazione sia effettuata dallo stipulante per conto dell’acquirente (in conformità della strada prescelta dalla citata pronuncia della Commissione tributaria di Matera);
– oppure che debba provvedervi il terzo nell’atto in cui esprima la sua volontà di profittare degli effetti del contratto (nel caso di contratto a favore del terzo).
Entrambe le soluzioni prestano tuttavia il fianco a serie critiche: la prima perché in caso di decadenza o di dichiarazione mendace implica una responsabilità dello stipulante per fatto altrui; la seconda, perché estende contra legem la nozione di acquirente.
4. Giunti a questo punto, viene da chiedersi se la ratio antielusiva, che pervade la norma in esame, non costituisca però anche il principale ostacolo alla sua interpretazione rigidamente letterale.
Detto altrimenti: se l’applicazione della disciplina derogatoria non debba innanzitutto essere limitata ai soli casi in cui è effettivamente immanente il rischio di elusione e, in secondo luogo, se l’imposta da versare in caso di nomina fiscalmente irregolare relativa ad un preliminare non debba essere parametrata alla sola imposta che attiene a tale atto in quanto tale, escludendo quindi dal computo l’onere fiscale per disposizioni diverse ed autonome rispetto al preliminare.
Non può essere infatti tralasciato anche un secondo elemento – questo di tipo strutturale – compresente nella disciplina in esame, laddove si realizza una tassazione coordinata di una vicenda negoziale che, sebbene articolata su due documenti distinti, è presa in considerazione come un unico gestum. È infatti la stessa normativa tributaria che, come avviene per gli atti di secondo grado integrativi, di rettifica, convalida etc., riconosce che la dichiarazione di nomina modifica gli effetti prodotti dal negozio che la precede e detta il criterio di applicazione dell’imposta (18).
Come è noto, la risposta ai problemi posti dal collegamento negoziale (19) rappresenta probabilmente la principale sfida che il tributo di registro deve oggi affrontare (20) per non restare tagliato fuori dall’evoluzione del diritto civile, interno ed europeo, laddove la qualificazione degli atti di autonomia privata non muove più – come esattamente è stato osservato – «dalla struttura verso la sua funzione economico sociale, ma dalla funzione economico individuale (causa concreta) verso l’identificazione in concreto della struttura e degli effetti» (21).
Ne sono testimonianza le scelte giurisprudenziali della Corte di Cassazione (22) che denotano chiaramente una forte “insoddisfazione” per la (sopravvenuta) carenza strutturale del tributo, il quale, nonostante la sua secolare evoluzione, prende ancora in considerazione le modifiche patrimoniali emergenti da un singolo atto soggetto a registrazione, mentre non dà rilevanza alle articolazioni negoziali unitariamente considerate, ovvero le operazioni economiche, che si realizzano attraverso il concorso di più atti (23).
Si è perciò realizzato un autentico ruolo di supplenza normativa che ha condotto: (i) al superamento della tesi tradizionale della tassazione isolata dei singoli atti e della irrilevanza degli elementi desunti aliunde e (ii) alla sua sostituzione con l’apprezzamento del risultato complessivo-finale, realizzato attraverso il collegamento tra più documenti negoziali.
Va soggiunto che alla conclusione che lo strumentum non costituisce necessariamente un vincolo insuperabile all’apprezzamento unitario del gestum (24) hanno anche contribuito altri fermenti evolutivi del giudice di legittimità (25):
a) la valorizzazione del profilo sostanziale del prelievo, rispetto al meccanismo della sua riscossione, tuttora condizionato dalla rigida formalità della registrazione;
b) l’attenzione privilegiata per l’oggetto mediato dell’imposta, costituito dal sottostante movimento di ricchezza, espressione di forza economica, piuttosto che per il presupposto formale, costituito dall’atto in relazione ai suoi potenziali effetti giuridici;
c) il ruolo forte assegnato all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, trasformato – come è stato acutamente rilevato – in una clausola di “autoadattamento” del sistema di tassazione agli assetti negoziali complessi retti da un’unica causa;
d) il recepimento della teoria della causa concreta del negozio, ormai affermatasi in sede civilistica con il superamento del principio di rigorosa tipicità del contratto, incentrata sullo scopo pratico perseguito dalle parti, inteso quale sintesi degli interessi reali che lo stesso è diretto realizzare, a prescindere dal modello astratto utilizzato.
5. Alla luce di quanto precede, una maggiore cautela dovrebbe essere adottata dagli Uffici finanziari allorché reclamano automaticamente la duplicazione della tassazione proporzionale sulla dichiarazione di nomina, senza bilanciare l’apprezzamento unitario del gestum con il concreto rischio di dissimulazione del fatto imponibile; oppure non rilevano la differenza tra l’atto cui si riferisce la nomina e l’atto dove è sciolta la riserva; oppure liquidano l’imposta da versare sulla electio, non rispettosa delle condizioni poste dall’art. 32 del D.P.R. n. 131/1986, assumendo a parametro della tassazione disposizioni negoziali autonome rispetto al preliminare.
Se una più moderna visione del presupposto del tributo di registro, indubbiamente sollecitata dal canone dell’interpretazione costituzionalmente orientata, conduce ad individuare la ratio della tassazione nel sottostante movimento di ricchezza, è da chiedersi se sia giustificata una duplicazione dell’imposta fondata su una esegesi rigidamente formale del dato normativo. Applicando indiscriminatamente e “a pioggia” la norma residuale c’è infatti il rischio di tassare una capacità contributiva soltanto fittizia.
In buona sostanza, se le ricordate “insoddisfazioni” della Corte di Cassazione nei confronti della struttura formale del tributo possono trovare una loro legittimazione nella valorizzazione del principio di effettività, lo stesso deve accadere nell’ipotesi inversa, qualora il rigido formalismo di una norma di chiusura conduca ad una irragionevole doppia imposizione su un unico movimento di ricchezza.
A ben riflettere, assumendo che il parametro di unitarietà del gestum va individuato negli effetti che la disciplina civilistica assegna alla dichiarazione di nomina, il rapporto tra norma a fattispecie chiusa e norma residuale, entrambe presenti nell’art. 32 del D.P.R. n. 131/1986, dovrebbe essere tendenzialmente invertito, almeno con riguardo a taluni casi limite.
Così è da dire in caso di difformità meramente formali rispetto alla riserva, oppure di mancata o invalida nomina ai sensi degli artt. 1402 e 1403 c.c., per il diritto civile improduttiva di effetti per il mancato eletto; oppure di conteggio dell’onere fiscale relativo ad acconti e caparre confirmatorie che non attengono al preliminare cui è riferita la nomina, bensì hanno una rilevanza anticipatoria rispetto al contratto definitivo (26).
E lo stesso criterio interpretativo, improntato ad una maggiore elasticità e al superamento del dato letterale delle misure agevolative (che fanno riferimento alla contestualità della dichiarazione del richiedente nell’atto di acquisto), dovrebbe essere adottato nel riconoscere la spettanza delle stesse anche quando la volontà di volerne (e poterne) profittare viene manifestata non dallo stipulante nell’atto di trasferimento, ma rinviata ad una successiva dichiarazione dall’eletto, il quale succede ex tunc nella posizione contrattuale dello stipulante.
Prof. Giuliano Tabet
già Ordinario di diritto tributario
nell’Università di Roma “Sapienza”
(1) BRACCINI, Contratto per persona da nominare, II, Diritto tributario, in Enc. giur. (estr.), al quale si deve la più completa ed approfondita analisi degli attuali profili fiscali dell’istituto. In argomento ved. anche FORMICA, Il contratto preliminare di vendita nell’imposizione di registro e sul valore aggiunto, in AA.VV., La casa di civile abitazione tra normativa vigente e prospettive, III, Milano, 1986; nonché gli Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 2/2007, est. TASSANI; e n. 597-bis/1997, est. GHINASSI.
(2) Con riferimento all’art. 58 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, ved. l’ampia trattazione di A. UCKMAR, La legge di Registro, II, Padova, 1928, 238 s.
(3) FORMICA, op. cit.
(4) Ved., per tutti, GABRIELLI, Il contratto preliminare, Milano, 1970, 344 s.
(5) Il che esclude l’effetto retroattivo della sostituzione dell’eletto allo stipulante, ved. VIRGILIO, Preliminare e soggettività contrattuale, in Giust. civ., 1981, I, 2295, in nota a Cass., sez. II, 13 febbraio 1981, n. 891.
(6) Per il quale nessun mutamento soggettivo è regolato dalle parti: così Cass. n. 891/1981, cit.
(7) Ved. ris. 29 aprile 1986, n. 400649, in Boll. Trib., 1986, 1160; e ris. 11 agosto 2009, n. 212/E, ivi, 2009, 1696.
(8) Per un completo esame delle varie ricostruzioni, ved. CARRESI, Contratto per persona da nominare, in Enc. dir., X, 133.
(9) Così BRACCINI, op. cit., 7.
(10) Così una risalente decisione della Suprema Corte: Cass., sez. I, 20 gennaio 1969, n. 133, in Boll Trib., 1969, 2020.
(11) BRACCINI, loc. ult. cit.
(12) BRACCINI, op. cit., 9.
(13) Amplius MASTROIACOVO, La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, 31 s.
(14) BRACCINI, loc. ult. cit, denuncia l’arretratezza della normativa fiscale, risalente all’art. 43 del R.D. n. 217/1897 – e quindi di molto anteriore alla previsione civilistica – rimasta invariata e acutamente lo definisce un caso di anacronismo fiscale.
(15) Cfr. Comm. trib. centr., sez. XII, 2 dicembre 1965, n. 25602.
(16) Comm. trib. I grado di Matera, sez. III, 20 novembre 1993, n. 121, in Boll. Trib., 1994, 87, con nota dubitativa di AIELLO.
(17) Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 75/2002, est. PETTERUTI.
(18) Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 102/2008, est. BASILAVECCHIA.
(19) Ved. per tutti lo stimolante saggio di CANNIZZARO, Autonomia e pluralità di disposizioni nel sistema dell’imposta di registro: contributo ad una riflessione in chiave evolutiva, in Riv. trim. dir. trib., 2016, 277 s.
(20) Ved. la suggestiva ricostruzione di FRANSONI, Il presupposto dell’imposta di registro tra tradizione ed evoluzione, in Rass. trib., 2013, 955 s.; e più in generale l’approfondito studio di CARINCI, La rilevanza fiscale del contratto tra modelli impositivi, timori antielusivi e fraintendimenti interpretativi, ivi, 2014, 961 s.
(21) CANNIZZARO, op. cit., 294.
(22) PADOVANI, Imposta di registro e collegamento negoziale nel pensiero della Cassazione, in Riv. trim. dir. trib., 2014, 237.
(23) Cfr. TABET, L’applicazione dell’art. 20 T.U. Registro come norma di interpretazione e/o antielusiva, in Rass. trib., 2016, 913 s.
(24) CANNIZZARO, op. cit., 286.
(25) TABET, op. cit., 920.
(26) Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 32/200, cit., 7.