13 Luglio, 2018

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il regime delle polizze linked ai fini delle imposte sui redditi – 3. L’utilizzo “improprio” delle polizze linked.

1. Premessa

Il presente lavoro intende fornire taluni spunti interpretativi in riferimento alla tassazione, ai fini delle imposte dirette, dei proventi ritratti dai contratti assicurativi a contenuto finanziario, per cercare di fare chiarezza in riferimento a un contratto molto diffuso sul mercato che da qualche tempo stimola le attenzioni dell’Amministrazione finanziaria italiana.
Le polizze linked – ovverosia quei contratti assicurativi caratterizzati dalla diretta dipendenza delle prestazioni al valore di un’entità di riferimento (fondo di investimento per le polizze di tipo unit, ovvero indice azionario o altro paniere per le index) –, presenti nei Paesi anglosassoni sin dagli anni ’50, sono state successivamente “importate” in Europa dalle Direttive comunitarie in materia assicurativa e costituiscono oggi uno strumento sempre più diffuso anche nel mercato finanziario italiano: consentono di associare alla pianificazione patrimoniale una finalità di investimento finanziario e una legittima ottimizzazione fiscale.
Negli ultimi tempi, tuttavia, le polizze linked, soprattutto se i contratti sono stipulati con imprese di assicurazione non residenti, sono state oggetto di specifica attenzione da parte dell’Agenzia delle entrate che, in taluni casi, ha negato alle stesse il regime fiscale proprio dei contratti assicurativi sulla vita. Queste contestazioni, salvo i casi patologici – noti alle cronache (1) – in cui il contratto assicurativo si presta alla realizzazione di finalità improprie, ponendosi quale mero diaframma con il patrimonio personale del contribuente (2), potrebbero, ove generalizzate (o decontestualizzate), essere connotate da una estrema (e non giustificata) rigidità.
Il risultato è un clima di incertezza interpretativa, con effetti non positivi per il mercato finanziario e dove le principali “vittime” potrebbero essere i risparmiatori.

2. Il regime delle polizze linked ai fini delle imposte sui redditi

Come è noto, ai fini delle imposte sui redditi, l’art. 44, primo comma, lett. g-quater), del TUIR, include, tra i redditi di capitale, “i redditi compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita”.
Preliminarmente rileviamo che in assenza di una definizione di “contratti di assicurazione sulla vita” ai fini delle imposte sui redditi, occorre porre riferimento al significato che l’istituto assume nel settore giuridico di provenienza (3); sicché le polizze linked, riconosciute come tali dalle disposizioni primarie e regolamentari di settore (4), dovrebbero rientrare, in linea di principio, nel novero dei “contratti di assicurazione sulla vita”, come confermato, tra l’altro, dalla stessa Amministrazione finanziaria (5).
In ragione della natura tipicamente previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita (e dunque del suo rilevante valore sociale), il legislatore tributario ha originariamente previsto un regime fiscale di vantaggio, sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini di quelle indirette. Questo regime, peraltro, negli ultimi anni ha subìto, sotto diversi profili, un notevole inasprimento, con la conseguenza che oggi il trattamento tributario delle polizze sia italiane sia emesse da compagnie estere è di fatto sostanzialmente allineato a quello delle altre attività finanziarie.
Così, da un lato, la tassazione dei redditi di capitale percepiti in dipendenza di contratti assicurativi sulla vita (nonché delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei predetti contratti) è recentemente passata – come del resto per quasi tutti i redditi di natura finanziaria – dal 12,5 per cento al 26 per cento (6).
Dall’altro lato, a seguito della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015), è stato modificato il regime tributario applicabile, ex art. 34, ultimo comma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ai “capitali percepiti in caso di morte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita” aventi anche carattere finanziario (i.e. non di puro rischio), eliminando l’esenzione da tassazione prima esistente con riferimento all’intera somma che risarciva il verificarsi dell’evento morte (a prescindere dalla natura finanziaria di parte, anche preponderante, della prestazione corrisposta ai beneficiari) e limitandola ora ai soli capitali erogati a copertura del rischio demografico percepiti dai beneficiari. Espresso in altri termini: la quota della prestazione che misura il rendimento finanziario dell’investimento sottostante la polizza è ora assoggettata pienamente a tassazione per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito dal beneficiario di polizza e quello dei premi pagati, ex art. 45, quarto comma, del TUIR, con l’aliquota (di regola) del 26 per cento (7).
Ciò detto, non v’è dubbio che l’investimento in una polizza linked prevede, ai fini delle imposte sui redditi (8), un regime fiscale differente – e in taluni casi in un certo senso migliore – rispetto all’ipotesi dell’investimento diretto in strumenti finanziari, caratterizzato generalmente dalla tassazione in base al realizzo, per ciascuna operazione, dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria; si pensi, ad esempio:
– alla compensazione dei redditi di capitale con le minusvalenze da cessione a titolo oneroso di strumenti finanziari;
– al tax deferral, rappresentato dal differimento della tassazione al momento del riscatto totale o parziale della polizza; e
– alla tassazione con l’aliquota del 26 per cento anche di redditi che potrebbero essere ordinariamente soggetti all’aliquota marginale IRPEF (9).
A ben vedere, peraltro, questo regime fiscale è del tutto sistematico e analogo a quello previsto dal legislatore per altri tipici strumenti finanziari; si pensi, ad esempio, agli OICR (di cui agli artt. 36 e segg. del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) (10) e ai contratti di capitalizzazione (di cui agli artt. 179 e segg. del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) (11).
Ridotta la questione alla sua essenza, tutti questi strumenti – contratti di assicurazione sulla vita, OICR e contratti di capitalizzazione – hanno quale minimo comune denominatore il fatto di essere caratterizzati da una gestione del risparmio in “autonomia” rispetto agli investitori. Sicché è escluso che questi ultimi possano disporre di poteri decisionali diretti e continui connessi alla gestione operativa, conferendo al gestore istruzioni vincolanti che abbiano ad oggetto lo svolgimento della politica di investimento (12).
In siffatta prospettiva, ovverosia nel rispetto del requisito generale di “autonomia” di “chi gestisce” rispetto a “chi investe”, riteniamo che il riconoscimento alle polizze linked del regime fiscale dei “contratti di assicurazione sulla vita” sia del tutto in linea con le intenzioni che il legislatore vuole perseguire e, pertanto, non deve configurare (né integrare) alcun risparmio fiscale indebito, in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario, sebbene la componente finanziaria delle polizze linked – sicuramente predominante – si estrinsechi nella prestazione di un servizio di investimento nell’interesse del sottoscrittore.

3. L’utilizzo “improprio” delle polizze linked

Non si può tuttavia escludere che, in particolari situazioni di devianza, il singolo rapporto assicurativo possa essere utilizzato impropriamente al solo fine di ottenere un asistematico risparmio sia in tema di imposte dirette sia indirette, schermando l’effettivo possessore degli investimenti e delle attività finanziarie (e dei relativi redditi), cui spetterebbero gli obblighi tributari ai fini delle imposte sui redditi (ed eventualmente del monitoraggio fiscale).
Sul punto occorre svolgere, a nostro avviso, una verifica riguardante tutti gli attori coinvolti (quali, ad esempio, il contraente, la compagnia assicurativa, l’eventuale advisor, la banca depositaria, i beneficiari), al fine di appurare il soggetto che, anche a prescindere dalle risultanze documentali del contratto assicurativo, possiede l’effettivo controllo degli assets in polizza ed esercita concretamente il potere decisionale nella gestione quotidiana di questi ultimi. Si pensi al caso della presenza di clausole contrattuali (ad esempio, una procura) che conservano al contraente il potere di disporre degli assets intestati alla compagnia assicurativa (e, quindi, di incidere direttamente sull’attività di gestione in senso stretto); ovvero al caso in cui emergano prove documentali (ad esempio, istruzioni di investimento impartite via email) che dimostrino a posteriori che il gestore degli strumenti finanziari in polizza non ha mai disatteso le indicazioni concrete del contraente (comportandosi, così, come un mero “prestanome”).
Solo in questo senso dovrebbe essere letta, e a nostro avviso circoscritta, la portata della circolare 13 marzo 2015, n. 10/E (13) in tema di voluntary disclosure (14), laddove è stato precisato che: «La procedura in esame [di collaborazione volontaria, n.d.r.] … può essere utilmente attivata dal contribuente italiano che ha proceduto a “schermare” il proprio rapporto presso una banca estera, mediante la sua intestazione ad una società localizzata in un Paese black list, o a “mascherarlo” sotto la forma di polizza assicurativa estera, riservandosi comunque la possibilità di movimentare lo stesso direttamente in qualità di procuratore speciale o indirettamente attraverso un proprio gestore di fiducia».
In proposito occorre, in primo luogo, osservare che la procedura di voluntary disclosure ha dato luogo a interpretazioni ufficiali necessariamente “ampie” – e, come tali, non generalizzabili nelle ipotesi non patologiche e ordinarie –, trattandosi, com’è noto, di un evento di natura straordinaria volto, da un lato, a consentire al contribuente di riparare alle infedeltà dichiarative pregresse e, dall’altro, a recuperare “gettito” da parte dell’Erario (15). Inoltre, è importante osservare che la nomina di un “gestore di fiducia” (nel senso buono del termine) è un fatto del tutto comune e normale anche nel mercato assicurativo, che non deve essere in alcun modo demonizzato, ove poi il gestore (anche se di fiducia) gestisce in autonomia il patrimonio finanziario secondo le regole previste nel contratto di assicurazione (16).
È importante altresì evidenziare che, ai fini del descritto regime tributario associabile (per le imposte dirette) ai beneficiari di polizze assicurative vita, non rileva, a nostro avviso, l’eventuale presenza (anche considerevole) tra gli assets in polizza di attività finanziarie non quotate (17), la non significativa copertura del rischio biometrico (o del capitale), l’età (anche avanzata) del contraente; e ciò per il semplice motivo che tali elementi non sono richiesti in via autonoma dal legislatore fiscale per il riconoscimento del regime tributario dei “contratti di assicurazione sulla vita” (18), e non parrebbero neppure richiesti dalle disposizioni regolamentari di riferimento, ove si noti che, a quanto ci consta, il mercato delle polizze linked sia italiane sia emesse da imprese assicuratrici estere (operanti in libera prestazione di servizi), risulterebbe caratterizzato dalla presenza di coefficienti di copertura del rischio biometrico tra lo 0,01 per cento e il 5 per cento (talvolta con un limite in valore assoluto all’ammontare rimborsabile) e l’assenza di garanzia di restituzione del capitale (se non in taluni casi e su espressa opzione) (19). Pertanto, in riferimento a tali questioni, riteniamo che ove uno strumento contrattuale sia considerato dalle disposizioni primarie e regolamentari di settore quale contratto di assicurazione sulla vita, lo stesso non possa essere autonomamente riclassificato dal punto di vista fiscale, e deve pertanto potere beneficare del regime tributario previsto dalla legge per tali contratti (resta ovviamente fermo l’utilizzo distorto – e prima descritto – dello strumento contrattuale in caso di gestione diretta del patrimonio in polizza da parte del contraente) (20).
Un’ultima precisazione ci pare importante. Nell’ipotesi in cui venga negato il regime fiscale proprio delle polizze di assicurazione sulla vita, occorre domandarsi se si è in presenza di un’ipotesi di “interposizione” riconducibile al novero delle fattispecie di natura evasiva, ovvero di quelle di natura abusiva.
La differenza non è di poco conto.
Occorre infatti domandarsi se l’Amministrazione finanziaria possa attribuire al contraente gli investimenti e le attività finanziarie presenti in polizza (e i correlati redditi) riconducendo il rapporto assicurativo a una situazione di “interposta persona” di cui all’art. 37, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (21) – e ciò sulla base di un certo orientamento della Corte di Cassazione che riterrebbe applicabile l’appena menzionato terzo comma dell’art. 37 sia alle ipotesi di interposizione fittizia sia a quelle di interposizione reale, con un approccio di natura prettamente antielusivo (22) –, ovvero se, come si ritiene, l’eventuale riqualificazione debba invece essere più propriamente ricondotta a un’ipotesi di “abuso del diritto” disciplinata dal nuovo art. 10-bis, primo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.
Invero, come rilevato in dottrina, lo stesso legislatore tributario avrebbe escluso l’applicazione dell’art. 37, terzo comma, ai casi di interposizione reale, giacché “il D.L.vo n. 156 del 2015, con riferimento al citato art. 37, comma 3, non ha ammesso la possibilità di ottenere una disapplicazione a seguito della presentazione di istanza di interpello antielusivo, ma ha solo consentito di avvalersi dell’interpello ordinario. Come si legge nella relazione illustrativa, le ragioni di questa scelta sono dovute al fatto che l’ambito di applicazione dell’art. 37, comma 3, è limitato alla sola interposizione fittizia” (23).
Ne dovrebbe conseguire che tali fattispecie non potrebbero considerarsi in ogni caso penalmente sanzionabili, poiché il tredicesimo comma dell’art. 10-bis ha definitivamente chiarito che l’elusione o l’abuso del diritto è tout court penalmente irrilevante, in quanto “Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie” (pur restando “ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”).

Dott. Luca Rossi – Dott. Stefano Massarotto

(1) Cfr. l’Audizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate dott.ssa R. Orlandi in Commissione Finanze della Camera dei deputati del 5 aprile 2017, ove vengono evidenziate “le attività di analisi relative ad un importante filone investigativo … che ha consentito di accertare la sottoscrizione, da parte di migliaia di contribuenti, di polizze assicurative a contenuto finanziario … funzionali all’occultamento e al trasferimento di fondi di provenienza illecita”.
(2) Cfr. in tal senso, Unità di Informazione Finanziaria per l’ItaliA (UIF), Quaderni dell’antiriciclaggio, n. 2 – Casistiche di riciclaggio, aprile 2015, paragrafo “casi ricorrenti 2 – Interposizioni di veicoli societari esteri per schermare la titolarità effettiva di asset”, ove è stato precisato che “le polizze vita unit linked possono essere utilizzate per garantire un’intestazione sostanzialmente fiduciaria di attività già detenute dai sottoscrittori delle polizze, con finalità di mera dissimulazione dell’effettiva proprietà”.
(3) Ved. in tal senso G. TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2007, 108; A. FANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 1998, 186; e P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1999, 92.
(4) Si rammenta che l’art. 2 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle assicurazioni”), inquadra, all’interno del Ramo III, “le assicurazioni, di cui ai rami I [assicurazioni sulla vita, n.d.r.] e II [assicurazioni di natalità e di nuzialità, n.d.r.], le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento”.
(5) Cfr., ad esempio, circ. 28 marzo 2012, n. 11/E, in Boll. Trib., 2012, 509, e ris. 6 novembre 2013, n. 74/E, ivi, 2013, 1579; ved. altresì N. ARQUILLA, La disciplina fiscale delle polizze assicurative, in il fisco, 2015, 2044.
(6) Cfr., da ultimo, gli artt. 3 e 4 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89). Quanto alla concreta tassazione di tali redditi in capo alle persone fisiche (non esercenti attività di impresa), vi è una sostanziale armonizzazione del trattamento delle polizze di assicurazione italiane con quello previsto per le polizze emesse dalle compagnie estere operanti nel territorio dello Stato in regime di libera prestazione di servizi; infatti, mentre i redditi di capitale derivanti dai contratti di assicurazione sulla vita stipulati con imprese di assicurazione residenti sono assoggettati all’imposta sostitutiva di cui all’art. 26-ter, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il terzo comma del medesimo articolo prevede un equivalente obbligo di sostituzione tributaria per i soggetti di cui all’art. 23 del medesimo decreto (per lo più banche e società fiduciarie) attraverso i quali sono riscossi i redditi di capitale in dipendenza di contratti stipulati con compagnie estere operanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi (sempreché l’imposta sostitutiva non sia applicata previa opzione, direttamente dalle predette compagnie estere o da un rappresentante fiscale delle stesse).
(7) Non dovrebbero essere più attuali, quanto meno ai fini delle imposte dirette, le preoccupazioni espresse dall’allora Direttore dell’Agenzia delle entrate dott. A. Befera nella Audizione in Commissione Finanze del Senato del 12 ottobre 2011, in cui veniva auspicata l’adozione di interventi in tema di «polizze assicurative “private”, avent[i] come finalità l’individuazione e l’eliminazione delle asimmetrie attualmente esistenti, che consentono l’utilizzo distorto di tali istituti al solo fine di garantire asistematici risparmi sia in tema di imposte dirette sia indirette».
(8) Ai fini delle imposte indirette, si rammenta che è prevista l’esclusione dalla formazione dell’attivo ereditario – ex art. 12, primo comma, lett. c), del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 – delle somme corrisposte agli eredi “in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie o stipulate dal defunto”, trattandosi, come in ogni contratto a favore di terzo (di cui all’art. 1411 c.c.) di indennità spettanti a detti soggetti iure proprio e non iure successionis. Non è questa la sede per un’analisi del diverso – e forse più complesso – tema dell’eventuale qualificazione del contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi come liberalità indiretta. Cfr., ex multis, Cass., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3263, in Boll. Trib. On-line. Per ulteriori approfondimenti, ci sia consentito rinviare a S. MASSAROTTO, Liberalità indirette: chiariti i dubbi su “voluntary disclosure” e trasferimenti di ricchezza, in Corr. trib., 2015, 3809 ss.
(9) In realtà la tassazione con le aliquote progressive IRPEF è, nei fatti, riservata quasi esclusivamente ai redditi di capitale derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento extra-europeo, per i quali, differentemente dagli OICR istituiti nell’Unione europea (e soggetti alla ritenuta a titolo d’imposta ex art. 10-ter, primo e secondo comma, della legge 23 marzo 1983, n. 77), si pone, tra l’altro, un tema di (in)compatibilità della normativa fiscale italiana con il principio comunitario della libera circolazione dei capitali. Cfr. sul punto L. ROSSI – G. BARBAGELATA – A. PRIVITERA, Il regime fiscale dei proventi da partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio di diritto estero in ottica europea, in AA.VV., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Padova, 2014, 497 ss.
(10) Cfr. ris. 16 maggio 2014, n. 52/E, in Boll. Trib., 2014, 856, ove viene evidenziato che, in linea generale, “i contratti unit linked e index linked assolvono a finalità di investimento del tutto analoghe, per il singolo investitore, alla sottoscrizione di fondi comuni d’investimento”.
(11) In altri termini, anche per le polizze vita (come per gli OICR e i contratti di capitalizzazione), il reddito è unico ed è definito dalla legge come reddito di capitale (unicità del reddito), e pure in questo caso il flusso reddituale comporta una riqualificazione dei singoli redditi realizzati dalla compagnia assicurativa (opacità dello strumento contrattuale). Ovviamente, in caso di cessione del contratto assicurativo, al pari della cessione di quote di OICR o del contratto di capitalizzazione può generarsi un reddito diverso fiscalmente rilevante [differentemente dalle quote di OICR con la cessione del contratto assicurativo sulla vita non si può generare una minusvalenza che sia fiscalmente rilevante: ved. l’art. 67, lett. c-quinquies), del TUIR].
(12) È appena il caso di evidenziare che, quantomeno con riferimento agli OICR, il requisito dell’autonomia non viene meno dal riconoscimento di taluni diritti di ingerenza agli investitori. È stato infatti evidenziato che “L’introduzione, con la novella del 2003, dell’assemblea dei partecipanti nell’ambito dei fondi chiusi, inizialmente ignota al legislatore del TUF, ha determinato una forte innovazione nel panorama della gestione collettiva, introducendo un’eccezione ai canoni di eterotutela ed eterogestione che contraddistinguono la gestione collettiva del risparmio” (così R. LENER – C. PETRONIO, La gestione collettiva del risparmio, in AA.VV., Il Testo Unico della Finanza. Un bilancio dopo 15 anni, Milano, 2015, 195). Cfr., altresì, F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2015, 218, il quale, sempre con riferimento agli OICR, rileva che «L’autonomia è qui riferita alla “gestione operativa” dell’OICR e delle attività in portafoglio, e la stessa – si noti – non risulta compromessa da forme di ingerenza degli investitori là dove questi ultimi esercitino i diritti loro spettanti in qualità di azionisti (nel caso in cui l’OICR assuma forma societaria). Nella realtà, pertanto, potranno presentarsi forme di OICR caratterizzate, anche sotto questo profilo, da diversi gradi, o intensità di “autonomia gestionale”: in alcuni casi, tale autonomia sarà più accentuata – come ad esempio si rinviene nei fondi aperti in forma contrattuale, destinati ad essere offerti al pubblico indistinto – in altri casi, sarà più limitata, come ad esempio si verifica nei fondi riservati a investitori professionali, caratterizzati da un elevato livello di “personalizzazione”, o ancora di più, nei fondi riservati di tipo societario (SICAF)».
(13) In Boll. Trib., 2015, 422.
(14) Introdotta dall’art. 1, primo e secondo comma, della legge 15 dicembre 2014, n. 186.
(15) Si intende semplicemente dire che correttamente nell’ambito di tali procedure deflattive l’Amministrazione finanziaria ha fornito interpretazioni ampie, per facilitare l’utilizzo dello strumento legislativo temporaneo, che non necessariamente debbono però valere in situazioni meno patologiche (e, se si vuole, più ordinarie), rispetto a quelle interessate dalle procedure temporanee di definizione delle infedeltà dichiarative.
(16) Come si è cercato di evidenziare prima nel testo, il regime tributario collegato ai contratti di assicurazione sulla vita è analogo (e si giustifica allo stesso modo) rispetto a quello dei proventi ritratti da quote di OICR o da contratti di capitalizzazione; ebbene, nella scelta del gestore di un risparmio collettivo (OICR) si possono presentare situazioni in cui la medesima SGR è al tempo stesso il gestore collettivo e individuale (gestione individuale di patrimoni) di uno stesso contribuente; e non per questo il provento ritratto dal risparmio collettivo deve perdere il suo regime di unicità e opacità, essendo il gestore collettivo il gestore di fiducia del contribuente.
(17) Il semplice fatto che nel fondo della polizza siano presenti attività illiquide non dovrebbe, di per sé, essere rilevante, anche alla luce della recente istituzione dei “piani di investimento a lungo termine” (PIR), introdotti dalla legge di Bilancio 2017 (cfr. l’art. 1, commi da 100 a 114, della legge 21 dicembre 2016, n. 232), che possono essere costituiti anche tramite la stipula di contratti di assicurazione sulla vita e che prevedono che una quota minima di investimento vincolato sia destinato a “strumenti finanziari in imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati”. Inoltre, sempre per confrontare strumenti contrattuali con analoghi regimi tributari, per gli OICR di tipo chiuso (ad esempio, i fondi di private equity) ove la maggior parte del patrimonio è rappresentato da partecipazioni in società non quotate, i proventi mantengono in capo ai sottoscrittori il medesimo regime fiscale di unicità e opacità.
(18) Il modesto rischio biometrico comporterà che solo una modesta porzione della somma attribuita ai beneficiari in caso di decesso dell’assicurato possa godere del regime di piena esenzione (disposto dall’art. 34 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601); pertanto, la norma fiscale attuale contiene già gli anticorpi a una tale situazione. Quindi, alla parte finanziaria del contratto deve lecitamente affiancarsi il medesimo regime tributario previsto per i proventi da OICR o ritratti dai contratti di capitalizzazione che, ovviamente, non contengono alcun rischio biometrico (garantendo così l’ordinario regime di unicità ed opacità).
(19) Come evidenziato dalla Commissione delle Comunità europee, nel caso M. 1712 Generali-INA del 12 gennaio 2000, nei prodotti di ramo III “l’assicurato si accolla il rischio finanziario derivante dall’oscillazione del valore delle quote, mentre il rischio assicurativo (il cd. rischio demografico) rimane a carico dell’assicuratore. Soltanto una percentuale minima del premio (2-10/1000) è destinata a copertura del rischio demografico”, e inoltre “Le polizze di cui al Ramo III sono prodotti avente carattere prevalentemente finanziario, che si distinguono comunque da prodotti puramente finanziari, quali i fondi comuni di investimento, a causa della pur sempre presente componente aleatoria legata a rischi concernenti la vita umana”.
(20) Riteniamo quindi che non sia corretto strumentalizzare in qualche modo i contenuti della Convenzione di diligenza delle banche svizzere (CDB 16, art. 42) per riqualificare fiscalmente il contratto assicurativo, avendo tale comunicazione altre finalità e non essendo i casi ivi rappresentati pertinenti per la definizione del regime tributario in parola.
(21) L’art. 37, terzo comma, prevede che “In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.
(22) Cfr. tra le altre, Cass., sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12788, in Boll. Trib., 2011, 1723. Cfr., anche per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, G. ESCALAR, Nuovo delitto di infedele dichiarazione e irrilevanza penale dell’elusione, in Corr. trib., 2016, 1219.
(23) In tal senso cfr. circ. Assonime 4 agosto 2016, n. 21, par. 2.9, nt. 147.

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