14 Aprile, 2017

1. Cenni sul provvedimento in commento

Con il decreto dianzi trascritto, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere – rilevando l’inesistenza di vincoli di matrice sovranazionale – ha concluso ritenendo che, in assenza di transazione fiscale, il tanto discusso divieto di falcidia dell’IVA e delle ritenute operate e non versate sia del tutto privo di giustificazione a livello comunitario.
Secondo il giudice campano, il credito dello Stato per l’IVA – alla luce della norma di cui all’art. 160, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (recante la c.d. legge fallimentare) – può invece essere oggetto di pattizia previsione di un pagamento percentualmente ridotto, sempreché detto pagamento parziale del debito per l’IVA sia concesso ad un imprenditore in difficoltà finanziaria nel corso di un concordato preventivo (basato sulla liquidazione del suo patrimonio) e solo dopo che un esperto indipendente abbia formalmente acclarato che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento. Tale falcidiabilità, parziale e condizionata, dell’IVA viene giustificata – in uno dei passaggi “chiave” dell’annotata pronuncia – con l’osservazione che «una domanda di concordato che prevede l’infalcidiabilità di IVA e ritenute e la non integrale soddisfazione dei crediti dotati di privilegio di grado anteriore, sarebbe non conveniente per i creditori privilegiati anteriori all’Erario e il concordato, in presenza di opposizione, e dunque di valutazione circa la convenienza della soluzione concordataria rispetto all’alternativa della liquidazione in sede fallimentare (c.d. cram down), non sarebbe omologabile» (1).
L’esame della decisione – inserendosi in un articolato quadro legislativo, dottrinario e giurisprudenziale – impone di effettuare preliminarmente un succinto richiamo della questione che domina la problematica sottostante.

2. I riferimenti normativi del dibattito

La problematica nasce sostanzialmente dal fatto che l’attuale formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare prevede l’intangibilità non solo del credito erariale per l’IVA, ma anche di quello per le ritenute alla fonte operate dall’impresa e non versate, con l’ulteriore precisazione che l’unico beneficio, riguardante l’IVA ed estensibile nella proposta, consiste – a mente del primo comma della medesima norma (2) – solo nella possibilità di dilazione del relativo pagamento.
Lo stesso art. 182-ter citato, secondo l’insegnamento del giudice di legittimità, ha natura eccezionale: infatti la transazione fiscale non è applicabile al concordato fallimentare (ma soltanto alla procedura di concordato preventivo e all’accordo di ristrutturazione dei crediti ex art. 182-bis della stessa legge fallimentare) e non riguarda tutti i tributi, posto che ai sensi del ridetto art. 182-ter l’imprenditore può proporre il pagamento dilazionato e/o parziale soltanto dei debiti privilegiati e chirografari relativi a tributi amministrati dalle Agenzie fiscali, per cui non possono formare oggetto della transazione i tributi non amministrati dalle Agenzie finanziarie e i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, ossia i dazi doganali di fonte comunitaria.
Oltre queste brevi premesse, vi è da dire che, nonostante la lettera di tale norma, il decreto del Tribunale di S. Maria Capua Vetere dimostra come si continui a discutere sulla falcidiabilità dell’IVA nel concordato preventivo privo di transazione fiscale. È stata, infatti, spesso prospettata una risposta affermativa a tale quesito adombrando che le disposizioni del primo comma dell’art. 182-ter della legge fallimentare debbano considerarsi norme di natura procedurale e che, sotto il profilo sostanziale, su tali disposizioni prevalgano le norme generali disciplinanti il concordato preventivo; chi ha invocato la falcidiabilità dell’IVA, in tale tipo di casistica, ha fondamentalmente rimarcato che il pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute alla fonte operate e non versate (imposto dal primo comma dello stesso art. 182-ter) sarebbe in aperto contrasto con il secondo comma dell’art. 160 della legge fallimentare che ammette la possibilità di prevedere, con la proposta di concordato preventivo, il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati – tra i quali rientra anche l’erario – a condizione di non sovvertire l’ordine delle cause legittime di prelazione. In effetti il credito erariale risulta generalmente assistito da un grado di privilegio inferiore rispetto a quello di altri crediti privilegiati – poiché nell’ordine dei privilegi e ai sensi dell’art. 2778 c.c. le ritenute alla fonte e l’IVA si collocano, rispettivamente, al diciottesimo e al diciannovesimo grado – ed è perciò che si è osservato come, non potendosi alterare il principio della graduazione delle cause di prelazione, non sia altresì possibile il soddisfacimento integrale del credito erariale, nell’ambito di un piano concordatario contenente il pagamento in percentuale degli altri crediti privilegiati (3).
Fin da subito di opinione contraria si dimostrava innanzi tutto l’Agenzia delle entrate, ente che richiamava sia il generale principio di indisponibilità del credito erariale sia il carattere di specialità della disposizione prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare nella parte in cui esclude dalla falcidia l’IVA e le ritenute alla fonte (nonché i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea) (4).

3. L’intervento della Corte di Cassazione e il contrasto, precedente e successivo, nella giurisprudenza di merito

Inevitabilmente il contrasto inizialmente espresso in dottrina si traduceva facendo seguire il contrasto in giurisprudenza, cosicché ai responsi di merito intesi a statuire l’inammissibilità e la non omologabilità del concordato preventivo contenente la falcidia del credito tributario in assenza di transazione fiscale (5) si opponevano quelli intesi, invece, a sostenere che il concordato preventivo poteva avere ad oggetto la riduzione dei debiti tributari anche in assenza della transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare (6).
La Corte di Cassazione, con le sentenze “gemelle” nn. 22931 e 22932 del 2011 (7), interveniva sulla questione rilevando preliminarmente che ai fini dell’omologazione della proposta di concordato non è necessario l’assenso dell’erario, essendo sufficiente il consenso delle maggioranze prescritte dall’art. 177 della legge fallimentare (che ai sensi dell’art. 184 della medesima legge vincola anche l’erario); oltre questo primo principio si precisava però come la disposizione dell’art. 182-ter, primo comma, della legge fallimentare, laddove vieta un pagamento non integrale dell’IVA, consentendone solo la dilazione, sia inderogabile, in quanto norma sostanziale, a prescindere dall’attivazione del procedimento di transazione fiscale, poiché l’intangibilità dell’IVA ha carattere sostanziale e la sua applicazione non può essere rimessa alla volontà del debitore. Da tali considerazioni sortisce, secondo le descritte affermazioni del giudice di legittimità, la conseguenza che in tema di falcidia dell’IVA non può essere omologato il concordato preventivo se l’azienda in crisi non ha posto in essere la transazione con il fisco, mentre l’assenso dell’Amministrazione finanziaria non è necessario per gli altri crediti di imposta diversi dall’IVA. In tale quadro, come sottolineato sempre dalla Suprema Corte, l’art. 182-ter – che sostanzialmente esclude il credito per l’IVA da quelli che possono formare oggetto di transazione (quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento) – è quindi una disposizione eccezionale che attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare e inderogabile. Qualificando così la natura della norma e ritenendo che il credito IVA sia assistito da “superprivilegio”, la Corte trovava la ragione per non intravedere impedimenti alla procedura concordataria, considerato che in tal modo deve escludersi che la necessità dell’integrale pagamento di tale imposta comporti anche quella dell’integrale pagamento di tutti i crediti privilegiati di grado anteriore (8). Il che vuol dire, sotto il profilo pratico, che l’inammissibilità di un concordato che preveda un pagamento ridotto dell’IVA anche in mancanza dello speciale procedimento di transazione fiscale postula sempre l’integrale pagamento dell’IVA, indipendentemente dalla soddisfazione dei creditori privilegiati di grado anteriore. Secondo tale assetto operativo il credito IVA viene così estrapolato dall’ordine dei privilegi e trattato a parte, come una sorta di prededuzione da soddisfare, quindi, prima di ogni altro credito privilegiato e, conseguentemente, se l’attivo (stimato nei modi di cui al secondo comma dell’art. 160 della legge fallimentare) non è sufficiente per il pagamento di tutti i creditori privilegiati, dovrebbe essere pagato il credito per l’IVA, collocato al diciannovesimo grado nella scala dettata dall’art. 2778 c.c., e non quello degli altri privilegiati di grado potiore, lavoratori dipendenti compresi.
L’indirizzo, così espresso, si arricchiva sotto il profilo argomentativo da quanto manifestato anche dalla Corte di Cassazione Penale con la successiva sentenza n. 44283 del 2013 (9), ove si traevano ulteriori spunti a favore della tesi che nega la falcidiabilità dei crediti erariali inerenti all’IVA dalla disciplina della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (10).
Dopo gli interventi di cui sopra, i responsi dei Tribunali assumevano un indirizzo maggioritario attestandosi nel medesimo solco del giudice di legittimità (11); tuttavia, parte della giurisprudenza si dimostrava ferma nell’esprimere una conclusione opposta alle citate sentenze della Suprema Corte nn. 22931 e 22932 del 2011 e una testimonianza di questo indirizzo è rinvenibile nel decreto del Tribunale di La Spezia del 24 ottobre 2013, laddove si argomentava che il divieto di falcidia del credito relativo all’IVA costituisce un limite imposto esclusivamente alla proposta di transazione fiscale, finalizzata a regolare in modo definitivo i rapporti con il fisco nell’ambito del concordato, onde evitare che i possibili mutamenti del carico fiscale possano compromettere l’esito della procedura; secondo la predetta pronuncia tale divieto non potrebbe, pertanto, essere esteso in via analogica alla disciplina generale del concordato di cui all’art. 160 della legge fallimentare (12).

4. La pronuncia della Corte Costituzionale

In relazione poi alla questione di legittimità costituzionale del disposto degli artt. 160 e 182-ter del R.D. n. 267/1942 in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sollevata dal Tribunale di Verona, giungeva anche la pronuncia della Corte Costituzionale e, con la già citata sentenza n. 225 del 2014, detto organo giudicante dichiarava la questione “non fondata”, in quanto «è la natura dell’IVA quale “risorsa propria” dell’Unione europea a spiegare i vincoli per gli Stati membri nella gestione e riscossione dell’imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e, nella specie, la formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare, che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, ha escluso la falcidiabilità del credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la dilazione del pagamento».
Così la Corte Costituzionale dimostrava (e argomentava) come, stante il quadro normativo di specie, fosse impossibile discostarsi, relativamente all’IVA, dall’indirizzo dettato dalla Corte di Giustizia europea (13) secondo cui l’IVA deve essere pagata per intero e ciò che può essere oggetto di transazione è al massimo costituito semplicemente dalla dilazione dei tempi di pagamento di tale tributo.
Ancora più specificamente la Consulta riguardo rispettivamente ai dubbi avanzati dal Tribunale di Verona:
– evidenziava, in ordine all’asserita violazione dell’art. 97 Cost., come all’Amministrazione finanziaria non fosse impedito di valutare, secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse acquisibili, la convenienza del piano, circoscrivendolo alla dilazione che permette comunque un apprezzabile processo valutativo, sul piano prognostico, circa la possibilità o meno di riscuotere il tributo in futuro (14);
– osservava, invece in relazione all’art. 3 Cost., che «a nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari è riconducibile il credito IVA, per il quale esiste una disciplina eccezionale attributiva di un “trattamento peculiare e inderogabile” (Corte di Cassazione, sez. civ., n. 22931 del 2011), che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio di grado postergato (quale è appunto l’IVA), in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione».

5. La successiva prassi dell’Agenzia delle entrate

Con la circolare 6 maggio 2015, n. 19/E (15), l’Agenzia delle entrate prendeva atto di questa elaborazione giurisprudenziale e superava, sulla scorta delle affermazioni della Corte di Cassazione, le proprie precedenti indicazioni riconoscendo espressamente che «la presentazione della domanda di transazione fiscale da parte del debitore non costituisce condizione di ammissibilità della proposta di concordato preventivo» (16).
Coerentemente poi con l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione con le richiamate sentenze nn. 22931 e 22932 del 2011, in tale documento si rimarcava come l’intangibilità del credito per l’IVA e per le ritenute operate e non versate, ancorché prevista da una disposizione disciplinante la transazione fiscale, si imponesse anche nel caso di proposta di concordato preventivo non accompagnata dalla proposta transattiva; nell’occasione, l’ente erariale rappresentava che l’eccezionalità della norma e l’inderogabilità del credito trovava conforto anche nella citata sentenza n. 225 del 2014 della Corte Costituzionale, secondo cui «la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo. … la transazione dilatoria è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio postergato (quale è appunto l’IVA), in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione».

6. La pronuncia del Tribunale di S. Maria Capua Vetere

Ripercorsi sinteticamente i tratti salienti del contesto normativo, appare opportuno scrutinare il responso emesso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere che, come meglio si spiegherà a breve, giunge quando l’orbita interpretativa – ormai indirizzata lungo la via dianzi descritta – sembrava potere essere minata da quanto interlocutoriamente avvenuto nell’ambito della giustizia comunitaria.
Va premesso che il suindicato giudice nazionale era chiamato a pronunciarsi sulla correttezza e sulla ritualità di un piano di concordato integrato con la previsione del pagamento integrale delle spese in prededuzione e dei creditori prelatizi mobiliari secondo l’ordine dei privilegi fino a capienza dell’attivo concordatario. Per quel che riguardava i crediti erariali, assente la transazione fiscale, tale piano presumeva il pagamento parziale delle imposte dirette e la retrocessione a chirografo (oltre la quota di credito non soddisfatto di queste ultime) del credito per l’IVA e dei crediti relativi a tributi locali, mentre l’apporto di finanza esterna era previsto per il ristoro dei creditori chirografari e prelatizi declassati.
In uno degli aspetti di maggiore interesse, il Tribunale – nell’ammettere la proposta con falcidia dell’IVA in assenza di transazione fiscale – effettua una netta distinzione, in termini di trattamento, tra il credito per l’IVA e il credito per le ritenute operate e non versate.
La decisione si pone, in primis, in contrasto con le espressioni formulate dall’Agenzia delle entrate con la richiamata circolare n. 19/E del 2015, ove si rilevava che le ritenute operate e non versate non costituiscono un tributo a carico dell’impresa debitrice ma sono somme che attengono al lavoratore dipendente, poiché l’imprenditore/sostituto d’imposta (che interviene per legge nella riscossione del tributo) può trattenerle al solo scopo di riversarle allo Stato; il giudice adito, invece, a più riprese, richiama la circostanza dell’inesistenza sia di una giustificazione a livello comunitario sia di un vincolo sovranazionale ad uno specifico divieto di falcidia e tale osservazione viene rafforzata da quella ulteriore, intesa a sostenere che le argomentazioni – che sorreggerebbero la natura sostanziale della norma statuente l’infalcidiabilità dell’IVA e la sua natura di risorsa propria dell’Unione europea – non possono valere per le ritenute fiscali operate e non versate.
Sempre ad avviso del Tribunale campano il credito per l’IVA non sarebbe poi intangibile, anche indipendentemente dalla circostanza che il rispetto delle norme comunitarie impone ad ogni Stato membro di adottare ogni misura atta ad assicurare gli obblighi derivanti dal diritto della Comunità europea.
A tale proposito, deve sottolinearsi – facendo nuovamente un brevissimo passo all’indietro – che la pronuncia oggetto del presente scritto fa solo seguito ad un segnale, pervenuto in ambito comunitario, che pure potrebbe determinare una importante svolta.
Ci si riferisce alla circostanza che precedentemente erano sopraggiunte le conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Eleanor Sharpston) del 14 gennaio 2016, nella causa C-546/14 «Degano Trasporti S.a.s. di F.D. & C. in liquidazione» (17), con le quali si precisava che il sistema comune dell’IVA non impone agli stessi Stati membri di accordare ai crediti per l’IVA un trattamento preferenziale rispetto alle altre categorie di crediti e che al sistema comune dell’IVA non ostano norme nazionali che consentano ad uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito per l’IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria; è questa un’argomentazione che evidentemente collide con i presupposti su cui si fonda l’infalcidiabilità dell’IVA nell’ambito della transazione fiscale e che, se confermata, non impedirebbe al legislatore di stabilire nell’art. 182-ter della legge fallimentare la possibilità di soddisfare l’IVA in misura percentuale (anziché integrale), così come accade per gli altri crediti muniti di privilegio e alle medesime condizioni per questi fissate dall’art. 160, secondo comma, della stessa legge. La soluzione derivante dalle argomentazioni dell’Avvocato Generale poi non sarebbe troppo lontana dalla modifica normativa suggerita alla Commissione ministeriale istituita dal Ministro della giustizia (c.d. Commissione Rordorf), nel dicembre 2015, dal Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel lavoro «Il contributo del CNDCEC alla riforma della crisi di impresa – profili tributari»; in tale documento, infatti, il predetto Ordine professionale ha proposto in pratica una soddisfazione parziale del credito IVA nella transazione fiscale con l’inserimento nel terzo comma dell’art. 182-ter della seguente disposizione: «Con riferimento specifico all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere la riduzione dell’imposta fino a concorrenza della quota parte vincolata al finanziamento dell’Unione europea, nella misura determinata applicando al debito per IVA oggetto di transazione l’aliquota individuata da apposito Decreto ministeriale via via vigente. Tale valore e la idoneità dello stralcio dovranno essere oggetto di specifica attestazione, svolta dallo stesso attestatore del Piano».
Oltre detti ultimi incisi, va ricordato che il pagamento solo parziale del debito per l’IVA è però condizionato dal Tribunale adito al fatto che un esperto indipendente attesti che non si otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento; tale condizione nasce dall’osservazione che il fatto del pagamento di una porzione di maggior debito dell’IVA nel concordato preventivo rispetto a quanto accadrebbe nel fallimento non presuppone la certezza dell’ipotesi contraria e, a tale proposito, nell’annotato decreto si rappresenta che nello scenario fallimentare o comunque liquidatorio alternativo vi è una concreta possibilità che il credito per l’IVA ottenga, in ragione del suo rango, una soddisfazione nulla o inferiore rispetto a quanto previsto nel piano concordatario. Proprio nell’ottica di tale considerazione, nel decreto de quo si sottolinea come, nelle ipotesi in cui le risorse dell’imprenditore non siano sufficienti a pagare tutti i creditori privilegiati e il credito per l’IVA, assume un ruolo determinante la finanza esterna, atta a tutelare gli interessi erariali e comunitari.
Viene poi giustificata la rinuncia parziale ai crediti per l’IVA mettendo in luce il fatto che tale contesto appare coerente con la raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014, con la quale si era sollecitata la rimozione degli ostacoli che impediscono la ristrutturazione delle imprese sane ma in difficoltà finanziaria. Secondo la Terza Sezione Civile del citato Tribunale, l’art. 182-ter della legge fallimentare è da considerarsi norma eccezionale laddove prevede che non possono costituire oggetto di transazione l’IVA e le ritenute operate e non versate, con la conseguenza che non può procedersi a un’interpretazione estensiva o analogica se non nell’ipotesi in cui, contestualmente al piano ex art. 160 della stessa legge fallimentare, venga proposta la transazione fiscale.
(De)scritta questa ulteriore puntata sulla storia infinita della (in)falcidiabilità dell’IVA nel concordato preventivo, privo di transazione fiscale, non resta che attendere quella successiva e (si spera) definitiva data dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamata ad avallare o disattendere le conclusioni dell’Avvocato Generale Eleanor Sharpston.

Avv. Antonino Russo

(1) Il cram down, che letteralmente significa “trangugiare”, è un istituto mutuato dalla tradizione nordamericana del Chapter 11 (letteralmente “Capitolo 11”) che fa parte della legge fallimentare statunitense e che consente alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario.
(2) Così come sostituito dall’art. 32, quinto comma, lett. a), del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), e, successivamente, così modificato dall’art. 29, secondo comma, lett. a), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).
(3) Ved. G. ANDREANI – A. TUBELLI, IVA (in)falcidiabile nel concordato preventivo senza transazione fiscale?, in il fisco, 2016, 920.
(4) Cfr. circ. 18 aprile 2008, n. 40/E, in Boll. Trib., 2008, 748.
(5) Ex plurimis cfr. Trib. Piacenza 1° luglio 2008, in Dir. fall. e soc. comm., 2009, 66 ss.; e Trib. Monza 15 aprile 2010, in Il fallimento, 2011, 85.
(6) Cfr. App. Genova 19 dicembre 2009, in Giur. it., 2010, 1090; Trib. Mantova 26 febbraio 2009, in Giur. comm., 2010, II, 525; e App. Torino 6 maggio 2010, in Corr. giur., 2011, 859.
(7) Cfr. Cass., sez. I, 4 novembre 2011, nn. 22931 e 22932, rispettivamente in Boll. Trib., 2012, 618, e in Boll. Trib. On-line.
(8) Tale impostazione è stata ripresa anche da Corte Cost. 25 luglio 2014, n. 225, in Boll. Trib., 2014, 1344, con nota di S. LA ROCCA, Il concordato preventivo e la transazione fiscale: la Corte Costituzionale conferma l’inammissibilità della falcidia dell’IVA, secondo cui il credito per l’IVA non sarebbe riconducibile a nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari, in quanto il legislatore avrebbe inteso riservare eccezionalmente ad esso un trattamento peculiare e inderogabile, assicurando la soddisfazione integrale di un’imposta assistita da un privilegio di grado postergato in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione e, al contempo, individuando nella possibilità di pagamento dilazionato del debito per l’IVA il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo.
(9) Cfr. Cass., sez. III pen., 31 ottobre 2013, n. 44283, in Boll. Trib. On-line.
(10) Ved. art. 7 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, come modificato dall’art. 18 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221), il quale stabilisce che in merito «ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».
(11) Cfr. Trib. Padova, sez. I, 30 maggio 2013, in Fallimento, 2014, 445; Trib. Cosenza, sez. fall., 29 maggio 2013, in Foro it., 2013, I, 2947; Trib. Brescia 11 giugno 2013, ibidem; Trib. Milano 29 maggio 2013, ivi, 2948; e Trib. Vicenza 18 aprile 2013, ibidem.
(12) Cfr. Trib. La Spezia 24 ottobre 2013, in Boll. Trib. On-line; nonché App. Genova 27 luglio 2013, in Foro it., 2013, I, 2947; Trib. Como 29 gennaio 2013, ibidem, 2948; Trib. Varese 30 giugno 2012, ibidem, 2949; ed ancora Trib. Sondrio 12 ottobre 2013; App. Venezia 23 dicembre 2013; e Trib. Benevento 25 settembre 2014; quest’ultime tutte in Boll. Trib. On-line.
(13) In particolare cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 28 settembre 2006, causa C-128/05; Corte Giust. CE, sez. V, 11 dicembre 2008, causa C-174/07; e Corte Giust. CE, sez. grande, 17 luglio 2008, causa C-132/06; tutte in Boll. Trib. On-line.
(14) Ved. nota 6.
(15) In Boll. Trib., 2015, 766; l’ultimo intervento dell’Agenzia delle entrate in tema di transazione fiscale risaliva all’aprile 2009, quando la stessa Agenzia con la circ. 10 aprile 2009, n. 14/E (ivi, 2009, 621), si era pronunciata in ordine alle modifiche apportate all’art. 182-ter della legge fallimentare dall’art. 32, quinto comma, del già citato D.L. n. 185/2008.
(16) L’Agenzia delle entrate, in coerenza con i contenuti espressi da Corte Cost. n. 225/2014, cit., in merito alla natura endoprocedimentale della transazione fiscale, sottolineava altresì la non impugnabilità del diniego alla proposta di transazione fiscale in quanto atto interno della procedura espresso mediante voto comunicato in sede di adunanza dei creditori o nei modi ordinariamente previsti dalla legge fallimentare. La conclusione trova ragione nella circostanza che gli interessi del debitore, così come quelli degli altri creditori, troverebbero già piena tutela attraverso i rimedi giurisdizionali ordinariamente previsti dalla legge fallimentare. In particolare, nelle ipotesi di approvazione del concordato preventivo, il luogo deputato per proporre eventuali opposizioni incluse eccezioni aventi ad oggetto la legittimità del voto espresso dall’Agenzia delle entrate o dall’agente della riscossione a norma dell’art. 182-ter della legge fallimentare, da parte del debitore, del commissario giudiziale, degli eventuali creditori dissenzienti o di qualsiasi interessato all’omologa del concordato stesso, sarebbe l’udienza fissata per il giudizio di omologazione a cui tali soggetti hanno diritto a partecipare. Inoltre, nelle ipotesi in cui non si dovesse raggiungere la maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato e intervenisse la successiva dichiarazione di fallimento, il debitore e gli altri creditori potrebbero tutelare la propria posizione mediante la proposizione del reclamo di cui all’art. 18 della stessa legge fallimentare.
(17) In Boll. Trib. On-line; la domanda di pronuncia pregiudiziale era stata proposta dal Tribunale di Udine.

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Proposta concordataria di pagamento parziale del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate da parte dell’imprenditore in difficoltà – Ammissibilità – Violazione di norme e principi comunitari – Non sussiste.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Proposta concordataria di pagamento parziale del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate da parte dell’imprenditore in difficoltà – Ammissibilità – Violazione di norme e principi comunitari – Non sussiste.

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Non comporta una rinuncia generale e indiscriminata al potere dell’Amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti per l’IVA, ma solo una sua parziale rinuncia – Coerenza rispetto alle raccomandazioni comunitarie di promozione delle imprese, degli investimenti e dell’occupazione – Sussiste.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Non comporta una rinuncia generale e indiscriminata al potere dell’Amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti per l’IVA, ma solo una sua parziale rinuncia – Coerenza rispetto alle raccomandazioni comunitarie di promozione delle imprese, degli investimenti e dell’occupazione – Sussiste.

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Art. 182-ter della legge fallimentare escludente la proponibilità concordataria del pagamento parziale del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate – È norma eccezionale insuscettibile di interpretazione estensiva e applicazione analogica – Opera solo quando contestualmente al piano di concordato venga proposta la transazione fiscale.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Art. 182-ter della legge fallimentare escludente la proponibilità concordataria del pagamento parziale del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate – È norma eccezionale insuscettibile di interpretazione estensiva e applicazione analogica – Opera solo quando contestualmente al piano di concordato venga proposta la transazione fiscale.

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Domanda di concordato proponente l’infalcidiabilità dell’IVA e delle ritenute e la non integrale soddisfazione dei crediti dotati di privilegio di grado anteriore – Possibile effetto impeditivo dell’omologazione in caso di opposizione dei creditori privilegiati anteriori all’erario, e potenziale violazione del divieto di alterazione dell’ordine dei privilegi – Si configurano – Sostanziale limitazione all’accesso al concordato per le imprese prive di finanza esterna – Consegue.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Domanda di concordato proponente l’infalcidiabilità dell’IVA e delle ritenute e la non integrale soddisfazione dei crediti dotati di privilegio di grado anteriore – Possibile effetto impeditivo dell’omologazione in caso di opposizione dei creditori privilegiati anteriori all’erario, e potenziale violazione del divieto di alterazione dell’ordine dei privilegi – Si configurano – Sostanziale limitazione all’accesso al concordato per le imprese prive di finanza esterna – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Domanda di concordato preventivo senza transazione fiscale proponente la falcidia del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate – Possibilità dell’Amministrazione finanziaria di valutare la convenienza della soluzione offerta riguardo al soddisfacimento del credito erariale e di opporsi alla proposta concordataria – Sussiste.

IVA – Procedure concorsuali – Concordato preventivo – Domanda di concordato preventivo senza transazione fiscale proponente la falcidia del debito per l’IVA e le ritenute operate e non versate – Possibilità dell’Amministrazione finanziaria di valutare la convenienza della soluzione offerta riguardo al soddisfacimento del credito erariale e di opporsi alla proposta concordataria – Sussiste.

Il credito dello Stato per l’IVA può essere oggetto di pattizia previsione di pagamento percentualmente ridotto in virtù di quanto previsto dall’art. 160, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), secondo cui «la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d)», dello stesso decreto, e quindi il pagamento parziale del debito per l’IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, è possibile a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento, mentre il divieto di falcidia delle ritenute operate e non versate è del tutto privo di giustificazione a livello comunitario, non essendovi al riguardo alcun vincolo di matrice sovranazionale.

La procedura di concordato preventivo non comporta una rinuncia generale ed indiscriminata al potere dell’Amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti per l’IVA, ma una sua parziale rinunzia, coerente con la Raccomandazione della Commissione agli Stati membri dell’Unione europea del 12 marzo 2014, relativa ad un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza, di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese sane in difficoltà finanziaria, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.

L’art. 182-ter del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), laddove prevede che non possono costituire oggetto di transazione l’IVA e le ritenute operate e non versate, è da intendersi come norma di carattere eccezionale, e come tale non suscettibile di interpretazione estensiva o di applicazione analogica, ed operante solo allorquando contestualmente al piano di cui all’art. 160 della medesima legge fallimentare venga proposta la transazione fiscale.

Una domanda di concordato preventivo che preveda l’infalcidiabilità dell’IVA e delle ritenute operate e non versate e la non integrale soddisfazione dei crediti dotati di privilegio di grado anteriore sarebbe non conveniente per i creditori privilegiati anteriori all’erario e il concordato, in presenza di opposizione e, dunque di valutazione circa la convenienza della soluzione concordataria rispetto all’alternativa della liquidazione in sede fallimentare (c.d. cram down) non sarebbe omologabile; in ipotesi di incapienza del patrimonio sociale al pagamento dei creditori anteriori all’IVA, dunque, non può consentirsi la destinazione delle risorse proprie dell’impresa al pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute in danno dei creditori muniti di privilegio di grado anteriore che troverebbero altrimenti capienza e, del resto, il divieto di alterazione dell’ordine dei privilegi, la veridicità e ancor prima la possibilità dell’attestazione di cui al secondo comma dell’art. 160 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), sarebbero principi rispettati solo destinando al pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute finanza esterna, ovvero risorse assenti nell’alternativa fallimentare, con la conseguenza che l’indicata soluzione non consentirebbe l’accesso al concordato preventivo a quelle imprese che non siano in grado di apportare finanza esterna per il pagamento dei debiti per IVA e ritenute operate e non versate, cosi introducendo una limitazione non prevista dalla legge.

Nell’ipotesi di concordato preventivo senza transazione fiscale che preveda la falcidiabilità del debito per l’IVA e per le ritenute operate e non versate, lo Stato può comunque in sede di voto, in quanto non integralmente soddisfatto, valutare la bontà della soluzione offerta in ordine ai soddisfacimento del credito erariale, tenendo conto altresì del minore gettito derivante dall’eventuale fallimento dell’impresa e, dunque, della possibilità di un introito di somme in misura superiore ed in tempi più rapidi rispetto a quanto potrebbe avvenire in caso di fallimento, o, invece, esprimere un voto contrario al concordato o dispiegare opposizione dinanzi al Tribunale qualora non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente.

[Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. III (Pres. Scoppa, rel. Ferrara), decr. 17 febbraio 2016]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE – Con ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo ritualmente presentato, il legale rappresentante della …, con sede legale in … alla via … P.IVA …, chiedeva che la suindicata società fosse ammessa alla procedura di concordato preventivo ex art. 160 ss. l. fall.
La proposta concordataria ed il relativo piano di natura strettamente liquidatoria, così come emendato nella modifica ed integrazione depositata in data 11.1.2016, prevedeva la soddisfazione integrale delle spese in prededuzione e del credito dell’Agenzia delle Entrate per IVA e ritenute, dei crediti di lavoro e dei professionisti, la soddisfazione parziale (nella misura dell’81,53% dei crediti vantati dagli artigiani e dalle cooperative), la retrocessione a chirografo – oltre alla quota di credito artigiani e cooperative rimasto insoddisfatto – di tutti gli altri creditori prelatizi mobiliari, per i quali era prevista la soddisfazione nella percentuale del 5% attraverso l’immissione, condizionata all’omologa del concordato, di finanza esterna per € 163.500,00.
All’udienza del 20.1.2016 parte proponente chiedeva termine per presentare un piano alternativo che prevedesse la falcidia dell’IVA e delle ritenute fiscali. Tale piano, depositato in data 2.2.2016, prevedeva il pagamento integrale delle spese in prededuzione e dei creditori prelatizi mobiliari nel rispetto dell’ordine dei privilegi fino a capienza dell’attivo concordatario e, quindi, un pagamento parziale nella misura del 54,83% a partire del credito dell’Agenzia delle Entrate per imposte dirette e la retrocessione a chirografo – oltre alla quota di credito erariale per imposte dirette non soddisfatto – del credito IVA e dei creditori relativi a tributi locali. Anche in tale ipotesi, la soddisfazione nella misura del 5% dei creditori chirografi e dei privilegiati retrocessi a chirografo veniva garantita dal medesimo apporto di finanza esterna.
La società proponente chiedeva, dunque, di sottoporre all’approvazione dei creditori il piano da ultimo presentato. In subordine, ove il Tribunale non aderisse alle argomentazioni relative alla falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute, disporre procedersi alle operazioni di voto sulla base della precedente proposta già agli atti e sopra delineata.
Tanto premesso, occorre evidenziare come nell’ambito del sindacato giurisdizionale relativo alla fase di ammissione dell’imprenditore alla procedura di concordato preventivo, il Tribunale deve pronunciare sulla “fattibilità giuridica” del concordato, e in particolare sulla possibilità giuridica di ammettervi una società in base ad un piano che prevede il pagamento parziale del tributo IVA e delle ritenute alla fonte.
Orbene questo Tribunale, aderendo all’orientamento critico formatosi in dottrina e in giurisprudenza nei confronti dell’indirizzo interpretativo prescelto dai giudici di legittimità (Cassazione civile sentenze gemelle n. 22931 e 22932/11 (1); n. 14447/14 (2); 9541/14 (3); 7667/12 (4)) e confermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 225/14 (5), ritiene che la domanda di concordato preventivo presentata da … contenente una proposta di pagamento in misura percentuale del credito IVA e per ritenute fiscali, sia ammissibile.
La Cassazione ha affermato l’intangibilità e l’insuscettibilità a qualsivoglia falcidia del credito IVA e delle ritenute fiscali non versate pur in ipotesi di concordato non accompagnato da transazione fiscale e ciò per effetto della previsione dell’art. 182-ter l. fall. (che esclude espressamente nell’ipotesi di concordato con transazione fiscale la falcidia sul capitale dell’IVA e delle ritenute), considerata norma dalla valenza non processuale, ma sostanziale, che attribuisce a tali crediti un trattamento peculiare ed inderogabile, che si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale, e dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi.
Come emerge dalla Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 185 del 2008, la disposizione volta ad escludere il pagamento parziale dell’IVA in sede di concordato preventivo è scaturita dalla necessità di non contravvenire alla “normativa comunitaria che vieta allo Stato membro di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica”, con riferimento alla direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE. L’«ottavo considerando» della direttiva in parola afferma che “In applicazione della decisione 2000/597/CE, Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità Europee, il bilancio delle Comunità Europee, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie”.
Le norme che disciplinano le risorse proprie dell’Unione e la direttiva IVA, in combinato disposto con il principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, impongono, dunque, ad ogni Stato membro di garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’Unione, compresa l’IVA.
Ora è da osservare in primis come le giustificazioni addotte a sostegno della natura sostanziale della norma che prevede l’infalcidiabilità dell’IVA e, come tale operante in tutte le ipotesi di soluzione concordata della crisi d’impresa, ovvero la natura di risorsa propria dell’Unione Europea, non valgono con riferimento alle ritenute fiscali operate e non versate.
Il divieto di falcidia delle ritenute operate e non versate è del tutto privo di giustificazione a livello comunitario, non essendovi al riguardo alcun vincolo di matrice sovranazionale.
Dalla relazione ministeriale di accompagnamento al d.l. n. 78/10 (che all’art. 29 ha esplicitato la non decurtabilità anche delle ritenute operate e non versate), emerge che l’equiparazione delle ritenute all’imposta sul valore aggiunto trova il suo fondamento nel fatto che anche le ritenute operate dal sostituto d’imposta a titolo di acconto sono poi utilizzate in detrazione dal sostituto, in diminuzione del proprio debito tributario, essendo le ritenute d’acconto somme di terzi che il sostituto trattiene allo scopo di riversarle allo Stato. Pertanto, si legge “le analogie con l’imposta sul valore aggiunto rendono irragionevole una disparità di trattamento”.
Si tratta, dunque, di una precisa scelta legislativa inserita nell’ambito della transazione fiscale e che, come chiarito, non ha alcun fondamento in vincoli comunitari.
Quanto all’IVA, il rispetto delle norme comunitarie, che impongono agli Stati membri di adottare ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, non comporta la intangibilità del credito IVA sorto dall’applicazione di tali norme.
Il rispetto delle norme comunitarie, infatti, può essere bilanciato con altri interessi e valori meritevoli di tutela alla luce delle specifiche circostanze del caso.
Come sostenuto dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia UE (Eleaonor Sharpston) nella causa C-546/14 (6) – Degano Trasporti S.a.s. di F.D. & C. in liquidazione (Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Udine), il sistema comune dell’IVA non impone agli stessi Stati membri di accordare ai crediti IVA un trattamento preferenziale rispetto alle altre categorie di crediti: “poiché nel diritto dell’Unione non vi sono norme di armonizzazione relative al rango dei crediti IVA, gli Stati membri devono essere liberi di ritenere che altre categorie di crediti (quali gli stipendi o i contributi previdenziali – o, nel caso di soggetti passivi singoli, gli alimenti) meritino una tutela maggiore”.
In talune circostanze – prosegue l’avvocato generale – uno Stato membro può, invece, ragionevolmente ritenere legittima una rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate, e purché lo Stato membro non pregiudichi il principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA. Ciò che ricorre nell’ipotesi considerata, ovvero quando il soggetto passivo si trova in stato di difficoltà finanziaria ed il suo patrimonio non è sufficiente a soddisfare tutti i creditori.
Da ciò consegue, sempre secondo l’avvocato generale, che al sistema comune dell’IVA non ostano norme razionali che consentono ad uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento.
Condividendo tali argomentazioni il Tribunale ritiene che il credito dello Stato per IVA possa essere oggetto di pattizia previsione di pagamento percentualmente ridotto e tanto in virtù di quanto previsto dall’art. 160, comma 2, l. fall.; il pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, è possibile a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento.
Se, infatti, è possibile che un concordato preventivo comporti il pagamento di una porzione maggiore del debito IVA rispetto a quanto accadrebbe in caso di fallimento, il contrario può non essere vero. Nello scenario fallimentare o comunque liquidatorio alternativo al concordato, ove il soggetto passivo si trovi in uno stato di difficoltà finanziaria tale da non riuscire a soddisfare tutti i creditori, potrebbe infatti accadere che il credito IVA ottenga, in ragione del suo rango, una soddisfazione nulla o inferiore rispetto a quanto previsto nel piano concordatario.
La procedura di concordato, dunque, non comporta una rinuncia generale ed indiscriminata al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti IVA – diversamente dalle disposizioni nazionali in discussione nelle due cause Commissione/Italia (Sentenze Commissione/Italia C-132/06 (7) e C-174/07 (8)) – ma una sua parziale rinunzia, coerente, altresì, con la Raccomandazione della Commissione agli Stati membri del 12 marzo 2014, relativa ad un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza, di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese sane in difficoltà finanziaria, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.
Certamente nel caso concreto all’esame del Tribunale nell’alternativa liquidatoria si verificherebbe una minore soddisfazione del credito IVA rispetto alla percentuale di soddisfazione offerta nel piano di concordato. Le risorse proprie dell’imprenditore, infatti, non valgono a soddisfare integralmente tutti i creditori privilegiati, e soprattutto, non consentono, in ragione della sua collocazione nell’ordine dei privilegi, il pagamento dell’IVA. Nell’ipotesi fallimentare, dunque, non si avrebbe alcuna soddisfazione del credito erariale a tale titolo.
Nel piano concordatario, invece, l’apporto di finanza esterna, assente nell’alternativa fallimentare, consente il pagamento dei creditori chirografi e dei prelatizi retrocessi a chirografo nella misura del 5%. Insomma l’alternativa concordataria consente la massima riscossione possibile, con tutela, dunque, anche degli interessi erariali e comunitari.
Al riguardo l’avvocato generale osserva che “una disposizione di diritto nazionale non può essere ritenuta incompatibile con l’obbligo di garantire l’effettiva riscossione delle risorse dell’Unione semplicemente perché sceglie un mezzo, piuttosto che un altro, per ottenere la massima riscossione possibile”.
Alla luce di tali considerazioni ritiene il Collegio che l’art. 182-ter l. fall. laddove prevede che non possono costituire oggetto di transazione l’IVA e le ritenute operate e non versate, è da intendersi come norma di carattere eccezionale, e come tale non suscettibile di interpretazione estensiva o di applicazione analogica, ed operante solo allorquando contestualmente al piano di cui all’art. 160 l. fall. venga proposta la transazione fiscale.
Non si condivide l’assunto della Cassazione secondo cui “non avrebbe alcuna giustificazione logica e che quindi non sia credibile che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA, imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione, si ribadisce, gli Stati non sono esenti da vincoli (si veda Corte giustizia CE, sez. 5^, 11/12/2008, n. 174), optando per la transazione fiscale oppure avvalersi delia possibilità di proporne un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione”.
Non può infatti ritenersi che l’art. 182-ter sia espressione di un principio generale, posto che con il ricorso alla transazione fiscale il debitore persegue specifiche finalità: il debitore che ne abbia la disponibilità economica, scegliendo di ricorrere alla transazione fiscale mira al consolidamento del debito fiscale e alla cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma dell’art. 182-ter. Effetti, questi, che si ricollegano ad una precisa volontà del debitore, consentita dall’ordinamento, e che non si realizzano nell’ipotesi di concordato senza transazione fiscale.
Oltre che con il dato letterale, il principio affermato dalla Cassazione di intangibilità del credito IVA e della sua natura di credito superprivilegiato opera in contrasto da un lato con le norme della legge fallimentare e con il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, dall’altro con lo spirito che ha animato le riforme susseguitesi negli ultimi anni favorevole a soluzioni negoziali della crisi di impresa.
Sotto il primo profilo, infatti, la Cassazione ha affermato che «deve escludersi che la necessità dell’integrale pagamento dell’IVA comporti quella dell’integrale pagamento di tutti i crediti privilegiati con grado anteriore in ossequio al principio secondo cui il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione (l. fall., art. 160, comma 2, u.p.). La disposizione che sostanzialmente esclude il credito IVA da quelli che possono formare oggetto di transazione, quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento, è una disposizione eccezionale che, come si è osservato, attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare e inderogabile».
Secondo gli ermellini il credito relativo all’IVA (e conseguentemente anche quello avente ad oggetto ritenute operate e non versate) sarebbe assistito, sulla base di una disposizione eccezionale, da una sorta di “superprivilegio” o sarebbe addirittura da considerare “quasi producibile”; conseguentemente il loro integrale pagamento non inciderebbe automaticamente sul trattamento degli altri crediti e quindi quelli assistiti da privilegio anteriore potrebbero ciò nonostante essere pagati parzialmente.
Orbene, il pagamento integrale del credito IVA e delle ritenute operate e non versate, in caso di incapienza del patrimonio dell’impresa al pagamento integrale dei creditori privilegiati di grado anteriore al 19°, determina la degradazione a chirografo dei crediti privilegiati di grado anteriore, ovvero di quei crediti che, nell’alternativa fallimentare riceverebbero di certo, in ragione della loro collocazione, una soddisfazione maggiore. Ne deriva, dunque, la violazione dell’art. 160, comma 2, della l. fall. laddove consente una soddisfazione non integrale dei creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista un possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d).
Nel caso di incapienza dell’attivo a soddisfare integralmente i crediti privilegiati, il presupposto della possibilità di pagamento parziale dei crediti privilegiati richiesto da tale norma non si verifica, perché mediante la liquidazione fallimentare dell’impresa, nell’ambito della quale non ricorre l’obbligo di pagamento integrale dei crediti per IVA e ritenute, i creditori privilegiati anteriori al Fisco verrebbero soddisfatti in misura più elevata di quella realizzabile in sede concordataria, grazie all’utilizzabilità delle risorse che nell’altra ipotesi verrebbero destinate all’Erario in virtù del carattere “superprivilegiato” del suo credito.
Pertanto l’attestazione richiesta dalla suddetta norma mai potrebbe essere rilasciata, atteso che nella fattispecie, i crediti con grado di privilegio anteriore all’IVA nell’alternativa liquidatoria di certo godrebbero di un trattamento migliore.
Inoltre una domanda di concordato che prevede l’infalcidiabilità di IVA e ritenute e la non integrale soddisfazione dei crediti dotati di privilegio di grado anteriore, sarebbe non conveniente per i creditori privilegiati anteriori all’Erario e il concordato, in presenza di opposizione e, dunque di valutazione circa la convenienza della soluzione concordataria rispetto all’alternativa della liquidazione in sede fallimentare (cd. cown down) [rectius, cram down, n.d.r.], non sarebbe omologabile.
In ipotesi di incapienza del patrimonio sociale al pagamento dei creditori anteriori all’IVA, dunque, non può consentirsi la destinazione delle risorse proprie dell’impresa al pagamento integrale di IVA e ritenute in danno dei creditori muniti di privilegio di grado anteriore che troverebbero altrimenti capienza.
Il divieto di alterazione dell’ordine dei privilegi, la veridicità e ancor prima la possibilità dell’attestazione di cui al comma 2 dell’art. 160 l. fall. sarebbero principi rispettati solo destinando al pagamento integrale di IVA e ritenute finanza esterna, ovvero ritorse assenti nell’alternativa fallimentare.
Ma ciò, e così passando al secondo profilo di criticità sopra evidenziato, non consentirebbe l’accesso al concordato a quelle imprese che non siano in grado di apportare finanza esterna per il pagamento del debito per IVA e ritenute operate e non versate, così introducendo una limitazione non prevista dalla legge.
Calando tali osservazioni nel caso di specie, il piano alternativo presentato dalla … laddove prevede la soddisfazione integrale di IVA e ritenute con risorse proprie, ma non il pagamento dei creditori privilegiati anteriori al Fisco, dovrebbe essere dichiarato inammissibile, con conseguente perdita, nell’ipotesi fallimentare, dell’apporto di finanza esterna e, in definitiva, considerata l’incapienza del patrimonio del debitore, realizzando una minore soddisfazione anche del credito IVA.
Infine occorre sottolineare come nell’ipotesi di concordato preventivo senza transazione fiscale che preveda la falcidiabilità del credito IVA e per ritenute, lo Stato potrà comunque, in sede di voto, in quanto non integralmente soddisfatto, valutare la bontà della soluzione offerta in ordine al soddisfacimento del credito erariale, tenendo conto altresì del minor gettito derivante da fallimento dell’impresa e, dunque, della possibilità di un introito di somme in misura superiore ed in tempi più rapidi rispetto a quanto potrebbe avvenire in caso di fallimento, o, invece, esprimere un voto contrario al concordato (o spiegare opposizione dinanzi al Tribunale) qualora non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente.
Per tutte le suesposte ragioni il Tribunale ritiene ammissibile il piano concordatario presentato da … che prevede un soddisfacimento parziale del credito erariale per IVA e ritenute fiscali operate e non versate.
Fissa per le operazioni di voto l’udienza del 24.3.2016 ore 13,00.

P.Q.M. – Così deciso in Santa Maria Capua Vetere, nella Camera di Consiglio del 17 febbraio 2016.

(1) Cass. 4 novembre 2011, n. 22931, in Boll. Trib., 2012, 619 e Cass. 4 novembre 2011, n. 22932, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 25 giugno 2014, n. 14447, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 30 aprile 2014, n. 9541, in Boll. Trib. On-line
(4) Cass. 16 maggio 2012, n. 7667, in Boll. Trib. On-line.
(5) Corte Cost. 13 novembre 2014, n. 225, in Giur. cost., 2014, 4490.
(6) Corte Giust. UE 14 gennaio 2016, causa C-546/14, in Boll. Trib. On-line.
(7) Corte Giust. CE 17 luglio 2008, causa C-132/06, in Boll. Trib., 2008, 1384.
(8) Corte Giust. UE 11 dicembre 2008, causa C-174/07, in Boll. Trib. On-line.

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