SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La rivalsa tributaria; 2.1 Obbligo, diritto e facoltà della rivalsa; 2.2 Rivalsa mediante ritenuta; 2.3 Rivalsa mediante addebito del tributo; 2.4 Rivalsa successiva a seguito di accertamento – 3. Patti sull’imposta; 3.1 Patti d’imposta in ambito IVA; 3.2 Patti sulle imposte sui redditi – 4. Patti sull’impostae statuto dei diritti del contribuente – 5. Patti di accollo validi.
1. Premessa
La validità dei patti sulle imposte (e tra questi il patto di accollo) e l’esercizio del diritto di rivalsa sono questioni strettamente connesse che richiedono di essere affrontate in modo unitario.
La rivalsa, infatti, è un istituto vicino al patto di accollo, frequentemente utilizzato per la traslazione dell’onere economico del tributo.
La rivalsa, rectius l’attuazione della rivalsa, come strumento di traslazione dei tributi, va innanzi tutto correttamente delineata in rapporto all’istituto della sostituzione (in particolare della rivalsa mediante ritenuta da parte del sostituto d’imposta) e della rivalsa mediante addebito del tributo.
2. La rivalsa tributaria
La rivalsa è prevista dal legislatore tributario per consentire al soggetto, titolare dell’obbligo del pagamento del tributo al fisco, di trasferire l’onere fiscale ad altro soggetto.
Il fondamento del rapporto di rivalsa è diverso a seconda del tipo di tributo ma, in ogni caso, rientra nell’ambito di un rapporto privatistico che genera un diritto di credito nei confronti del soggetto passivo della rivalsa avente ad oggetto una somma di danaro pari a quella che il soggetto attivo della rivalsa è obbligato a versare all’erario.
In questa parte ci occuperemo essenzialmente della rivalsa del sostituto d’imposta nell’ambito delle imposte sui redditi e della rivalsa nell’IVA.
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2.1 Obbligo, diritto e facoltà della rivalsa
L’ordinamento individua nell’esercizio della rivalsa, di volta in volta, una facoltà, un divieto ovvero un obbligo. La differenza delle previsioni normative va individuata in ragione del tipo di tributo e del relativo presupposto.
a) La rivalsa è obbligatoria quando la legge impone che l’onere fiscale sia trasferito da un soggetto ad un altro che è il vero soggetto passivo inciso dal tributo, ad esempio la rivalsa del datore di lavoro – sostituto d’imposta nei confronti del dipendente – sostituito (cfr. art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). L’interesse del legislatore all’effettivo trasferimento dell’onere fiscale risulta dalla prescrizione dell’obbligo di rivalsa, talvolta anche sanzionato con la nullità di patti contrari che fanno gravare il tributo sul soggetto che è obbligato ad esercitare la rivalsa (vedi infra).
La rivalsa obbligatoria è esercitata mediante ritenuta (artt. 23-28 del D.P.R. n. 600/1973).
Con una disposizione di carattere generale in tema di rivalsa, ancorché riferita alle imposte sui redditi, la legge dispone «Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso … Chi in forza di … legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa» (cfr. art. 64 del D.P.R. n. 600/1973).
A differenza della rivalsa esercitata mediante ritenuta, nell’ambito IVA l’obbligatorietà consiste nell’addebito del tributo al cessionario o committente mediante emissione della fattura (vedi infra).
b) La rivalsa è vietata quando la legge vieta espressamente ogni patto sull’imposta, come era il caso dell’INVIM ove la legge dichiarava espressamente nulli tutti i patti diretti ad accollare l’imposta all’acquirente (art. 27 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643).
Con riguardo al sistema delle imposte sui redditi manca una disposizione che stabilisca il divieto di patti sull’imposta, mentre per le imposte indirette (esclusa l’IVA) sono presenti diverse norme che dichiarano nulli i patti sull’imposta, quale l’art. 62 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (imposta di registro), l’art. 23 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (imposta di bollo), oltre il citato art. 27 del D.P.R. n. 643/1972 (INVIM). Per l’IVA è stato abrogato l’ultimo comma dell’art. 60 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che prevedeva il divieto di rivalsa nel caso di rettifica a carico del cedente o prestatore del servizio (vedi infra).
c) In ogni altro caso la rivalsa è facoltativa e i contribuenti sono liberi di stipulare patti di accollo dell’imposta.
La rivalsa facoltativa è prevista dalla legge in tema di imposte sui redditi e si esercita mediante ritenuta sulle somme pagate sulle vincite, premi, giochi di abilità, ecc. (art. 30 del D.P.R. n. 600/1973), nell’ambito delle imposte indirette è prevista per l’ICI dall’art. 3 del D.P.R. 30 dicembre 1992, n. 504, per l’imposta sulle assicurazioni dall’art. 17 della legge 29 ottobre 1961, n. 216, e così via. In tali ipotesi unico soggetto passivo dell’obbligazione tributaria è il sostituto d’imposta, con l’effetto che il sostituito (anche se sia stata esercitata la rivalsa) è estraneo al rapporto tributario e, pertanto, non è legittimato a presentare alcuna istanza di rimborso al fisco, né potrà da questo essere perseguito per il pagamento dell’imposta.
2.2 Rivalsa mediante ritenuta
Per ragioni di semplificazione e speditezza l’ordinamento si avvale per l’adempimento dell’obbligazione tributaria di soggetti diversi dal contribuente cui è imputabile il reddito tassabile.
Proprio in materia di imposte sui redditi sono previste le più importanti e ricorrenti fattispecie di rivalsa obbligatoria attuate mediante ritenuta (cfr. artt. 23-29 del D.P.R. n. 600/1973).
È il caso del sostituto d’imposta c.d. “obbligato di diritto”, cioè il soggetto sul quale non ricade il peso economico del tributo, ma solo l’obbligo del versamento di un’imposta o di un acconto d’imposta in luogo di altri (c.d. sostituito) cui è riferibile il reddito prodotto e l’imposta dovuta.
Il meccanismo mediante il quale il sostituto procede al recupero nei riguardi del sostituito dell’imposta o della ritenuta d’acconto pagata per suo conto è appunto la “rivalsa” (cfr. art. 64 del D.P.R. n. 600/1973). Il sostituto ha, quindi, il diritto/dovere di effettuare le ritenute sulle somme che corrisponde al sostituito, ad esempio in base ad un rapporto di lavoro dipendente, autonomo, ecc. (cfr. artt. 23 e segg. del D.P.R. n. 600/1973). Nell’ambito dell’obbligo di effettuare la rivalsa occorre distinguere tra sostituzione parziale (ritenuta a titolo d’acconto) e sostituzione totale (ritenuta a titolo d’imposta. La tassazione a titolo d’imposta, in quanto costituisce una deroga alla tassazione progressiva, è tassativamente prevista in un limitato numero di casi, tra questi le ritenute sui redditi di capitale e sulle vincite, art. 26 e 30 del D.P.R. n. 600/1973).
Nell’ambito delle ritenute IRPEF effettuate a titolo d’acconto (ad esempio quelle effettuate dal datore di lavoro sulle somme corrisposte al lavoratore dipendente), soggetto passivo d’imposta è il sostituito e non il sostituto e, di norma, il rapporto fiscale corre tra il sostituito e il fisco, mentre il rapporto di rivalsa che corre tra il sostituto e il sostituito è un rapporto privatistico e non di diritto tributario (e per questa ragione la giurisprudenza ha chiarito che le liti tra sostituto e sostituito appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario e non delle Commissioni tributarie). Si tratta, infatti, di un diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di natura privata cui è estraneo l’esercizio del potere impositivo proprio del rapporto tributario, anche per la forte considerazione che il creditore che riceve un pagamento ridotto può non sapere per quale ragione il debitore non abbia adempiuto integralmente e, quindi, correttamente si rivolge al giudice ordinario (1).
2.3 Rivalsa mediante addebito del tributo
Altra modalità di esercizio della rivalsa è l’addebito di tributi posti a carico di un soggetto che, tuttavia, sono destinati a gravare economicamente su altri soggetti.
È il caso dell’IVA ove i soggetti passivi del tributo hanno il diritto e l’obbligo di addebitare mediante rivalsa l’imposta all’acquirente del bene o prestatore del servizio (cfr. art. 18, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972).
Come già detto, a differenza della rivalsa esercitata mediante ritenuta, nell’ambito dell’IVA l’obbligatorietà consiste nell’addebito del tributo al cessionario o committente mediante emissione della fattura. Ne consegue che l’obbligatorietà riguarda il rapporto d’imposta con il fisco che si esaurisce con l’emissione della fattura, mentre non riguarda il concreto esercizio del diritto che rientra nell’ambito di un rapporto privatistico tra le parti contrattuali (vedi infra).
2.4 Rivalsa successiva a seguito di accertamento
Con l’art. 93 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. “decreto liberalizzazioni”, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), è stato eliminato il “divieto di rivalsa” dell’IVA pagata per effetto di atto di rettifica. Il nuovo settimo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972 prevede, ora, esattamente il contrario «il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».
In buona sostanza la nuova norma consente (facoltà e non obbligo) al cedente/prestatore del servizio di rivalersi della maggiore IVA accertata nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, consentendo a questi ultimi di operare la detrazione dell’IVA richiesta a seguito dell’accertamento.
3. Patti sull’imposta
La verifica della validità delle clausole che spostano l’onere del tributo dal debitore all’altra parte contrattuale passa, innanzi tutto, dalla risposta al quesito se sia consentito ai privati trasferire, lato sensu, il rapporto di debito con il fisco da un soggetto ad un altro e, quindi, verificare l’efficacia di simili patti tra le parti e nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Altrimenti detto, pur non trascurando la circostanza che il rapporto di rivalsa assume esclusivamente rilevanza nell’ambito dei rapporti tra privati, occorre tener conto che la disciplina della rivalsa è, comunque, parte integrante della struttura del tributo e costituisce preciso segno della volontà del legislatore di individuare la capacità contributiva colpita dal tributo e il relativo soggetto passivo ed individuare in quali limiti operi l’art. 53 Cost. (capacità contributiva).
In buona sostanza la verifica, se i patti che attuano una traslazione dell’imposta da un soggetto ad un altro siano o meno leciti, va fatta con riguardo al fondamento del rapporto di rivalsa, diverso a seconda del tipo di tributo, e, quindi, con riferimento al detto precetto costituzionale che vieta di sottrarre materia imponibile alla tassazione.
a) Pare che non possa esservi dubbio sulla nullità dei patti per i casi di rivalsa obbligatoria (sia mediante ritenuta alla fonte sia mediante addebito dell’IVA in fattura) che perseguano non lo scopo di spostare l’onere economico su un altro soggetto, ma quello di alterare il rapporto, di natura pubblica e non privata, di debito con il fisco sostituendo un soggetto ad un altro. In primis per il dettato del citato art. 53 Cost. che, nel rispetto del principio di capacità contributiva, impone la coincidenza tra il soggetto che sopporta l’onere economico del tributo e quello che realizza il presupposto in senso giuridico (nell’ambito dell’IVA la traslazione del tributo verso il consumatore finale e nella rivalsa mediante ritenuta il percipiente della somma di danaro) e, quindi, per contrarietà con il citato art. 53 Cost. (cfr. art. 1418 c.c.) ed anche, in ambito IVA, per la presenza di specifiche norme che dichiarano nullo ogni patto contrario (art. 18, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972).
b) Dibattuta è, invece, per i casi di rivalsa obbligatoria (sia mediante ritenuta alla fonte sia mediante addebito dell’IVA in fattura) la liceità dei patti diretti a traslare esclusivamente l’onere economico dell’operazione.
Il problema si è posto in dottrina e giurisprudenza ed è stato variamente risolto (2). Per una tesi, mancando nella legge tributaria una espressa norma che consenta di trasferire ad altri le imposte sui redditi, i patti sulle imposte dovrebbero essere ritenuti validi in ragione del generale principio sancito dall’art. 1322 c.c. della autonomia contrattuale. In senso opposto si è affermata la nullità per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico dei patti d’imposta quando siano rivolti a trasferire su altri il proprio onere tributario in quanto l’autonomia negoziale non può alterare i connotati dei tributi, strutturati in modo che ad ogni capacità contributiva corrisponda inderogabilmente una riduzione del patrimonio, come prescritto dagli artt. 2 e 53 Cost. (3).
c) In estrema sintesi il punto cruciale della verifica sulla liceità dei patti d’imposta, diretti ad incidere sul rapporto di natura privata diretto esclusivamente a trasferire l’onere economico, va indagato:
• anche tenendo conto dell’art. 8, secondo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) che ora ammette espressamente «l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario» (vedi infra);
• con riguardo al fondamento del rapporto di rivalsa, diverso a seconda del tipo di tributo;
• con riferimento al precetto costituzione (capacità contributiva) inteso come garanzia dei limiti posti allo Stato di imporre tributi e divieto di tassare un soggetto in ragione di indici di capacità contributiva riferiti ad altri, ma non di limitare la libertà negoziale dei privati.
3.1 Patti d’imposta in ambito IVA
L’esecuzione di operazioni imponibili ai fini dell’IVA comporta, ex lege, l’instaurazione di due autonomi rapporti giuridici: il primo tributario, di natura pubblicistica, tra il fisco e il cedente o prestatore, per il versamento dell’imposta; l’altro, di natura civilistica, tra il cedente o prestatore e il cessionario o committente, riguardo alla rivalsa. Sorto l’obbligo di fatturazione nasce contestualmente l’obbligo di addebitare l’IVA alla controparte, così il soggetto passivo del rapporto tributario diventa soggetto attivo del rapporto civilistico. La rivalsa è obbligatoria ed è nullo ogni patto contrario (4).
Tuttavia la previsione della rivalsa obbligatoria non assicura, comunque, il trasferimento effettivo dell’onere sul destinatario finale.
L’obbligo della rivalsa si risolve, infatti, nel compimento dell’atto che consiste nell’addebito dell’imposta in fattura, ma non impone in concreto di esercitare la rivalsa.
In altri termini l’obbligatorietà della rivalsa comporta come effetto secondario la costituzione di un diritto di credito del cedente o prestatore del servizio nei confronti del cessionario o del committente per l’importo dell’IVA in relazione alla specifica operazione imponibile mediante emissione e addebito del tributo in fattura (cfr. art. 18, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972) (5). Ciò che è, pertanto, obbligatorio è la costituzione del diritto di credito e non già il suo esercizio (e, d’altra parte, sarebbe contraddittorio riconoscere un diritto di credito e contemporaneamente imporre al creditore il dovere di esercitarlo (6).
Ne discende che, maturato il credito di rivalsa con l’addebito in fattura, il soggetto attivo della rivalsa può disporre del suo credito e non esercitarlo e ciò può avvenire anche in forza di accordi contrattuali (7).
La sanzione di nullità del patto contrario è, infatti, stabilita a favore del fisco (nella sostanza si tratta di inopponibilità) che non può vedersi opporre accordi che possano compromettere il suo credito verso il cedente (art. 18, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972).
3.2 Patti sulle imposte sui redditi
Con riferimento alle imposte sui redditi, là ove la rivalsa è obbligatoria (ad esempio art. 23 del D.P.R. n. 600/1973 per i redditi di lavoro dipendente), è da ritenere nulla una forma palese di traslazione economica dell’imposta da un soggetto (sostituito) ad un altro (sostituto). Nell’ambito della rivalsa mediante ritenuta alla fonte è stata, infatti, rilevata la necessità di separare le posizioni del soggetto passivo della rivalsa (sostituito) da quelle del soggetto attivo (sostituto). Per quanto concerne la posizione del primo, cioè quella di soggezione al prelievo, la liceità del patto di non obbligatorietà della rivalsa lede il principio della capacità contributiva, rimettendo alla discrezionalità del sostituto se incidere o meno il sostituito con l’onere tributario (8).
In buona sostanza verrebbe modificato il quantum del debito tributario del soggetto passivo, con l’effetto di erogare un maggior compenso non tassato con violazione del precetto costituzionale della capacità contributiva (art. 53) e per contrarietà con le norme imperative che dispongono la personalità e progressività dell’IRPEF (art. 1418 c.c.) (9).
Resta ferma, invece, la validità di quei patti che non alterano il meccanismo dell’imposta, ma assumono l’imposta come elemento che concorre a determinare effetti di diritto privato. È, quindi, valido un patto che assicura un compenso al netto dell’IRPEF in quanto si limita a determinare il compenso tassabile aumentato in misura tale da corrispondere, al netto dell’imposta, quanto pattuito dalle parti. Ad esempio è valido il patto tra Tizio e Caio che, volendo assicurare a Tizio un reddito al netto della ritenuta del 20% pari a 150 euro, determini il compenso lordo tassabile in euro 150 (150 – 30 (20% di 150) = 120); è invece nullo il patto in base al quale a Tizio sia corrisposto un compenso di 120 con l’obbligo di Caio di farsi carico dell’onere tributario. In tal ipotesi, infatti, il reddito complessivo imponibile di Tizio sarebbe determinato tenendo conto di 120, quando in realtà è superiore.
4. Patti sull’impostae statuto dei diritti del contribuente
Come già detto l’art. 8, secondo comma, della legge n. 212/2000, ammette espressamente «l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario». Orbene la portata da attribuire a tale disposizione va pur sempre inserita nell’ambito di quanto detto sulla nullità dei patti sulle imposte contrari all’obbligo della rivalsa ovvero vietati espressamente dalla legge in quanto modificano il rapporto tributario di natura pubblicistica.
Dunque è da respingere la validità di clausole di accollo esterno ovvero di trasferimento del tributo con efficacia sul rapporto tributario d’imposta e liberazione del debitore nei confronti del fisco, mentre la questione è superata, come confermato dal citato art. 8, secondo comma, della legge n. 212/2000 (e come prima sopra già esposto), la questione della validità dei patti che riguardano unicamente il rapporto di natura privata tra il soggetto attivo e il soggetto passivo della rivalsa, senza modificare il rapporto pubblico del tributo.
Tanto premesso all’anzi detta norma è assegnato un duplice significato.
L’accollo, di cui al citato art. 8, secondo comma, ha valore meramente interno (cioè valido solo tra le parti e non verso il fisco), per la forte ragione che, essendo espressamente esclusa “la liberazione del debitore”, il fisco non può aderire all’accollo. In buona sostanza si fa discendere dall’esclusione della liberazione del debitore la natura di accollo meramente interno (10).
Altra tesi afferma che è anche possibile intendere la citata disposizione nel senso che l’esclusione della liberazione del debitore non esclude che il fisco aderisca all’adesione tra debitore e contribuente di fatto. In tal ipotesi non vi sarebbe, infatti, un vero trasferimento dell’obbligazione tributaria, ma si produrrebbe solo l’effetto che al debitore originario si aggiunga un soggetto terzo, responsabile in solido ex art. 1273, terzo comma, c.c.
Il più volte citato art. 8, secondo comma, non disciplina l’accollo di sanzioni previste ex art. 11, sesto comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, anche se non vi è ragione di ritenere che l’accollo non possa riguardare anche le sanzioni (11).
5. Patti di accollo validi
Oltre ai patti sulle imposte sicuramente leciti che riguardano le rivalse facoltative, sono validi, nei limiti sopra indicati, anche i patti sulle imposte nell’ambito della rivalsa mediante addebito in fattura, mentre sono da escludere quelli relativi al rapporto di sostituzione che incidono sul rapporto tributario di natura pubblica.
In concreto i patti sulle imposte validi possono essere di due tipi:
a) patti che danno luogo ad un accollo interno, valido solo tra le parti. In tal caso per il fisco è del tutto irrilevante e, se del caso, l’azione fiscale sarà sempre diretta contro il vero soggetto passivo e non verso il soggetto accollante;
b) patti che danno luogo ad un accollo esterno, cioè rilevanti anche nei confronti del fisco che potrà agire, oltre che nei confronti del debitore originario, anche nei confronti dell’accollante (è questa un’ipotesi civilisticamente inquadrabile nella categoria dei contratti a favore di terzo). In tale ultima ipotesi è aperta la questione se il fisco acquisti un diritto nei confronti del terzo accollante potendo agire in via amministrativa mediante un atto impositivo ovvero con un azione civile ovvero quali siano gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per agire nei confronti del terzo accollante per l’adempimento del debito fiscale.
Premesso che l’accollo dell’imposta non attribuisce all’accollante la posizione di contribuente o di soggetto passivo d’imposta, ma solo lo status di obbligato in solido per patto negoziale, a nostro avviso, è possibile concludere che l’Amministrazione finanziaria:
• nei confronti del terzo accollante, potrà agire presso il Tribunale ordinario facendo ricorso agli strumenti offerti dal codice civile per l’accertamento del debito e per la riscossione per l’adempimento del debito fiscale (12);
• nei confronti del debitore accollato, vero contribuente e soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, potrà fare ricorso agli ordinari strumenti offerti dalle singole leggi d’imposta per l’accertamento e la riscossione dei tributi.
Prof. Silvio D’Andrea
Università Bicocca – Milano
(1) «Le controversie tra sostituto d’imposta e sostituito, relative all’esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, … rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo», così Cass., sez. un., 26 giugno 2009, n. 15031, in Boll. Trib., 2009, 1378, con nota di F. Brighenti, Le controversie tra sostituto e sostituito: al giudice tributario; anzi, no, al giudice ordinario; principio poi ripreso da Cass., sez. un., 8 aprile 2010, n. 8312, in Boll. Trib. On-line.
(2) La giurisprudenza di legittimità ha assunto contrastanti posizioni per la nullità dei patti d’imposta, cfr. Cass., sez. lav., 3 aprile 1990, n. 2688, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. lav., 23 novembre 1989, n. 5031, ivi; Cass., sez. un., 26 giugno 1987, n. 5652, ivi; Cass. 5 gennaio 1985, n. 5, in Boll. Trib., 1985, 1432; e Cass., sez. I, 10 maggio 1994, n. 4556, in Boll. Trib. On-line; in senso contrario Cass., sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6445, in Boll. Trib., 1986, 582; e Cass., sez. I, 28 marzo 1995, n. 3608, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 1985, n. 6445, in Boll. Trib., 1986, 582; e Cass., sez. un., 23 aprile 1987, n. 3935, ivi, 1988, 1581. Nel senso della nullità dei patti sull’imposta se intervengono a modificare la rivalsa obbligatoria, R. Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, 2000. Vedi infra per i patti nelle imposte sui redditi.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 2 marzo 2012, n. 3291, in Boll. Trib. On-line.
(5) In tema di IVA l’art. 18, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente ma, stabilendo al quarto comma la nullità di ogni patto contrario, non vieta che l’IVA, su accordo delle parti, sia compresa nel prezzo globalmente pattuito, sempre che l’imposta venga pagata allo Stato, sul punto cfr. Cass., sez. II, 14 novembre 2002, n. 16007, in Boll. Trib., 2003, 231.
(6) Cfr. F. Bosello, Rivalsa, in Enc. giur. Treccani, 1991.
(7) Cfr. in tal senso Cass., sez. VI, 14 marzo 2013, ord. n. 6482, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. L. Salvini, Rivalsa, in Rass. trib., 1996, 298.
(9) Cfr. Cass. n. 3935/1987, cit.; e in dottrina R. Lupi, Diritto tributario. Parte generale, Milano, 2005, 257.
(10) Cfr. A. Fedele, L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 883.
(11) Cfr. G. Marongiu – A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013.
(12) Nel caso di volontaria assunzione dell’impegno di pagare le imposte dovute da un terzo, il nuovo debitore acquista non la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria non potrà esercitare, nei confronti di costui, i propri poteri autoritativi di accertamento ed esazione, che le spettano esclusivamente nei confronti dei soggetti che per legge (e non, come nella specie, negozialmente) sono tenuti a soddisfare il credito fiscale, cfr. Cass. n. 3608/1995, cit.
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