6 Maggio, 2015

 

La legge delega fiscale 11 marzo 2014, n. 23, e i provvedimenti/decreti attuativi, di riscrittura del sistema fiscale vengono a scadere quando i sub procedimenti da autodenuncia volontaria (voluntary disclosure) saranno de facto ancora verosimilmente aperti e quiescenti – i deal si chiuderanno entro il 30 settembre 2015. La legislazione sulla nuova voluntary, essendo sopravvenuta alla delega de qua – non si considera l’originario D.L. 28 gennaio 2014, n. 4, non convertito ovvero decaduto sulla voluntary – è poco armonizzata con i principi ispiratori della stessa, è de facto decontestualizzata (1). Si vuole dire che rileviamo un viziato coordinamento tra i due prefati sistemi normativi. Il riferimento è alla rassicurante indicazione ex delega sulla non punibilità di alcune fattispecie di evasione dichiarativa “non eversiva”, l’evasione “interpretativa” (se ricadente nell’art. 3 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella discrezionalità delle procure) nella nuova definizione unificata di abuso/elusione, appunto svalutata in delega. Difatti questa fattispecie di infedeltà dichiarativa destrutturata in delega (defenestrata dal penale), viene invece de facto rigenerata nella voluntary che, appunto, ne mantiene ex se il suo disvalore extrafiscale ovvero penale. Forse invece che della prevista erosione di tre quarti di pena per i più gravi reati dichiarativi di cui all’art. 3 sarebbe stata più gradita, per esigenze superiori sistemiche di coerenza, verificato il necessario coordinamento strutturale con la legge delega fiscale, un’esclusione universale ex se della punibilità di tutti i reati dichiarativi (sulla scure nelle fatturazione inesistenti delega e voluntary sono allineate). Difatti, tutte le infedeltà dichiarative, anche da evasione meramente interpretativa, escluse in delega, patrimonializzate, esportate sull’estero, vengono oramai attratte nell’art. 3 in luogo di quella indolore dell’art. 2 dello stesso D.Lgs. n. 74/2000 (invece depenalizzata in voluntary).

Rilevato che uno dei principi della delega de qua è la depenalizzazione delle condotte con un minor disvalore sociale, alludo ad basso tasso di offensività, fraudolenza, si verificherà ex se il degrado amministrativo de facto della dichiarazione infedele e di alcune tipologie di condotte oggi coperte e riassorbite con la fraudolenza di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000, con l’ovvia esclusione dell’intangibilità dell’ipotesi più grave di fatturazioni inesistenti, cfr. art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000. Non di rado l’evasione interpretativa, ossia l’imposta rettificata e contestata (risparmio disapprovato) da riqualificazioni antielusive, cfr. art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, o da abuso di diritto, viene riassorbita con il prefato reato dichiarativo di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000, appunto non coperto dalla voluntary.

Queste condotte elusive, vedi gli artt. 5 e 8 della legge delega n. 23/2014, resteranno verosimilmente fuori dall’area di rilevanza penale in base alle indicazioni della legge delega (criterio direttivo nei prefati articoli), con l’effetto deteriore che la loro indiretta riviviscenza, rivalutazione in voluntary, è decontestualizzata, disallineata rispetto alla legge delega. Lo stesso dicasi per la mera evasione esterovestita, magari con l’interposizione di società estere e l’utilizzo di conti ad esse riferibili al fine di ostacolare l’accertamento ovvero favorire il nascondimento, riassorbita ex se dalle procure nella fattispecie più grave di fraudolenza di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000. Si vuole dire che superiori ragioni di coerenza insistono per una estensione ex se delle esimenti, recte: esclusioni penali nella voluntary a tutti i reati dichiarativi, e dunque anche all’art. 3, sia per l’ovvia considerazione che l’estero de facto viene riassorbito attraverso la norma de qua, per cui la voluntary non estinguerebbe il reato, e sia perché l’evasione interpretativa beneficerà della sopravvenuta depenalizzazione da attuazione della legge delega. Insomma risulta deficitaria una legislazione che, pensata per sanare e bonificare l’estero, non preveda al suo interno anche la depenalizzazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000. Magari una soluzione equitativa poteva essere la riproposizione della stessa formula espansiva dello scudo fiscale che prevedeva la non punibilità degli stessi. Invece scelte condivise sono state fatte sulla collocazione sistemica nella voluntary del nuovo reato di autoriciclaggio, fino ad oggi qualificato come post factum non punibile, in piena coerenza e aderenza con le indicazioni sovraordinate della stessa Convenzione di Strasburgo, all’art. 6, par. 2, lett d), che facultizza i singoli Stati a prevedere che i reati denominati come riciclaggio non si applicano alle persone che hanno commesso il reato principale. È la scelta (esclusione) fatta fino ad oggi dal nostro legislatore, per cui anche il concorso nel reato tributario esclude la rilevanza penale del reato di autoriciclaggio. Le discontinuità anche su questo profilo extrafiscale (delitto di riciclaggio) affiorano se si considera che la voluntary non copre su questo profilo comportamentale, con l’effetto deteriore che la procedura di auotodenuncia volontaria farà verosimilmente emergere responsabilità di terzi che prima della voluntary hanno collaborato nel nascondimento del profitto fiscale (reato di riciclaggio). Vedremo, invece, che lo “spostamento” in voluntary di queste utilità non costituirà reato ex art. 648-bis c.p., con un sicuro ripristino di coerenze perdute (2).

[-protetto-]

Le coerenze sistemiche perdute vengono invece preservate, alludo ad un necessario coordinamento con la legge madre di delega fiscale, attraverso la sopravvenuta depenalizzazione nei reati cartolari, obliterata dalla nuova voluntary disclosure, prevedendo la legge de qua, appunto, un’esimente/esclusione anche per questi reati da riscossione. L’innovazione è allineata alle indicazioni della legge delega fiscale nella misura in cui in questa si perviene de facto ad una erosione delle responsabilità penali negli omessi versamenti IVA e ritenute, verificata la non ricorrenza in queste modalità comportamentali di intenti fraudolenti, simulatori ed evasivi, vedi art. 8 della legge delega n. 23/2014. Le audizioni conoscitive di queste settimane in vista della preparazione dei decreti attuativi aprono all’ipotesi di depenalizzazione nei reati da riscossione quando non ricorre la frode ovvero quando vi è un atteggiamento collaborativo del contribuente in difficoltà che si autodenuncia sull’illecito. Difatti, il contribuente che non versa – anche a causa e per effetto della crisi congiunturale – quello che ha autoliquidato e autodichiarato non è animato da quelle prefate finalità eversive. Verosimile sarà l’introduzione o il mantenimento, vedi l’attuale disapplicazione ex se della sospensione condizionale della pena per omissioni superiori ai tre milioni di euro, di soglie di rilevanza penale, cui agganciare il disvalore penale negli omessi versamenti. le perplessità e le riserve e le asimmetrie invece restano, se solo si considera che nei reati da riscossione gli imponibili sono dichiarati e le imposte correttamente autoliquidate (non vi è dunque un occultamento dei redditi) diversamente dalla voluntary anche nazionale, laddove invece la “copertura” è ex se sui redditi mai dichiarati ovvero evasi.

Ancora sulle discontinuità ovvero i vizi di coordinamento della legislazione sulla voluntary con la legge madre di delega fiscale (atteggiamento fluttuante del legislatore) evochiamo la disciplina sul raddoppio dei termini decadenziali nella notifica degli atti impositivi. Si vuole dire che il prefato raddoppio è escluso in voluntary per le evasioni black list, verificata la disapplicazione della norma extrafiscale (metasanzionatoria) sul raddoppio dei termini di cui all’art. 12, comma 2-bis, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), nel riassorbimento delle evasioni/patrimoni delle Controlled Foreign Companies (CFC), sia pure al verificarsi di plurime condizioni comportamentali, ovvero collaborative sia del contribuente unitamente allo stato ed autorità finanziarie di localizzazione degli assets esterovestiti, invece viene de facto mantenuto il raddoppio previsto per i reati fiscali. Difatti il regime derogatorio sul raddoppio dei termini opererà in voluntary sugli imponibili riemersi penalmente rilevanti. È evidente che la voluntary non coprirà ex se le annualità nelle quali sono state avviate attività istruttorie endoprocedimentali, verificate le ben note interdizioni preclusioni interinali da voluntary (similmente ad ogni ravvedimento volontario, questa è un ravvedimento rinforzato), quando appunto il controllo fiscale è già avviato, con l’effetto deteriore che questa evasione già monitorata, cartolarmente coperta da atti istruttori, non potrà beneficiare delle riduzioni sovvenzionali da voluntary (limitata alle evasioni vergini, non “assistite”, coperte dal controllo fiscale). Ma nella legge delega il raddoppio opererà solo quando l’invio della notizia di reato avviene nei termini ordinari decadenziali (è uno dei principi direttivi, evitare atteggiamenti ostruzionistici e opportunistici dell’Amministrazione finanziaria), con il portato che non vi potrà essere un invio nei termini ordinari decadenziali della denuncia di reato, diversamente non opererebbe la stessa voluntary. Si vuole dire che non opererà mai ex delega fiscale il raddoppio da voluntary per le evasioni non assistite, coperte dal controllo, per cui è anacronistico il mantenimento del raddoppio per reati fiscali su evasioni non ancora monitorate dall’Amministrazione finanziaria escluse a regime dal prefato raddoppio. Per altro, sugli effetti asistemici del mantenimento del raddoppio dei termini per reati fiscali nella voluntary, si osserva che da una parte abbiamo una depenalizzazione strisciante dei reati dichiarativi, de facto anche in quella più gravi, vedi l’erosione di tre quarti di pena nella fraudolenta, e dall’altra il legislatore rigenera gli stessi ai fini del mero raddoppio. Pertanto, una soluzione equitativa che ripristini le coerenze perdute sarebbe stata quella della disapplicazione del raddoppio previsto nelle diverse norme fiscali ed extrafiscali.

La previsione di una voluntary nazionale per l’evasione domestica (3), una sorta di ravvedimento speciale rinforzato, non asservita, collegata all’esterovestizione dei patrimoni non dichiarati, consentirà ai “gruppi” di bonificare l’evasione endosocietaria, ovunque localizzata. Pertanto, fondi neri, generati da sovrafatturazione di costi o da sottofatturazioni, nella disponibilità ultima dei soci magari all’estero (non è un condizione ontologica questa del possesso extraterritoriale di quelle utilità non dichiarate), potranno essere regolarizzati con i benefit da voluntary. Per tale via tutta la filiera, vedi verticalizzazione dell’evasione endosocietaria nel coordinamento socio/società, potrà essere definita: una scelta multilaterale, condivisa che declina dall’alto verso il basso ovvero dal socio più apicale fino alle sue partecipate, anche estere a rischio di esterovestizione. Una visione plurisoggettiva, coordinata dell’evasione da voluntary, che consentirà a questi attori delle fattispecie multilaterali, vedi società, quelle più apicali holding, sub holding e soci persone fisiche, di definire la propria fiscalità su queste utilità non dichiarate. Verranno così meno le resistenze del socio, de facto dissuaso a regolarizzare il possesso di CFC di attività riconducibili a veicoli endosocietari, impossibilitati ovvero esclusi dalla voluntary, versione originaria, ossia i soci che non hanno mai dichiarato questi assets per l’ovvia considerazione di non aprire un crinale sulle partecipate, anche di diritto estero, vedi stabili organizzazioni occulte o quelle a rischio di contestazioni sulla residenza. Pertanto questa depenalizzazione “rinforzata”, non limitata alle sole evasioni del socio, vedi i fondi esteri societari nelle sue disponibilità, ma estesa anche a quelle delle società partecipate, ripristina le coerenze perdute nell’originaria voluntary che appunto rischiava di generare verosimili code extrafiscali.

Per altro è da ritenere che l’effetto estintivo della punibilità prodotto dalla voluntary possa estendersi anche ai reati connessi nella qualità di amministratore (4), con l’effetto che le evasioni endosocietarie saranno ex se coperte sul profilo penale dalla voluntary del socio. Difatti la vecchia esperienza dello scudo fiscale recupera il concetto di dominus della fonte reddituale (dominio e gestione della società, per un’applicazione estensiva dello scudo anche alle società – effetti penali) con il portato che lo scudo fiscale comporta la non punibilità per i reati commessi dal legale rappresentante di persona giuridica, qualora questi possa essere definito il dominus. Un esonero di responsabilità, limitato alle condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio: la necessaria correlazione fra disponibilità fatte emergere e reato tributario per l’effetto realizzato. Viene così dilatata la nozione di contribuente ricomprendendo in essa anche le società delle quali egli possa disporre come dominus al fine di evitare un’utilizzazione a sfavore della società “dominata” della voluntary del suo socio. Dunque, la nuova voluntary nazionale rafforza questa esclusione penale del reato commesso dall’amministratore che, come ampiamente retro illustrato, dovrebbe operare ex se a regime a prescindere dal coinvolgimento del veicolo partecipato.

Viene mantenuto in voluntary il rilievo penale di alcuni reati extrafiscali ovvero endosocietari, che nel vecchio scudo fiscale erano estinti in tanto e in quanto siano funzionalmente collegati alla commissione dei reati fiscali: il collegamento finalistico e teologico imposto dalla norma del vecchio scudo fiscale (art. 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289), fra reati comuni e societari e reati tributari al fine della depenalizzazione dei primi, con una esclusione della punibilità ad ogni effetto per i reati tributari e per quelli ad essi collegati. In voluntary si recide questo collegamento nella misura in cui i reati endosocietari restano, ancorché serventi quelli endotributari, esclusi. Dunque non opera, diversamente dallo scudo fiscale, l’inclusione, nel novero dei reati per cui varrebbe la preclusione penale, di illeciti realizzabili unicamente nell’ambito delle società di capitali, quali le false comunicazioni sociali – vedi art. 2612 c.c. – e le false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei creditori Invece – vedi art. 2622 c.c. Opererà, anche per il passato, l’esclusione della rilevanza penale del cosiddetto autoriciclaggio per coloro che hanno commesso il reato (fiscale) principale. Per altro l’esclusione de qua vale anche per coloro che hanno concorso nel delitto fiscale presupposto ossia coloro che hanno posto in essere un’attività di occultamento, trasferimento di evasione altrui, verosimilmente saranno responsabili per concorso del delitto fiscale con conseguente non configurabilità del delitto di riciclaggio. Difatti il prefato spostamento (riciclaggio) di utilità altrui evasa, la loro schermatura, si inserisce nella struttura del delitto fiscale: un effetto di assorbimento della condotta nel contesto della fattispecie specializzante ovvero tributaria. Elemento costitutivo del reato di riciclaggio e l’estraneità al reato presupposto. Per le condotte che, invece, integrano il delitto di riciclaggio, perfezionate da terzi estranei al delitto fiscale, verificata l’ampiezza degli obblighi informativi, la voluntary sugli investimenti esteri potrebbe far emergere elementi di loro responsabilità fiscale sul nascondimento del profitto del delitto fiscale.

Sull’introduzione del reato di autoriciclaggio, vedi il nuovo art. 648-bis c.p. (fino al suo avvento, il reale beneficiario delle operazioni di pulitura è stato “immunizzato”) sul trasferimento di utilità da attività illecite non colpose, vanno evitate scelte asistemiche di criminalizzazione di mere destinazioni, impieghi personali delle attività evase. Una riperimetrazione del prefato delitto che tenga conto di questa esclusione che, de facto, non genera un effetto contagio, inquinamento dell’economia sana (istanze equitative e di equilibrio sostanziale), alludo all’immissione nel circuito imprenditoriale di quelle attività non dichiarate (le uniche condotte rilevanti di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa dei capitali). In altri termini, andrebbe riesumata una non perseguibilità del mero reimpiego del nero fiscale (vedi consumazione o godimento dell’evasione), quale post factum non punibile, quando appunto non vi sono vantaggi nell’economia imprenditoriale o finanziaria. È evidente che sulla nuova definizione del reato di autoriciclaggio, autolavaggio, insisteranno i tratti evolutivi della legge delega sulla futura depenalizzazione delle fattispecie evasive meno offensive ed eversive, vedi l’evasione interpretativa. Si vuole dire che la riduzione in delega dei reati fiscali avrà un effetto di scarico delle responsabilità extrafiscali sui comportamenti postumi dell’evasore meno “configurato”. Per cui l’esclusione del reato presupposto fiscale (meno offensivo e fraudolento) chiuderà le porte anche al reato extrafiscale. Anche le riallocazioni e gli atti dispositivi delle mere evasioni da riscossione, cartolari (verosimilmente mantenute in delega), saranno penalmente rilevanti nella prospettiva del nuovo reato di autoriciclaggio. Trattasi di condotte prive ex se di fraudolenza e di intenti evasivi, non sintomatiche di manifestazioni evasive – qui gli imponibili sono autodichiarati fedelmente – per le quali sarebbe stato gradito un atto di desistenza da parte del legislatore delegante (una esclusione della loro rilevanza penale). Invece il verosimile mantenimento in delega del loro disvalore penale apre scenari sull’extrafiscale (doppia punibilità, con un pesante, deteriore cumulo di pena), con l’ovvia esclusione dei trasferimenti di denaro, appunto quale mero corollario del presupposto reato fiscale; pene aggravate saranno previste per gli intermediari e professionisti, impegnati a strutturare la fuga dei capitali rispetto al riciclatore/autoriciclatore. Se i reati presupposti sono fiscali ed extrafiscali ovvero endosocietari, vedi le false comunicazioni sociale in danno della società, le pene oscilleranno tra sei e otto anni, essendo la pena edittale per essi prevista non superiore nel massimo ai sei anni. Pertanto il reato di (auto) riciclaggio è passibile di una sanzione ben più grave di quella applicabile al reato fiscale presupposto. Sulla configurabilità del reato di riciclaggio sui delitti fiscali ovvero sulle utilità evase, oramai, i consensi sono pressoché unanimi, verificato anche l’allargamento dei reati presupposto a tutti i delitti non colposi (5). Valutazioni repressive dunque sia nei confronti di coloro che generano l’evasione e sia nei confronti di coloro (ex post) che ne reintegrano i proventi nel circuito dell’economia lecita. Questo anche quando il reato presupposto ex se non genera ricchezza novella ma preserva l’integrità del patrimonio preesistente attraverso il mancato pagamento dei tributi. L’evasione ontologicamente non genera proventi riciclabili (una corrente di pensiero minoritaria) determinando de facto solo risparmi fiscali che permangono nel patrimonio del contribuente. Il benefit potrebbe configurarsi (seguendo questa linea di pensiero) solo sul reato di emissione di fatture inesistenti quando l’emittente ritrae un compenso per avere determinato un vantaggio altrui (utilizzatore). Invero l’utilità riciclabile (valore economicamente apprezzabile) esiste anche nei reati dichiarativi e va ricercata, scorporando all’interno dell’imponibile non dichiarato, il segmento, quota di imposta non versata che de facto rappresenta il profitto (identificabile) del reato presupposto ovvero l’utilità riciclabile (denaro proveniente dal delitto non colposo). In questa operazione ermeneutica di inclusione dei delitti fiscali nei reati presupposto rileva anche l’utilizzo dell’amplissima formula altre utilità impiegata dal legislatore come formula di chiusura rispetto ai denari e beni. In altri termini, il concetto di utilità riciclabile da intendersi non solo come incremento ma anche come “non impoverimento” nel senso di preservazione della ricchezza preesistente (6).

Le procedure di voluntary saranno coperte da una causa di esclusione, con l’effetto che non si applicherà il nuovo reato di autoriciclaggio sui trasferimenti di utilità rivenienti da reati non colposi fiscali effettuati da colui che aderirà al programma di rientro volontario. Difatti tendenzialmente questi spostamenti dei profitti di reati fiscali, effettuati successivamente all’introduzione del reato di autoriciclaggio e prima dell’intervento della causa di non punibilità sul reato fiscale presupposto, potevano integrare il nuovo reato di autoriciclaggio. Invece sui reati di riciclaggio non vi sono coperture da voluntary, con l’effetto deteriore che la stessa, verificata la perimetrazione sempre più estensiva del delitto di cui all’art. 648-bis c.p., ovvero la sua costante espansione al settore fiscale, rischierà verosimilmente di far emergere responsabilità extrafiscali altrui (il riciclatore). Difatti l’autore del reato fiscale presupposto non risponderà di riciclaggio ante voluntary stante la clausola espressa nell’art. 648-bis c.p. fuori dai casi di concorso nel reato … chiunque sostituisce. Sui rilievi extrapenali del riciclaggio, alludo agli obblighi di identificazione della clientela che gravano ex D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231,sui professionisti e intermediari, dovrebbero operare le coperture, esimenti sistemiche (esclusioni, vedi art. 12, secondo comma, del D.Lgs. n. 231/2007, sulle attività di consulenza giuridica o di stretto contenzioso) nella misura in cui trattasi di informazioni ricevute nell’ambito della consulenza in procedimento giudiziari (anche per evitarli).

Sui delicati rapporti tra reato fiscale presupposto e reato di riciclaggio rileviamo che in base al disposto dell’art. 170 c.p. il legislatore ha previsto un volontario scoordinamento tra gli stessi … quando il reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende ad altro reato, con l’effetto deteriore che tutte le cause di estinzione che dovessero intervenire sul reato presupposto, vedi prescrizione o non punibilità, non si trasferiscono ex se su quello più grave di riciclaggio posto in essere prima dell’effettuazione di un condono o voluntary. Così non si richiede un accertamento giudiziale del reato presupposto, essendo sufficiente la dimostrazione della provenienza delittuosa del denaro oggetto di riversamento nell’economia. Lo stesso dicasi (7) sui delitti fiscali consumati all’estero i cui proventi sono riallocati in Italia per dare vita ad una successiva attività di riciclaggio ivi commessa. Pertanto le condotte di terzi di riciclaggio sui profitti di delitti fiscali poste in essere prima della sopravvenuta causa di non punibilità, vedi voluntary o scudo, rileveranno non essendo venuta meno la dimensione illecita in quel profitto (non ancora affrancato e bonificato).

Ancora sul coordinamento reato fiscale-riciclaggio (8) e sul timing nella consumazione del reato fiscale presupposto, si osserva che i reati dichiarativi perfezionandosi con la presentazione della dichiarazione periodica, potrà verificarsi che l’evasione ovvero la sua circolazione si sia già ex se verificata quando essa dichiarazione (ricognitiva) viene presentata. Si vuole dire che prima della presentazione de qua il reato non si è perfezionato, con l’effetto che nell’attività di trasferimento posta in essere prima non è integrabile alcun disvalore penale (riciclaggio) verificata la mancata consumazione del reato fiscale presupposto. Una sorta di limbo penale nell’orizzonte temporale che separa dalla presentazione della dichiarazione (le attività di trasferimento poste ex ante) nel quale appare inverosimile configurare il delitto di riciclaggio.

Avv. Fabio Ciani

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(1) Le discontinuità, asimmetrie nella stessa legislazione sulla procedura di collaborazione volontaria sono evidenti. Il riferimento è sia sull’esclusione “dall’esclusione da voluntary” del reato di dispositivi di riduzione delle garanzie patrimoniali, ved. art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per i quali appunto non operano esimenti penali, e all’inclusione dei reati cartolari ovvero l’evasione da riscossione nell’esclusione de qua. Diffusi sono i silenzi del legislatore anche sugli obblighi ai fini dell’antiriciclaggio gravanti sui professionisti e intermediari. Limitatamente a questi ultimi dovrebbero operare le esclusioni di cui all’art. 12, secondo comma, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231. Sugli esoneri dagli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, ved. Caraccioli, Normativa antiriciclaggio e responsabilità dei cd. avvocati d’affari, in Riv. dir. trib., 2012, 133 ss.; l’Autore osserva che «nessun dubbio che rientrino direttamente nell’esclusione dell’obbligo di segnalazione le attività direttamente connesse alla mera consulenza della posizione giuridica del cliente ovvero ad un procedimento giurisdizionale, di qualsiasi natura, sia esso in itinere oppure ancora in fieri. Pure con riferimento a queste due situazioni, che sono le più agevoli da circoscrivere, non si possono, comunque, escludere delle situazioni border line, in cui ad es. l’avvocato lasci convergere nella propria sfera giuridica, anche con un unico mandato professionale, poteri correlati ad un attività difensiva (consulenziale o contenziosa) in una con attività finanziarie e immobiliari. In siffatte ipotesi rimarrà (o potrà rimanere) allora in concreto problematico valutare se una certa ipotesi di sospetto si è prodotta a monte nella mente dell’avvocato con riferimento all’una o all’altra parte dell’attività svolta».

(2) Sull’idoneità delle procedure di autodenuncia volontaria ad aprire dei crinali su versanti extrafiscali, ovvero sull’idoneità della confessione di un delitto tributario non punibile, a configurare il reato di riciclaggio a carico di coloro che hanno compartecipato nel nascondimento delle utilità da reato fiscale, ved. Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, in Riv. dir. trib., 2013, 1185 ss.

(3) Sulla multilateralità nella voluntary ovvero sulle fattispecie plurisoggettive non neutralizzate nell’originario D.L. n. 4/2014 ved. Ciani, La multilateralità (ignorata) nella voluntary disclosure: valutazione di sintesi dei costi/benefici fiscali ed extrafiscali nell’iniziativa volontaria, in Boll. Trib., 2014, 884 ss.

(4) Sugli effetti estensivi, espansivi dell’esclusione penale anche alle società ovvero ai reati commessi dagli amministratori di società, sulla scorta anche dell’esperienza del vecchio scudo fiscale, ved. Imperato, Gli effetti penali dello scudo fiscale nella giurisprudenza della Suprema Corte, in Riv. dir. trib., 2014, 35 ss.; l’Autore, nella sua retrospezione storica, si sofferma sull’applicazione estensiva dello scudo attraverso la nuova figura del dominus, in relazione anche all’enunciato (rassicurante) recente di Cass., sez. IV pen., 28 ottobre 2013, n. 44003, in Boll. Trib. On-line, osservando che «lo scudo fiscale comporta la non punibilità anche per i reati commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, qualora questi possa esserne definito il dominus … la nozione di dominus della società rileverebbe anche in ambito penale, in quanto l’adesione allo scudo perfezionata dal dominus potrebbe produrre esclusione della possibilità per i reati commessi in qualità di amministratore della società. Una nozione sfuggente di dominus della società, ricostruita nei termini dettati nella sentenza che si commenta, sarebbe incompatibile con i canoni costituzionali di determinatezza e tassatività prescritti dall’art. 25 cost. … quindi pur non sottovalutando le obiezioni mosse alla tesi ora esposta – fondate in sostanza, sulla constatazione che, in questo modo, verrebbe surrettiziamente introdotto uno scudo fiscale con effetti penali anche per le società (ma si potrebbe controbattere che le società per definizione non possono nutrire preoccupazione di carattere penale) – riteniamo sul punto che anche l’amministratore di società, in quanto tale, indagato per reato tributario, possa ottenere l’effetto estintivo perfezionando lo scudo fiscale. In sostanza la sentenza che si annota ha espresso, a contrario, l’importante principio dell’efficacia estintiva della punibilità quale effetto dello scudo fiscale perfezionato dall’amministratore della società ovvero dai suoi soci».

(5) Sul riassorbimento dei reati fiscali nei reati presupposto, ved. Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, cit., 1169 ss.; l’Autore riesuma anche gli orientamenti internazionali su questo prefato allargamento, osservando che «la Comunicazione del 23 aprile 2012 della Banca d’italia UIF, secondo cui evasione fiscale e riciclaggio sarebbero strumenti strettamente collegati; ciò anche alla luce delle nuove 40 raccomandazioni del GAFI – nel 2012 proprio presieduto dall’Italia – contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo, pubblicate il 16 febbraio 2012». Tali raccomandazioni, che rappresentano il framework di riferimento più efficace per le Autorità per agire contro il riciclaggio, riportano un deciso richiamo ai reati fiscali nel novero dei reati presupposti di riciclaggio.

(6) Sulla non facile identificazione di questa ricchezza cfr. Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, cit.,1175.

(7) Cfr. Cass., sez. II pen., 23 dicembre 2009, n. 49427, in Boll. Trib. On-line.

(8) Sulla prioritaria consumazione del delitto fiscale presupposto, ved.

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Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, cit.,1176 ss.; l’Autore aggiunge che «il periodo che intercorre tra il compimento della transazione occulta es. pagamento di una somma non fatturata, e il perfezionamento del reato tributario (al momento della presentazione della dichiarazione) è così lungo che, sovente, l’attività di sostituzione delle somme corrisposte al fisco (o pagate in relazione a fatture emesse e fronte di operazioni inesistenti) risulta perfezionata prima che sia consumato il reato fiscale, con conseguente impossibilità giuridica di catalogare l’attività di ripulitura del denaro come riciclaggio, prima della consumazione del reato presupposto … una sorta di limbo penale, nel quale appare assai arduo configurare il delitto di riciclaggio, non essendo postulabile un reato presupposto».