30 Novembre, 2018

Massima ineccepibile della Suprema Corte che ribadisce un principio troppo spesso trascurato nelle prassi operative degli Uffici finanziari.
Un contribuente aveva ricevuto un avviso di accertamento interamente fondato su di un processo verbale di constatazione, i cui esiti erano solo richiamati nell’atto, ma non allegati ad esso. A difesa del proprio operato l’Ufficio aveva rilevato come il suddetto processo verbale fosse stato formato con la partecipazione del contribuente che avrebbe anche sottoscritto il documento istruttorio. La parte ha invece dimostrato che la sua partecipazione riguardava il processo verbale di constatazione redatto a suo carico, non anche quello ad esso presupposto, che conteneva gli elementi di contestazione, redatto a carico di terzi.
Correttamente la Suprema Corte, dopo un primo grado sfavorevole al contribuente e l’accoglimento dell’appello da parte della Commissione tributaria regionale, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate, fondando la pronuncia sulla violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente). A norma di quest’ultima disposizione, invero, «se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama». Vale peraltro ricordare, in proposito, che nell’attuazione di tale disposizione nell’ambito delle singole leggi d’imposta, come fra l’altro l’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’assolutezza e la precettività della norma in esame sono state sensibilmente ridimensionate ammettendo la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato, in alternativa alla sua allegazione. Trattandosi di una deroga al principio generale della piena conoscibilità di tutti gli aspetti che concorrono a determinare la motivazione dell’atto impositivo, la stessa deve essere di stretta applicazione e, in ogni caso, non deve mai comportare un deficit di comprensibilità del provvedimento tributario. Tanto, pur senza trascurare la consolidata (e per vero non condivisibile) (1) distinzione di origine giurisprudenziale tra motivazione, che appartiene al novero dei requisiti di legittimità degli atti tributari e che pertanto non può mai mancare nella confezione del provvedimento d’imposta, anche a prescindere dall’ampiezza e completezza della difesa del contribuente (2), e prova della pretesa, che invece può essere offerta anche solo nella successiva sede processuale (3).
In particolare, sul significato da attribuire alla locuzione legislativa “riproduca il contenuto essenziale”, la giurisprudenza della Suprema Corte è consolidata nel ritenere che «nel regime attuale – ma anche in quello immediatamente precedente risultante dall’integrazione giurisprudenziale della normativa espressa – la motivazione per relationem della decisione amministrativa tributaria è, sì, ammessa a condizione che l’atto richiamato sia allegato alla decisione notificata o che l’allegazione possa essere sostituita con la riproduzione del “contenuto essenziale dell’atto richiamato”, ma logica e natura delle cose esigono che, nell’un caso come nell’altro, siano chiari, non solo il contenuto, ma tutti gli elementi delle dichiarazioni richiamate che siano rilevanti per confezionare la motivazione della decisione».
Il risultato così raggiunto consente di affermare che vige il seguente principio di diritto, o, più semplicemente, la seguente norma giuridica: «Se la motivazione del provvedimento amministrativo d’imposizione tributaria è redatta con rinvio ad un’altra dichiarazione amministrativa: a) questa deve essere allegata, oppure b) della dichiarazione richiamata e non allegata si devono riprodurre gli elementi – oggetto, contenuto e destinatari – necessari e sufficienti per la motivazione del provvedimento rinviante» (4). E ancora: «Nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (5).
Si tratta, come si vede, della enunciazione di criteri che richiedono una verifica ex post, alla luce della prova di resistenza rappresentata dall’esame della stesura finale del provvedimento tributario.
In tema di motivazione per relationem, una questione di interesse generale è rappresentata dai limiti di legittimità degli atti impositivi che si risolvono nel richiamo integrale e acritico degli atti istruttori, quali per l’appunto il processo verbale di constatazione, seppure debitamente consegnato o notificato al contribuente.
Sul punto è indubbio che la fondamentale diversità di funzioni attribuita al processo verbale di constatazione, da un lato, e all’avviso di accertamento (vero e proprio provvedimento amministrativo), dall’altro, imporrebbe senza ombra di dubbio che il secondo non si limiti ad una stringata citazione del primo ma esprima quantomeno una sintetica valutazione delle risultanze delle attività istruttorie. Diversamente, si assisterebbe ad una sorta di delega o, se si vuole, di sostanziale abdicazione dell’esercizio della funzione impositiva e, nel contempo, alla confezione di un atto provvedimentale privo di fatto di un requisito essenziale, come la motivazione della pretesa erariale.
In proposito la giurisprudenza della Corte di Cassazione fornisce soluzioni non univoche, verosimilmente anche in ragione della diversità delle casistiche sottoposte concretamente al vaglio del giudice di legittimità.
Così, ad esempio, si è osservato che «L’avviso d’accertamento motivato per relationem, quand’anche con riferimento “acritico” ad atti o verbali formati dalla Guardia di finanza (come da altri organi deputati alla fase investigativa), comunque e infine, non può considerarsi illegittimo in quanto l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto ogni qual volta il contribuente sia stato messo in grado di conoscere l’an e il quantum della maggior pretesa fiscale, a nulla rilevando (Cass., trib., 21 maggio 2001 n. 6888) l’apprezzamento critico che l’ufficio accertatore può avere fatto rispetto agli atti e ai verbali cui ha fatto riferimento nell’avviso, avendoli comunque fatti propri nel momento in cui ha deciso di rinviare, per i motivi dell’imposizione, al contenuto degli stessi. In tal caso, invero (Cass., trib.: 13 ottobre 2006 nn. 22012 e 22013; 11 ottobre 2006 n. 21711; 7 aprile 2006 nn. 8253 e 8254; 28 novembre 2005 n. 25146; 14 novembre 2003 n. 17243; 26 giugno 2003 n. 10205; 26 febbraio 2001 n. 2780), la motivazione per relationem significa semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, la quale, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio» (6).
E più di recente, «Al riguardo, il ricorrente non ha formulato una critica seria ai suddetti indizi riscontrati dalla polizia tributaria, e recepiti nella sentenza impugnata, ma ha sostanzialmente inteso contestare le legittimità dell’utilizzazione degli accertamenti eseguiti dalla g.d.f., eccependo un asserito “difetto di competenza funzionale” ascritto all’agenzia delle entrate per aver essa “rinunciato alla valutazione critica degli elementi posti a fondamento dell’atto impositivo, limitandosi a richiamare gli esiti delle verifiche contenuti nel P.V.C. della g.d.f.”. Occorre confermare l’orientamento consolidato della Corte per cui, nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari puo’ essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (7).
Non mancano però posizioni più garantiste nei riguardi del contribuente, a presidio del corretto espletamento della funzione impositiva: «Invero, il giudice di appello, nel ritenere fondata la doglianza della società appellante in ordine all’acritico recepimento da parte dell’Amministrazione finanziaria del processo verbale di constatazione della G.d.F. “senza svolgere alcuna attività tesa all’acquisizione di un autonomo convincimento basato su prove certe da cui far scaturire l’avviso di accertamento”, e sostenendo che incombe sull’Amministrazione finanziaria – contrariamente a quanto da questa sostenuto – l’attività accertativa (artt. 52 e 53 del D.P.R. n. 633 del 1972) anche avvalendosi della collaborazione della polizia tributaria (art. 61 stesso D.P.R.), non nega affatto validità alla motivazione per relationem, come sostiene la ricorrente nel motivo in esame, né sollecita una ulteriore attività istruttoria da parte dell’Ufficio, ma rimarca “la necessità che questi provveda ad espletare una funzione valutativa ed estimativa consistente nella qualificazione giuridica dei rapporti, atti o documenti, cioè dei fatti rilevati dall’organo investigativo, escludendo che ciò possa essere integrato dal rinvio acritico ad un verbale della G. di F.” (Cass. n. 4350 del 2016)» (8).
Comunque si voglia configurare il confine della motivazione per relationem nella declinazione concreta nelle diverse casistiche degli atti di accertamento, sembra in ogni caso da escludere la legittimità di un provvedimento che si limiti per l’appunto alla sola citazione del processo verbale di constatazione, provvedendo direttamente alla liquidazione dei tributi dovuti e delle sanzioni irrogabili.
Sulla questione della utilizzabilità degli esiti di un processo verbale di constatazione redatto a carico di terzi, è stato da ultimo condivisibilmente osservato che il contribuente contro cui il processo verbale di constatazione è utilizzato ben potrà muovere tutte le contestazioni del caso sulla legittimità del documento istruttorio, a prescindere da quanto eventualmente dedotto o non dedotto dal soggetto originariamente destinatario della verifica. Così, ad esempio, potrà sollevarsi la questione della illegittimità (o della inutilizzabilità) delle prove acquisite in carenza delle necessarie autorizzazioni giudiziarie, e così via (9).
La sentenza che si annota rappresenta, conclusivamente, un opportuno monito agli Uffici finanziari suscettibile di riverberare i suoi effetti in una pluralità di tipologie accertative molto diffuse, quali quelle, tra le altre, in materia di contestazione di operazioni inesistenti, che si sostanziano nella ricaduta, a cascata, su soggetti terzi degli esiti dei controlli svolti a carico di una o più società “cartiere”, a monte o a valle del soggetto sottoposto a verifica (10).

Dott. Luigi Lovecchio

(1) In dottrina si vedano, tra le molte, le opinioni contrarie di CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 121 ss.; e MARCHESELLI, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010, 402 ss. Si vedano altresì VOGLINO, Brevi notazioni in tema di motivazione e prova dell’accertamento tributario, in Boll. Trib., 1997, 1566, in nota a Cass., sez. I, 30 gennaio 1997, n. 11, Cass., sez. I, 18 dicembre 1996, n. 11305, Cass., sez. I, 2 settembre 1996, n. 7991, Cass., sez. I, 22 agosto 1996, n. 7759, e Cass., sez. I, 14 giugno 1996, n. 5506; SCIARRA, I rapporti tra (onere della) prova e (obbligo di) motivazione dell’atto impositivo nell’accertamento fondato sugli studi di settore, ivi, 2004, 466, in nota a Comm. trib. prov. di Macerata, sez. III, 30 dicembre 1993, n. 63.
(2) Sulla funzione non meramente processuale della motivazione si vedano i più recenti arresti dei giudici di vertice: Cass., sez. trib., 20 settembre 2013, n. 21546; Cass., sez. trib., 17 ottobre 2014, n. 22003; e Cass., sez. trib., 9 ottobre 2015, n. 20251; tutte in Boll. Trib. On-line.
(3) Ex multis e tra le più recenti, Cass., sez. trib., 20 gennaio 2016, n. 955; e Cass., sez. trib., 30 maggio 2017, n. 13585; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(4) Così Cass., sez. trib., 29 gennaio 2008, n. 1906, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. Cass., sez. trib., 5 giugno 2013, n. 14189; nello stesso senso si veda anche Cass., sez. VI, 23 novembre 2016, ord. n. 23923; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 16 maggio 2007, n. 11207, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 18 gennaio 2017, n. 1130, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 21 giugno 2016, n. 12794, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cfr. AZZONI, Le magnifiche e progressive sorti del processo verbale di constatazione, in Boll. Trib., 2017, 1122.
(10) Cfr. ANTONINI – MARIELLA, L’obbligo di allegazione degli atti nelle motivazioni per relationem, in Corr. trib., 2017, 949.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Motivazione per relationem al processo verbale di constatazione redatto a carico di un altro soggetto – Mancata allegazione del verbale di constatazione all’avviso di accertamento – Violazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e invalidità dell’accertamento – Conseguono.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Motivazione per relationem – Obbligo di allegare gli atti cui si fa riferimento – Sussiste, ex art. 7 della legge n. 212/2000 – Omessa allegazione di un processo verbale di constatazione redatto a carico di terzi cui si fa riferimento nell’avviso di accertamento – Invalidità dell’accertamento – Consegue.

Lo Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, all’art. 7, nel disciplinare la chiarezza e motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, stabilisce che questi devono essere motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione stessa, stabilendo inoltre che se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, per relationem, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, di talché sussiste l’invalidante violazione del predetto art. 7 della legge n. 212/2000 in caso di mancata allegazione all’avviso di accertamento dell’ivi richiamato processo verbale di constatazione redatto a carico di un altro soggetto.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Spirito, rel. Izzo), 12 gennaio 2017, sent. n. 562, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. C.M., artista del gruppo musicale “Neri per caso”, impugnava con distinti atti tre avvisi di accertamento dell’Agenzia dell’Entrate che, per gli anni di imposta 2000, 2001 e 2002, aveva accertato maggior redditi rispetto a quelli dichiarati a titolo di lavoro autonomo ed erogati dall’Agenzia “The Top Agency” s.r.l.

2. Con sentenza del 20/11/2006 la CTP di Salerno rigettava i tre ricorsi riuniti.

3. A seguito di appello, la CTR di Salerno riformava la pronuncia di primo grado annullando gli accertamenti. Osservava la Commissione che l’Agenzia delle Entrate non aveva provato il rispetto dell’art. 7 del d.lgs. 212 del 2000, laddove è previsto che se la motivazione di un atto rinvia ad un altro, quest’ultimo deve essere allegato. Infatti agli avvisi di accertamento non risultava essere stato allegato il PVC della Guardia di Finanza redatto in danno della predetta agenzia artistica.
Nel merito, inoltre, l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito alcuna prova documentale della erogazione in favore del C. di compensi in “nero” (assegni, bonifici od altro) e pertanto l’accertamento era stato basato su mere presunzioni.

4. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, lamentando:

4.1. La violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. 212 del 2000, laddove la CTR non aveva tenuto conto che l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato viene meno se a detto atto abbia partecipato la parte interessata. Nel caso in esame il C. aveva partecipato all’atto, sottoscrivendo il PVC in ogni pagina, rilasciando anche dichiarazioni finali.

4.2. La violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 600 del 1973 e l’omessa motivazione su punti decisivi, laddove la CTR non aveva dato conto in sentenza e valutato il rinvenimento presso l’Agenzia artistica di documentazione extracontabile (schede di concerti, riepiloghi contabili di prima nota, annotazioni di entrata ed uscita di cassa) che integrava una contabilità in nero determinate gravi indizi di evasione, con onere della prova invertito.
Chiedeva pertanto che la sentenza impugnata fosse cassata.

5. Propone controricorso il C. evidenziando:
5.1. La inammissibilità del ricorso quanto al primo motivo, per non avere formulato la ricorrente un chiaro quesito di diritto.

5.2. La infondatezza del medesimo primo motivo, considerato che il PVC a cui aveva partecipato il C. era quello della G. di F. di Salerno redatto nei suoi confronti, ma non quello da cui era scaturita l’indagine e, cioè, quello della G. di F. di Roma a carico della “The TOP Agency”. In ogni caso il ricorrente non aveva indicato specifici vizi motivazionali.
Chiede pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso ed, in subordine, il rigetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Il ricorso dell’Ufficio è infondato e deve essere rigettato.

2. Quanto al primo motivo va ricordato che lo Statuto del Contribuente (legge 212 del 2000) all’art. 7, nel disciplinare la chiarezza e motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, stabilisce che questi devono essere motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Stabilisce inoltre che se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto (per relationem), questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.
Nel caso in esame l’accertamento a carico del C. traeva spunto da un PVC della Guardia di Finanza a carico della “The TOP Agency” di Roma.
L’Ufficio ricorrente ha ritenuto che non fosse necessaria l’allegazione di tale atto all’avviso di accertamento, perché al verbale aveva partecipato anche il C.
Tale affermazione, come correttamente osservato in controricorso ed indicato in sentenza, è errata. Infatti il C. ha partecipato al verbale redatto dalla G. di F. di Salerno a suo carico in data 21/10/2004, ma non a quello presupposto, in danno della citata “The TOP Agency”, redatto invece dal Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e nel quale il C. non ha avuto alcuna parte.
Pertanto sussiste la violazione del citato art. 7 come rilevato dal CTR di Salerno.

3. In ordine alla circostanza allegata dall’Ufficio ricorrente relativa alla prova dell’evasione, la censura è formulata in modo generico e priva di autosufficienza. Invero nuovamente l’Agenzia delle Entrate fa riferimento a documentazione extracontabile della citata società romana, con valenza indiziaria nei suoi confronti, ma non indica specifici documenti da cui trarre la prova della percezione di compensi in nero da parte del C. (assegni, bonifici od altro).
Sul punto le doglianze formulate invitano in modo generico ad una rilettura del merito della vicenda non consentita in questa sede a fronte di una motivazione della sentenza impugnata coerente e logica.
Si impone per quanto detto il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M. – Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 3.200,00 di cui € 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

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