29 Maggio, 2018

1. Considerazioni introduttive

Con l’annotata sentenza la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale si sia illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50-bis, quarto comma, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), qualora costui abbia già provveduto «all’adempimento, sia pure tardivo dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione [ovvero all’integrazione della fattura del cedente, n.d.r.] ed una registrazione nel registro degli acquisti delle vendite», atteso che «la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione» come statuito dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-272/13 del 2014, relativa al caso Equoland (1), e già ribadito dalla Suprema Corte nelle sentenze n. 16109/2015 (2) e nn. 17814 e 17815/2015 (3).
Al di là del dato ormai pacifico del «divieto di una nuova esazione dell’imposta sul valore aggiunto» assolta formalmente dall’operatore con il sistema dell’inversione contabile, la sentenza in rassegna risulta di grande interesse non solo pratico, in quanto reca l’affermazione che l’IVA ormai qualificabile come «interna» non può essere oggetto di atti impositivi da parte dell’Agenzia delle entrate, ma anche nella ricostruzione sistematica, perché chiarisce che l’IVA all’importazione ha la medesima natura di quella «interna», sebbene possa essere qualificata come «diritto di confine» in virtù del suo peculiare meccanismo di riscossione, e che l’immissione in libera pratica in un deposito IVA comporta non tanto «una sospensione dell’imposizione» ma un vero e proprio «differimento del presupposto impositivo» al momento in cui tali merci saranno estratte dal deposito fiscale per essere commercializzate in Italia.

2. L’assolvimento dell’IVA con il reverse charge integra una mera violazione formale

Com’è noto, in Italia i depositi IVA sono stati regolati dal legislatore come «luoghi spazialmente delimitati» per la custodia dei beni comunitari nazionali oggetto di operazioni commerciali tra due soggetti passivi con il differimento dell’imposizione al momento dell’estrazione della merce dal deposito (art. 50-bis del D.L. n. 331/1993, modificato da ultimo dall’art. 4, settimo comma, del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225). Per avvalersi di questo regime, dunque, i soggetti passivi sono obbligati ai necessari adempimenti dell’«introduzione delle merci» e «dell’estrazione delle medesime» dal deposito (4).
Secondo la Corte di Giustizia il diritto di detrazione è il cardine del sistema dell’IVA, permettendo di dedurre dall’imposta dovuta all’erario quella assolta sugli acquisti di beni e servizi impiegati nella propria attività (5). Pertanto il diritto di detrazione non può essere limitato o escluso in caso di violazione degli obblighi formali (6). Sono obblighi formali quelli relativi alla fatturazione, contabilizzazione e dichiarazione dell’imposta. Questi principi sono stati sanciti in numerose sentenze del giudice europeo e non soltanto nella già citata causa C-272/13 del 2014 richiamata dalla Corte di Cassazione.
Invero, già nella sentenza della Corte di Giustizia europea in cause riunite C-95/07 e C-96/07 del 2008, relativa al caso Ecotrade s.p.a. (7), la Corte di Giustizia aveva stabilito che le violazioni meramente formali e quelle contabili ostano all’introduzione di prassi di rettifica dell’accertamento che impediscano al contribuente di esercitare il diritto di detrazione qualora non vi sia debito d’imposta ovvero non sia provata la malafede o la frode del contribuente. Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-183/14 del 2015, relativa al caso Salomie (8), nella quale è stato stabilito che quando l’Amministrazione finanziaria all’esito di un controllo fiscale decide di assoggettare alcune operazioni all’IVA e imponga il pagamento dell’imposta, essa non può limitare il diritto alla detrazione imponendo condizioni supplementari che possono produrre l’effetto di rendere impossibile l’esercizio di tale diritto.

3. Difetto di legittimazione alla riscossione dell’IVA sia da parte dell’Agenzia delle dogane sia da parte dell’Agenzia delle entrate

La pronuncia in rassegna ha riconosciuto che l’IVA che l’importatore è tenuto a versare al momento della destinazione al consumo delle merci nel territorio di un determinato Stato dell’Unione europea costituisce un «diritto di confine». Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 36 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, afferente il testo unico delle leggi in materia doganale, «costituiscono “diritti di confine”: i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato».
Ora non c’è dubbio, nonostante le incertezze che si rinvengono nella giurisprudenza del giudice di legittimità (9), che l’IVA da versare all’atto dell’importazione delle merci costituisca secondo la classificazione legislativa un «diritto di confine», in quanto anche secondo la giurisprudenza dell’Unione europea costituisce «un’imposta di consumo a favore dello Stato» e, come tale, può essere inclusa nella predetta nozione (10). Nonostante la distinzione tra «IVA all’importazione» ed «IVA interna» che tende a valorizzare il momento impositivo, con la competenza di diverse Autorità fiscali (Agenzia delle dogane per l’importazione, Agenzia delle entrate per l’IVA interna) per l’accertamento e la riscossione, la Suprema Corte ha infine ritenuto che «l’unicità del tributo … non è revocabile in dubbio».
Ne deriva che nel caso in cui l’IVA conseguente all’importazione venga assolta al momento dell’estrazione della merce dal deposito fiscale mediante il meccanismo dell’inversione contabile, legittimata all’attività di controllo sulla correttezza dell’operazione ed eventualmente al disconoscimento del diritto di detrazione, in presenza di malafede o frode, è l’Agenzia delle entrate, e non già l’Agenzia delle dogane, la cui competenza è limitata alla riscossione dell’IVA al momento dell’importazione, quando le merci vengano contestualmente «immesse in consumo» e l’importatore non si avvalga di regimi che comportino il differimento del presupposto dell’imposizione, quali sono l’immissione in un deposito fiscale ovvero il trasferimento in regime sospensivo in un altro Stato membro dell’Unione europea diverso da quello dell’immissione in libera pratica.

4. Considerazioni conclusive

Nel momento in cui può dirsi consolidata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che riconosce la natura di violazione formale alla mancata introduzione della merce in un deposito IVA immediatamente regolarizzata con l’assolvimento dell’imposta mediante «integrazione della fattura del cedente» o «autofatturazione» e la «doppia registrazione» del documento contabile (nei registri IVA acquisti e IVA vendite), ai sensi di quanto previsto dall’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, sancendo l’impossibilità (per difetto del potere impositivo) dell’Amministrazione finanziaria di pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione (11), l’obbligatorietà dell’introduzione della merce in un deposito fiscale e il divieto di utilizzazione di forme di «deposito virtuale» risultano fortemente attenuati.
Tuttavia, come può evincersi dalla stessa giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento della natura di «violazione formale» alla mancata introduzione fisica della merce nel deposito IVA è subordinato alla «tempestiva regolarizzazione» dell’IVA. La natura formale della violazione, peraltro, non esclude l’applicazione della sanzione del 30 per cento dell’IVA di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per il ritardato pagamento dell’imposta, con le riduzioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, oltre a quella di 1/15 per ogni giorno di ritardo per i pagamenti effettuati non oltre il quindicesimo giorno successivo. Secondo l’Agenzia delle dogane, al fine del computo delle riduzioni, la data della regolarizzazione va identificata in quella dell’annotazione dell’autofattura nei registri contabili (12). Secondo quanto disposto dall’art. 4, settimo comma, del D.L. n. 193/2016, al pagamento della suddetta sanzione è obbligato in solido anche il gestore del deposito.
Ne consegue che, qualora sia mancato il tempestivo assolvimento dell’IVA, l’Agenzia delle dogane potrà presumere un tentativo di frode a danno dello Stato (13) notificando al contribuente un avviso di rettifica esecutivo ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374 (14), recante la richiesta di pagamento dell’IVA all’importazione gravante sui beni non introdotti fisicamente nel deposito fiscale.

Dott. Fabrizio Cerioni

(1) Giova ricordare che la Corte di Giustizia europea, nella causa decisa da Corte Giust. UE, sez. VI, 17 luglio 2014, causa C-272/13, Equoland, punto 29, in Boll. Trib. On-line, ha qualificato l’obbligo di introdurre le merci in deposito come avente «carattere formale».
(2) Cfr. Cass., sez. VI, 29 luglio 2015, n. 16109, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Cass., sez. VI, 8 settembre 2015, nn. 17814 e 17815, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(4) Sui depositi IVA si vedano anche il D.M. 20 ottobre 1997, n. 419, e l’art. 16, comma 5-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), nonché la circ. 28 aprile 2006, n. 16/D, in Boll. Trib. On-line; la circ. 20 ottobre 2014, n. 16/D, ivi; e la circ. 24 marzo 2015, n. 12/E, in Boll. Trib., 2015, 682. Per approfondimenti sull’argomento sia consentito rinviare anche a F. CERIONI, Sub art. 50-bis, in P. CENTORE (a cura di), Codice IVA Nazionale e Comunitaria, Milano, 2015, 2437 ss.
(5) La giurisprudenza ha più volte affermato che il sistema delle deduzioni è volto a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Sul punto cfr. Corte Giust. CEE 21 settembre 1988, causa C-50/87, Commissione c. Francia, punti 16-17; Corte Giust. CE, sez. VI, 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, punto 16; Corte Giust. CE, sez. V, 22 febbraio 2001, causa C-408/98, Abbey National, punto 24; Corte Giust. CE, sez. II, 21 aprile 2005, causa C-25/03, HE, punto 70; e Corte Giust. CE, sez. III, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Alex Kittel, punto 48; tutte in Boll. Trib. On-line.
(6) In argomento cfr. anche L. SABBI, Reverse charge, violazioni formali e diritto di detrazione nell’IVA, in Boll. Trib., 2016, 648.
(7) Cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, in Boll. Trib. On-line; nella sentenza la Corte europea ha ritenuto una mera violazione formale l’annotazione delle fatture relative alle spese di trasporto intra UE nel solo registro acquisti.
(8) Cfr. Corte Giust. UE, sez. VII, 9 luglio 2015, causa C-183/14, Salomie, in Boll. Trib. On-line; nella sentenza la Corte europea ha ritenuto una mera violazione formale la mancata registrazione come soggetto IVA dell’associazione costituita da alcuni cittadini (di fatto una società) volta alla realizzazione e alla vendita di 122 appartamenti.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 8 ottobre 2001, n. 12333; Cass., sez. trib., 19 giugno 2009, n. 14307; Cass., sez. III pen., 22 giugno 2015, n. 26202; e Cass., sez. trib., 5 agosto 2016, n. 16463; tutte in Boll. Trib. On-line; di diverso avviso Cass., sez. III pen., 7 settembre 2012, n. 34256; Cass., sez. III pen., 3 luglio 2015, n. 28251; e Cass., sez. trib., 5 agosto 2016, n. 16509; tutte in Boll. Trib. On-line, che ritengono che l’IVA andrebbe qualificata come «tributo interno», ma non come «diritto di confine». In dottrina cfr. S. FIORENZA, Dogana e tributi doganali, in Dig. disc. priv., sez. comm., V, Torino, 1990, 124; e da ultimo F. CERIONI, Gli elementi caratteristici dell’obbligazione doganale, in M. SCUFFI – G. ALBENZIO – M. MICCINESI (a cura di), Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2013, 177 ss.
(10) Così Corte Giust. CEE 5 maggio 1982, causa C-15/81, Schul, in Boll. Trib. On-line. In dottrina ved. P. FILIPPI, L’imposta sul valore aggiunto nei rapporti internazionali, in AA.VV., Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, 1044.
(11) Cfr. Cass. n. 16463/2016, cit.; Cass. n. 16509/2016, cit.; e Cass., sez. trib., 14 settembre n. 2016, n. 18005, in Boll. Trib. On-line.
(12) Si vedano al riguardo le istruzioni diffuse dall’Agenzia delle dogane con la circ. n. 16/D/2014, cit.
(13) La Corte di Giustizia europea, nella causa C-272/13 del 2014, punto 39, cit., ha rilevato che il versamento tardivo dell’IVA può essere qualificato come una mera «violazione formale» solo nel caso in cui non sia stato accertato un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato che presuppone che l’operazione abbia risultato di procurare un vantaggio fiscale indebito. Sulle frodi IVA sia consentito rinviare a F. CERIONI, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione, in Boll. Trib., 2013, 233 ss., in nota a Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167, Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9107, Cass., sez. trib., 23 settembre 2011, n. 19530, Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, ord. n. 608, Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132, Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867, Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943, e Cass., sez. trib., 11 giugno 2008, n. 15395.
(14) Sul recupero dei diritti doganali si rinvia a F. CERIONI, Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria, in Rass. trib., 2004, 383 ss.; e ID., L’accertamento doganale tra garanzie del contribuente ed atti di accertamento esecutivi, in Corr. trib., 2012, 1689 ss.

IVA – Importazioni – Dazi all’importazione – Sono di competenza delle Autorità doganali – IVA all’importazione – Estraneità all’obbligazione doganale – Sussiste.

IVA – Comunità europea – Dazi all’importazione – Sono di competenza delle Autorità doganali – IVA all’importazione – Estraneità all’obbligazione doganale – Sussiste.

IVA – Comunità europea – Depositi fiscali – Meccanismo di assolvimento dell’imposta – Inversione contabile.

IVA – Comunità europea – Depositi fiscali – Art. 50-bis del D.L. n. 331/1993 – Disciplina delle operazioni che possono essere compiute senza il pagamento dell’imposta e trattamento fiscale dell’estrazione dei beni.

IVA – Comunità europea – Depositi fiscali – Art. 50-bis del D.L. n. 331/1993 – Immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA – Costituisce un’operazione senza pagamento dell’IVA.

IVA – Comunità europea – Depositi fiscali – Collocamento della merce presso un deposito fiscale IVA – Scissione tra il momento dell’immissione in libera pratica ed il momento dell’immissione al consumo – Si verifica – Versamento delle imposte doganali e rinvio della corresponsione dell’IVA ad un momento successivo ed autonomo – Estrazione dei beni dal deposito IVA – Assolvimento dell’imposta mediante il meccanismo contabile del reverse charge – Legittimazione dell’Agenzia delle entrate all’attività di controllo – Sussiste.

IVA – Comunità europea – Depositi fiscali – IVA assolta al momento dell’estrazione dei beni dal deposito fiscale mediante reverse charge – Ha natura interna – Inapplicabilità dell’art. 70 del D.P.R. n. 633/1972 – Consegue.

IVA – Importazioni – Immissione solo virtuale della merce nel deposito fiscale IVA da parte dell’importatore – Sospensione di imposta ex art. 50-bis del D.L. n. 331/1993 – Inapplicabilità – Successiva corresponsione dell’imposta da parte del soggetto passivo mediante reverse charge con autofatturazione e registrazione – Diritto alla detrazione in capo al soggetto passivo – Sussiste – Obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione da parte del soggetto passivo – Non sussiste.

Secondo la disciplina unionale di cui al Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e, dal 1° maggio 2016, al Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952, il dazio all’importazione da Paesi terzi è una risorsa propria tradizionale e non comprende l’IVA, la quale, perciò, resta estranea alla “obbligazione doganale”, con la conseguenza che le “autorità doganali” sono quelle che si occupano dell’applicazione della “normativa doganale” e non dell’IVA all’importazione, e che chi accerta e riscuote l’IVA all’importazione non è, ai fini dell’unione doganale, autorità doganale.

I depositi fiscali IVA, la cui disciplina si rinviene nell’art. 50-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), sono luoghi fisici situati nel territorio dello Stato italiano che consentono, mediante l’introduzione della merce negli stessi, che per determinate operazioni l’IVA, ove dovuta, sia assolta dall’acquirente finale solo al momento dell’estrazione dei beni, con il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge).

L’art. 50-bis, primo comma, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), prevede che possono essere introdotti e custoditi nei depositi IVA beni nazionali e comunitari, non destinati alla vendita al minuto durante la loro giacenza in detti locali, e disciplina le molteplici operazioni che possono essere effettuate senza il pagamento dell’IVA sulle merci collocate presso un deposito IVA, di talché il deposito fiscale IVA costituisce uno strumento operativo che consente di assoggettare il bene, all’atto dell’estrazione, al trattamento fiscale della relativa operazione di uscita: cessione interna, comunitaria o cessione all’esportazione.

Rientrano tra le operazioni effettuabili senza pagamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 50-bis, quarto comma, lett. b), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito fiscale IVA, con la conseguenza che i beni provenienti da Paesi terzi possono essere introdotti in un deposito IVA purché preventivamente “immessi in libera pratica”, poiché è indispensabile che i beni provenienti da territori extracomunitari abbiano perso lo status di “merce non comunitaria” e acquisito quello di “merce comunitaria”, così da potere liberamente circolare sul territorio degli Stati membri.

Il collocamento della merce presso il deposito fiscale IVA si connota per la scissione tra il momento dell’immissione in libera pratica ed il momento dell’immissione al consumo, di guisa che, versate le imposte doganali, la corresponsione dell’IVA è rinviata ad un momento successivo ed autonomo, e dato che l’IVA non rientra nell’obbligazione doganale secondo la normativa “unionale” di cui al Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e, dal 1° maggio 2016, al Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952, viene meno l’accomunamento dell’IVA ai diritti di confine previsto dal legislatore nazionale a norma degli artt. 34 e 36 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (TULD), perché, al momento dell’estrazione dal deposito IVA, l’accertamento dell’IVA all’importazione non coincide più temporalmente con l’obbligazione doganale, già assolta in precedenza, con la conseguenza che, nel caso in cui l’IVA con¬seguente all’importazione venga assolta al momento del-l’estrazione della merce dal deposito fiscale IVA me¬diante il meccanismo contabile del reverse charge, è giustificata la legittimazione all’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate, volta al disconoscimento delle detrazioni di imposta conseguite mediante reverse charge e alle deduzioni dei costi da parte del cessionario delle merci in assenza dei presupposti.

Allorquando si controverta di IVA conseguente all’importazione assolta al momento dell’estrazione dal deposito fiscale IVA mediante reverse charge, e non già di IVA all’importazione corrisposta in sede di corresponsione dell’obbligazione doganale, non si applica l’art. 70 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto in primo luogo detta IVA ha una indiscussa natura interna, quand’anche il legislatore nazionale accomuni l’IVA all’importazione ai diritti di confine per esigenze che appaiono solo di economia procedimentale, connesse alla contestuale immissione in libera pratica ed immissione al consumo delle merci, e in secondo luogo esiste una frattura temporale, nel caso di merce collocata presso un deposito fiscale IVA, tra l’immissione in libera pratica e l’immissione al consumo, a cui consegue infatti una differente disciplina applicabile all’IVA di importazione riscossa al momento dell’ingresso delle merci in dogana e a quella assolta mediante autofatturazione al momento dell’estrazione della merce dal deposito fiscale IVA.

L’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale IVA, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50-bis, quarto comma, lett. b), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito fiscale IVA, ha natura formale e non può mettere pertanto in discussione il suo diritto alla detrazione.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Bielli, rel. Tricomi), 5 agosto 2016, sent. n. 16459, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. La Agenzia delle entrate, con avviso n. … per gli anni di imposta 2006 e 2007, notificato in data 21.12.2012, recuperava nei confronti della ditta individuale F.P., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Bari n. 48 del 3.11.2010, IVA, pari ad Euro 130.682,00 (2006) ed Euro 69.320,23 (2007), oltre oneri ed accessori, sulla scorta del pvc in data 6.3.2012 redatto dalla G. di F.
La G. di F., a seguito di controlli incrociati con la società Work System SRL, aveva contestato al contribuente l’indebito utilizzo del deposito fiscale gestito “virtualmente” dalla anzidetta società, in quanto in tal modo sottraeva le merci al pagamento dell’IVA di importazione, nell’ammontare risultante dalle autofatturazioni successivamente emesse ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972; la G. di F. aveva denunciato che la società Work System non era mai stata autorizzata alla gestione del deposito IVA e che la merce non aveva materialmente sostato nel succitato deposito fiscale, in quanto non aveva esercitato la funzione di stoccaggio e di custodia dei beni in esso introdotti, in violazione dell’art. 50-bis del D.L. n. 331 del 1993, conv. in L. n. 427 del 1993.

2. Gli avvisi di accertamento erano impugnati dal contribuente con esito favorevole, previa riunione, sia in primo che in secondo grado.

3. Con la sentenza n. 2061/13/14, depositata il 21.10.2014 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate.
Il secondo giudice riteneva sussistente il difetto di competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate ad accertare e riscuotere l’IVA all’importazione prevista dall’art. 70, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, come eccepito dal contribuente, in quanto la stessa rientrava tra i diritti di confine, il cui accertamento era riservato all’Agenzia delle dogane.
Affermava altresì che, comunque, dalla documentazione in atti non si rilevavano elementi di prova riguardo al comportamento elusivo della contribuente, ciò considerato che il deposito fiscale IVA era stato legittimamente gestito dalla società Work System, come comprovato dal decreto penale di archiviazione emesso nei suoi confronti.
Considerava ancora che l’atto accertativo si fondava su un processo verbale di constatazione redatto dalla G. di F. non conseguente ad un esame documentale, ma basato su dichiarazioni rese da terzi e che l’Ufficio non aveva prodotto elementi concreti di prova a sostegno di quanto contestato.

4. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’intimato fallimento non svolge difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1.1. Primo motivo – Si denuncia la violazione dell’art. 50-bis, comma 5, del D.L. n. 331 del 1993, convertito con L. n. 427 del 1993, degli artt. 62, commi 1 e 2, e 63 del D.Lgs. n. 300 del 1999, e dell’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972 ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.
Osserva la ricorrente che, non essendovi stato accertamento dell’Agenzia delle Dogane per il recupero dell’IVA all’importazione, legittimo era l’intervento dell’Agenzia delle Entrate operato non mediante il recupero dell’IVA all’importazione bensì mediante il disconoscimento della detrazione conseguita con l’estrazione della merce da un deposito “virtuale”, mediante autofattura.
Chiede di affermare il seguente principio “l’Ufficio delle entrate è legittimato ad eseguire controlli per il rispetto degli adempimenti fiscali connessi alla gestione ed utilizzo dei depositi IVA”.

1.2. È utile ricordare che il caso in esame concerne la sussistenza o meno della competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate a verificare il corretto adempimento degli obblighi di assolvimento dell’IVA su merci pervenute nel territorio nazionale da Paesi extra UE e collocate, dopo la immissione in libera pratica e senza il contestuale versamento dell’IVA all’importazione, presso un deposito fiscale dal quale erano state successivamente estratte con assolvimento dell’IVA con la modalità del reverse charge.

1.3. A fronte dell’accertamento compiuto dall’Agenzia delle entrate nei confronti del contribuente, con riferimento a merce di importazione estratta da un deposito fiscale IVA, la Commissione Tributaria Regionale ha affermato lapidariamente che l’Agenzia delle dogane è l’unico organo competente ad accertare e riscuotere l’IVA all’importazione prevista dall’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972, che rientra tra i diritti di confine (fol. 5 della sentenza impugnata) ed ha dichiarato l’illegittimità dell’accertamento.

1.4. Appare opportuno, per un corretto inquadramento della questione in esame, ripercorrere la normativa di riferimento, per quanto di interesse nel presente processo.

1.5. Invero la Commissione territoriale, nell’interpretare l’art. 70, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, procede ad una assimilazione tranciante dell’IVA all’importazione ai diritti di confine, che non trova riscontro nella norma invocata ove, nel disciplinare l’applicazione dell’IVA alle importazioni, è detto al secondo periodo “Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”, dal che si desume che il rinvio normativo riguarda solo i profili procedimentali di accertamento e non quelli strutturali dell’imposta.
Tale perimetrazione, utile a definire in maniera corretta l’ambito di applicazione di detta disciplina e le ricadute in tema di competenza funzionale all’accertamento delle violazioni, trova riscontro nella normativa doganale unionale e nazionale.

1.6. In effetti l’errata interpretazione propugnata dalla CTR trascura la differenza esistente tra la nozione di “obbligazione doganale” che si ricava dalla normativa unionale (Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e – dal 1° maggio 2016 – Reg. UE 9 ottobre 2013, n. 952) e quella desumibile dalla normativa nazionale (D.P.R. n. 43 del 1973 – cd. TULD – e normativa complementare).

1.7. Orbene la materia doganale è di competenza esclusiva dell’UE (art. 3 del TFUE) e si applica direttamente negli Stati membri.

1.8. Secondo la disciplina unionale il dazio all’importazione da Paesi terzi è risorsa propria tradizionale (art. 4, paragrafo 10, Reg. n. 2913/1992) e non comprende l’IVA, la quale, perciò, resta estranea all’“obbligazione doganale” (art. 4, paragrafo 9, Reg. n. 2913/1992; “obbligazione doganale: l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione (obbligazione doganale all’importazione)”).

1.9. Pertanto le “autorità doganali” sono quelle che si occupano dell’applicazione della “normativa doganale” e, non dell’IVA all’importazione (art. 4, paragrafo 4, Reg. n. 2913/1992; rispettivamente, punto 1 e punto 2 del paragrafo unico dell’art. 5 del Reg. UE n. 952/2013). All’adempimento dell’obbligazione doganale, consistente nell’assolvimento delle formalità di importazione e nella corresponsione dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente esigibili in base alla tariffa doganale comune, consegue l’“immissione in libera pratica” nello Stato membro (art. 79 Reg. n. 2913/1992) dei prodotti provenienti da Paesi terzi ai quali è attribuita la “posizione doganale” di merce comunitaria (o unionale).
Ne deriva che, per la normativa unionale, l’autorità doganale accerta e riscuote i dazi all’importazione, mentre chi accerta e riscuote l’IVA all’importazione non è, ai fini dell’unione doganale, autorità doganale.

1.10. Tuttavia al momento dell’importazione, se questa è dichiarata come “definitiva”, si presume la destinazione al consumo delle merci nel territorio doganale e sorge anche l’obbligo di corrispondere l’IVA all’importazione che è tributo interno, per “l’immissione al consumo” (art. 36 T.U.L.D., cioè D.P.R. n. 43 del 1973) e la cui disciplina è riservata al legislatore nazionale.

1.11. Orbene, la normativa nazionale italiana, nel disciplinare l’“obbligazione doganale” vi ha ricompreso i “diritti doganali”, tra cui rientrano i “diritti di confine”, a loro volta comprensivi non solo dei dazi doganali all’importazione, ma anche dell’IVA all’importazione e delle accise, ed invero l’art. 34 T.U.L.D. così recita “si considerano diritti doganali tutti quei diritti che la dogana e tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali. Fra i diritti doganali costituiscono diritti di confine: i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”.

1.12. Se ne deduce che, ove l’immissione in libera pratica e l’immissione al consumo coincidano al momento dell’importazione, l’autorità doganale e quella che accerta l’IVA all’importazione possono coincidere per economia di procedimento, come stabilito dal legislatore nazionale agli artt. 34 e 36 del D.P.R. n. 43 del 1973; ove, invece, l’immissione in libera pratica preceda con un certo intervallo temporale l’immissione in consumo – come nel caso dei depositi IVA che non sono depositi doganali, disciplinati dall’art. 50-bis del D.L. n. 331 del 1993 –, l’autorità che accerta l’IVA conseguente all’importazione a seguito dell’estrazione non coincide con l’autorità doganale.

1.13. In proposito è opportuno ricordare che i depositi fiscali IVA, la cui disciplina si rinviene nell’art. 50-bis, cit., del D.L. n. 331 del 1993, sono luoghi fisici situati nel territorio dello Stato italiano che consentono, mediante l’introduzione della merce negli stessi, che, per determinate operazioni, l’IVA, ove dovuta, sia assolta dall’acquirente finale solo al momento dell’estrazione dei beni, con il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge).

1.14. L’art. 50-bis, comma 1, del D.L. n. 331 del 1993, prevede che possono essere introdotti e custoditi nei depositi IVA beni nazionali e comunitari, non destinati alla vendita al minuto durante la loro giacenza in detti locali, e disciplina le molteplici operazioni che possono essere effettuate senza il pagamento dell’IVA sulle merci collocate presso un deposito IVA. Invero il deposito fiscale IVA è uno strumento operativo che consente di assoggettare il bene, all’atto dell’estrazione, al trattamento fiscale della relativa operazione di uscita: cessione interna, comunitaria o cessione all’esportazione (cfr. nota 7 settembre 2011, n. 84920/RU, nota 5 ottobre 2011, n. 113881/RU, nota 4 novembre 2011, n. 127293/RU, nota 1 febbraio 2012, n. 148047/RU dell’Agenzia delle Dogane).

1.15. Per quanto interessa il caso in esame, rientrano tra le operazioni effettuabili senza pagamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, lett. b) del D.L. cit., “b) le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA”. Ne consegue che i beni provenienti da Paesi terzi possono essere introdotti in un deposito IVA purché preventivamente “immessi in libera pratica”, poiché è indispensabile che i beni provenienti da territori extracomunitari abbiano perso lo status di “merce non comunitaria” e acquisito quello di “merce comunitaria”, così da poter liberamente circolare sul territorio degli Stati membri (v. sub 1.9.).

1.16. Come già ricordato sono considerati in libera pratica in uno Stato UE (art. 79 Reg. n. 2913/1992) i prodotti provenienti da Paesi terzi per i quali siano state adempiute nello Stato membro le formalità importazione, nonché riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili in base alla tariffa doganale comune, trattandosi di materia armonizzata.

1.17. L’immissione in libera pratica dei beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA non costituisce un’importazione in sospensione di imposta, ma un’importazione per cui l’IVA è differita al momento in cui tali merci saranno estratte dal deposito stesso per essere commercializzate in Italia e sarà assolta dai soggetti passivi, con il meccanismo dell’inversione contabile.

1.18. Il collocamento della merce presso il deposito fiscale IVA, quindi, si connota per la scissione tra il momento dell’immissione in libera pratica ed il momento dell’immissione al consumo, di guisa che, versate le imposte doganali, la corresponsione dell’IVA è rinviata ad un momento successivo ed autonomo (v. 1.13.).

1.19. La Commissione Regionale non ha tenuto alcun conto di tale circostanza che non confligge con la normativa europea di diretta applicazione, perché l’IVA non rientra nella obbligazione doganale secondo la normativa “unionale”, e che fa venir meno l’accomunamento dell’IVA ai diritti di confine prevista dal legislatore nazionale (artt. 34 e 36 T.U.L.D.) perché, al momento dell’estrazione dal deposito IVA, l’accertamento dell’IVA all’importazione non coincide più temporalmente con l’obbligazione doganale, già assolta in precedenza.

1.20. Ne consegue che, nel caso in cui l’IVA conseguente all’importazione è assolta al momento dell’estrazione della merce dal deposito fiscale IVA mediante il meccanismo contabile del reverse charge, è giustificata la legittimazione all’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate, volta al disconoscimento delle detrazioni di imposta conseguite mediante reverse charge ed alle deduzioni dei costi da parte del cessionario delle merci in assenza dei presupposti, e che la lettura dell’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972, è stata viziata da un errato inquadramento normativo e fattuale della stessa.

1.21. Anche la lettura dell’art. 50-bis, comma 5, del D.L. n. 331 del 1973, che recita “5. Il controllo sulla gestione dei depositi IVA è demandato all’ufficio doganale o all’ufficio tecnico di finanza che già esercita la vigilanza sull’impianto ovvero, nei casi di cui al comma 2, all’ufficio delle entrate indicato nell’autorizzazione. Gli uffici delle entrate ed i comandi del Corpo della Guardia di finanza possono, previa intesa con i predetti uffici, eseguire comunque controlli inerenti al corretto adempimento degli obblighi relativi alle operazioni afferenti i beni depositati” e prevede una pluralità di competenze in tema di controllo in ragione delle molteplici fattispecie in concreto verificabili ai sensi del comma 4, conferma tale interpretazione in relazione alla fattispecie prevista sub b), in esame.

1.22. Tale ricostruzione trova ulteriore conferma anche nella normativa sulle agenzie fiscali, che prevede una doppia competenza, con rapporto di specialità reciproca (artt. 62 e 63 del D.Lgs. n. 300 del 1999): l’Agenzia delle entrate è competente in ordine all’IVA; l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è competente in ordine ai diritti doganali e alla “fiscalità interna negli scambi internazionali”. Questa ripartizione delle competenze, apparentemente problematica, può essere risolta nel senso suddetto: l’Agenzia delle entrate è competente agli accertamenti IVA conseguenti all’estrazione dal deposito IVA; l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è competente agli accertamenti per l’IVA all’importazione, dovuta per la contestuale immissione in libera pratica ed immissione al consumo della merce presso gli uffici doganali.
In altri termini, l’IVA all’importazione è quella che è riscossa al momento del passaggio in dogana, mentre l’IVA conseguente all’importazione e riscossa al momento dell’estrazione dal deposito non è più “fiscalità interna negli scambi internazionali” (v., infatti, l’art. 50-bis del D.L. n. 331 del 1993 sui requisiti del soggetto che provvede all’estrazione dal deposito).

1.23. Questa ricostruzione è in linea con le numerose pronunce della Corte di Giustizia che ribadiscono l’unicità dell’IVA alle importazioni e dell’IVA interna, nel senso che è tributo interno e non dazio doganale, CGCE 5 maggio 1982, C-5/81 (1), Gaston Schul; CGCE 25 febbraio 1988, C-299/86 (2), Drexl; CGCE 17 maggio 2001, C-322/99 e C-323/99 (3), Fischer e Brandenstein; CGUE 29 luglio 2010, C-248/09 (4), Pakora Plus; CGUE 28 luglio 2011, C-106/10 (5), Lidl & Companhia, sull’imponibile, in base all’art. 83 della Direttiva 2006/112/CE; CGUE 17 luglio 2014, C-272/13 (6), Equoland.

1.24. L’unicità del tributo inoltre non è revocabile in dubbio nemmeno in considerazione di alcune sostanziali diversità riscontrabili tra l’IVA ordinaria e l’IVA all’importazione, che invece possono giustificare differenze procedimentali, sia di esazione che di verifica e controllo.
Presupposto: per l’IVA ordinaria: cessione onerosa di un bene o servizio; per l’IVA all’importazione: ingresso di un bene nel territorio, indipendentemente dalla conclusione di un negozio giuridico oneroso o gratuito (Cass. pen. 19 gennaio 1994).
Funzione: l’IVA ordinaria è imposta generale sul consumo plurifase con detrazione dell’imposta a monte, così da incidere sul consumatore finale; l’IVA all’importazione ha il fine di equiparare fiscalmente i prodotti esteri con a quelli similari nazionali (Cass. pen. 5 giugno 1981), se corrisposta in dogana incide immediatamente sull’importatore, anche se non consumatore.
Soggetto passivo: per l’IVA ordinaria: soggetto passivo IVA (categorie soggettive limitate); per l’IVA all’importazione: è dovuta in dogana anche da soggetto privato, purché intenda immettere nel territorio una merce (immissione in libera pratica e immissione al consumo).
Rilevanza delle operazioni: l’IVA ordinaria è pagata periodicamente e proporzionalmente su una massa di operazioni, in relazione al saldo tra imposta dovuta e imposta detraibile; l’IVA all’importazione è dovuta per ogni singola operazione doganale, senza detrazioni.
Imponibile: per l’IVA ordinaria è calcolata sul corrispettivo dell’operazione; per l’IVA all’importazione è calcolato non solo sul corrispettivo, ma anche sui diritti doganali (ad eccezione dell’IVA) e sulle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno dell’Unione.
Adempimenti formali: per l’IVA ordinaria è prevista contabilizzazione, fatturazione, dichiarazione; per l’IVA all’importazione non sono previsti adempimenti.
Disciplina normativa: l’IVA ordinaria è accertata, liquidata e riscossa su una massa di operazioni, in relazione al saldo tra imposta dovuta e imposta detraibile; per l’IVA all’importazione corrisposta in sede di obbligazione doganale, in virtù del rinvio operato dall’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972 si applicano le norme sui “diritti di confine” per l’accertamento e la riscossione (artt. da 3 a 8, e da artt. 10 a 17 del D.Lgs. n. 374 del 1990), nonché per le modalità di pagamento, termini di adempimento, effetti del ritardo nel pagamento, interessi mortori, prescrizione del credito doganale, rimborsi, sanzioni.

1.25. In conclusione nel caso in esame, in cui si controverte di IVA conseguente all’importazione assolta al momento dell’estrazione dal deposito fiscale IVA mediante reverse charge, e non già di IVA all’importazione corrisposta in sede di corresponsione dell’obbligazione doganale, il rinvio all’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972, operato dalla CTR non coglie nel segno e trascura del tutto di considerare: la indiscussa natura interna dell’IVA; la circostanza che il legislatore nazionale accomuna l’IVA all’importazione ai diritti di confine per esigenze che appaiono di economia procedimentale, connesse alla contestuale immissione in libera pratica ed immissione al consumo delle merci; la frattura temporale esistente, nel caso di merce collocata presso un deposito fiscale IVA, tra l’immissione in libera pratica e l’immissione al consumo; la differente disciplina applicabile all’IVA di importazione riscossa al momento dell’ingresso delle merci in dogana ed a quella assolta mediante autofatturazione al momento dell’estrazione della merce dal deposito fiscale IVA.

2.1. Secondo motivo – Si denuncia la violazione dell’art. 50-bis, comma 5, del D.L. n. 331 del 1993, conv. in L. n. 427 del 1993, e degli artt. 2697 e 2727 c.c., 360, comma 1, n. 3) c.p.c.
A parere della ricorrente la Commissione Regionale ha errato nel ritenere che la realtà o virtualità della movimentazione della merce presso la depositeria era estranea alla contribuente, in quanto il deposito era regolarmente autorizzato, come si evinceva dal decreto penale di archiviazione, laddove l’ufficio aveva accertato l’indetraibilità dell’IVA sui pagamenti eseguiti in base a fatture emesse per operazioni ritenute inesistenti in quanto riferite a detrazioni di merci da depositerie “virtuali”, e dunque anche esse inesistenti. Ciò perché la legge richiede la reale immissione dei beni del deposito IVA.

2.2. Il secondo motivo, che inscrive nel tema dell’onere della prova la controversa questione della natura virtuale o meno del deposito fiscale, è inammissibile perché privo di decisività, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia in C-272/13 Equoland.

2.3. Invero l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50-bis, comma 4, lett. b), del D.L. n. 331 del 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13 Equoland (Cass. 29 luglio 2015, n. 16109 (7) e n. 15988 (8); 8 settembre 2015, n. 17815 (9) e 8 settembre 2015 n. 17814 (10); 29 luglio 2015, n. 16109 (11); si veda anche Cass. 19 settembre 2014, n. 19749 (12)).

2.4. Ne discende che la questione dell’incombenza dell’onere della prova in ordine alla natura effettiva e non meramente virtuale del deposito, con riferimento alla merce estratta mediante autofatturazione, non risulta essere decisiva con evidenti ricadute sul piano dell’ammissibilità del motivo.

3.1. Va precisato che l’Ordinanza della Corte n. 9278/2016 (13), che ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, non rileva ai fini della individuazione del soggetto legittimato al recupero dell’IVA all’importazione, sia perché tale pronuncia è interlocutoria, sia perché in quel giudizio detta questione non attiene al thema decidendum.

3.2. In conclusione, il ricorso va accolto sul primo motivo, inammissibile il secondo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in altra composizione, per il riesame alla luce del principio espresso e la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte di cassazione, a seguito di riconvocazione, accoglie il ricorso sul primo motivo, inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in altra composizione per il riesame e per le statuizioni in ordine alla spese anche del giudizio di legittimità.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) In Boll. Trib. On-line.
(10) In Boll. Trib. On-line.
(11) In Boll. Trib. On-line.
(12) In Boll. Trib. On-line.
(13) Cass. 6 maggio 2016, n. 9278, in Boll. Trib. On-line.

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