25 Gennaio, 2019

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Brevi cenni sul regime fiscale applicabile ai dipendenti e agli amministratori – 3. Il momento dell’assegnazione dello strumento finanziario – 4. Il periodo di godimento degli strumenti finanziari partecipativi – 5. Conclusioni.

1. Premessa

L’art. 60 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) ha fatto chiarezza sulla qualificazione reddituale dei proventi percepiti da dipendenti (o assimilati) e amministratori in forza del possesso di azioni, quote, o altri strumenti finanziari partecipativi nelle società in cui tali soggetti hanno un legame lavorativo.
In particolare, sono stati individuati i seguenti requisiti necessari a qualificare come redditi di capitale o redditi diversi quanto percepito a seguito del possesso dei suddetti strumenti finanziari:
– l’investimento complessivo (dei beneficiari degli strumenti “speciali”) deve raggiungere la soglia minima dell’1%;
– il rendimento deve essere “postergato” rispetto al rimborso del capitale investito dagli altri investitori e all’ottenimento da parte di questi di un profitto predefinito;
– deve essere rispettato un “holding period” di cinque anni.
Come sottolineato da autorevole dottrina (1), l’introduzione di tale normativa è stata necessaria in quanto alcuni precedenti interventi dell’Agenzia delle entrate hanno fatto sorgere il dubbio che tali remunerazioni maggiorate potessero costituire, anziché redditi di capitale o redditi diversi derivanti dalla posizione di investitore, una remunerazione per l’attività lavorativa prestata.
Qualificare tali proventi come redditi di lavoro o come redditi finanziari ha delle conseguenze importanti: i redditi di lavoro dipendente concorrono a formare il reddito complessivo da assoggettare ad IRPEF con aliquote progressive, mentre gli altri redditi scontano generalmente una tassazione più bassa (2).
In specie, in uno di questi interventi l’Agenzia delle entrate aveva precisato che l’assegnazione non proporzionale di azioni di una società effettuata a vantaggio dei propri manager configurerebbe per tali soggetti un reddito di lavoro dipendente relativamente alla quota non proporzionale delle partecipazioni ricevute, e un reddito di capitale con riferimento ad eventuali proventi (dividendi e plusvalenze) eventualmente incassati successivamente (3).
In tale intervento non è stato chiarito se una siffatta qualificazione reddituale dei componenti finanziari sia subordinata o meno all’esistenza di un rapporto di lavoro.
Con la novella normativa, limitatamente ai casi in cui vengano rispettati i requisiti ivi previsti dell’investimento, è stato chiarito tale dubbio: nella relazione illustrativa al nuovo decreto, infatti, si ribadisce che l’Amministrazione finanziaria aveva già chiarito che tali proventi si configurano quali redditi di capitale quando la partecipazione agli utili non è subordinata all’esistenza del rapporto di lavoro, dal momento che il beneficiario potrebbe continuare a mantenere il possesso della partecipazione anche in caso di cessazione del rapporto stesso.
Il dubbio che rimane è se, con riferimento a situazioni non del tutto conformi alla nuova previsione normativa, i proventi in parola possano rientrare automaticamente fra i redditi di lavoro dipendente o assimilato.
In altri termini ci si chiede se:
• la nuova disposizione vada assunta come presunzione assoluta al ricorrere di determinate condizioni per cui – al di fuori del suo ambito applicativo – la natura dei proventi correlati ai titoli di partecipazione vada valutata caso per caso;
• oppure sia l’unica fattispecie a cui applicare il regime fiscale sopra descritto.
Con la circolare a commento della nuova normativa (4) l’Agenzia delle entrate pare confermare che l’assenza di una delle condizioni richieste non comporta – quale conseguenza – l’automatica riqualificazione del provento come reddito da lavoro. In altri termini la carenza di uno o più presupposti stabiliti dalla novella richiede un’analisi volta a verificare caso per caso la natura del provento. Un criterio rilevante di valutazione è sicuramente l’idoneità dell’investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la correlata esposizione al rischio di perdita del capitale investito che contraddistingue l’investimento del management. Anche l’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management) può essere un indicatore della natura finanziaria del reddito in questione nella misura in cui riflette la remunerazione del rischio di perdita assunto con l’investimento.
Al fine di verificare il regime fiscale degli strumenti finanziari che non rispettano le condizioni previste dalla nuova normativa potrebbero essere utili anche le seguenti considerazioni.

2. Brevi cenni sul regime fiscale applicabile ai dipendenti e agli amministratori

È necessario fin da subito precisare che, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, ai sensi dell’art. 51, primo comma, del TUIR, il loro reddito imponibile è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
Con riguardo agli “amministratori” e ai “collaboratori continuativi”, si ricorda che ai fini delle imposte sui redditi l’art. 50, primo comma, lett. c-bis), del TUIR, assimila ai redditi di lavoro dipendente «le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore di società, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente o nell’oggetto dell’arte o professione esercitate dal contribuente».
Per la relativa determinazione l’art. 52 del TUIR rinvia alle disposizioni sul reddito di lavoro dipendente contenute nell’art. 51.
Il legislatore ha previsto delle norme agevolative nell’ambito dell’assegnazione di azioni o altri strumenti partecipativi a favore dei manager; si pensi, ad esempio, a quella prevista a favore dei dipendenti di start-up innovative o degli incubatori certificati, per cui i componenti derivanti dall’assegnazione di strumenti finanziari, opzioni, o simili incentivazioni, sono esclusi dalla formazione del reddito da lavoro dipendente (5); nonché alle misure introdotte con la legge di Bilancio 2017 sul c.d. “welfare aziendale”, secondo cui non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente né sono soggetti all’imposta sostitutiva del 10% le azioni distribuite ai dipendenti a seguito della conversione del premio di risultato, anche oltre il limite di esenzione pari a 2.065,83 euro (6).
Fatte queste necessarie premesse è, a questo punto, possibile verificare quale possa essere il corretto trattamento fiscale applicabile agli strumenti finanziari assegnati ai dipendenti, analizzando separatamente:
a) il momento di assegnazione dello strumento finanziario;
b) il periodo di godimento degli stessi, con la percezione di dividendi e/o altri rendimenti.
Il momento della cessione dello strumento finanziario non genera, invece, particolari criticità sotto il profilo del suo trattamento fiscale.

3. Il momento dell’assegnazione dello strumento finanziario

Com’è stato anticipato, il momento dell’offerta dello strumento partecipativo può rilevare come reddito di lavoro dipendente.
In alcuni casi, però, come quello in cui vengono forniti opere e servizi in cambio degli strumenti, ciò potrebbe non verificarsi, dato che in un’occasione l’Amministrazione finanziaria (7) ha chiarito che «è corretto ritenere, come evidenziato dalla prevalente dottrina, anche di fonte ministeriale, che:
– nei casi di apporto di opere o servizi a fronte dell’emissione di strumenti finanziari partecipativi non negoziati in mercati regolamentati o quote di S.r.l., chi effettua l’apporto non consegue redditi in natura, in quanto non è applicabile alcun valore normale, dato che l’art. 9, comma 2, si applica solo ai conferimenti di beni o crediti; …
– nei casi di conferimento di beni o crediti a fronte dell’emissione di azioni, strumenti finanziari partecipativi non negoziati in mercati regolamentati o quote di S.r.l., chi effettua l’apporto consegue redditi in natura, pari alla differenza fra il valore normale dei beni o crediti conferiti e il loro costo fiscale; ciò anche se le partecipazioni ricevute hanno valore maggiore dei conferimenti fatti, anche per effetto dell’art. 2346, comma 4, relativo ai conferimenti non proporzionali; … La ratio della disposizione contenuta nell’art. 9, comma 2, del Tuir è quella di evitare salti d’imposta che si verificherebbero a seguito del riconoscimento in capo alla società conferitaria dei maggiori valori fiscali dei beni conferiti. Da qui la necessità di tassare tali valori in capo al conferente. Risulta evidente che la predetta esigenza non si pone laddove venga esclusa la rilevanza, ai fini fiscali, dei maggiori valori iscritti presso la conferitaria. Pertanto, si deve ritenere che la disciplina fiscale dettata per i conferimenti non trovi applicazione nell’ipotesi in cui gli apporti abbiano ad oggetto opere e servizi. In tal caso, infatti, a fronte dell’emissione di strumenti finanziari partecipativi la società non iscrive alcun valore nel proprio attivo di bilancio e ciò in quanto gli strumenti finanziari emessi a fronte dell’apporto di opere e servizi non determinano alcun incremento contabile del patrimonio netto; ciò in ossequio al divieto della loro imputazione a capitale in virtù dei vincoli posti dalla II Direttiva comunitaria (Direttiva n. 77/91/CEE del Consiglio del 13 dicembre 1976) che vieta il conferimento di opere e servizi nelle società per azioni. Quanto detto trova conferma anche nella lettera dell’art. 9, comma 2, secondo periodo, del Tuir che fa riferimento soltanto ai “beni” e ai “crediti”.
Pertanto, si ritiene che non sia possibile applicare la disciplina fiscale dettata per i conferimenti dei beni anche agli apporti di opere e servizi».
Tanto premesso, si riporta di seguito un breve excursus sulle varie interpretazioni che si sono susseguite nel tempo, a livello di prassi e dottrina.
Nella relazione illustrativa alla riforma del diritto societario, la Commissione Gallo aveva prospettato alcune soluzioni in merito al trattamento fiscale degli strumenti partecipativi di cui all’art. 2346, ultimo comma, c.c., che, tuttavia, non sono state recepite nel nuovo TUIR. La Commissione aveva escluso che l’attribuzione di strumenti finanziari ai soggetti apportanti opere e servizi fosse espressione di un’operazione di scambio e, di conseguenza, di una remunerazione in natura. Pertanto, il momento di attribuzione degli strumenti non era considerato come momento impositivo per il percettore. Secondo quanto precisato nella circolare, fra le finalità di questa tesi vi era probabilmente anche quella di evitare che l’emissione di questi strumenti subisse eccessive penalizzazioni sotto il profilo fiscale. La configurazione della loro emissione quale momento impositivo per il percettore senza che a ciò corrispondessero costi deducibili per la società emittente avrebbe comportato una penalizzazione fiscale. Una possibile soluzione poteva essere quella di configurare l’emissione come un corrispettivo in natura e di riconoscere alla società emittente un corrispondente costo ai fini fiscali.
La stessa Assonime (8) ha affermato che l’assegnazione di uno strumento finanziario partecipativo con le seguenti caratteristiche: (i) attributivo di un diritto al dividendo; (ii) privo del diritto di voto; (iii) assolutamente intrasferibile; (iv) soggetto a decadenza a fronte dell’uscita del dipendente dalla società; (v) riscattabile in ogni momento e per qualsiasi causa dalla società stessa a un prezzo predefinito, non avrebbe immediata rilevanza reddituale in capo al dipendente, argomentando che «tali titoli, infatti, attribuiscono al dipendente una mera aspettativa alla percezione del dividendo e, non essendo cedibili, non risultano valutabili in base all’art. 9 del TUIR».
Tale interpretazione sarebbe coerente con quanto affermato dall’Agenzia delle entrate in tema di assegnazione al dipendente di opzioni non cedibili all’acquisto di azioni societarie: anche in tali fattispecie è stata, infatti, riconosciuta rilevanza reddituale in capo al dipendente esclusivamente al momento dell’esercizio dell’opzione e non all’atto dell’assegnazione della stessa (9). Riguardo a quest’ultima fattispecie, in particolare, l’Agenzia fiscale ha riconosciuto che «Se il diritto di azione non è cedibile l’assegnazione dello stesso non è di per se stessa tassabile, essendo, invece, assoggettabili a tassazione i titoli e i valori acquistati con l’esercizio dell’opzione» (10).
Inoltre l’Amministrazione finanziaria (11), con riferimento ad una fattispecie di stock option particolare (in cui la società emetteva azioni prive di diritto di voto, con circolazione limitata, e con diritti al dividendo del tutto diversi rispetto alle azioni ordinarie), ha ribadito la rilevanza reddituale per il lavoratore dipendente (12) e che il momento impositivo è l’assegnazione stessa sulla base del valore normale delle azioni. In specie l’assegnazione sarebbe un fringe benefit e in relazione, poi, al valore del fringe benefit, ovvero al quantum da assoggettare a tassazione, l’art. 51, terzo comma, del TUIR, individua nel cosiddetto valore normale, di cui all’art. 9 del TUIR, il criterio generale da utilizzare per valutare i compensi in natura.
Naturalmente, come più volte precisato dall’Amministrazione finanziaria (13), costituisce reddito per il lavoratore dipendente il valore del compenso in natura, come sopra specificato, al netto di quanto corrisposto dal dipendente ovvero trattenuto direttamente dal sostituto d’imposta per il godimento del bene ceduto o del servizio prestato.
Per completezza, va anche ricordata l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria (14) nelle diverse ipotesi di conferimento d’opera e servizi a fronte di quote di società a responsabilità limitata, secondo la quale la prestazione ricevuta e concambiata assume rilevanza fiscale sia per la società sia per i soci conferenti. La prima potrà dedurre il costo relativo alla prestazione ricevuta in base al criterio di competenza, i secondi dovranno sottoporre a tassazione il reddito relativo all’attività svolta in favore della conferitaria. Per questi ultimi il reddito imponibile coinciderà con l’ammontare del capitale emesso.
In particolare, la citata risoluzione n. 35/E/2005 afferma che:
– il conferimento di opere e servizi ha rilievo fiscale anche per il conferente;
– la rilevanza fiscale delle prestazioni matura per il conferente non nel momento in cui questi sottoscrive le quote bensì durante lo svolgimento delle proprie prestazioni;
– per il conferente la componente positiva deve essere rilevata durante la “maturazione” delle prestazioni svolte, la quale è strettamente correlata alle rilevazioni effettuate in capo alla società conferitaria;
– la natura del reddito per il conferente deve essere determinata con specifico riferimento alla tipicità dell’attività da questi svolta;
– con riferimento alla conferitaria, il costo per le prestazioni d’opera e servizi ricevuti è deducibile secondo l’ordinario principio della competenza di cui all’art. 109 del TUIR.
Secondo tale impostazione, la società conferitaria dovrebbe rilevare un credito per il valore della prestazione da ricevere che avrebbe estinzione man mano che la prestazione è ultimata con contropartita i costi per un ammontare corrispondente.

4. Il periodo di godimento degli strumenti finanziari partecipativi

Una volta analizzata la disciplina fiscale applicabile al momento di attribuzione, occorre individuare il trattamento fiscale per la successiva fase di godimento dello strumento, rappresentata dalla percezione degli utili connessi allo strumento e dalla eventuale cessione dello stesso.
A tal fine, è necessario definire le caratteristiche dello strumento e, in particolare, se si prevede che:
– l’assegnazione dei proventi sia rimessa nell’an e nel quantum a determinazioni discrezionali dell’assemblea, ovvero
– l’assegnazione dei proventi sia effettivamente legata all’andamento dei risultati economici della società.
Nella prima fattispecie l’assegnazione dell’utile sarebbe totalmente indipendente dal risultato di esercizio e ciò comporterebbe una sostanziale assenza di condivisione del rischio di impresa da parte del soggetto percettore (15), il quale potrebbe, al limite, ricevere il provento anche se la società non abbia conseguito un utile di esercizio.
Nel secondo caso, invece, risulterebbe condiviso il rischio di impresa, in quanto la percezione del provento sarebbe direttamente legata all’ottenimento di un risultato di esercizio positivo e l’attribuzione dello stesso seguirebbe lo stesso iter di attribuzione degli utili ai soci.
In caso di assegnazione degli strumenti al lavoratore dipendente, se i proventi sono discrezionalmente determinati dall’assemblea, questi dovrebbero qualificarsi quali redditi di lavoro dipendente. Nello stesso senso si esprime Assonime (16), secondo cui i proventi dovrebbero soggiacere al generale principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente stabilito dall’art. 51 del TUIR. Di conseguenza, dovrebbero concorrere alla formazione della base imponibile del soggetto percettore nel periodo in cui sono percepiti.
La Commissione Gallo aveva affermato, senza distinguere in base al criterio di assegnazione dei compensi, che questi costituivano per il prestatore redditi della stessa categoria di quelli derivanti dalla prestazione di opera o servizi. In sostanza, tali proventi venivano determinati con le regole valevoli per gli altri strumenti finanziari di natura partecipativa, ma gli stessi proventi concorrevano a formare il reddito professionale o di impresa del prestatore d’opera, ovvero costituivano un reddito diverso se la prestazione di quest’ultimo era di natura occasionale.
Se il provento fosse, invece, erogato in funzione dei risultati aziendali, questo sarebbe qualificato quale reddito di capitale.
Si rileva che l’art. 44, secondo comma, lett. a), del TUIR, dispone che «si considerano similari alle azioni, i titoli e gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi».
Dal testo di tale disposizione emerge che il legislatore fiscale ha adottato una nozione di strumenti finanziari autonoma rispetto a quella di altre branche del diritto e ha utilizzato un criterio che fa leva sulle caratteristiche della remunerazione considerando, in particolare, assimilati alle partecipazioni gli strumenti finanziari la cui remunerazione risulti “totalmente” commisurata agli utili dell’impresa (o di altra appartenente al gruppo) o dell’affare.
Alla luce del dettato normativo, la natura della remunerazione diviene la chiave per individuare gli strumenti finanziari assimilabili alle azioni: con la conseguenza che possono rientrare tra gli strumenti finanziari assimilati alle partecipazioni anche quelli caratterizzati da un apporto di opere e servizi, purché la loro remunerazione sia totalmente commisurata ai risultati dell’attività d’impresa o dell’affare in relazione al quale gli stessi sono stati emessi.
Quanto sopra esposto trova conferma nei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la circolare 9 aprile 2004, n. 16/E (17), che ha richiamato l’attenzione sul fatto che la nozione degli strumenti finanziari assimilati alle azioni deve essere ricavata anche alla luce del combinato disposto del citato art. 44, secondo comma, lett. a), e dell’art. 109, nono comma, lett. a), del TUIR, il quale, con riguardo alla società emittente, stabilisce l’indeducibilità di ogni tipo di remunerazione dovuta «su titoli, strumenti finanziari comunque denominati, di cui all’articolo 44, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi».
Al paragrafo 2.3 della predetta circolare, infatti, viene precisato che «ogniqualvolta per effetto della disposizione contenuta nell’articolo 109, comma 9, lettera a), viene sancita la totale indeducibilità della remunerazione dei titoli o strumenti finanziari, per ragioni di coerenza sistematica, tale remunerazione non può che essere assoggettata al regime fiscale proprio degli utili da partecipazione, sempre che essa sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società».
Infine, per quanto concerne il trattamento tributario in capo al percettore si osserva che l’assimilazione alle azioni degli strumenti finanziari aventi le caratteristiche sopra evidenziate comporta che per il percettore si renda applicabile lo stesso trattamento previsto per i dividendi.

5. Conclusioni

Come si è cercato si esporre, anche nel caso di assegnazione di strumenti partecipativi che non rispettano i limiti quantitativi e temporali previsti dalla nuova normativa, i proventi conseguiti da tali beni possono essere definiti come redditi di capitale (durante il possesso) o diversi (in caso di cessione).
A tal fine è necessario definire le caratteristiche dello strumento:
– l’assegnazione dei proventi sia rimessa nell’an e nel quantum a determinazioni discrezionali dell’assemblea, divenendo totalmente indipendente dal risultato di esercizio e, perciò, senza di condivisione del rischio di impresa da parte del soggetto percettore, il quale potrebbe, al limite, ricevere il provento anche se la società non ha conseguito un utile di esercizio: dovrebbero qualificarsi quali redditi di lavoro e, di conseguenza, concorrere alla formazione della base imponibile del soggetto percettore nel periodo in cui sono percepiti ovvero
– l’assegnazione dei proventi è effettivamente legata all’andamento dei risultati economici della società, con condivisione del rischio di impresa, e l’attribuzione dello stesso seguirebbe lo stesso iter di attribuzione degli utili ai soci: dovrebbero qualificarsi come reddito di capitale o diverso in caso di cessione (18).
Ciò sembrerebbe essere confermato anche dalla circolare n. 25/E/2017 sopracitata, laddove ha affermato che l’esposizione a un effettivo rischio di perdita del capitale investito da parte del manager possa far propendere per la natura finanziaria del provento. Lo stesso dicasi quando viene consentito al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro, in quanto ciò costituisce un’indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l’attività lavorativa del manager, e indica la natura finanziaria del reddito in questione.

Avv. Fabio Gallio – Avv. Simone Furian

(1) Cfr. circ. Assonime 25 luglio 2017, n. 18, par. 3, in Boll. Trib. On-line.
(2) In caso di strumento assimilato a una partecipazione qualificata, tassazione ordinaria con base imponibile pari al 49,72% (58,14% a partire dagli utili formati dal 2017: così l’art. 1 del D.M. 26 maggio 2017) del provento ricevuto; in caso di partecipazione non qualificata tassazione sostitutiva con aliquota del 26%. Inoltre, in base alla bozza del disegno di legge di Bilancio 2018, n. 2960, dal 1° gennaio 2019 verrebbe meno la distinzione tra partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate ai fini dell’imposizione dei capital gain realizzati da soggetti che non svolgono attività di impresa, estendendo l’ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% a tutte le plusvalenze finanziarie che costituiscono redditi diversi e che risultano ricomprese tra le lett. c) e c-quinquies) dell’art. 67, primo comma, del TUIR.
(3) Cfr. ris. 4 dicembre 2012, n. 103/E, in Boll. Trib., 2012, 1704.
(4) Ved. circ. 16 ottobre 2017, n. 25/E, in Boll. Trib., 2017, 1509.
(5) Cfr. art. 27 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221).
(6) Cfr. circ. Assonime 27 giugno 2017, n. 16, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. circ. 16 marzo 2005, n. 10/E, in Boll. Trib., 2005, 438.
(8) Nel caso n. 6 del 2014.
(9) Si vedano circ. 29 dicembre 1999, n. 247/E, in Boll. Trib., 2000, 42; circ. 25 febbraio 2000, n. 30/E, ibidem, 365; circ. 17 maggio 2000, n. 98/E, ibidem, 826; ris. 20 marzo 2001, n. 29/E, ivi, 2001, 600; circ. 19 giugno 2001 n. 60/E, ibidem, 954; ris. 17 dicembre 2001, n. 212/E, in Boll. Trib. On-line; e ris. 6 agosto 2002, n. 265/E, ivi.
(10) Ved. M. LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo I, Milano, 2010, 911.
(11) Cfr. ris. n. 103/E/2012, cit.
(12) Al riguardo si fa presente che i compensi in natura sono imponibili anche in capo ai soggetti che percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tra cui i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, come, ad esempio, gli amministratori di società.
(13) Cfr., tra l’altro, circ. n. 30/E/2000, cit., e ris. 12 giugno 2002, n. 186/E, in Boll. Trib. On-line.
(14) Cfr. ris. 16 marzo 2005, n. 35/E, in Boll. Trib., 2005, 1137.
(15) Secondo la dottrina (si veda G. STANCATI, Assegnazione di strumenti finanziari partecipativi ai dipendenti, in Corr. trib., 2014, 2893 ss.) il fatto che la determinazione dell’utile sia rimessa alla discrezionalità dell’assemblea determina l’assenza di condivisione del rischio di impresa, e la presenza o meno di condivisione del rischio di impresa sarebbe l’elemento discriminante al fine di qualificare la natura del provento in capo al percettore, l’incedibilità dello strumento, invece, non sarebbe considerata quale variabile rilevante al fine del corretto trattamento fiscale.
(16) Nel caso n. 6/2014.
(17) In Boll. Trib., 2004, 602.
(18) Cfr. anche G. STANCATI, Carried interest e strumenti finanziari di incentivazione al management tra specialità e principi sistemici, in Corr. trib., 2017, 2449 ss.

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