1. Premessa
I commi 639 e seguenti dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014) hanno ridisegnato la fiscalità locale immobiliare a decorrere dal 1° gennaio 2014.
Com’è noto, il citato comma 639 ha introdotto l’Imposta Unica Comunale (IUC) che «si basa su due presupposti impositivi, uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore e l’altro collegato all’erogazione e fruizione di servizi comunali».
L’imposta è costituita da:
– una parte patrimoniale rappresentata dall’Imposta municipale propria (IMU), dovuta dal possessore di immobili, ad esclusione dell’abitazione principale;
– una parte riferita ai servizi, che si articola nella TASI, tributo destinato alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili erogati dal Comune, e nella TARI, tassa per la copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani (1).
Alla luce delle numerose perplessità sollevate al testo introduttivo della IUC, è stato emanato il D.L. 6 marzo 2014, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68), che ha introdotto ulteriori correzioni alla neonata disciplina.
Tale decreto è intervenuto non già sulla singola imposta (IUC) bensì su due dei tre tributi che la compongono, e segnatamente la TARI e la TASI, posto che l’IMU non è stata oggetto d’intervento, se non per la parte che ridefinisce il perimetro di applicazione dell’imposta su terreni agricoli in aree montane. L’art. 22, secondo comma, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), dispone che con decreto ministeriale siano obbligatoriamente individuati i Comuni nei quali a decorrere dal 2014 troverà applicazione ai fini IMU lo stesso regime di esenzione ICI (2).
In questa sede ci soffermeremo sulla TASI, oggetto di diversi interventi legislativi (3) dopo nemmeno un anno dalla sua introduzione, e su talune questioni rimaste ancora aperte che tuttora destano qualche perplessità applicativa e interpretativa, rinviando ad una nota successiva la trattazione delle problematiche connesse all’applicazione della TARI.
2. Il presupposto impositivo della TASI: correzioni introdotte dal D.L. n. 16/2014
L’art. 2, primo comma, lett. f) e g), del D.L. n. 16/2014, ha modificato, rispettivamente, il comma 669 e abrogato il comma 670 per meglio definire il presupposto impositivo della TASI.
La formulazione originaria del comma 669 includeva nel perimetro del tributo i fabbricati e le aree scoperte a qualsiasi uso destinati, mentre il comma 670 stabiliva l’esclusione dall’imposta delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali imponibili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 c.c. non detenute od occupate in via esclusiva (4).
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Tale disposizione aveva taluni profili d’incertezza ai fini della determinazione della base imponibile della TASI, e segnatamente:
– sarebbe stato necessario, dato che le aree pertinenziali scoperte o accessorie, siano esse operative o meno, sono incluse nella rendita catastale dei fabbricati e conseguentemente nella base imponibile della TASI, scomputare dalla rendita catastale la quota parte non imponibile rappresentata dalle aree scoperte non operative escluse dall’imposta;
– sarebbe sorto il problema se ricomprendere tra le aree scoperte da assoggettare ad imposizione anche i terreni agricoli i quali rientrano nella categoria “area scoperta a qualsiasi uso destinata”, posto che non vi era una specifica esclusione di questi ultimi dalla TASI, ma nemmeno una esplicita inclusione. Dal combinato disposto dei commi 669 e 670, infatti, le aree scoperte assoggettate alla TASI sarebbero state tutte le altre aree diverse da quelle edificabili e diverse da quelle aree espressamente escluse ai sensi del comma 670, quali le aree scoperte pertinenziali o accessorie.
In sede di prima interpretazione, peraltro, l’Agenzia delle entrate, nelle risposte fornite all’incontro con la stampa specializzata del 30 gennaio 2014, stante non ci fosse una espressa volontà del legislatore di attrarre a imposizione i terreni agricoli, aveva ricompreso tra i soggetti tenuti al pagamento della TASI il coltivatore diretto e l’imprenditore agricolo professionale iscritto nella gestione previdenziale, in ragione del fatto che non sussisteva una assimilazione della TASI all’IMU. E, invero, l’abitazione principale era da assoggettare alla prima (TASI) e da escludere per la seconda (IMU).
Il legislatore per evitare complicazioni ha risolto in radice tali questioni applicative, uniformando le regole di determinazione della TASI a quelle dell’IMU.
Pertanto, il presupposto per l’applicazione della TASI, alla luce di quanto previsto dall’art. 1, comma 669, della legge n. 147/2013, come modificato dall’art. 2, primo comma, lett. f), del citato D.L. n. 16/2014, è dunque il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati, ivi compresa l’abitazione principale, e di aree edificabili, ad eccezione in ogni caso dei terreni agricoli.
Appare quindi ragionevole escludere dal presupposto del tributo l’area fabbricabile affittata a coltivatore e da questi adibita all’attività agricola. In tale ipotesi, infatti, l’agricoltore essendo il detentore di un’area fabbricabile, ma coltivata, non sarebbe tenuto a corrispondere una quota della TASI in quanto la detiene come terreno agricolo, come detto escluso dall’ambito applicativo del tributo. Se si procedesse in senso contrario, cioè considerando il terreno agricolo, ancorché fabbricabile, soggetto alla TASI, si configurerebbe una palese violazione del principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.), imponendo all’agricoltore un’obbligazione tributaria eccessiva rispetto alla sue potenzialità patrimoniali e reddituali (5).
Tale orientamento era peraltro quello già previsto in sede ICI dall’art. 2, primo comma, lett. b), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, valevole anche ai fini IMU.
2.1. Solidarietà tra soggetti passivi
L’art. 1, comma 671, della legge di stabilità 2014, individua il soggetto passivo della TASI in chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo fabbricati, ivi compresa l’abitazione principale, ed aree edificabili. In caso di pluralità di possessori o di detentori essi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione tributaria.
Tale disposizione, il cui intento era evidentemente diretto a dare certezza e tutelare la fase di riscossione della TASI, in prima battuta, ha generato qualche dubbio per taluni effetti distorsivi che avrebbero potuto prodursi in capo ai contribuenti, siano essi possessori o detentori. Essa infatti prende spunto da quanto previsto al comma 642 dell’art. 1 della legge di stabilità 2014 per la TARI che, com’è noto, rappresenta un prelievo fondato sulla destinazione e l’utilizzo degli immobili, ed è stata traslata su un prelievo di natura patrimoniale come la TASI.
In via di approssimazione e secondo un’interpretazione meramente tuzioristica poteva sembrare che si realizzasse una sorta di solidarietà allargata tra il possessore e il detentore, nel senso che se non pagava il tributo l’uno (possessore) l’Ufficio poteva rivalersi nei confronti dell’altro (detentore) o viceversa.
L’impostazione adottata prevede invece che il soggetto passivo, sia esso possessore o detentore, possa destinare l’immobile in ragione di sue specifiche esigenze, frutto di scelte individuali con eventuali e probabili ipotesi di esenzione. Si realizza in sostanza una sorta di solidarietà paritaria tra due diverse categorie di coobbligati, che indistintamente pongono in essere il medesimo presupposto impositivo. La solidarietà opera quindi autonomamente con riferimento alla “pluralità di possessori” e alla “pluralità di detentori”, non potendo chiedersi al possessore anche la quota non versata dal detentore o viceversa. Il successivo comma 681 (sempre dell’art. 1 della legge di stabilità 2014) chiarisce peraltro che nel caso in cui l’unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, quest’ultimo e l’occupante sono titolari di “un’autonoma obbligazione tributaria”.
Si immagini il caso di una stessa unità abitativa avente un diverso utilizzo da parte di due comproprietari, per il primo è abitazione principale e quindi possesso e occupazione collidono, per il secondo solo il possesso.
In questo caso il primo risulta debitore della TASI e non l‘IMU mentre il secondo sia dell’IMU che la TASI e ognuno paga in base alla propria quota di possesso con l’aliquota relativa alla propria condizione soggettiva (6).
2.2. Immobili oggetto di locazione finanziaria
In caso di locazione finanziaria, l’art. 1, comma 672, della citata legge n. 147/2013, stabilisce che la TASI è dovuta dal locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto; per durata del contratto di locazione finanziaria deve intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipula alla data di riconsegna del bene al locatore, comprovata dal verbale di consegna.
Il legislatore ha volutamente definito il concetto di durata del contratto di locazione, che dovrà essere comprovato da un apposito verbale di riconsegna, al fine di evitare i disguidi già verificatisi in materia di IMU (7). Per identificare la soggettività passiva non è quindi sufficiente la risoluzione del contratto, ad esempio per inadempimento, ma è rilevante il momento di riconsegna del bene, quindi l’effettivo passaggio del possesso.
Tale disposizione ha prodotto i primi effetti sulle numerose controversie delle società di leasing in materia di IMU, contrariamente a quanto riteneva la prassi competente in materia di Enti locali (8). A tal fine giova segnalare la Commissione tributaria provinciale di Treviso n. 392 del 20 maggio 2014, secondo la quale l’IMU sull’immobile concesso in locazione finanziaria è a carico del soggetto che, in quanto utilizzatore, detiene il bene nonostante la pronuncia anche giudiziale di riconsegna, configurandosi la relativa obbligazione in capo al proprietario solo dalla data in cui il bene viene ad esso materialmente riconsegnato. L’interpretazione data dal legislatore in materia di TASI, in caso di locazione finanziaria, al concetto di durata del contratto, deve intendersi connotata come norma ricognitiva anche ai fini dell’IMU, non potendoci essere discrasia tra due tipi di tributi anche per una questione di coerenza del sistema (9). Non avrebbe, infatti, senso ritenere che in materia di durata del contratto di leasing il legislatore abbia voluto adottare due distinti concetti a seconda della componente della IUC (Imposta Comunale Unica) per la quale si discuta, nel riordino dei tributi di spettanza comunale (IMU, TASI, TARI).
Nel caso di soggetti detentori diversi dal locatario finanziario che detengono l’immobile, ad esempio in caso di bene acquistato in leasing e concesso in comodato, in base al comma 672 soggetto passivo del tributo sarebbe il locatario. Tuttavia, posto che la TASI tende a individuare come soggetto passivo il detentore o il possessore del bene (comma 671), in sostanza colui che beneficia dei servizi indivisibili, sembra maggiormente coincidente con lo spirito della norma qualificare soggetto passivo il detentore del bene.
Una deroga al predetto principio generale (comma 671) si ha in caso di detenzione temporanea non superiore a sei mesi calcolati nel medesimo anno solare. In tale caso la TASI, ai sensi del comma 673, è dovuta solo dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso e abitazione e superficie e non dal detentore.
2.3 Base imponibile
La base imponibile della TASI è quella prevista per l’applicazione dell’IMU, di cui all’art. 13, terzo comma, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), vale a dire per i fabbricati la rendita catastale, rivalutata del 5 per cento e moltiplicata per determinati coefficienti, e per le aree fabbricabili, il valore venale in comune commercio.
Per quanto concerne la determinazione delle rendite catastali, potrebbe verificarsi il ricorso alla rendita presunta, ancorché tale modalità di attribuzione del reddito catastale, prevista dall’art. 5, quarto comma, del D.Lgs. n. 504/1992, sia stata abrogata dal 1° gennaio 2007 (10).
Nell’ipotesi che il Comune si sia attivato per applicare la procedura di emersione degli immobili fantasma, di cui all’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ma sia il contribuente che l’ex Agenzia del territorio (oggi com’è noto confluita in quella delle entrate) siano rimasti inerti, il primo non presentando l’aggiornamento della rendita catastale e la seconda non attribuendo un valore d’ufficio, è ragionevole ammettere il ricorso alla rendita presunta.
Il comma 694 prevede infatti che in caso di mancata collaborazione del contribuente o altro impedimento alla diretta rilevazione della rendita, l’accertamento possa essere effettuato in base alle presunzioni semplici di cui all’art. 2279 c.c.
Qualche dubbio rimane sulla possibilità di applicare alla TASI, in ragione del rinvio alla disciplina IMU, la riduzione della base imponibile del 50 per cento prevista per i fabbricati inagibili e storici.
Tuttavia, mentre per i fabbricati in esenzione l’art. 1, terzo comma, del decreto correttivo, interviene espressamente per colmare l’errore del legislatore, individuando i fabbricati in esenzione con il rinvio a quelli di cui all’art. 7, primo comma, lett. b), c), d), e), f), e i), del D.Lgs. n. 504/1992, per la riduzione della base imponibile non vi sono interventi.
Sembrerebbe, pertanto, che non essendo stata espressamente prevista la riduzione non possa essere applicata.
2.4. Aliquote
L’aliquota base prevista per la TASI è pari all’1 per mille. Il Comune può ridurla, sino ad azzeramento con propria deliberazione del Consiglio comunale.
L’aliquota massima della TASI è determinata in relazione al combinato disposto con quella dell’IMU, nel senso che è previsto il vincolo in base al quale la somma delle aliquote TASI e IMU per ciascuna tipologia di immobile non può essere superiore all’aliquota massima del 10,6 per mille, fissata per l’IMU al 31 dicembre 2013.
Per il 2014, è stato previsto che l’aliquota massima non poteva eccedere il 2,5 per mille.
Il D.L. n. 16/2014, con l’art. 1, primo comma, lett. a), è intervenuto sulla determinazione dell’aliquota della TASI, limitatamente al 2014, anche a seguito dell’accordo raggiunto dall’ANCI, secondo il quale i Comuni hanno potuto alternativamente:
a) superare dello 0,8 per mille il tetto massimo rappresentato dall’aliquota IMU del 10,6 per mille, lasciando invariato il limite dell’aliquota TASI 2014 del 2,5 per mille;
b) superare dello 0,8 per mille il tetto massimo del 2,5 per mille stabilito in via transitoria per la TASI;
c) superare entrambe le misure del 10,6 per mille e del 2,5 per mille di una soglia che, complessivamente, non poteva superare lo 0,8 per mille, ripartendo liberamente quindi l’aliquota aggiuntiva tra le due fattispecie prese in considerazione dalla norma.
In tutte le ipotesi sopra riportate lo sforamento del limite massimo di aliquota è stato consentito a condizione che l’extra gettito finanziasse detrazioni o altre misure a favore dell’abitazione principale e delle fattispecie ad esse assimilate sul carico d’imposta TASI.
La norma nel suo complesso ha generato non poca confusione soprattutto sotto l’aspetto operativo.
Proviamo ad immaginare gli scenari che si sono configurati negli Enti locali adottando una delle precedenti ipotesi a), b), e c) sopra esposte:
– a) l’incremento complessivo della tassazione ha colpito sostanzialmente i soggetti passivi IMU, e dunque i contribuenti diversi dai proprietari di abitazione principale;
– b) l’effetto opposto al precedente, ossia sono stati colpiti dalla maggiorazione i proprietari di abitazione principale;
– c) l’aumento dell’aliquota è stato ripartito tra le due fattispecie individuate dalla norma(11).
Si è trattato peraltro di una previsione meramente facoltativa per i Comuni, i quali avrebbero potuto anche non avvalersi del potere di superare il limite ordinario dell’aliquota.
Per completezza, si segnala che in caso di mancato invio delle deliberazioni comunali entro il termine del 10 settembre 2014 (con pubblicazione entro il 18 settembre) sul sito www.finanze.it, il tributo deve essere versato in unica soluzione entro il 16 dicembre 2014, applicando l’aliquota di base dell’1 per mille, comunque entro il limite massimo complessivo stabilito unitamente all’IMU, in relazione alle diverse tipologie di immobili.
A tal fine non rileva l’aumento dello 0,8 per cento introdotto, limitatamente al 2014, dal comma 677 dell’art. 1 della legge n. 147/2013, non si tiene conto di alcuna detrazione e la quota a carico dell’utilizzatore è pari al 10 per cento dell’imposta dovuta.
3.Conclusioni
L’introduzione della IUC, e conseguentemente dell’IMU, della TASI e della TARI, avrebbe dovuto condurre ad una razionalizzazione della fiscalità locale, invece si sta rivelando come il solito trasformismo che maschera una imposta patrimoniale da tributo per fruire di determinati servizi.
Purtroppo, ad un anno dalla sua entrata in vigore ancora emergono notevoli criticità, non soltanto per i soggetti passivi ma anche per gli enti locali i quali si sono rivelati, loro malgrado, non in condizione di supportare l’elevato carico di lavoro cui sono stati sottoposti, per predisporre i bilanci di previsione tenendo conto delle relative entrate. Senza considerare che l’attività di accertamento ancora non è iniziata ed è facile prevedere il caos che ne deriverà.
La fiscalità locale meriterebbe maggiore considerazione, dato che rappresenta un elemento fondamentale per l’equilibrio degli enti locali in ragione dei sempre minori contributi erogati dalla Tesoreria centrale.
A ciò aggiungasi, per concludere, che è in gestazione l’Imposta Immobiliare Semplice (IMIS), contenuta nel disegno di legge della Legge Finanziaria 2015 della Provincia autonoma di Trento. Tale tributo dovrebbe sostituire IMU e TASI (è meglio non pensare al caos normativo che si svilupperebbe se tale indirizzo venisse esteso in ambito nazionale!).
In conclusione, il settore dell’imposizione immobiliare necessita di chiarimenti e semplificazioni urgenti pena la incentivazione della confusione nel campo dei contribuenti e contestualmente in quello dei Comuni.
Prof. Luigi Ferlazzo Natoli – Dott. Paolo Montesano
(1) Quest’ultima rappresenta l’evoluzione della TARES, tributo comunale sui rifiuti e sui servizi istituito dall’art. 14 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), per il finanziamento dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed entrato in vigore nel 2013, ora abrogato dall’art. 1, comma 704, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, a seguito dell’introduzione della IUC.
(2) Il beneficio in questione è stato modellato tenendo conto dell’altitudine riportata nell’elenco di Comuni predisposto dall’ISTAT e diversificando eventualmente tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola e quelli posseduti da soggetti diversi. In ogni caso si è proceduto in modo da ottenere, a decorrere già dal 2014, un maggiore gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro. Il Decreto emanato dal Direttore del Ministero dell’economia e delle finanze del 29 luglio 2014 ha stabilito che entro il 15 settembre 2014 i Comuni dovevano inserire nel portale del federalismo fiscale i dati relativi ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile, non situati in zone montane o di collina, ai fini della compensazione del minor gettito derivante dall’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU), prevista dall’art. 4, comma 5-bis, del D.L. 6 marzo 2014, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68). II mancato inserimento dei dati nel portale entro il termine sopra specificato sancisce l’inesistenza, nel territorio del Comune, di terreni aventi le più volte citate caratteristiche, ai fini della compensazione del mancato gettito IMU, derivante dal nuovo decreto previsto per l’applicazione dell’esenzione di cui all’art. 7, primo comma, lett. h), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Sul punto cfr. nota del Ministero dell’economia e delle finanze 8 settembre 2014, n. 30881, in Boll. Trib. On-line. Per completezza, si segnala che la previgente versione dall’art. 4, comma 5-bis, del D.L. n. 16/2012, invece, prevedeva la mera possibilità di emanare un decreto ministeriale che individuasse i Comuni nei quali operava l’esenzione ICI, ma tale facoltà non è mai stata esercitata né nel 2012 né nel 2013, con la conseguenza che il regime di esenzione ICI previsto per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, ubicate nei Comuni individuati dalla circ. 14 giugno 1993, n. 9/249, in Boll. Trib., 1993, 1072, si era esteso all’IMU.
(3) La disciplina attuale che regola la TASI è il frutto di una serie di interventi che si sono succeduti nel corso del 2014 e che hanno contribuito a delimitare l’ambito applicativo del tributo. In particolare sono stati infatti emanati il D.L. n. 16/2014, il D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), e il D.L. 9 giugno 2014, n. 88, non convertito.
(4) Quanto alla distinzione tra le aree scoperte accessorie o pertinenziali e le aree scoperte operative, essa è stata introdotta dall’art. 269 del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, così come modificato dall’art. 21 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, secondo cui la tassa rifiuti doveva essere applicabile solo alle aree scoperte operative (quelle adibite a campeggi, distributori di carburante, sale da ballo) e non anche a quelle costituenti accessorio o pertinenza di locali già tassati. Ad esempio, ai fini della tassabilità o meno delle aree scoperte destinate a parcheggio, era necessario determinare se queste costituivano aree pertinenziali o accessorie oppure se dovevano essere considerate come aree scoperte operative. Ciò in quanto le prime non erano assoggettabili alla tassa sui rifiuti, mentre le seconde erano soggette a detto tributo. I parcheggi delle abitazioni erano sicuramente definibili come aree scoperte pertinenziali e come tali non tassate, così come per i parcheggi gratuiti ai clienti di attività economiche. Nel caso, invece, di parcheggi di aziende di autotrasporto o per aree destinate ad attività di parcheggi a pagamento l’area scoperta era da considerarsi operativa in quanto utilizzata direttamente per l’esercizio di un’attività economica e pertanto sussisteva il presupposto per l’applicazione della TARSU. Cfr. Lo Iacono, La tassazione in tema di smaltimento dei rifiuti delle aree scoperte, in il fisco, 2013, 4603 ss.; ed ancora Farina Valori, Note sulla (in)fondatezza di alcune pretese avanzate dai comuni negli accertamenti della TARSU, ivi, 2001, 1859.
(5) Ved. nota ANCI-CNC 11 febbraio 2014, n. 36. Sul principio di capacità contributiva cfr. Ferlazzo Natoli, Fattispecie tributaria e capacità contributiva, Milano, 1969.
(6) Cfr. FAQ (risposte a quesiti) del MEF del 4 giugno 2014, risposta n. 11.
(7) La circ. Assilea 2 novembre 2012, n. 32, concernente le istruzioni alla dichiarazione IMU aveva ritenuto che la società di leasing non potesse essere considerata soggetto passivo fintanto che l’immobile non sarebbe stato riconsegnato, anche in caso di risoluzione anticipata del contratto. Per IFEL (cfr. nota 4 novembre 2013), invece, la soggettività passiva spetta al locatario solo per la “durata” del contratto, e quindi in caso di risoluzione dello stesso, tenuta a pagare l’imposta è la società di leasing. L’ex locatario che non ha riconsegnato il fabbricato va qualificato come mero detentore e non come possessore. In tal senso cfr. ris. del Garante del contribuente per la Regione Emilia Romagna 16 gennaio 2014, n. 1972.
(8) Cfr. nota ANCI-CNC n. 36/2014, cit., secondo la quale la definizione del concetto di durata del contratto prevista per la TASI difficilmente avrebbe prodotto effetti sulle numerose controversie delle società di leasing in materia di IMU. Ciò in ragione del fatto che la TASI è dovuta oltre che nei casi di possesso anche per la detenzione dell’immobile, e soprattutto è finalizzata al copertura di servizi indivisibili erogati dal Comune dove è ubicato l’immobile per i quali il maggiore beneficiario è proprio il detentore.
(9) Cfr. Comm. trib. prov. di Treviso, sez. II, 20 maggio 2014, n. 392, in Boll. Trib. On-line.
(10) L’art. 1, comma 173, lett.
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a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha abrogato l’art. 5, quarto comma, del D.Lgs. n. 504/1992, secondo il quale per i fabbricati, non iscritti in catasto, nonché per i fabbricati per i quali erano intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accorpamento di più unità immobiliari, che influivano sull’ammontare della rendita catastale, il valore poteva determinarsi con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti.
(11) Cfr. circ. 29 luglio 2014, n. 2/DF, in Boll. Trib. On-line.