23 Gennaio, 2015

1. Premessa

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno fissato, con i due annotati arresti “simmetrici”, alcuni importanti principi in materia di omessi versamenti di tributi.

Le due sentenze conformi anche per essere state decise entrambe il 28 marzo 2013 e depositate congiuntamente il successivo 12 settembre, sono evidentemente il frutto della necessità di definire omogeneamente alcune importanti accezioni nomofilattiche di due norme omologhe (tranne che per aspetti marginali).

Si tratta degli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (1), introdotti rispettivamente dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311, entrata in vigore il 1° gennaio 2005 e dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), in vigore dal 4 luglio 2006.

Le due pronunce in esame trattano tre temi principali (salvo alcune questioni di minore rilevanza nella parte finale):

a) la c.d. “retroattività” delle suddette sanzioni penali, intesa nel senso dell’applicabilità delle stesse a quei casi in cui il momento consumativo del delitto è successivo all’entrata in vigore della norma (com’è ovvio) mentre l’illecito amministrativo è precedente. Ossia gli omessi versamenti di ritenute certificate relative al periodo gennaio-novembre 2004 (la scadenza dei versamenti delle ritenute di dicembre 2004 era fissata al 16 gennaio 2005 e, pertanto, era successiva all’entrata in vigore della norma penale) e l’omesso versamento dell’IVA dovuta per l’annualità 2005 e 2006 limitatamente a quei versamenti le cui scadenze amministrative erano precedenti al 4 luglio 2006 (per le liquidazioni mensili l’IVA relativa ai primi 5 mesi del 2006);

b) la specialità della sanzione penale rispetto a quella prevista in sede amministrativa;

c) la sussistenza dell’elemento soggettivo nei casi d’intervenuta crisi di liquidità del contribuente obbligato.

2. Il fatto nella sentenza n. 37424/2013

Il Tribunale di Catania dichiarava l’imputato, in qualità di titolare di una ditta individuale, colpevole del delitto di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 per omesso versamento, entro il termine di scadenza del versamento dell’acconto relativo all’anno successivo, dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione presentata per l’anno d’imposta 2005.

La condanna era confermata dalla Corte d’Appello di Catania.

Il ricorso per cassazione, sotto il profilo sostanziale, eccepiva la violazione del principio d’irretroattività della norma penale, poiché il delitto era entrato in vigore il 4 luglio 2006, mentre i versamenti omessi erano scaduti nel corso dell’anno 2005.

In subordine si affermava la non colpevolezza per assenza del dolo e pure per ignoranza scusabile della legge penale anche dovuta a obiettive condizioni d’incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della nuova norma incriminatrice (per ragioni connesse al motivo principale d’impugnazione, ossia la sua inapplicabilità ai mancati versamenti scaduti nel 2005).

[-protetto-]

 

3. Il fatto nella sentenza n. 37425/2013

Il Tribunale d’Isernia assolveva l’imputato dall’accusa del delitto di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.

L’imputazione riguardava l’omesso versamento al 31 agosto 2005 di ritenute risultanti dalla certificazione relative a compensi erogati nel 2004, per violazione dell’art. 2 c.p., poiché i versamenti erano scaduti prima dell’entrata in vigore della norma punitiva.

La Corte d’Appello di Campobasso riformava la sentenza di primo grado condannando l’imputato alla pena di un mese e dieci giorni di reclusione, pena commutata in sanzione pecuniaria.

Il ricorso per cassazione sotto un primo profilo eccepiva la violazione del principio d’irretroattività della norma penale, poiché il delitto era entrato in vigore nel 2005, mentre i versamenti omessi erano tutti scaduti nel corso dell’anno 2004.

In secondo luogo si eccepiva la mancanza dell’elemento psicologico sia per ignoranza scusabile della legge penale, anche dovuta a obiettive condizioni d’incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della nuova norma incriminatrice, sia perché i mancati versamenti erano riconducibili solo alla crisi finanziaria della società.

4. La “retroattività” della sanzione

Il tema della “retroattività” delle sanzioni penali per l’omesso versamento dell’IVA è frutto di alcuni indirizzi giurisprudenziali contrastanti venutisi a formare in relazione all’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, la cui incertezza è stata ritenuta dalla Suprema Corte rilevante anche per l’applicazione dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.

Il riferimento storico in materia risale agli inizi degli anni ‘90.

L’originario testo legislativo riguardo alla repressione penale degli omessi versamenti di ritenute prevedeva una sanzione legata al singolo versamento non effettuato.

L’art. 2, secondo comma, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), recitava: «chiunque non versa all’erario le sanzioni effettivamente operate, a titolo d’acconto o d’imposta, sulle somme pagate è punito con la reclusione».

Tale sanzione penale venne rimodulata dall’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154). Il nuovo testo normativo equivalente all’attuale art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 introdusse una serie di condizioni ulteriori per la rilevanza penale della fattispecie.

Non era più sufficiente il mero omesso versamento ma, oltre alla dilazione del termine penalmente rilevante, subordinando la sanzione penale ai casi in cui l’omissione si protraeva oltre il termine di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta, si introducevano altre due condizioni ai fini della repressione penale: il superamento di una soglia di punibilità e l’avvenuto rilascio della relativa certificazione.

A fronte di questa nuova norma penale, che aveva spostato il termine penalmente rilevante di un minimo di 6/7 mesi fino a circa 1 anno e 6/7 mesi (a seconda se si fossero omesse le ritenute di gennaio o di dicembre), ci si chiese quale potesse essere l’effetto su quelle omissioni di versamenti di ritenute che erano divenute penalmente rilevanti anche per la nuova normativa.

Si osservi che all’epoca vigeva il principio di ultrattività delle norme penali finanziarie, di cui all’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (poi abrogato dall’art. 24, primo comma, del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507).

La fattispecie penale introdotta nel 1991 si prestava, pertanto, ad essere applicata in concorso con la precedente sanzione penale: un’evidente violazione del principio di non duplicabilità della sanzione penale.

Sul punto era intervenuta la sentenza Di Grisostomo (2) che aveva dato rilevanza al tempo di consumazione in sede amministrativa (anche se lo stesso non era più rilevante penalmente): «il tempo di consumazione, quale che sia la disposizione che si debba o si intenda applicare, non può essere che unico, e nel caso in esame, doveva essere individuato, trattandosi di reati omissivi, nel momento utile per realizzare la condotta doverosa … (il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta)».

Quest’attribuzione di rilevanza al termine di versamento in sede amministrativa rendeva necessario, secondo la Suprema Corte, che per l’applicazione della nuova norma penale anche la scadenza amministrativa (oltre a quella rilevante per la norma penale, ossia il termine per la presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta o il termine per il pagamento dell’acconto relativo all’anno successivo) dovesse essere successiva all’entrata in vigore della norma penale.

La nuova norma, si dice, non può che essere rivolta al futuro, ossia alle omissioni (anche in via amministrativa) consumate dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione.

Un’applicazione estensiva del principio di irretroattività della norma penale che almeno apparentemente era da ritenere applicabile alle nuove fattispecie, del tutto similari, introdotte con gli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, soprattutto per l’omesso versamento di ritenute (ma il ragionamento è estensibile, sia pur in presenza di qualche piccola differenza irrilevante ai fini in esame, anche all’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione) che è stato riproposto, infatti, in modo del tutto omologo a quello introdotto dall’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154).

Come in passato, sono previsti il termine dilazionato fissato alla scadenza per la presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta, il superamento di una soglia di punibilità e il rilascio della certificazione ai sostituiti.

L’unica differenza con la vicenda precedente è rilevabile nell’assoluta irrilevanza penale della condotta, sanzionata solo in via amministrativa prima del varo degli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.

Per tale motivo in alcuni casi la Corte di Cassazione (3) ha ritenuto che l’introduzione dei due nuovi reati omissivi, per le fattispecie i cui presupposti (cioè la scadenza amministrativa del versamento) si siano avverati prima dell’entrata in vigore della norma penale, sia irrilevante, dovendosi applicare in tali casi soltanto la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

Tali sentenze richiamano integralmente i principi espressi dalla sentenza Di Grisostomo.

In altri e più numerosi casi la Corte di Cassazione (4) si è espressa in senso contrario, ossia sostenendo che il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva.

Da questa contrapposizione della giurisprudenza di legittimità, come anticipato, sono scaturite le due pronunce annotate, in quanto il contrasto è stato ritenuto (a buon ragione) produttivo d’incertezza applicativa anche riguardo al reato di omesso versamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte, che sancisce l’assenza d’irretroattività nell’applicare la sanzione penale a quelle fattispecie i cui presupposti (la violazione del termine amministrativo) si siano manifestati prima dell’entrata in vigore della sanzione penale (dunque un principio d’irretroattività applicato in senso restrittivo), si pone in palese contrasto con la citata sentenza “Di Grisostomo”.

Di tutto ciò la Suprema Corte è ben conscia, anche se afferma che all’epoca ci si trovava in tema di successione di norme sanzionatorie penali, mentre la nuova materia posta al suo giudizio riguarda semmai il tema della coesistenza tra due sanzioni di diversa natura, amministrativa e penale.

La Corte di Cassazione evidenzia, quasi a giustificare il suo diverso orientamento dai principi contenuti nella “Di Grisostomo”, che la soluzione trovata era «fortemente influenzata … dal principio di ultrattività».

Come dire: se si fosse ritenuta applicabile la nuova sanzione penale introdotta nel marzo del 1991 anche ai versamenti già scaduti in via amministrativa (e penalmente sanzionati in base alla disciplina precedente), per effetto del principio di ultrattività della sanzione penale, la Corte avrebbe prodotto un caso di duplicazione della sanzione penale.

È una forzatura, evidentemente. In quell’ipotesi, infatti, la duplicazione della sanzione penale sarebbe stata, comunque, evitata dall’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p.

Le due sentenze annotate, tuttavia, ritengono opportuno giustificare in tal modo il diverso orientamento precedente del giudice di legittimità.

Le due recenti norme sanzionatorie, artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, pur non provocando una successione di norme penali, realizzano comunque un’ipotesi di successione di norme sanzionatorie.

Ci sembra opportuno evidenziare che le Sezioni Unite, come si vedrà nel paragrafo successivo, hanno dedicato una parte rilevante delle proprie approfondite motivazioni nel negare l’esistenza di un rapporto di specialità tra la violazione amministrativa di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 e la violazione penale di cui agli articoli già citati del D.Lgs. n. 74/2000, nonostante tale analisi possa apparire non necessaria.

L’assenza di specialità è stata, infatti, finalizzata a dimostrare che l’applicazione della disposizione penale in aggiunta alla sanzione amministrativa non costituirebbe violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 4 del protocollo 7 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Senonché il principio del ne bis in idem, come si legge nelle stesse motivazioni delle due sentenze annotate, «si riferisce solo ai procedimenti penali e non può quindi riguardare l’ipotesi di applicazione congiunta della sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in tal senso, espressamente, Corte di Giustizia UE, 26 febbraio 2013, Aklagaen c. Hans Hakerberg Franssoon)».

La Corte poi conferma l’inesistenza della violazione del principio di irretroattività per il solo fatto che le scadenze amministrative dei versamenti periodici siano precedenti alla norma penale. Si ribadisce, così come emerso nell’orientamento prevalente, che ai fini penali si deve avere riguardo al solo termine previsto per il perfezionamento della condotta (ossia il termine di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per l’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 e il termine per il pagamento dell’acconto dell’anno d’imposta successivo per l’art. 10-ter del medesimo decreto).

Prima di giungere ai successivi argomenti, non si può non rilevare la modesta portata applicativa di tale parte della sentenza e, quindi, un effetto limitato in termini di nomofilachia.

I casi ai quali può applicarsi la “retroattività” della sanzione sono già prescritti o lo saranno a breve.

In particolare, escludendosi ipotesi peculiari di recidiva, abitualità o sospensione, i termini di prescrizione del reato di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000) dovute per l’anno 2004, ipotizzando anche l’intervenuto atto interruttivo (ante legge 5 dicembre 2005, n. 251 – c.d. legge “Cirielli” – prescrizione pari a 5 anni + 2 e mezzo), sono scaduti già al 31 marzo o al 30 aprile del 2013, dato che la dichiarazione del sostituto d’imposta per quell’anno doveva presentarsi entro il 30 settembre 2005 (modello semplificato) o il 31 ottobre 2005 (modello ordinario).

Non a caso, infatti, le due sentenze sono state decise il 28 marzo 2013: ancora qualche giorno e il giudice avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione per intervenuta prescrizione in relazione al caso di cui alla sentenza n. 37425/2013.

Per quanto attiene alle vicende “transitorie” inerenti l’omesso versamento dell’IVA, il dies a quo è il 27 dicembre 2006. La prescrizione, compresi i termini di interruzione e al netto di ipotesi peculiari (recidiva, abitualità o sospensione), decorrerà il 27 giugno 2014. Solo per i casi già in giudizio relativi all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, per i quali è ipotizzabile giungere a sentenza definitiva entro la suddetta data, l’arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione potrà, pertanto, avere effettiva incidenza nomofilattica.

Molto più “pesanti”, sotto tale profilo, sono invece i principi che la Suprema Corte ha espresso in relazione ai due successivi punti e, in particolar modo, in riferimento all’elemento soggettivo dei due reati.

5. La specialità tra la sanzione penale e amministrativa

Il principio di specialità tra la sanzione penale e la sanzione amministrativa ha origine già nella disciplina generale delle sanzioni amministrative. L’art. 9, primo comma, della legge 4 novembre 1981, n. 689, recita: «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale».

Tale norma, come previsto nella legge delega, è stata inserita anche all’interno del D.Lgs. n. 74/2000, che all’art. 19, primo comma, prescrive: «quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II [quello che contiene le norme incriminatrici] e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».

Il rapporto di specialità oggetto delle pronunce annotate riguarda l’applicazione contestuale di una delle due disposizioni penali che puniscono omessi versamenti, ossia gli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000, e dell’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, a norma del quale «Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile».

La lettura della norma rende evidente l’immediatezza temporale e di condotta della sanzione amministrativa che, a differenza della sanzione penale, si applica per un comportamento puramente omissivo.

Nelle due sentenze in esame la Corte di Cassazione afferma che tra la sanzione di omesso versamento in sede amministrativa e quella penale non vi è un effettivo concorso di norme, non riguardando le suddette norme “lo stesso fatto”, ma fatti differenti.

Tra la sanzione amministrativa e quella penale, secondo la Corte di Cassazione, vi è un rapporto di “progressione”.

Sempre secondo la Corte di Cassazione le disposizioni penali colpiscono una fattispecie molto più grave di quella sanzionata dalla norma amministrativa.

In materia di omesso versamento di ritenute, infatti, oltre alla violazione amministrativa la condotta richiede:

a) la certificazione delle ritenute ai sostituiti;

b) l’entità dell’omissione, che deve superare euro 50.000 nel periodo d’imposta;

c) il protrarsi del mancato versamento oltre il termine di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta.

Riguardo l’omesso versamento dell’IVA, invece, gli elementi di “progressione” sono:

a) la presentazione della dichiarazione con indicazione dell’imposta dovuta;

b) l’entità dell’omissione che deve superare euro 50.000 nel periodo d’imposta;

c) il protrarsi del mancato versamento oltre il termine di scadenza dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo.

La Corte di cassazione evidenzia, peraltro, che gli elementi di progressione delle due disposizioni penali si collocano in un momento temporale successivo all’omissione amministrativa, circostanza che evidentemente è assunta a conferma del rapporto di progressione.

Il tema della specialità non era stato esaminato in modo approfondito da dottrina e giurisprudenza.

Autorevole dottrina (5) affermava che «i delitti di omesso versamento sono speciali rispetto all’illecito amministrativo di cui all’art. 13 del D.Lgs. 471/1997».

Altri evidenziavano (6) che l’esistenza di elementi aggiuntivi e di “progressività” nella sanzione penale costituisce la naturale conseguenza della sussidiarietà della sanzione penale, che pertanto in linea di massima deve considerarsi quella applicabile in caso di concorso.

Inoltre può essere utile un richiamo alla sentenza 19 gennaio 2011, n. 1235, delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione (7), sia pure in materia di concorso tra norme sanzionatorie penali.

In quel caso la Suprema Corte aveva affermato che «si definisce tradizionalmente norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità».

È stato osservato (8) che la figura dei cerchi concentrici richiama proprio il caso degli omessi versamenti. In tutti i casi in cui vi è l’omesso versamento penalmente rilevante, infatti, necessariamente sussiste un omesso versamento ai fini amministrativi.

La Suprema Corte tuttavia in quel caso applicava una diversa norma, ossia l’art. 15 c.p., in materia di concorso tra norme penali. Diversa anche per tenore letterale è la norma contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 74/2000 e differente è stata l’interpretazione fornita dal giudice di legittimità.

6. la sussistenza dell’elemento soggettivo nei casi d’intervenuta crisi di liquidità del contribuente

Il tema della sussistenza dell’elemento soggettivo nei reati fiscali di omesso versamento è senz’altro molto “caldo” e attuale in un periodo di grave recessione che affligge le imprese e il loro equilibrio finanziario. Seppure le due sentenze dedichino al punto uno spazio marginale, le pur succinte frasi espresse in merito rivestono un’importanza ed una portata applicativa di gran lunga superiore alle approfondite riflessioni che hanno investito gli altri temi della decisione.

Si erano già poste a confronto due contrastanti opinioni (9) emergenti tra dottrina e giurisprudenza traendone, soprattutto esaminando la recente giurisprudenza di merito, un indirizzo intermedio.

Alla tesi rigorosa di chi negava rilevanza alla crisi di liquidità (10) si sono confrontate in dottrina teorie contrapposte e permissive o ipergarantiste (11), tali da far ritenere inesistente il dolo evasivo tutte le volte in cui al momento consumativo il contribuente risultasse privo della liquidità necessaria all’adempimento del pagamento.

A queste due opposte ed estreme conclusioni aveva posto rimedio una posizione (in fondo) univoca della giurisprudenza di merito che, sia pronunciandosi pro-reo che contra-reo, aveva sempre agito allo stesso modo, condannando chi si era limitato a lamentare la crisi finanziaria come causa dell’omesso versamento (12) e assolvendo chi invece, oltre all’assenza di liquidità, aveva corroborato la propria difesa, dimostrando di avere fatto il possibile per tentare di pagare le imposte (ad esempio pagandole parzialmente, sospendendo di corrispondere i compensi agli amministratori, ecc.) ovvero provando la sussistenza di situazioni peculiari, come il mancato incasso di crediti, talvolta finanche verso lo stesso suo creditore per l’IVA o le ritenute: lo Stato o un’altra pubblica Amministrazione.

Si era, pertanto, concluso che «se la difesa si fa parte attrice e produttrice di adeguate prove a sostegno di una posizione soggettiva non “rimproverabile”, i giudici di merito tendono ad assolvere gli imputati, nonostante i principi rigidi espressi dalla Corte di Cassazione» (13).

Il recente arresto delle Sezioni Unite conferma l’indirizzo giurisprudenziale di merito.

Nelle annotate sentenze si evidenzia, anzitutto, che le fattispecie in esame, a differenza delle altre previste nel D.Lgs. n. 74/2000 (escluso l’art. 10-quater), richiedono il dolo generico. Basta dunque la coscienza e la volontà di non versare all’erario le ritenute o l’IVA. Tale coscienza investe, attribuendole un carattere costitutivo, anche il superamento della soglia di euro 50.000.

L’elemento soggettivo emerge chiaramente dal rilascio delle certificazioni e dalla presentazione della dichiarazione IVA, rispettivamente per la fattispecie di cui all’art. 10-bis e per quella di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.

Le due sentenze quindi precisano che non può essere invocata, per escludere la colpevolezza dell’imputato, la crisi di liquidità, salvo che non si dimostri che tale crisi abbia impedito il pagamento delle imposte nonostante si siano adottati tutti i provvedimenti possibili per evitare d’incorrere nell’omissione.

In entrambi i casi la Suprema Corte evidenzia che non è stato dimostrato nulla, tranne l’avere semplicemente e inopinatamente ricondotto il mancato pagamento «alle gravissime difficoltà economiche».

La Corte di Cassazione tratta il tema in modo non approfondito e ampio come invece ha fatto in altri passaggi della decisione.

Dice testualmente che «non può, quindi, essere invocata per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento di scadenza del termine lungo».

Fin qui essa sembra precludere ogni rilevanza della crisi finanziaria.

Ma è l’inciso finale che attribuisce un diverso significato alla prima parte della proposizione: «ove non si dimostri che la stessa [la crisi finanziaria, n.d.r.] non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta».

È evidente, allora, come s’intenda attribuire alla crisi finanziaria non un autonomo potere salvifico, ma il valore di indizio di una condizione di difficoltà che va corroborato dalla dimostrazione di avere tentato ogni strada possibile per evitare l’inadempimento.

Può essere utile allora citare il caso affrontato e oggetto della già citata sentenza del Tribunale di Novara 26 marzo 2013, n. 91000.

La sentenza chiarisce che la colpevolezza va esaminata nell’accezione di “rimproverabilità” della condotta, escludendo la rilevanza di tutte le situazioni di crisi finanziaria. Occorre, infatti, indagare sull’effettivo comportamento del reo, che non è colpevole solo ove abbia agito per evitare il declino e l’evasione, compiendo specifici atti per evitare lo stato d’illiquidità nonostante i quali la crisi si sia comunque sviluppata.

Un tale onere non rientra nella nozione di prova di colpevolezza a carico della pubblica accusa ma nella nozione di “prova contraria” o “controprova” o, come anche si dice, “prova di non colpevolezza”, in forza del fatto che, assolto l’onere probatorio dell’accusa in punto di sussistenza, oggettiva e soggettiva, del fatto-reato, non può che incombere sulla difesa, anche alla luce del più elementare criterio di “vicinanza della prova”, l’onere di apportare un elemento di segno contrario.

Nel caso esaminato la difesa aveva provato che la crisi finanziaria non era riconducibile ad atti distrattivi o dispersivi del patrimonio ma ad un mero errore gestionale.

L’imputata in veste di presidente del consiglio di amministrazione di una società, rilevato l’errore gestionale e l’impossibilità in funzione delle condizioni del mercato di porvi rimedio, aveva tempestivamente provocato lo scioglimento e posto in liquidazione la società. La stessa aveva assunto in prima persona il gravoso compito di liquidatore e aveva, senza alcun obbligo giuridico specifico, contribuito con proprie risorse personali a pagare gli stipendi arretrati e ad ottenere un piano di rateizzazione dei contributi previdenziali, onorandone sempre le rate. Per quanto riguarda il debito tributario, la stessa aveva provato a richiedere la rateizzazione, ma questa volta l’agente della riscossione aveva rifiutato. Giacché il dolo insiste sul profilo squisitamente subiettivo del reato – continua il giudice – e l’atteggiamento psicologico dell’imputata è sempre stato improntato a cercare, con ogni mezzo, di evitare l’omissione dei versamenti fiscali dovuti, bisogna escludere, almeno in via più che fondatamente dubitativa, il dolo evasivo e quindi assolvere l’imputata perché il fatto non costituisce reato.

Vediamo allora le possibili circostanze (ovviamente senza pretesa d’esaustività) che potrebbero convincere i giudici ad assolvere perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., tutte le volte che sussista un effettivo stato di temporanea difficoltà finanziaria (poiché l’insolvenza dovrebbe indurre l’imprenditore a chiedere il fallimento):

1) una posizione fiscale complessivamente sana (corretta tenuta della contabilità, presentazione di tutte le dichiarazioni fiscali e degli altri adempimenti formali, assenza di rilevanti movimentazioni in contanti prive, pertanto, di adeguata tracciabilità, ecc.), salvo che per i fatti connessi al procedimento penale, ed evidentemente l’assenza di altri accertamenti definitivi e non adempiuti;

2) l’occasionalità degli omessi versamenti, ossia la loro non reiterazione per più anni;

3) l’emersione di crediti insoluti di importo congruo in funzione dell’entità dell’omesso versamento e legati a rapporti con soggetti apparentemente solidi nei confronti dei quali si è tentato con ogni mezzo il recupero (il caso ricorrente che è spesso idoneo a sensibilizzare peculiarmente i giudici, per motivi comprensibili, riguarda i crediti nei confronti della pubblica Amministrazione);

4) l’adozione di misure gestionali idonee a superare la crisi finanziaria (taglio di spese di rappresentanza, liquidazione e dismissione di beni quali automobili di grossa cilindrata, natanti o aereomobili, taglio di spese di trasferta quando non proprio necessarie, eliminazione di premi e partite stipendiali di risultato, riduzione dei compensi ai responsabili del consiglio d’amministrazione, razionalizzazione dei processi produttivi e delle spese generali, ecc.);

5) attivazione della procedura di rateazione del debito tributario in anticipo rispetto alla notifica della comunicazione d’irregolarità da parte dell’Agenzia delle entrate e, in genere, l’adempimento del piano rateale di estinzione del debito;

6) prestazioni di fideiussioni o di altre garanzie o finanziamenti da parte della compagine sociale o dell’imprenditore individuale, finalizzati al superamento della crisi finanziaria;

7) riduzione o rinuncia al proprio compenso da parte del responsabile del delitto e in genere del management.

Ovviamente non è necessario che ognuna di queste circostanze venga provata, ma è importante che si riesca a dimostrare un quadro complessivo di fatti idonei ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo.

7. Conclusioni

Molto approfondita nell’escludere la violazione del principio d’irretroattività ai casi in cui la violazione amministrativa abbia preceduto l’entrata in vigore della norma penale e che ha proceduto, a tal fine, ad un’approfondita analisi della sanzione penale a confronto con quella amministrativa, l’annotata sentenza sembra avere poi espresso in tre righe un concetto molto più rilevante sotto il profilo applicativo.

Il primo dei principi, infatti, investe fattispecie già prescritte o sull’orlo della prescrizione. Il tema della specialità ha, anch’esso, un valore applicativo limitato, poiché gran parte delle volte la sanzione amministrativa è riferita alle persone giuridiche, mentre quella penale, ovviamente, riguarda la persona fisica.

Una piccola frase, contenuta nelle motivazioni a supporto della sussistenza dell’elemento soggettivo, risulta invece di fondamentale importanza nomofilattica e di estesa applicazione: il giudizio su tale tipo di reati è quasi sempre incentrato sull’accezione difensiva di assenza di dolo a causa della crisi finanziaria.

Da oggi tutte le parti, difesa, accusa, parte civile e giudice, avranno una “bussola” di riferimento per esaminare i ricorrenti reati per omessi versamenti perfezionatisi in un periodo di crisi finanziaria del contribuente.

Dott. Baldassare Gullo

(1) «Art. 10-bis (Omesso versamento di ritenute certificate) – È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta». «Art. 10-ter (Omesso versamento di IVA) – La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo».

(2) Ossia Cass., sez. III pen., 13 dicembre 1999, n. 14160, in Boll. Trib. On-line.

(3) Cfr. Cass., sez. III pen., 16 maggio 2012, n. 18757, in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass, sez. III pen., 26 maggio 2010, n. 25875; Cass., sez. III pen., 27 febbraio 2012, n. 7588; e Cass., sez. III pen., 7 dicembre 2012, n. 47606; tutte in Boll. Trib. On-line.

(5) E. Musco F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2012, 338.

(6) A, Martini, Reati in materia di finanze e tributi, parte spec., XVII, in F.C. Grosso T. Padovani A. Pagliaro (a cura di), Trattato di Diritto Penale, Milano, 2010, 230.

(7) In Boll. Trib. On-line.

(8) N. Marconi, in A. Martini, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 230.

(9) Si rimanda per un ulteriore approfondimento a B. Gullo, I pagamenti rateali e la sussistenza del reato di omesso versamento, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, in Boll. Trib., 2014, 234, in nota a Cass., sez. IV pen., 4 giugno 2013, n. 24185.

(10) La genericità del dolo richiesto, che a stretto rigore implica anche la rilevanza del dolo eventuale, ha determinato, riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo, una posizione intransigente della Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. III pen., 28 marzo 1996, n. 487, in Rass. trib., 1997, 251), formatasi in relazione al reato di omesso versamento di ritenute certificate previsto dalla previgente normativa penal-tributaria e, almeno apparentemente, riproponibile ai due reati di omesso versamento in vigore, per la corrispondenza ontologica delle due fattispecie incriminatici con quella in vigore nel secolo scorso. La Corte di Cassazione ha infatti sostenuto che la crisi di liquidità non può essere idonea ad escludere il dolo evasivo generico. Riguardo alle ritenute la Suprema Corte ha rilevato che sono somme trattenute in origine e non consegnate al sostituito, sulle quali incombe l’obbligo di accantonamento da parte dell’imprenditore. Riguardo all’IVA si è osservato (cfr. G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2007, 315) che il contribuente ha ricevuto la provvista dell’imposta e che, pertanto, è suo preciso dovere versarla all’erario e non trattenerla e utilizzarla per altri scopi. La Corte di Cassazione (così Cass. n. 487/1996, cit.) ha poi finanche asserito che in caso di insufficienza finanziaria è dovere dell’imprenditore ripartire le risorse finanziarie tra i suoi creditori in modo da non pregiudicare le aspettative dell’erario, eventualmente riducendo la corresponsione dei redditi sui quali è previsto l’obbligo di effettuare e versare le ritenute.

(11) In particolare si è sostenuto [cfr. I. Flora, I reati previsti dagli artt. 1 e 3 della L. n. 516/1982, in C.F. Grosso (a cura di), Responsabilità e processo penale nei reati tributari, Milano, 1992, 164] che in una situazione di crisi acuta di liquidità che di fatto rende impossibile il versamento delle ritenute effettuate si deve escludere la sussistenza del necessario dolo d’evasione in relazione al noto principio ad impossibilianemo tenetur. Con riferimento all’onere dell’imprenditore di accantonare le risorse necessarie per il versamento di ritenute ed IVA, altri Autori hanno sostenuto, in modo critico, che così facendo «si finisce per operare una sorta di indebita riconversione del modello di responsabilità colpevole concepito dal legislatore per il delitto in esame: la imprudente e inappropriata gestione delle risorse ritenute, infatti, parrebbe senz’altro sufficiente a fondare un rimprovero per colpa, ma comunque non tale da dimostrare l’esistenza del dolo di non adempiere a chi è costretto a tale soluzione dalla mancanza di mezzi» (così A. Martini, Reati in materia di finanze e tributi, cit., 602). Secondo quest’ultima opinione non si può avere riguardo all’intero periodo, dal sorgere del debito fino allo spirare del momento consumativo, che può essere anche di un anno e mezzo. Si deve, infatti, avere riguardo al momento finale per individuare la volontà dolosa. Occorre cioè in quel momento verificare se il contribuente ha la disponibilità per effettuare il pagamento. Secondo tale posizione, infatti, la mancanza di un’effettiva opzione tra adempimento e omissione, per effetto della assenza di liquidità, esclude il rimprovero mancando il dolo, che non può essere riconosciuto nella mera consapevolezza di nonfacere quod debetur.

(12) Pronunce pro-reo: Trib. Firenze 10 agosto 2012, n. 1141, in E. Musco F. Ardito, Diritto penale tributario, 2012, 288; Trib. Milano 19 settembre 2012 e 7 gennaio 2013; Trib. Novara 26 marzo 2013, n. 91000, in Boll. Trib. On-line; e Trib. Venezia 5 gennaio 2013, n. 1572, inedita; sentenze contra-reo: Trib. Monza 21 maggio 2012, n. 869; Trib. Padova 5 giugno 2012, n. 1079; e Trib. Monza 4 dicembre 2012, n. 2946; tutte in Boll. Trib. On-line.

(13) Cfr. B. Gullo, I pagamenti rateali e la sussistenza del reato di omesso versamento, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, cit. 

 

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Violazione costituente anche illecito amministrativo – Rapporto di specialità – Non sussiste – Rapporto di progressione – Si configura.

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Omissioni dei versamenti dell’IVA per il periodo di imposta 2005 – Applicabilità della norma penale – Sussiste – Violazione del principio di irretroattività della norma penale – Non si configura.

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Punibilità del reato a titolo di dolo generico – Coscienza e volontà di non versare all’erario una somma superiore a cinquantamila euro a titolo di IVA – Necessita.

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Obbligo di tenere accantonata l’IVA riscossa per le operazioni imponibili – Sussiste – Crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine per effettuare il versamento dell’imposta – Irrilevanza, in difetto della prova che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte al pagamento.

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Applicabilità della norma agli omessi versamenti dell’IVA relativi al periodo di imposta 2005 – Sussiste – Esimente di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 74/2000 – Inapplicabilità.

Tra l’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, settimo comma, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), entrato in vigore il 4 luglio 2006, e che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta, e l’art. 13, primo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze periodiche i versamenti dei debiti IVA, intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni.

L’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, settimo comma, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), entrato in vigore il 4 luglio 2006, e che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti dell’IVA verificatesi, in riferimento alla scadenza del termine periodico, nel corso del 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.

Mentre molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, il reato di cui all’art. 10-ter dello stesso D.Lgs. n. 74/2000, che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta, è punibile a titolo di dolo generico, di talché per la commissione del reato è sufficiente la coscienza e la volontà di non versare all’erario l’IVA dovuta nel periodo considerato, che deve investire anche la soglia di euro cinquantamila, la quale è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.

Il debito verso il fisco relativo ai versamenti dell’IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili, poiché ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già dall’acquirente del bene o del servizio l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria; l’introduzione della norma penale di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale, di talché per escludere la colpevolezza non può essere invocata la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza predetta.

In sede di prima applicazione dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per gli omessi versamenti dell’IVA relativi al periodo d’imposta 2005 non è applicabile la previsione di cui all’art. 15 dello stesso decreto, secondo la quale «al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione», in quanto, indipendentemente dall’esatta interpretazione che si può dare di tale norma e dal suo conseguente rapporto con la regola della c.d. “ignoranza inevitabile” di cui all’art. 5 c.p., già di per sé non invocabile da chi svolge una attività rispetto alla quale abbia il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, un’indicazione chiarificatrice atta a scongiurare ogni presupposto d’incertezza invocabile dal punto di vista soggettivo è stata a suo tempo fornita dall’Agenzia delle entrate con la circolare 4 agosto 2006, n. 28/E.

[Corte di Cassazione, sez. un. pen. (Pres. Lupo, rel. Cortese), 12 settembre 2013, sent. nn. 37424, e 37425]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Buy cheap Viagra online

– 1. Con sentenza del 10 giugno 2010 il Tribunale di Catania dichiarava R.B. colpevole del reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 per avere, quale titolare della ditta …, omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta, in base alla dichiarazione annuale 2006, per l’anno d’imposta 2005, pari ad euro 99.114,00, entro il termine (27 dicembre 2006) fissato per il versamento dell’acconto d’imposta relativo al periodo d’imposta successivo.

Su appello del prevenuto, con sentenza del 30 maggio 2011 la Corte di appello di Catania confermava la pronuncia di primo grado.

2. Avverso la sentenza d’appello l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendone in via pregiudiziale la nullità per violazione degli artt. 157, 601 e 604 cod. proc. pen., in ragione dell’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello presso il domicilio eletto in …, presso l’Agenzia di viaggi “…”.

Sul piano del diritto sostanziale, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, e dell’art. 2 cod. pen., per violazione del principio di irretroattività della norma penale, posto che il reato contestato è stato introdotto con D.L. 4 luglio 2006, n. 233, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, mentre il fatto ascritto riguarda l’omesso versamento degli acconti IVA che dovevano essere pagati nei mesi di febbraio, luglio, agosto e ottobre dell’anno 2005, in un’epoca, quindi, anteriore all’entrata in vigore della nuova previsione incriminatrice e in cui l’omissione in discorso era punita solo con una sanzione amministrativa (per la quale, fra l’altro, il contribuente è stato ammesso al pagamento rateale).

Il ricorrente ha denunciato, poi, in subordine, la violazione degli artt. 5, 43 e 47 cod. pen. e degli artt. 10-ter e 15 del D.Lgs. n. 74 del 2000, dovendosi ritenere la sua condotta non punibile in quanto priva di dolo o dovuta a ignoranza scusabile della legge penale e/o a obiettive condizioni di incertezza circa la portata e l’ambito di applicazione della nuova norma incriminatrice, considerato che era ragionevole supporre che essa, come opinato da alcuni commentatori e dal suo consulente, fosse applicabile solo alle omissioni relative all’IVA dovuta per il 2006 e che, quindi, per quelle relative all’IVA dovuta per il 2005, si andasse incontro solo a sanzione amministrativa (con quanto ne consegue in ordine alle scelte di priorità da compiere in una situazione di gravissima difficoltà economica).

In ulteriore subordine, l’imputato ha dedotto che in un quadro probatorio carente o quantomeno insufficiente, dal punto di vista sia della sussistenza materiale che dell’elemento psicologico del reato, si sarebbe dovuta pronunciare sentenza assolutoria a sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.

Con un’ultima censura, infine, il ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione sulla misura (eccessiva) della pena e sulla denegata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, richiamando al riguardo le circostanze della sua condizione di incensuratezza (erroneamente disconosciuta dal giudice d’appello) e del lieve superamento della soglia di punibilità in relazione alla somma non versata, già poste a base dal primo giudice per la concessione (inopinatamente e contraddittoriamente ritenuta non disposta dalla Corte di merito) delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.

3. La Terza Sezione penale, assegnataria della causa, con ordinanza n. 47238 del 20 novembre 2012 (1), ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, evidenziando come la questione della applicabilità dell’art. 10-ter cit. anche alle condotte di omesso versamento dell’IVA entro i singoli termini di scadenza mensili o trimestrali del 2005, qualora l’omissione persista, superando complessivamente la soglia di euro cinquantamila, fino alla nuova scadenza del 27 dicembre 2006, presenti tratti comuni ed affini ad altra, relativa all’omesso versamento delle ritenute operate dal sostituto d’imposta, già affrontata dalla Corte e risolta con esiti differenti. La normativa tributaria prevede infatti che il versamento dell’imposta sul valore aggiunto deve essere effettuato, dai contribuenti mensili, entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, e, dai contribuenti trimestrali, entro il giorno 16 del secondo mese successivo a ciascuno dei trimestri solari. Il mancato versamento dell’IVA alla scadenza dei suddetti termini è punito con sanzione amministrativa (a sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 8 dicembre 1997, n. 471). Con l’art. 35, comma 7, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, è stato inserito nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’art. 10-ter, il quale punisce la condotta di chi omette di versare l’IVA (che superi l’ammontare di cinquantamila euro), dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine (fissato al 27 dicembre) per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

L’ordinanza ha quindi richiamato diffusamente i due diversi indirizzi formatisi sull’analoga questione che si è posta, in tema di omesso versamento delle ritenute operate dal sostituto d’imposta, circa la portata applicativa del nuovo art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Su tale questione aveva avuto particolare influenza quella postasi in precedenza in relazione alla modifica dell’art. 2 della L. n. 516 del 1982, ad opera della L. n. 154 del 1991, la quale era stata risolta da Sez. 3, n. 14160 del 3/11/1999 (2), Di Grisostomo, Rv. 214917, nel senso che il mutamento del termine per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali, modificato appunto dall’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83, non aveva avuto ripercussioni sul reato previsto dall’art. 2 della L. 7 agosto 1982, n. 516, che doveva considerarsi già perfetto al momento della modifica normativa. Il principio riguardava il criterio da seguire per individuare il momento di consumazione dell’illecito costituito dall’omesso versamento delle ritenute operate nel 1990, che, secondo la norma antecedente, dovevano essere versate entro il giorno 15 del mese successivo, mentre la norma sopravvenuta aveva stabilito che, qualora le ritenute operate nel 1990 superassero un determinato ammontare, il termine per il versamento scadesse entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, ossia il 17 marzo 1991.

Tale autorevole precedente, affrontando la materia della successione della normativa fiscale penale e dell’incidenza dei termini per provvedere ai versamenti nell’ipotesi della sopravvenienza di una nuova disciplina penale-tributaria, aveva, dunque, ritenuto che le norme di nuova introduzione non potevano che essere rivolte al futuro e, cioè, alle omissioni di versamento consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione. Il tempo di consumazione dei singoli illeciti si era infatti già perfezionato alla data di entrata in vigore della nuova norma penale e il fatto che fosse stato introdotto un nuovo termine per la presentazione del Mod. 770 non aveva rilievo per gli illeciti derivanti dalle omissioni relative all’anno 1990, già consumati alla scadenza dei singoli termini (mensili) contemplati dall’art. 8 del D.P.R. n. 602 del 1973.

Quanto alla specifica questione derivante dall’introduzione dell’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ritenuta, come detto, dalla Corte analoga, nelle sue conseguenze, a quella della modifica della disciplina prevista per l’omesso versamento dell’IVA, l’ordinanza di rimessione ha anzitutto richiamato la linea interpretativa introdotta da Sez. 3, n. 25875 del 26/5/2010 (3), Olivieri, Rv. 248151, secondo cui il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consumerebbe alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto solo con il maturare di tale termine si verificherebbe l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale; di qui l’applicabilità della nuova fattispecie anche all’ipotesi di omesso versamento delle ritenute fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno 2004, senza violazione alcuna del principio di irretroattività della norma penale. Tale indirizzo aveva evidenziato che mentre la norma tributaria si riferirebbe alle ritenute operate mensilmente, fissando quale termine per il versamento all’erario il giorno sedici del mese successivo, l’art. 10-bis aveva ad oggetto la ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta, prevedendo, in relazione ad esse, una soglia di punibilità e, quale termine per l’adempimento, quello stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (30 settembre – ovvero 31 ottobre – dell’anno successivo), con la conseguenza che col maturare di tale scadenza si verificava l’evento dannoso per l’erario previsto dalla fattispecie penale. Sicché la condotta omissiva propria, che aveva ad oggetto il versamento delle ritenute afferenti all’intero anno di imposta, si protraeva fino alla scadenza del citato termine, che coincideva con la data di commissione del reato, mentre a nulla rilevava il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali. In sintesi, la condotta prevista dal delitto differiva da quella prevista dalle disposizioni sanzionatorie amministrative in ragione di un differente oggetto delle omissioni (il versamento del totale delle ritenute in luogo della loro quantità mensile) e di un differente termine per l’adempimento dell’obbligo tributario.

Sempre nel medesimo ambito interpretativo l’ordinanza ha poi richiamato Sez. 3, n. 7588 del 12/1/2012 (4), Screti, la quale, partendo dal rilievo che la nuova norma prevede un reato di natura omissiva istantanea, che si consuma nel momento di scadenza del termine (30 settembre per il Mod. 770 semplificato ovvero il 31 ottobre per il Mod. 770 ordinario) per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno precedente, ritiene che essa si applica anche alle ritenute effettuate nel 2004 perché, al momento di sua entrata in vigore, i termini (penalmente rilevanti) per effettuare il versamento non erano ancora trascorsi ed il reato non era ancora consumato.

Versandosi in tema di reato omissivo istantaneo, la condotta, anche per le ritenute relative al 2004, si sarebbe verificata interamente sotto la disciplina della nuova legge e non potrebbe dunque essere invocato il principio di irretroattività della norma penale. Le condotte relative all’effettuazione delle ritenute e al loro accantonamento per il successivo versamento non farebbero parte della condotta criminosa, che si realizza e consuma in un istante con l’omissione del versamento alla scadenza pattuita. Il diverso termine fissato dalla disciplina fiscale non avrebbe alcuna rilevanza perché, mentre la norma tributaria si riferisce alle ritenute operate mensilmente e fissa quale termine per il versamento all’Erario il giorno 15 del mese successivo, l’art. 10-bis avrebbe ad oggetto le ritenute operate nel corso dell’intero periodo d’imposta, ove superiori ad una determinata soglia.

L’ordinanza ha poi richiamato il secondo, difforme, indirizzo formatosi, espresso in particolare da Sez. 3, n. 18757 del 8/2/2012 (5), Germani, Rv. 252619.

Secondo tale pronuncia, alla stregua dei principi già enunciati nella sentenza Di Grisostomo, il momento in cui si perfezionerebbe e consumerebbe l’illecito non può che essere unico e andrebbe individuato nel momento di scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al momento in cui i versamenti dovevano essere effettuati.

Per le ritenute operate nel 2004 questo termine, secondo la legge vigente, scadeva il giorno 15 del mese successivo, sicché per tutte le omissioni relative alle ritenute dell’anno 2004 (ad eccezione di quelle del mese di dicembre) gli illeciti si erano già perfezionati al momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale introdotta dall’art. 10-bis (1° gennaio 2005): la norma, dunque, poteva trovare applicazione soltanto per gli omessi versamenti delle ritenute operate dal dicembre 2004 in poi. Qualora si dovesse ritenere che la nuova norma penale, attraverso l’artificio della previsione di un termine di versamento più lungo, avesse prorogato con effetto retroattivo termini già scaduti, così rendendo nuovamente rilevanti illeciti già consumati e perfezionati, si darebbe luogo ad una interpretazione contrastante con il principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem. In realtà, nella ricostruzione in esame, la nuova norma penale si sarebbe limitata a posticipare il termine per il versamento delle ritenute certificate al momento della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta (nella specie al settembre del 2005), rinvigorendo la sanzione per una condotta in precedenza punita in via amministrativa. Gli illeciti amministrativi commessi in relazione alle ritenute operate nel 2004 si sarebbero già consumati e perfezionati in un periodo in cui non era ancora vigente l’art. 10-bis, ma unicamente la normativa che prevedeva l’obbligo del versamento entro il giorno 15 del mese successivo: se le violazioni fossero state accertate nell’immediatezza, l’imputato avrebbe potuto essere già sottoposto alle sole sanzioni amministrative. La nuova norma penale, allora, non potrebbe che essere rivolta al futuro e cioè alle omissioni di versamento consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione. Si verterebbe, in definitiva, in una ipotesi di successione tra illecito amministrativo ed illecito penale da risolvere secondo gli ordinari parametri dell’art. 2 cod. pen., con applicazione della regola secondo la quale allorché un fatto, già sanzionato amministrativamente, non abbia perduto il carattere di illiceità, ma lo abbia visto aggravarsi, assurgendo al rango di illecito penale, dovrebbe farsi applicazione della sanzione amministrativa.

Poiché la questione illustrata, risolta in maniera difforme dalla Corte, è del tutto analoga a quella relativa all’omesso versamento IVA, anche in tal caso si pone il quesito se il nuovo termine di scadenza del 27 dicembre dell’anno successivo (nella specie il 27 dicembre 2006) e la relativa sanzione penale prevista dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, possano riguardare anche gli omessi versamenti dell’IVA nei singoli termini già scaduti nel 2005, ovvero se gli illeciti consistenti in queste omissioni si fossero già consumati e perfezionati al momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, con conseguente inapplicabilità al riguardo dell’art. 10-ter.

4. Il Primo Presidente, con decreto del 21 dicembre 2012, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza del 28 marzo 2013.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Premesso che appare privo di pregio il motivo con cui il ricorrente ha denunciato l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello al domicilio eletto in …, presso l’Agenzia “…” (posto che dagli atti emerge che detta notifica è regolarmente avvenuta a mani proprie del ricorrente al domicilio eletto), si osserva che il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite perché si pronuncino sulla seguente questione:

se l’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, ed entrato in vigore il 4 luglio 2006, il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto (per un ammontare superiore a cinquantamila euro), dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, ossia entro il 27 dicembre dell’anno successivo, si applichi anche agli omessi versamenti dell’IVA per l’anno 2005, che dovevano essere effettuati alle scadenze previste per l’anno 2005 ed erano puniti con una sanzione amministrativa, e che non sono stati versati alla nuova scadenza del 27 dicembre 2006, ovvero se, in alternativa, debba ritenersi che l’illecito si sia consumato alla data delle singole scadenze del 2005 e quindi sia punibile solo con la sanzione amministrativa vigente all’epoca della sua consumazione, non potendo operare retroattivamente la nuova norma penale”.

2. Per la corretta comprensione e soluzione della questione, è indispensabile ricostruire (per quanto qui interessa) l’evoluzione subita dalla normativa in materia di sanzionamento dell’omesso versamento IVA. I versamenti periodici sono stabiliti dall’art. 1, commi 1 e 4, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, secondo il quale:

«1. Entro il giorno 16 di ciascun mese, il contribuente determina la differenza tra l’ammontare complessivo dell’imposta sul valore aggiunto esigibile nel mese precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell’imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, sulla base dei documenti di acquisto di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Il contribuente, qualora richiesto dagli organi dell’Amministrazione finanziaria, fornisce gli elementi in base ai quali ha operato la liquidazione periodica».

«4. Entro il termine stabilito nel comma 1, il contribuente versa l’importo della differenza nei modi di cui all’art. 38 D.P.R. cit.

Se l’importo dovuto non supera il limite di euro 25,82, il versamento è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo».

In alcuni casi, gli adempimenti suddetti possono avere, anziché cadenza mensile, cadenza trimestrale (artt. 73 e 74 del D.P.R. n. 633 del 1972; art. 7 del D.P.R. n. 342 del 1999, come rettificato dall’art. 11, comma 4, del D.P.R. 435 del 2001).

La sanzione per l’omissione dei versamenti periodici è stabilita dall’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che recita:

«Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dall’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633».

Con l’art. 35, comma 7, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006, si è aggiunto l’art. 10-ter al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo il quale:

«1. La disposizione di cui all’art. 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo».

Il richiamato art. 10-bis così recita:

«1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta».

La nuova fattispecie dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, presuppone, dunque, l’avvenuta presentazione della dichiarazione IVA, ed è modellata esattamente su quella di cui all’art. 10-bis, prevedendo la stessa pena (reclusione da sei mesi a due anni), la medesima soglia di punibilità (cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta) ed un momento consumativo del reato collegato ad un termine di adempimento ben determinato. Il comportamento del soggetto che non provvede a versare l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è, quindi, assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

La presentazione della dichiarazione annuale IVA è regolata dall’art. 8, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, il quale recita:

«1. Salvo quanto previsto relativamente alla dichiarazione unificata, il contribuente presenta, secondo le disposizioni di cui all’art. 3, tra il 1 febbraio e il 30 settembre, in via telematica, la dichiarazione relativa all’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno solare precedente, redatta in conformità al modello approvato entro il 15 gennaio dell’anno in cui è utilizzato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. La dichiarazione annuale è presentata anche dai contribuenti che non hanno effettuato operazioni imponibili. Sono esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione i contribuenti che nell’anno solare precedente hanno registrato esclusivamente operazioni esenti dall’imposta di cui all’art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, salvo che siano tenuti alle rettifiche delle detrazioni di cui all’art. 19-bis del medesimo decreto, ovvero abbiano registrato operazioni intracomunitarie, nonché i contribuenti esonerati ai sensi di specifiche disposizioni normative».

La disciplina del pagamento dell’IVA a saldo è contenuta nell’art. 6 del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542, secondo il quale:

«1. La differenza tra l’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale e l’ammontare delle somme già versate mensilmente ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, è versata entro il 16 marzo di ciascun anno ovvero entro il termine previsto per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione unificata annuale, maggiorando le somme da versare degli interessi nella misura dello 0,40 per cento per ogni mese o frazione di mese successivo alla predetta data».

Per il perfezionamento del reato in esame è necessario che il contribuente ometta di versare l’IVA dichiarata a debito per l’anno precedente entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo, e cioè entro il 27 dicembre dell’anno successivo, giusta la previsione dell’art. 6, comma 2, della L. 29 dicembre 1990, n. 405, come modificato dall’art. 3 del D.L. 28 giugno 1995, n. 250, convertito dalla L. 8 agosto 1995, n. 349, che così recita:

«A decorrere dall’anno 1991, i contribuenti sottoposti agli obblighi di liquidazione e versamento previsti dall’art. 27 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, devono versare entro il giorno 27 del mese di dicembre, a titolo di acconto del versamento relativo al mese stesso, un importo pari al 65 per cento, elevato al 70 per cento per i contribuenti che si sono avvalsi della disposizione di cui al secondo periodo del primo comma del predetto articolo 27, del versamento effettuato o che avrebbero dovuto effettuare per il mese di dicembre dell’anno precedente o, se inferiore, di quello da effettuare per lo stesso mese dell’anno in corso. Dell’acconto versato si tiene conto in sede di liquidazione relativa al mese di dicembre. Entro lo stesso giorno, i contribuenti di cui all’art. 33 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, devono versare, a titolo di acconto del versamento da effettuare in sede di dichiarazione annuale, un importo pari al 65 per cento del versamento effettuato o che avrebbero dovuto effettuare con la dichiarazione annuale dell’anno precedente o, se inferiore, di quello da effettuare in sede di dichiarazione relativa all’anno in corso; per i contribuenti di cui all’art. 74, quarto comma, del predetto D.P.R. n. 633 del 1972, per il calcolo del relativo importo si assumono gli ammontari relativi al quarto trimestre».

3. Come si è visto, l’ordinanza di rimessione ha sollevato dubbi sull’applicabilità del reato di omesso versamento di IVA per l’annualità 2005 solo per la ritenuta analogia con la questione, controversa in giurisprudenza, relativa all’applicabilità del reato di omesso versamento di ritenute alla fonte per l’anno 2004.

3.1. Di contro, invero, all’indirizzo prevalente (inaugurato da Sez. 3, n. 25875 del 26/5/2010, Olivieri, Rv. 248151, e seguito poi da Sez. 3, n. 7588 del 12/1/2012, Screti; Sez. 3, n. 27719 del 4/4/2012 (6), Bregoli; Sez. 3, n. 27720 del 4/4/2012 (7), Fumo; Sez. 3, n. 47606 del 4/4/2012 (8), Verini; Sez. 3, n. 178 del 5/7/2012, dep. 2013, Spriano), che ha dato risposta positiva al quesito in ordine all’applicabilità o meno della nuova fattispecie incriminatrice dell’art. 10-bis alle ritenute fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno 2004, affermando il principio di diritto secondo il quale «il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva», l’ordinanza di rimessione ha richiamato l’indirizzo che considera invece l’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000, inapplicabile all’omesso versamento delle ritenute certificate operate dal sostituto di imposta nell’esercizio 2004, che rimarrebbe, quindi, soggetto alla sola sanzione amministrativa.

La decisione che ha in particolare sostenuto tale tesi (Sez. 3, n. 18757 del 8/2/2012, Germani, Rv. 252619, seguita poi da Sez. 3, n. 15025 del 9/10/2012 (9), Innocenti, dep. 2013, dopo l’emissione della presente decisione) si è richiamata a un importante precedente, costituito da Sez. 3, n. 14160 del 3/11/1999, Di Grisostomo, Rv. 214917, che, affrontando il problema del rapporto fra l’originario testo dell’art. 2 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto con l’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, aveva affermato che «lo spostamento del termine per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali operate a titolo di acconto (normalmente il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta), introdotto con l’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83 (scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta), non può incidere sul reato di cui all’art. 2 della L. 7 agosto 1982, n. 516, allorché questo era già perfetto all’atto dell’entrata in vigore del D.L. stesso, e ciò in quanto la norma di nuova introduzione non poteva che essere rivolta al futuro, e cioè alle omissioni di versamento consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione».

A sostegno di questa conclusione, era stato valorizzato il principio per il quale «il tempo di consumazione, quale che sia la disposizione che si debba o si intenda applicare, non può essere che unico e, nel caso in esame, doveva essere individuato, trattandosi di reati omissivi, nel momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, che coincideva con il momento della scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al tempo in cui i versamenti andavano effettuati (il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta)».

Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, l’omissione del versamento delle ritenute alla fonte era divenuta penalmente rilevante solo quando il loro ammontare superava una certa soglia e il momento consumativo coincideva con la scadenza del termine per la presentazione (nel corso del successivo periodo d’imposta) della dichiarazione annuale del sostituto di imposta. Nel caso esaminato l’omissione dei singoli versamenti entro il termine (mensile) di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 602 del 1973, si era già verificata, e il termine per la dichiarazione annuale, rilevante per la nuova normativa, andava a scadere sotto il vigore di quest’ultima.

Alla stregua di tanto, il sopravvenuto spostamento del termine per il versamento non poteva incidere sul reato già consumatosi, e la norma di nuova introduzione non poteva che ricevere applicazione per le sole omissioni di versamento verificatesi dopo la sua entrata in vigore.

Nel richiamare tale precedente, la sentenza Germani ha affermato che «l’omesso versamento delle ritenute alla fonte (da effettuare entro il giorno quindici del mese successivo) operate nel periodo di imposta 2004 non integra il reato di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (introdotto dall’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, entrato in vigore il 1º gennaio 2005, che ha prorogato il termine per il versamento fino al 30 settembre 2005) ma costituisce l’illecito amministrativo previsto dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471».

La decisione ha confutato il contrario orientamento – fondato sul presupposto che la condotta prevista dal delitto in questione differirebbe da quella regolata dalle precedenti disposizioni sanzionatorie amministrative (art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471), in ragione di un differente oggetto delle omissioni (il versamento del totale delle ritenute invece che della quantità mensile delle medesime) e di un diverso termine per adempiere all’obbligo di pagamento –, ritenendo decisivi i principi già enunciati dalla sentenza Di Grisostomo, in quanto maggiormente conformi ai principi costituzionali di irretroattività delle fattispecie penali incriminatrici e di colpevolezza, e considerando irrilevante la circostanza, valorizzata dall’opposto orientamento, che nel caso in questione si verserebbe in ipotesi di introduzione di un nuovo reato a fronte di un precedente illecito amministrativo, mentre, nel caso (affrontato dalla sentenza Di Grisostomo) della modifica dell’art. 2, comma 3, della legge n. 516 del 1982, da parte della legge n. 154 del 1991, si versava in una ipotesi di vera e propria successione di norme penali: in entrambi i casi, infatti, si sarebbe comunque in presenza di una successione di norme sanzionatrici di un determinato comportamento. Non vi sarebbe dunque ragione per non applicare il principio affermato dalla sentenza Di Grisostomo, secondo cui il momento di consumazione dell’illecito, penale o amministrativo che sia, non può essere che unico e, trattandosi di condotta omissiva, va individuato nel momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, da identificarsi in quello stabilito dalla legge vigente al momento in cui i singoli versamenti dovevano essere effettuati. Anche nel caso in esame, si sottolinea, non possono coerentemente che essere presi in considerazione i termini fissati dalla legge in vigore al momento delle singole scadenze, con la conseguente rilevazione del già intervenuto perfezionamento degli illeciti anteriori al momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Né, aggiunge la sentenza, a diverse conclusioni può condurre il fatto che la nuova norma preveda un reato di natura omissiva istantanea, che si consuma nel momento in cui scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale, posto che la stessa natura omissiva istantanea va riconosciuta al precedente illecito amministrativo, consumatosi al momento di scadenza del termine mensile per il versamento.

La questione consiste in sostanza, per la pronuncia in esame, nello stabilire in quale momento si sia perfezionato e consumato l’illecito rappresentato dalle omissioni di pagamento, che, per la sua unicità, va individuato nel momento di scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al momento in cui i versamenti dovevano essere effettuati. Per le ritenute operate nel 2004, questo termine, secondo la legge vigente, scadeva il giorno 15 (rectius 16, in forza dell’art. 18 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241) del mese successivo, sicché, per tutte le omissioni relative alle ritenute del 2004 (ad eccezione di quelle del mese di dicembre), gli illeciti si erano già perfezionati al momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale. La quale, pertanto, potrebbe trovare applicazione soltanto per gli omessi versamenti delle ritenute operate dal dicembre 2004 in poi. Ove, in effetti, si dovesse ritenere che la nuova norma penale, attraverso l’artificio della previsione di un termine di versamento più lungo, avesse prorogato, con effetto retroattivo, termini già scaduti, così rendendo nuovamente perseguibili illeciti già consumati e perfezionati, si darebbe luogo a una interpretazione contrastante con il principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem.

E ciò tanto più in considerazione della sostanziale identità, negata dall’indirizzo di segno opposto, tra la condotta prevista e punita in via amministrativa dall’art. 13 del D.Lgs. n. 671 del 1997, e quella, penalmente rilevante, sanzionata dall’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Entrambe, infatti, riguarderebbero l’omesso versamento delle medesime somme, indipendentemente dalle differenze dell’ammontare e dei termini di riferimento, non potendosi ravvisare una sostanziale differenza di condotta fra l’omesso versamento del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del tutto e non potendo la diversità dei termini di adempimento influire sulla fisionomia di una fattispecie illecita e sul suo disvalore.

Il comportamento illecito tenuto dal soggetto sarebbe, quindi, il medesimo, avendo ad oggetto, tanto le sanzioni amministrative quanto la sanzione penale, la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all’erario) rivolta sul medesimo oggetto materiale (le ritenute). La nuova norma penale, senza introdurre un nuovo obbligo di fare, si sarebbe limitata a posticipare il termine per il versamento delle ritenute certificate al momento della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, rinvigorendo così la sanzione per una condotta già in precedenza punita in via amministrativa. Fino al gennaio 2005, i termini di versamento cui era sottoposto il sostituto d’imposta corrispondevano al giorno 15 (rectius 16) del mese successivo a quello in cui erano state operate le ritenute, e la loro violazione era soggetta alla sanzione amministrativa. Ciò significava che le ritenute del 2004 (tranne quelle operate in dicembre) dovevano essere versate dal sostituto nello stesso anno 2004, e quindi prima dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Pertanto, lo spostamento del termine per procedere al versamento e l’introduzione della sanzione penale per la relativa omissione, effettuati dall’art. 1, comma 414, della legge n. 311 del 2004, non potrebbero incidere sulle violazioni in questione, già perfezionatesi all’atto dell’entrata in vigore della nuova legge, e insuscettibili di ricadere sotto la relativa disciplina, necessariamente rivolta al futuro. Se si seguisse una interpretazione di segno contrario, l’effetto sarebbe quello di applicare una seconda sanzione (questa volta di tipo penale) a una violazione già perfettamente consumata e potenzialmente (se l’illecito fosse stato accertato nel corso del 2004) già punita con sanzione amministrativa.

Anche a voler ritenere l’astratta non coincidenza fra la (nuova) fattispecie penale, avente ad oggetto l’omissione unitariamente considerata, e la (precedente) fattispecie di illecito amministrativo, avente ad oggetto le omissioni mensili parcellizzate del tutto, si verterebbe comunque, stante la sostanziale sovrapponibilità delle condotte addebitabili all’agente, in una ipotesi di successione fra illecito amministrativo ed illecito penale, da risolvere secondo gli ordinari parametri di cui all’art. 2 cod. pen. Sul punto la sentenza richiama il principio secondo il quale «allorché un fatto, già sanzionato amministrativamente, non abbia perduto il carattere di illiceità, ma lo abbia visto aggravarsi, assurgendo al rango di illecito penale, mentre non può tenersi conto del più grave regime sanzionatorio (penale) introdotto successivamente alla sua realizzazione, va applicata a tale violazione la sanzione amministrativa» (Sez. 3, n. 6490 del 19/4/2000 (10), Paoletti, Rv. 217014). Tale principio, si specifica, non potrebbe essere derogato in quanto nella specie non si tratta di fatti e azioni diverse, ma dello stesso comportamento, inteso quale condotta omissiva dell’agente.

Andrebbe, inoltre, adeguatamente considerato che, pur trattandosi di reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta (omissione), la fattispecie contemplerebbe anche una componente attiva, rappresentata dalla certificazione delle ritenute e dal suo rilascio ai sostituiti; e queste due porzioni della condotta si sarebbero realizzate, con riferimento alle ritenute dell’anno 2004, in un momento antecedente all’entrata in vigore della nuova norma penale, ossia in un momento in cui l’agente non poteva ancora essere a conoscenza del rischio che avrebbe corso certificando le ritenute e poi non versandole all’erario.

A questo proposito non sarebbe rilevante la considerazione che l’effettuazione delle ritenute ed il rilascio della loro certificazione non rientrano nella fattispecie penale ma ne costituiscono un presupposto. Sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988 (11), in uno Stato di diritto il cittadino deve infatti sempre poter sapere, prima di agire, se dal suo comportamento possa derivare una sua responsabilità penale e quali siano le eventuali sanzioni, perché solo a queste condizioni egli può compiere libere scelte di azione (o di omissione), assumendosi la responsabilità del suo comportamento. Poiché, secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio di consapevolezza, ricavabile dall’art. 27 Cost., richiede che il cittadino sia effettivamente libero di agire con la cognizione delle conseguenze della propria condotta, non ci si potrebbe limitare a prendere in considerazione il momento della pura omissione, quando l’obbligo di agire non sia assoluto o dipendente da fattori estranei alla volontà dell’agente, ma derivante piuttosto da una precisa condotta, volontariamente posta in essere da quest’ultimo.

3.2. Nella giurisprudenza specifica formatasi sul reato di omesso versamento di IVA per il 2005 non si registra, invece, in effetti, nessun contrasto, essendosi ritenuta di fatto applicabile la nuova disposizione incriminatrice.

Una prima pronuncia ha, invero, escluso l’applicabilità dell’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006 alla condotta di omesso versamento dell’IVA realizzatosi con riferimento all’anno 2005, affermando che la fattispecie «si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste» (Sez. 3, n. 38619 del 14/10/2010 (12), Mazzieri, Rv. 248626). In particolare, si è rilevato che l’art. 10-ter ha introdotto un nuovo reato per l’omesso versamento dell’IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale (assimilando, sotto il profilo sanzionatorio, il comportamento del soggetto che non versa l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti), il cui momento consumativo va individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (fissato al 27 dicembre dall’art. 6, comma 2, legge n. 405 del 1990), sicché, per la consumazione del reato occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino a tale scadenza (nella fattispecie, 27 dicembre del 2006, donde la esclusione dell’indulto). Dal fatto, dunque, che la disposizione in esame è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per l’IVA relativa alla dichiarazione dell’anno precedente deriva che la nuova disposizione sanzionatoria debba trovare applicazione per tutti i reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre del 2006 riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005.

Tale orientamento è stato ribadito da Sez. 3, n. 39449 del 4/4/2012 (13), Segre, che, richiamandosi alla sentenza Mazzieri, ha ritenuto sussistente il reato di omesso versamento di IVA anche per l’annualità 2005 e ha escluso che ciò possa configurare violazione del divieto di retroattività sfavorevole di cui all’art. 2 cod. pen. e art. 25 Cost.

Altra più recente pronuncia (Sez. 3, n. 174 del 16/11/2011 (14), dep. 2012, Santangelo), ha infine significativamente rilevato che il contribuente diventa debitore verso l’Erario in quanto ha già incassato l’imposta che i propri clienti gli hanno corrisposto con la conseguenza che, a differenza di quanto accade per le imposte sul reddito, la quota IVA da versare non è somma di cui egli può disporre sulla base di scelte gestionali. Al momento in cui la fattispecie incriminatrice è entrata in vigore, non risultava ancora scaduto il termine fissato per l’adempimento dell’azione doverosa, ossia l’assolvimento dell’obbligo di versamento IVA: la circostanza che nel corso dell’annualità 2006 era stata introdotta detta fattispecie significa solo che il contribuente sapeva che il fatto di non procedere (fino alla nuova lunga scadenza prevista, del 27 dicembre dell’anno solare successivo al maturare del debito) al pagamento del debito erariale scoperto comportava ulteriori conseguenze sanzionatorie, questa volta di carattere penale.

4. Occorre ora esaminare gli orientamenti espressi al di fuori della giurisprudenza di legittimità.

4.1. Un primo indirizzo dottrinale favorevole alla configurabilità del reato ha fatto leva sulla circostanza che per l’anno 2005 il termine di consumazione del reato, in caso di omissione dei versamenti superiori alla soglia di punibilità, era fissato per il 27 dicembre 2006. Si è infatti specificato che poiché la norma è entrata in vigore il 4 luglio 2006, potrebbe ritenersi che il reato relativo sia configurabile solo in relazione agli omessi versamenti dell’IVA riguardanti gli anni 2006 e successivi, ma poiché alla data di entrata in vigore della norma non era ancora scaduto il termine di versamento dell’imposta per il 2005, è configurabile il reato in esame anche in relazione a tale adempimento, essendo ancora possibile evitare la condotta omissiva con il pagamento, entro il 27 dicembre 2006, di quanto dovuto.

Tale soluzione appare condivisa anche dall’Agenzia delle Entrate che, con circolare n. 28/E del 4 agosto 2006 (15), ha osservato: «Considerato che la disposizione è entrata in vigore il 4 luglio 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per l’IVA relativa alla dichiarazione dell’anno precedente, si ritiene che la nuova previsione sanzionatoria troverà applicazione a partire dai reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre 2006 riguardanti l’IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno 2005».

L’esposta interpretazione parrebbe indirettamente confermata dalla Corte costituzionale, che, con ordinanza n. 25 del 2012 (16) (reiterando in sostanza quanto già affermato con ordinanza n. 224 del 2011 (17)) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’art. 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall’art. 35, comma 7, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, «limitatamente alle omissioni … relative all’anno 2005».

Secondo la Corte, la circostanza che (in base alla ricostruzione operata dal giudice a quo), per ragioni collegate alle meccaniche di entrata in vigore della norma incriminatrice, il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova incriminazione) –, di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato. Infatti, per un verso, il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al soggetto in questione (in luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento; per altro verso, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche. Né può considerarsi lesivo del principio di eguaglianza il fatto che la norma censurata sottoponga allo stesso trattamento sanzionatorio soggetti che fruiscono di termini comunque differenti per il versamento idoneo ad evitare la responsabilità penale: al legislatore è, infatti, consentito includere in uno stesso paradigma punitivo una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore, spettando, in tali casi, al giudice far emergere la differenza tra le varie condotte tramite la graduazione della pena nell’ambito della forbice edittale, nella specie sufficientemente divaricata a tal fine (sulla identica questione di legittimità costituzionale, anche nel tenore letterale delle argomentazioni di supporto, la Corte costituzionale già si era pronunciata con ordinanza n. 224 del 2011).

In dottrina è stato osservato che le considerazioni della Consulta potrebbero tuttavia suggerire la riproposizione della questione di legittimità costituzionale da un diverso angolo prospettico: è vero che l’omissione avviene dopo che è entrata in vigore la norma e che l’adempimento può ben essere istantaneo; ma il problema è che la condotta che fa sorgere l’obbligo di adempiere, così come la condotta che può determinare una situazione di successiva impossibilità ad adempiere a quell’obbligo (si pensi all’amministratore che non crei per tempo accantonamenti sufficienti per far fronte all’obbligo di versare l’IVA dovuta), si sono realizzate prima dell’entrata in vigore della norma, quando il cittadino non aveva consapevolezza delle conseguenze anche penali che la propria condotta avrebbe avuto in forza della legge posteriore.

Sicché l’applicazione della norma penale anche ai fatti di omesso versamento dell’IVA per il 2005 contrasterebbe col principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., che esige che il soggetto sia messo nelle condizioni di poter prevedere la sanzione penale (e non meramente amministrativa) cui si espone nel momento in cui realizza la condotta. Si è peraltro aggiunto che, posta di fronte ad una questione così formulata, la Corte costituzionale ben potrebbe d’altra parte dichiararla inammissibile, in ragione del mancato esperimento da parte del giudice a quo di una interpretazione costituzionalmente (e convenzionalmente) conforme della norma impugnata. In tale prospettiva il denunciato contrasto potrebbe essere risolto in via ermeneutica, escludendo l’applicazione dell’art. 10-ter agli omessi versamenti dell’IVA in relazione al periodo di imposta 2005 in forza del principio della necessaria prevedibilità della sanzione penale al momento della condotta, che discende sia dal principio costituzionale di colpevolezza (art. 27 Cost.) sia dal principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’art. 7 CEDU nell’estensione ad esso assegnata dalla giurisprudenza di Strasburgo, che fa ingresso nel nostro ordinamento per il mezzo dell’art. 117 Cost.

4.2. Altra parte della dottrina propende, invece, per la tesi che la novella legislativa non sarebbe applicabile ai fatti pregressi (tra cui il mancato versamento dell’IVA per il 2005) per l’esaurimento della condotta in una fase precedente all’entrata in vigore della norma, nella quale la situazione omissiva era dotata di un disvalore meramente amministrativo. Il comportamento omissivo, iniziato tempo addietro, si sarebbe perfezionato e continuerebbe a permanere nei suoi effetti, venendo solo successivamente a connotarsi come reato, sicché la sua estensione all’anno di imposta 2005 potrebbe determinare problemi di compatibilità con il principio di irretroattività della norma penale. Si tratterebbe, in altri termini, di verificare se il mancato pagamento dell’IVA per il 2005 oltre l’importo di cinquantamila euro, raggiunto in un qualunque momento a partire dal primo versamento periodico, possa costituire quel “fatto commesso” al quale fanno riferimento gli artt. 25 della Costituzione e 2 del codice penale e se il perdurare dell’omissione del versamento anche dopo i termini previsti dalla legge possa essere relegato, come per il reato di omesso versamento delle ritenute d’acconto, nel novero delle mere conseguenze negative di un comportamento già compiuto precedentemente.

5. La corretta soluzione della questione sottoposta al Collegio richiede un’approfondita analisi del rapporto fra l’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e l’illecito penale di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ed entrato in vigore il 4 luglio 2006.

5.1. I dubbi sull’applicabilità della norma penale all’omesso versamento dell’IVA relativa al 2005 scaturiscono essenzialmente da un certo tipo di ricostruzione dell’analogo rapporto fra l’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e l’illecito penale di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (introdotto con l’art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311). Si tratta dell’inquadramento di tale rapporto in termini di successione di norme sanzionatorie. Sulla base di tale presupposto vengono richiamate specificamente le argomentazioni e conclusioni espresse dalla sentenza Di Grisostomo in ordine al rapporto fra l’originario testo dell’art. 2 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 (convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto con l’art. 3 del D.L. 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154.

Ora, è evidente che la questione esaminata e risolta dalla sentenza Di Grisostomo riguardava sicuramente una ipotesi di successione di norme sanzionatorie e, in particolare, una ipotesi di successione di norme penali. In quel caso, infatti, un determinato fenomeno della realtà, costituito dall’inadempienza ad obblighi di natura fiscale, già preso in considerazione, a fini di repressione penale, per il solo fatto del mancato rispetto dei termini (mensili) fissati dalla normativa tributaria, veniva fatto oggetto, sempre a fini di repressione penale, di una diversa disciplina, formalmente sostitutiva della precedente, che definiva in modo nuovo e autonomo i presupposti della condotta punibile (dando rilievo in particolare alla inutile scadenza del termine fissato per la dichiarazione annuale, da presentare nell’anno successivo a quello di riferimento) e le relative sanzioni. Era chiaro, quindi, sotto un profilo anche formale, che le due discipline non potevano coesistere, e si poneva di conseguenza il problema di come trattare le fattispecie astrattamente assoggettabili ad entrambe. La soluzione trovata, ispirata ai principi di irretroattività e non duplicabilità della sanzione penale e fortemente influenzata – va ricordato – dal principio di ultra attività delle norme penali finanziarie di cui all’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 29 (poi abrogato dall’art. 24, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507) e dalla presenza, nel D.L. 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, di disposizioni transitorie, fu nel senso che i fatti consumati e sanzionati nel regime anteriore alla novellazione restassero assoggettati solo a questo e non potessero in alcun modo costituire oggetto della nuova incriminazione (anche se più favorevole).

Con l’introduzione dell’art. 10-ter del D.Lgs. 74 del 2000 (così come con quella dell’art. 10-bis) non si è, invece, formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro, ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (rimasto in vigore), comprendenti l’omesso versamento, alle previste scadenze mensili (o trimestrali), del debito IVA, la previsione di una specifica fattispecie penale, ruotante sì nell’ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi.

In questo caso, quindi (come in quello dell’art. 10-bis), non si pone un problema di successione di norme sanzionatorie, bensì una questione di eventuale concorso apparente di norme (penale ed amministrativa), ed è una questione che, evidentemente, non riguarda solo l’anno 2005 ma anche gli anni successivi.

Detto concorso è regolato dal principio di specialità, quale previsto in generale nell’art. 9, comma 1, della L. 24 novembre 1981, n. 689 (cfr. Sez. 6, n. 11395 del 1/10/1993, Bellone, Rv. 196065) – secondo il quale «Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale» –, e che trova specifica espressione, nella materia in esame, nell’art. 19, comma 1, del D.Lgs. 74 del 2000, secondo il quale «Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo 2^ precisamente dedicato ai “delitti” e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».

Per stabilire se nel caso in esame si è in presenza di un concorso apparente o effettivo di norme, si tratta, dunque, di verificare se le norme sanzionatorie concorrenti riguardino o meno lo “stesso fatto”.

La risposta a tale quesito è negativa. Entrambi gli illeciti concorrenti, invero, sono illeciti omissivi propri, integrati dal mero mancato compimento di un’azione dovuta.

Com’è noto, gli elementi costitutivi dell’illecito omissivo (di mera condotta) sono: a) i presupposti, cioè la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non tacere quod debetur); c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si consuma l’illecito.

Nell’illecito amministrativo di cui al art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, il presupposto è costituito dal compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’IVA (art. 1, comma 1, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100), la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento periodico dell’IVA, e il termine per l’adempimento è fissato al giorno sedici del mese (o trimestre) successivo a quello di maturazione del debito IVA (art. 1, comma 4, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100).

Nell’illecito penale di cui al art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il presupposto è costituito sia dal compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’IVA (art. 1, comma 1, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100), sia dalla presentazione (regolata dall’art. 8, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno precedente: che tale presentazione sia un necessario presupposto del reato è stato puntualizzato, sulla base dell’inequivoco tenore testuale della norma incriminatrice, dalla giurisprudenza (Sez. 3, n. 6293 del 14/1/2010 (18), Ioele); la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento, per un ammontare superiore a cinquantamila euro, dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale; il termine per l’adempimento è individuato in quello previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo.

Come si vede, pur nella comunanza di una parte dei presupposti (compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’IVA) e della condotta (omissione di uno o più dei versamenti periodici dovuti), gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in particolare: dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA, richiesta per il solo illecito penale; dalla soglia minima dell’omissione, richiesta per il solo illecito penale; dal termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione, fissato, per l’illecito amministrativo, al giorno sedici del mese successivo a quella di maturazione del debito mensile IVA, e coincidente, per l’illecito penale, con quello previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo.

Le illustrate divergenze inducono a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale – secondo l’indirizzo di politica criminale adottato in generale dal D.Lgs. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002 (19)) – costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest’ultima (senza almeno una violazione del termine periodico non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (dichiarazione annuale, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l’applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti comportamentali (in riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale IVA e al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo (v., per un analogo precedente di esclusione della specialità – in tema di rapporto tra la fattispecie penale prevista dall’art. 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000, relativa all’omesso versamento, in misura superiore a euro cinquantamila per ciascun periodo di imposta, di somme dovute, derivante dall’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, e la sanzione amministrativa prevista dall’art. 27, comma 18, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla legge n. 2 del 2009, dell’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute – Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010 (20), Ragosta, Rv. 248753).

Da quanto sopra discende che la presenza della previsione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo all’applicazione, in riferimento allo stesso periodo d’imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici presupposti, della statuizione relativa all’illecito penale di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. La circostanza che in tal modo un fatto integrante uno o più illeciti minori (omissione di uno o più versamenti periodici per un ammontare complessivamente superiore a euro cinquantamila) assurga, in punto di fatto, a presupposto dell’illecito maggiore, richiedente a sua volta ulteriori requisiti e caratterizzato da un diverso tempo di realizzazione, non appare motivo sufficiente per escludere la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti.

La conclusione così assunta in ordine al rapporto sussistente, in via generale, fra le disposizioni in discorso non si pone in contrasto né con l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, né con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che sanciscono il principio del ne bis in idem in materia penale. Anzitutto, invero, nella specie, come si è visto, non si può parlare di identità del fatto; in ogni caso, poi, il principio suddetto si riferisce solo ai procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l’ipotesi dell’applicazione congiunta di sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in tal senso, espressamente, Corte di giustizia U.E., 26/02/2013, causa C-617/10 (21), Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson).

5.2. Quanto finora esposto non risolve tutti i problemi posti dalla questione sottoposta al Collegio, riguardante in particolare l’applicabilità della nuova norma penale, entrata in vigore il 4 luglio 2006, anche a omissioni verificatesi, in riferimento alla scadenza del termine periodico, nel corso del 2005. Tale applicabilità, infatti, sarebbe contraria, secondo l’orientamento che la esclude, anche al principio di irretroattività della norma penale.

La tesi non è condivisibile.

Se è vero, infatti, che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, posteriore a detta scadenza –, è altrettanto vero, però, che la condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.

Pertanto, il soggetto che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla normativa tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al quantum risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che da luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.

Consegue da tanto la manifesta infondatezza della questione (prospettata nel ricorso) di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Una conferma implicita di tale assunto sembra potersi trarre dalla già citata ordinanza n. 25 del 2012, con cui la Corte costituzionale (reiterando in sostanza quanto già affermato con ordinanza n. 224 del 2011) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, rilevando che la circostanza che il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova incriminazione) –, di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato, in quanto il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al soggetto in questione non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento.

L’orientamento qui confutato richiama a proprio favore anche il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, in forza del quale, com’è noto, tutte le volte in cui entra in gioco il dovere d’osservare le leggi penali, la sua violazione, implicita nella commissione del fatto di reato, non può certamente divenire rilevante, e dar luogo alla pena, in caso di impossibilità di conoscenza del precetto (e, pertanto, dell’illiceità del fatto) non ascrivibile alla volontà dell’interessato (Corte cost., sent. n. 364 del 1988).

Quanto detto in ordine allo spazio di condotta virtuosa consentito al soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10-ter fino alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo porta senz’altro a escludere che dal principio di colpevolezza possa discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale alle omissioni di versamento relative ai debiti IVA del 2005.

Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra la maturazione del debito IVA e l’introduzione della norma penale, all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato. Ciò in particolare potrebbe verificarsi nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura prevista al momento della scadenza del termine allungato rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto in essere “prima” dell’introduzione della norma penale, quando le conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa.

La relativa problematica sarà, quindi, affrontata in sede di esame della sussistenza, nella fattispecie concreta, dell’elemento soggettivo del reato.

5.3. Dalle considerazioni che precedono possono dunque enuclearsi i seguenti principi di diritto:

«Fra l’art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta), e il comma 1 dell’art. 13 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA), intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni”;

«l’art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale».

6. Venendo ora al tema dell’elemento soggettivo, si osserva che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico. Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.

La prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto.

Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sé considerate v., in riferimento alla parallela norma dell’art. 10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 1/12/2010 (22), dep. 2011, Provenzale).

Ciò chiarito, si osserva che nel ricorso del R., oltre a invocarsi infondatamente (alla stregua di quanto sopra illustrato), l’esclusione dell’elemento soggettivo in forza della mera sopravvenienza della norma penale rispetto al verificarsi della violazione dei termini periodici di cui all’art. 1, commi 1 e 4, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100, si allegano altresì, da un lato, il «momento di gravissime difficoltà economiche» e, dall’altro, l’applicabilità della regola della cd. ignoranza inevitabile (scaturita dall’intervento sull’art. 5 cod. pen. della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale) ovvero di quella di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Per quanto concerne la prima delle ultime allegazioni, rilevasi che la stessa è generica e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche né concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento ovvero a ricondurre la causa esclusiva dell’inadempimento a condotte tenute prima del secondo semestre del 2006.

Relativamente alla invocata regola della cd. ignoranza inevitabile, è noto che essa può applicarsi al cittadino comune, sfornito di specifiche competenze, allorché egli abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga (Sez. 1, n. 25912 del 18/12/2003, dep. 2004, Garzanti, Rv. 228235), mentre non può validamente essere invocata da chi svolge una attività rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/2/2008, Ciccone, Rv. 240440) – ed è certamente questo il caso, ricorrente nella specie, di un imprenditore (titolare di Agenzia viaggi), tenuto alla puntuale conoscenza e osservanza (anche attraverso la scelta e l’ausilio di collaboratori competenti) delle normative correlate allo svolgimento della attività imprenditoriale –, né in caso di mero dubbio interpretativo, che comporta comunque l’obbligo di evitare la condotta a rischio di sanzione (Sez. 6, n. 6991 del 25/1/2011, Sirignano, Rv. 249451; Sez. 3, n. 28397 del 16/4/2004, Giordano, Rv. 229060).

Venendo poi alla specifica previsione di cui all’art. 15 del D.Lgs. 74 del 2000, secondo la quale «Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione», deve osservarsi che, indipendentemente dall’esatta interpretazione che si può dare di tale norma (che, col riferimento alle «obiettive condizioni di incertezza», sembra alludere a dubbi che provengano comunque non da mere valutazioni e riflessioni soggettive bensì da specifici e concreti fattori esterni di carattere appunto oggettivo) e dal suo conseguente rapporto con la regola della cd. ignoranza inevitabile di cui all’art. 5 cod. pen., come emendato dalla Corte costituzionale, nel caso in esame una indicazione chiarificatrice, atta a scongiurare, sul piano della prudenza comportamentale, ogni presupposto di incertezza invocabile dal punto di vista soggettivo, venne tempestivamente fornito (come già sopra ricordato) dall’Agenzia delle Entrate, che, con circolare n. 28/E del 4 agosto 2006, ebbe a puntualizzare (al punto 4) quanto segue: «Considerato che la disposizione è entrata in vigore il 4 luglio 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per l’Iva relativa alla dichiarazione dell’anno precedente, si ritiene che la nuova previsione sanzionatoria troverà applicazione a partire dai reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre 2006 riguardanti l’Iva risultante dalla dichiarazione relativa all’anno 2005».

7. Premessa, poi, l’assoluta genericità della deduzione relativa a «un quadro di carente o, quanto meno, insufficiente, prova della responsabilità dell’imputato, sussistenza materiale e/o dell’elemento psicologico» del reato (che avrebbe dovuto comportare una pronuncia di sentenza assolutoria a sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.), si osserva che, con un’ultima censura, il ricorrente ha lamentato il vizio di motivazione sulla misura (eccessiva) della pena e sulla denegata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, richiamando al riguardo le circostanze della sua condizione di incensuratezza (erroneamente disconosciuta dal giudice d’appello), del lieve superamento della soglia di punibilità in relazione alla somma non versata e della presentata istanza di rateizzazione della somma iscritta a ruolo, già poste a base dal primo giudice per il riconoscimento (inopinatamente e contraddittoriamente ritenuto denegato dalla Corte di merito) delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.

Il motivo è infondato.

Al di là, invero, dell’erronea (e irrilevante) affermazione della Corte di appello circa la non concedibilità delle attenuanti generiche (già riconosciute dal primo giudice) e del beneficio della sospensione condizionale della pena (parimenti concesso, unitamente alla non menzione, in primo grado), si osserva, da un lato, che la pena è stata irrogata nella misura minima, ridotta di un terzo per le attenuanti generiche, e, dall’altro, che il diniego della conversione della pena (chiesto, peraltro in modo del tutto generico nei motivi di appello) è stato autonomamente e non illogicamente motivato con la considerazione della «dimostrata insofferenza verso forme di versamento di entità patrimoniali in favore dello Stato».

8. Il ricorso del R. deve, pertanto, essere rigettato.

P.Q.M. – Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(1) In Boll. Trib. On-line.

(2) In Boll. Trib. On-line.

(3) In Boll. Trib. On-line.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) In Boll. Trib. On-line.

(6) In Boll. Trib. On-line.

(7) In Boll. Trib. On-line.

(8) In Boll. Trib. On-line.

(9) In Boll. Trib. On-line.

(10) In Boll. Trib. On-line.

(11) Corte Cost. 23 marzo 1988, n. 364, in Boll. Trib. On-line.

(12) In Boll. Trib. On-line.

(13) In Boll. Trib. On-line.

(14) In Boll. Trib. On-line.

(15) In Boll. Trib., 2006, 1285.

(16) Corte Cost. 16 febbraio 2012, n. 25, in Boll. Trib. On-line.

(17) Corte Cost. 21 luglio 2011, n. 224, in Boll. Trib. On-line.

(18) In Boll. Trib. On-line.

(19) Corte Cost. 15 marzo 2002, n. 49, in Boll. Trib., 2002, 874.

(20) In Boll. Trib. On-line.

(21) In Boll. Trib. On-line.

(22) In Boll. Trib. On-line.