SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Principali caratteristiche dell’istituto – 3. L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’istituto – 4. L’inadempimento, l’opposizione e il pignoramento – 5. Considerazioni in punto di giurisdizione – 6. Conclusioni.
1. Premessa
Volendo ricorrere ad una nota espressione manzoniana (1), opportunamente rimodulata per le presenti esigenze, potrei dire: «l’ingiunzione fiscale chi era costei?», anzi ancora meglio «chi è costei», visto che lo strumento di riscossione del quale ho sentito l’esigenza di provare a fornire alcune delucidazioni (in primis a me stesso e, poi, a coloro che vorranno spingersi nella lettura del presente lavoro), pur trovando la propria fonte regolatrice in una disposizione (peraltro, rimasta fino ad oggi quasi intonsa) dello scorso secolo, mantiene una vivida attualità ancora oggi, al punto che, insieme al ruolo, rappresenta il “modo” ordinario di riscossione delle entrate patrimoniali pubbliche.
Da qui il tentativo presente di fornire una ricostruzione dell’istituto sopra richiamato che assume una davvero poliedrica valenza ed efficacia, ben potendo, come si dirà nel prosieguo, essere adoperato tanto da una molteplicità di soggetti pubblici, quanto per il recupero di una moltitudine di crediti, aventi la più disparata natura.
Procediamo, dunque, con la sua disamina.
2. Principali caratteristiche dell’istituto
L’ingiunzione fiscale di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, è stata istituita dal legislatore, come recita l’intitolazione stessa del provvedimento, al fine di consentire una più rapida riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici (tra cui l’art. 1 del R.D. richiama le Province e i Comuni espressamente dichiarando lo strumento applicabile anche ai proventi del Demanio pubblico e dei pubblici servizi esercitati dallo Stato e dagli enti sopra menzionati).
In particolare, ai sensi del successivo art. 2 (2), il procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell’ordine, emesso dal competente Ufficio dell’ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta.
Nella versione originaria del testo era previsto che l’ingiunzione venisse vidimata e resa esecutiva dal pretore nella cui giurisdizione risiede l’Ufficio che la emette, qualunque sia la somma dovuta; è d’uopo evidenziare che il procedimento in parola è divenuto finanche meno gravoso da quando la formalità della “vidimazione”, prevista dalla richiamata normativa, è stata superata dall’intervenuta soppressione del potere del pretore (e, dunque, anche del Giudice di Pace) di rendere esecutivi atti emanati da Autorità amministrative, per effetto dell’art. 229 del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51; tale norma ha, infatti, esplicitamente previsto che gli atti de quibus divengono esecutivi di diritto (3).
Ovviamente, trattandosi di atto recettizio, lo stesso deve essere notificato, nella forma delle citazioni, «da un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o da un usciere addetto all’Ufficio di conciliazione»: ovverosia, oggi l’ente creditore, avvalendosi del descritto procedimento, dovrà, dopo aver redatto l’atto ingiuntivo (in calce al quale deve essere apposta la relata di notifica), curarne la consegna all’Ufficio notifiche presso il tribunale territorialmente competente perché venga effettuata la notifica al debitore a mezzo ufficiale giudiziario.
Pertanto, con tale strumento si è dato luogo alla creazione di un atto che, quanto alle somme aventi natura di entrate privatistiche, cumula in sé le caratteristiche e gli effetti del decreto ingiuntivo e del precetto e quanto alle somme più propriamente di natura pubblicistica, riassume i caratteri propri del ruolo e della successiva cartella di pagamento; in entrambi i casi sempre e comunque autonomamente esecutivi ex lege.
Tale strumento trova il suo fondamento nel potere di “autoaccertamento” della pubblica Amministrazione e il suo legittimo uso è subordinato alla sola condizione che «il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell’Amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sua condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rimanendo all’Amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi» (4); condizione quest’ultima soddisfatta, ad esempio, nel caso in cui il credito della pubblica Amministrazione risulti dai documenti contabili in possesso della medesima, senza alcun potere di determinazione unilaterale, dal momento che le condizioni di esigibilità, certezza e liquidità del credito devono derivare da fonti e parametri obiettivi e predeterminati, riconoscendosi all’Amministrazione solo un mero potere di accertamento di detti elementi.
Orbene, l’ingiunzione di cui all’art. 2 del R.D. n. 639/1910, di competenza del Responsabile o del Dirigente dell’apposito Ufficio o ente (locale e non) creditore, accentra la più alta espressione del potere di imperio dell’Amministrazione, posto che rappresenta uno strumento, quanto ai crediti di diritto privato, evidentemente derogatorio alla ordinaria procedura monitoria di matrice giurisdizionale, alla quale ultima è connessa la garanzia insita nella provenienza dell’atto dall’Autorità giudiziaria, a seguito di un sia pur sommario accertamento delle ragioni documentali del credito; e, quanto ai crediti di diritto pubblico, uno strumento fondato sull’analogia con il ruolo, ma che concentra su di sé già anche gli effetti propri della successiva cartella di pagamento e che è, pertanto, previsto dall’ordinamento a favore di Amministrazioni dello Stato o di altri enti dalla indiscussa natura pubblica.
L’ingiunzione fiscale costituiva e costituisce tuttora, infatti, uno strumento impositivo derogatorio ed eccezionale, messo a disposizione delle persone giuridiche pubbliche e, stante siffatta eccezionalità, la sua adozione non può essere estesa né a soggetti diversi da quelli per i quali la legge lo ha predisposto e né può essere utilizzato per recuperare somme diverse dalle entrate degli enti pubblici.
Infatti, una solo ipotizzata estensione analogica dell’ambito soggettivo od oggettivo dell’istituto configurerebbe una evidente violazione del principio, riveniente la sua fonte nell’art. 13 disp. prel. c.c., che vieta l’analogia delle norme eccezionali e in forza del quale è vietata l’analogia per le «leggi penali e per quelle che fanno eccezione a regole generali».
Ed è evidente che tale unilaterale ed extra giurisdizionale strumento dell’ingiunzione fiscale costituisce eccezione alla regola generale della creazione dell’atto di ingiunzione nella sede giudiziaria e ad opera di un organo terzo quale è un giudice.
Trattasi, dunque, di un ulteriore metodo di riscossione che si aggiunge e si affianca a quello più tradizionale del ruolo in relazione al quale, è bene ricordarlo, a partire dallo scorso 1° ottobre 2011 (5), si è assistito – in materia di imposte dirette, IVA e IRAP – al superamento del tradizionale “ruolo” esattoriale, con il contemporaneo potenziamento della funzione dell’avviso di accertamento («e del connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni») che costituisce anche “titolo esecutivo”, nell’ottica di concentrare la riscossione nell’accertamento, semplificando così il recupero dei tributi da parte dello Stato (6).
Non può, poi, assolutamente dubitarsi della piena vigenza dell’ingiunzione in esame, non essendo affatto possibile obiettarsi che trattasi di istituto abrogato, atteso che, al contrario, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che «l’ingiunzione emessa ai sensi del R.D. n. 639/1910 deve ritenersi sopravvissuta nella sua componente di atto di accertamento della pretesa erariale (idoneo a dar vita ad un giudizio sulla legittimità della pretesa stessa), al disposto dell’art. 130, comma secondo, del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, il quale, nell’abrogare tutte le disposizioni che regolavano la riscossione coattiva delle imposte mediante il rinvio al R.D n. 639/1910, ha sancito l’abrogazione delle sole previgenti disposizioni in materia di riscossione e non anche di quelle in materia di accertamento. Pertanto, tale ingiunzione, inidonea di per se stessa (quando emessa in epoca successiva all’entrata in vigore del citato D.P.R. n. 43/1988) ad attivare un procedimento di riscossione a mezzo ruoli, si sostanzia pur sempre in un invito al pagamento di quanto dovuto, in ordine al quale la notifica a mezzo del servizio postale deve ritenersi strumento idoneo al fine di portare a conoscenza del contribuente la pretesa erariale ed a consentirgli la piena tutela del diritto di difesa anche in sede giudiziaria» (7).
L’emissione dell’ingiunzione fiscale deve, pertanto, considerarsi riservata ai soli enti pubblici in senso soggettivo e non può estendersi, stante il richiamato divieto di analogia, a soggetti privati (persone fisiche e/o giuridiche), anche se eventualmente trattasi di società private integralmente possedute da enti pubblici.
Tale oramai pacifico assunto trae il suo fondamento nella giurisprudenza della Suprema Corte, la quale già a partire dagli anni ‘80 dello scorso secolo ebbe modo di sottolineare la natura di atto amministrativo dell’ingiunzione fiscale e la sua diretta derivazione dal potere di autotutela della pubblica Amministrazione.
In particolare, il Supremo Giudice ha stabilito dapprima che: «L’ingiunzione fiscale è manifestazione del potere di autoaccertamento ed autotutela della Pubblica Amministrazione in materia tributaria, ha natura di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto» (8) e poi che l’ingiunzione fiscale discende dal «potere di autotutela dell’amministrazione impositrice» (9).
In forza di tali arresti sembra potersi sostenere che l’ingiunzione de qua possa essere considerata espressione del generale potere di autotutela esecutiva con la quale la pubblica Amministrazione provvede alla tutela dei propri beni e all’integrità del proprio patrimonio, attraverso l’adozione anche di misure “recuperatorie”, delle quali l’ingiunzione fiscale rappresenta uno strumento esemplare e ancora oggi, a distanza di oltre un secolo dalla sua adozione, attuale (10).
Trattasi, in definitiva, di un atto complesso che assomma al suo interno la natura di:
• Titolo esecutivo, frutto del potere di “autotutela” dell’Amministrazione di poter far ricorso all’ingiunzione in presenza di un credito certo, liquido ed esigibile;
• Atto di precetto, frutto della cd. autosufficienza esecutiva, per cui il contenuto della ingiunzione ricalca quello del precetto, in quanto, come detto, contiene l’ordine di pagare entro un determinato termine (trenta giorni) e l’intimazione a provvedervi, pena l’esecuzione forzata e la sottoposizione preventiva a misure cautelari, quali il fermo e l’ipoteca;
• Atto amministrativo, frutto del potere di autarchia, in virtù del quale l’ingiunzione fiscale è tipicamente un atto amministrativo, in quanto posto in essere da una Autorità amministrativa nell’esercizio di una funzione esecutiva, volta alla realizzazione concreta dei fini pubblici dell’ente. In quanto atto proveniente dall’Autorità amministrativa è soggetto alla disciplina della legge 7 agosto 1991, n. 241, in particolare nei seguenti elementi: soggetto, oggetto, causa, motivazione, dispositivo, indicazione e firma del responsabile del procedimento, indicazione dell’Ufficio ove reperire informazioni, termini per ricorrere, Autorità giudiziaria presso cui ricorrere.
3. L’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’istituto
In ordine, poi, all’individuazione dei soggetti dell’ordinamento che possono avvalersi del procedimento e dello strumento dell’ingiunzione fiscale, si evidenzia come, stante la natura derogatoria ed eccezionale dell’ingiunzione fiscale rispetto agli strumenti di diritto comune, i soggetti dell’ordinamento che possono adoperare detto rimedio vengono individuati nei soli enti pubblici in senso stretto e in senso soggettivo.
Più precisamente un valido ausilio nella individuazione di tali soggetti può essere fornito dal cd. T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) il cui secondo comma dell’art. 1 così recita: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300».
Dalla semplice lettura, quindi, della sopra richiamata disposizione appare palese come il novero dei soggetti potenzialmente interessati sia davvero vasto, potendo spaziare dalle pubbliche Amministrazione “tradizionali”, sia centrali che territoriali, agli enti pubblici (non economici), anche qui centrali o territoriali, fino a quelle di concezione più moderna, come le Agenzie c.d. fiscali, l’ARAN, per continuare con scuole, Università, IACP, CCIIAA, ecc.
Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione ha precisato che «Il ricorso al procedimento ingiunzionale, di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, è previsto per le entrate patrimoniali degli enti pubblici, e cioè per quei proventi che derivino da un rapporto, sia pubblicistico che di natura contrattuale, per il godimento di un bene operizio, in diretta connessione con la normale attività istituzionale degli Enti medesimi» (11).
È stato, poi, ribadito l’assunto di cui sopra, chiarendo nuovamente che «Lo Stato e gli Enti pubblici possono avvalersi dello speciale procedimento ingiunzionale anche per entrate di diritto privato» (12); ancora la Corte di Cassazione ha ribadito la legittimazione dei soli enti pubblici all’uso dell’ingiunzione fiscale, affermando che «lo speciale procedimento disciplinato dal R.D. n. 639/1910 è utilizzabile, da parte della pubblica Amministrazione, non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della medesima pubblica Amministrazione» (13).
In sostanza, si può affermare che l’ingiunzione fiscale costituisce uno strumento di recupero utilizzabile dai soli dagli enti pubblici (in senso proprio o stretto) per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato (come recita il titolo della legge in esame), sia di diritto pubblico che di diritto privato.
In particolare, per l’adozione dell’ingiunzione fiscale occorre il rispetto dei seguenti requisiti: la liquidità e l’esigibilità del credito, essendo inibita alla pubblica Amministrazione qualunque determinazione unilaterale dello stesso, poiché le condizioni di determinatezza ed esigibilità di quanto dovuto devono derivare da fatti obiettivi e determinati.
Infine, nessun dubbio può sorgere sulle categorie di entrate suscettibili di essere recuperate per mezzo del descritto procedimento, poiché la giurisprudenza ha chiarito che «lo speciale procedimento disciplinato dal R.D. n. 639/1910 è utilizzabile, da parte della pubblica Amministrazione, non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della medesima pubblica Amministrazione, con il solo limite che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali l’Amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, restando affidata al giudice del merito la valutazione, in concreto, dell’esistenza dei suindicati presupposti» (14).
Pertanto, oltre a tradizionali ipotesi di somme di natura pubblicistica, quali canoni demaniali o spettanti agli enti territoriali o a somme di natura ad essi affine, di spettanza, ad esempio, a consorzi di bonifica, ecc., sono suscettibili di essere riscosse in caso di inadempimento le entrate di diritto privato, in relazione alle quali si possono ipotizzare tutte le ipotesi in cui la parte debitrice sia legata all’Amministrazione creditrice in forza di un rapporto negoziale di derivazione privatistica da cui trae fonte detto obbligo di pagamento (ad esempio, una retta scolastica per il servizio mensa di un istituto scolastico, le cd. tasse universitarie per gli iscritti ad un corso di laurea, il recupero di somme corrisposte da un datore pubblico ad un soggetto che quale lavoratore le ha percepite indebitamente, fino alla applicabilità dello stesso rimedio nei confronti di un soggetto che si trovi in stato di quiescenza e abbia ottenuto somme non spettanti).
Un caso peculiare di utilizzo è quello, particolarmente diffuso, relativo ai tributi c.d. minori dovuti a favore degli enti locali che, in luogo della riscossione tramite ruolo e successiva cartella di pagamento emessa dall’agente della riscossione, procedono direttamente o per il tramite di concessionari locali alla notifica dell’ingiunzione in parola. Tanto giacché dallo scorso 1° gennaio 1998, per effetto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ogni Comune può decidere, attraverso un proprio regolamento, di gestire le fasi di riscossione volontaria o coattiva delle proprie entrate (non solo tributarie, ma anche patrimoniali, come in caso di canoni concessori o similari) o direttamente o per il tramite di soggetti iscritti in uno speciale albo delle società di riscossione dei tributi locali, costituiti sotto forma di società di capitali o di aziende speciali a (prevalente o meno) capitale pubblico locale (15).
Orbene, in tale caso, lo strumento di riscossione sarà esclusivamente quello dell’ingiunzione di cui al R.D. del 1910 in esame (16), espressamente consentito alle sole pubbliche Amministrazioni in senso proprio (direttamente da parte dell’ente locale interessato ovvero per il tramite di una società mista a prevalente capitale pubblico locale, che annoveri nella compagine almeno uno o più soci privati prescelti tra i soggetti iscritti nell’albo di cui al predetto art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997) e solo eccezionalmente delegabile a favore di un soggetto privato, il quale deve rivestire la qualità o di concessionario locale della riscossione, iscritto all’apposito albo di cui al citato art. 53 (che può esercitare tale attività o in proprio o anche in forma di società mista, a partecipazione dell’ente locale) (17).
Tale possibilità, ovverosia delega, in forza dell’art. 52, lett. b), del D.Lgs. n. 446/1997, da parte dei Comuni a favore di concessionari locali, non è – per effetto di quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – ammessa per la riscossione delle sanzioni comminate per le violazioni al Codice della strada.
Non è, in sostanza, legittima alcuna deroga alla procedura centralizzata di riscossione prescritta dagli artt. 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e 206 c.d.s. ed è, pertanto, diritto vivente il principio secondo il quale la riscossione delle sanzioni amministrative irrogate dagli enti locali deve avvenire unicamente mediante gli agenti della riscossione (della Società Equitalia Spa) e, quindi, mediante ruolo (18).
4. L’inadempimento, l’opposizione e il pignoramento
Una volta portata a conoscenza del debitore, l’ingiunto, in forza di quanto statuito dal successivo art. 3 del R.D. n. 639/1910, entro trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione, può contro di questa produrre ricorso od opposizione «avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale del luogo, in cui ha sede l’Ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma del Codice di procedura civile» (19).
È bene precisare che in linea di principio detto termine non è stato mai qualificato come perentorio, essendo possibile dare corso all’opposizione anche oltre il suo decorso; infatti, lo stesso è stato sempre inteso quale momento ultimo entro cui la parte ha diritto di richiedere la sospensione dell’ingiunzione e che l’Autorità adita ha facoltà di concedere con provvedimento che può essere concesso anche con un semplice decreto in calce al ricorso.
In definitiva, in assenza di una espressa previsione della sua natura perentoria, ben può la parte privata impugnare detto provvedimento oltre il predetto termine di giorni trenta (20), anche se ovviamente prima contesta l’infondatezza della pretesa e prima può porre fine all’aggressione nei confronti del proprio patrimonio (beni mobili, come denaro o altri beni, anche iscritti nei pubblici registri; beni immobili, nel qual caso l’ingiunzione va trascritta nei pubblici registri immobiliari; crediti verso terzi, come somme dovute a titolo di retribuzioni, stipendi, pensioni a favore del debitore ingiunto).
Inoltre, a mente del successivo art. 4, in mancanza del provvedimento di sospensione o in caso di rigetto, in tutto o in parte, del ricorso o dell’opposizione da parte dell’Autorità adita, il procedimento medesimo non potrà, per qualsiasi motivo, e anche quando sia pendente giudizio di appello, essere sospeso se non in seguito a pagamento della somma dovuta, salvo il caso di provvedimento di sospensione che fosse concesso dalla Autorità adita per il giudizio di appello (la cui facoltà di concessione del provvedimento è esplicitamente prevista dalla legge).
Infine, ai sensi del successivo art. 5, una volta trascorso inutilmente il termine di trenta giorni, fissato dall’art. 2 per i debitori morosi, o respinto il ricorso o l’opposizione nei casi in cui fosse stata ordinata la sospensione del procedimento coattivo, l’ente creditore ha titolo per procedere, per mezzo di un ufficiale giudiziario, al pignoramento dei beni mobili del debitore, eccettuati quei mobili che per legge non possono essere pignorati, dando così corso alla procedura di esecuzione forzata che potrà portare alla vendita dei beni e alla loro assegnazione in pagamento, per il recupero coattivo del dovuto.
In ordine al termine per l’opposizione contro l’ingiunzione fiscale si evidenzia, per completezza, che questa non rientra tra i procedimenti sottratti alla sospensione dei termini nel periodo feriale (attualmente ricompresa tra il 1° e il 31 agosto di ciascun anno) in quanto non è equiparabile all’opposizione all’esecuzione, né rappresenta il carattere dell’urgenza (21).
L’ingiunzione in esame è, pertanto, legittimamente utilizzabile dalle Amministrazioni (statali e non) in ogni ipotesi in cui si debba procedere al recupero di somme, certe liquide ed esigibili, aventi la più disparata natura: tributaria, pubblicistica e anche privatistica (esclusa, si badi bene, l’ipotesi di somme di natura risarcitoria, in relazione alle quali evidentemente difetta il necessario requisito di determinatezza ed esigibilità del credito che devono derivare da fatti obiettivi e determinati), costituendo l’ingiunzione atto idoneo ad attivare la pretesa dell’Amministrazione e a consentire l’opposizione del debitore avanti al giudice munito della relativa giurisdizione.
5. Considerazioni in punto di giurisdizione
Quanto, poi, alla individuazione del giudice munito di giurisdizione in materia di impugnazione dell’ingiunzione fiscale occorre distinguere il titolo sostanziale che sta alla base della pretesa azionata con l’ingiunzione.
Come fin qui visto, infatti, con tale strumento possono essere conseguite tutta una serie di pretese da parte di Organi pubblici, ciascuna delle quali, una volta individuata la natura che ad essa sottostà, non potrà che determinare la conseguente individuazione del giudice “naturale” al quale, nei modi e termini specificamente previsti dalle disposizioni che ne regolamentano la relativa procedura contenziosa, il destinatario della pretesa dovrà rivolgersi.
Da qui, dunque, come vedremo fra breve, è ben possibile che qualsivoglia giudice possa essere concretamente destinatario di un’opposizione all’ingiunzione notificata ad un cittadino, in quanto la stessa afferisce ad un oggetto sostanziale (materia) rientrante nella sua sfera di “competenza”.
In particolare, per come detto, l’art. 3 del R.D. n. 639/1910 istituisce la competenza del giudice ordinario – ripartita tra giudice di pace, per le pretese fino a € 5.000,00, e tribunale per tutte le altre di valore superiore – attraverso un’opposizione da formulare entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. La sentenza emessa in prime cure è normalmente appellabile come una qualunque sentenza di primo grado e non ricorribile direttamente per cassazione (22), alla quale, come giudice di legittimità, ci si potrà rivolgere in ultima istanza, per far valere uno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c.
Quanto alle peculiarità del giudizio si evidenzia che nell’ordinaria opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente conserva comunque la veste di convenuto e non indossa quella di attore, mentre relativamente al giudizio di opposizione avverso l’ingiunzione fiscale spiegata dinanzi al giudice ordinario (giudice di pace e tribunale), la giurisprudenza afferma il contrario, assumendo che in esso l’opponente acquista la veste di attore: di guisa che l’Amministrazione convenuta può anche proporre domande riconvenzionali e, per converso, che il giudice deve procedere ad una disamina completa della vicenda giuridica, compiendo un controllo formale dell’ingiunzione e una verifica della stessa pretesa sostanziale sottesa al provvedimento impugnato (23).
Tuttavia, l’opponente assume la veste di attore solo in senso formale e non in senso sostanziale, dovendo da un lato l’Amministrazione finanziaria provare la fondatezza della sua pretesa, e dall’altro l’opponente limitarsi all’allegazione dei fatti modificativi, impeditivi ed estintivi della suddetta pretesa (24).
Ma dove certamente è assai ampio l’ambito della giurisdizione in materia di opposizione alle ordinanze ingiunzione è quello di tipo tributario, dal momento che, come detto, molteplici sono i casi di ricorso a tale strumento di riscossione in ambito propriamente fiscale.
E, infatti, prendendo spunto da quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, chiamata a decidere quale giudice fosse dotato di giurisdizione in un giudizio di opposizione ad ingiunzione emessa sulla base del R.D. n. 639/1910, ha avuto modo di chiarire «che l’ingiunzione che precede l’espropriazione speciale attuata in base al decreto del 1910, quando dà luogo ad una contestazione basata su una norma tributaria, non può che essere assegnata alla Commissione tributaria. L’ingiunzione non è sicuramente un atto dell’espropriazione forzata, ma è un atto (normalmente di natura tributaria) riferibile al creditore che non è preceduto da una notificazione del ruolo o di una cartella». Esso ha la stessa funzione della cartella e deve potere essere impugnato come una cartella. Giova ricordare che nel processo esecutivo ordinario c’è il principio contenuto nell’art. 479 c.p.c. secondo il quale «Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto».
Questo principio è ribadito anche nell’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, secondo il quale «Il concessionario procede a espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione e alla sospensione. Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’art. 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni». Ma, anche l’art. 5 del R.D. del 1910 presuppone che prima dell’espropriazione forzata venga notificata l’ingiunzione.
«Tutto ciò, allora, conferma che l’ingiunzione svolge la stessa funzione che svolge la cartella in quanto atto prodromico per l’esecuzione forzata» (25).
In buona sostanza, ogni qual volta la pretesa sottostante all’ingiunzione fiscale assume natura tributaria, la relativa controversia – introdotta dal destinatario della pretesa attivata con l’ingiunzione ex R.D. del 1910 – appartiene alla esclusiva giurisdizione della Commissione tributaria provinciale, per effetto del disposto di cui al noto art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che attribuisce a tale giudice speciale la cognizione delle controversie afferenti i tributi di ogni genere e specie.
Da tale affermazione discende, quale logico e immediato corollario, l’applicazione a tale tipologie di giudizio di tutte le disposizioni relative al processo tributario (di cui al già menzionato D.Lgs. n. 546/1992) in materia di competenza territoriale del giudice tributario da adire, di termini per l’impugnazione, di modalità di redazione e presentazione del ricorso, ecc.
Tanto precisato, per concludere, non può non rilevarsi come tale strumento sia utilizzabile anche per il conseguimento delle entrate di natura non tributaria.
La giurisprudenza, infatti, mentre in linea generale esclude la giurisdizione del giudice amministrativo sebbene l’ingiunzione abbia natura di provvedimento amministrativo, è altrettanto costante nell’evidenziare che, laddove la pretesa sostanziale sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o a quella della Corte dei Conti, anche la cognizione sull’opposizione è attratta alla competenza del giudice amministrativo, come avviene in caso di ingiunzioni emesse in materia di oneri di urbanizzazione, o a quella della Corte dei Conti, ad esempio in materia pensionistica (26).
6. Conclusioni
Concludendo queste brevi riflessioni mi preme sottolineare come, in definitiva, l’ingiunzione fiscale in esame costituisca uno strumento nient’affatto superato o desueto e che anzi, nonostante l’età, ha rappresentato e rappresenta uno rimedio all’inadempimento all’avanguardia che, come rilevato nelle precedenti pagine, è legittimamente utilizzabile dalle Amministrazioni (statali e non) in ogni ipotesi in cui si debba procedere al celere recupero di somme, certe liquide ed esigibili, aventi la più disparata natura: tributaria, pubblicistica e anche privatistica.
Anzi detto istituto, stante la sua immediata efficacia di atto di accertamento e di cartella di pagamento ovvero di provvedimento monitorio provvisoriamente esecutivo (a seconda che si voglia puntare l’attenzione sull’oggetto – pubblicistico o privatistico – di quanto preteso), si può ritenere un vero e proprio antesignano del processo evolutivo cui sono approdati gli atti di accertamento delle imposte dirette, dell’IVA e dell’IRAP che, come pure rilevato, solo di recente hanno assunto la valenza di veri e propri atti “impoesattivi”, ovverosia, di strumenti tesi, contemporaneamente, ad accertare sia la debenza di un determinato tributo (atti impositivi) che ad ingiungerne il pagamento entro termini certi e precisi, pena l’esecuzione forzata (atti di riscossione).
Tanto unificando e accelerando, la fase di accertamento, con invio dell’atto al suo destinatario e, in caso di sua non impugnazione o sospensione, di successiva formazione del ruolo da parte dell’ente impositore e invio all’agente della riscossione, tenuto alla successiva emissione e notifica della cartella di pagamento.
Orbene, l’ingiunzione fiscale, strumento talora residuale di ottenimento del dovuto da parte delle pubbliche Amministrazioni, sin dal primo decennio del novecento già assommava queste funzioni che solo da poco sono state pure riconosciute agli ordinari atti di accertamento; e questo aspetto, unitamente a tutte le peculiarità proprie dell’ingiunzione fiscale e alla sua poliedrica polivalenza, ne fanno un istituto non solo attuale, ma che certamente potrà essere considerato vivente ancora per molto tempo e che ben potrà, se correttamente e saggiamente utilizzato dai soggetti pubblici impositori, accanto al ruolo, far concretamente conseguire il pagamento di quanto dovuto all’erario da ciascun cittadino.
Avv. Sergio La Rocca
(1) Cfr. A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. VIII.
(2) L’art. 2 del R.D. n. 639/1910 prevede che «il procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell’ordine, emesso dal competente ufficio dell’ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta. La ingiunzione è vidimata e resa esecutoria dal pretore nella cui giurisdizione risiede l’ufficio che la emette, qualunque sia la somma dovuta; ed è notificata, nella forma delle citazioni, da un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o da un usciere addetto all’Ufficio di conciliazione. L’ufficiale giudiziario o l’usciere dell’Ufficio di conciliazione deve restituire all’Ufficio emittente l’originale ingiunzione, munita del certificato di eseguita notificazione. Per la intimazione d’ignoto domicilio, residenza o dimora, o residenti all’estero, sono applicabili le norme stabilite dalla procedura civile per le citazioni. Per la effettuata notificazione è corrisposta all’ufficiale giudiziario o all’usciere del conciliatore la metà dei diritti spettanti, giusta la tariffa vigente, agli ufficiali giudiziari delle preture».
(3) La Corte di Cassazione ha, peraltro, precisato che la mancanza del visto di esecutività pretorile non incideva sulla validità ed efficacia dell’ingiunzione fiscale per gli effetti che si ricollegavano alla sua qualità di atto amministrativo contenente l’ordine di pagare una data somma e, pertanto, lo stesso era da considerarsi pienamente valido come atto di accertamento d’ufficio del credito che si intende realizzare, oltre che come atto di costituzione in mora (sul punto cfr. Cass., sez. trib., 6 settembre 2006, n. 19195, in Boll. Trib. On-line).
(4) Così Cass., sez. I, 22 dicembre 1992, n. 13587, in Rep. foro it., 1992, Riscossione delle imposte [5970], n. 194, alla quale si aggiunge pure Cass., sez. I, 15 giugno 2000, n. 8162, in Giust. civ. mass., 2000, 1306; sulla stessa linea, la Corte di Cassazione, nel trattare della competenza sull’opposizione all’ingiunzione fiscale, ha definito quest’ultima quale «provvedimento dell’Autorità Amministrativa che lo ha emesso», così Cass., sez. I, 21 ottobre 1994, n. 8647, ivi, 1994, 1261.
(5) Tanto con la entrata in vigore della riforma di cui all’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. “decreto anticrisi”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).
(6) L’iscrizione a ruolo (quale “atto formale” giuridicamente rilevante) è dunque andata “in pensione” (in relazione agli accertamenti relativi alle imposte sui redditi, all’IRAP e all’IVA) essendo ancora prevista per le liquidazioni di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in quanto tali liquidazioni, per loro natura, anticipano la fase della riscossione “saltando” formalmente quella dell’accertamento). In particolare, il primo comma dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010 ha previsto che l’accertamento debba contenere l’intimazione ad adempiere le somme in esso recate «entro il termine di presentazione del ricorso», diventando “titolo esecutivo” decorsi sessanta giorni dalla sua notifica, per cui una volta notificato, in caso di mancato pagamento o di mancata proposizione del ricorso, e decorsi trenta giorni dal termine ultimo per effettuare il pagamento (termine coincidente con quello per la presentazione del ricorso), le somme intimate nell’atto di accertamento sono «affidate in carico» all’agente della riscossione per l’avvio dell’esecuzione forzata.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 11 luglio 2003, n. 10923, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cass., sez. I, 7 maggio 1981, n. 2965, in Boll. Trib. On-line.
(9) Così Cass., sez. I, 25 maggio 1983, n. 3595, in Boll. Trib., 1984, 487.
(10) Il Collegio di legittimità ha, infatti, ribadito l’origine dell’ingiunzione fiscale dal potere amministrativo di realizzare coattivamente la sua pretesa, evidenziando che «l’ingiunzione fiscale, quale estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato e degli altri enti ai quali la legge riconosce tale potere, ripete la sua efficacia direttamente dal potere attribuito all’ente, di realizzare coattivamente la sua pretesa», così Cass., sez. III, 31 luglio 2002, n. 11368, in Boll. Trib. On-line.
(11) Così Cass., sez. I, 12 luglio 1979, n. 4028, in Mass. Giust. civ., 1979, fasc. 7, che, a conferma della natura derogatoria ed eccezionale dello strumento in esame, ne nega l’utilizzabilità, per il recupero di un’imposta di consumo evasa, nei confronti non del contribuente evasore, ma di un terzo che aveva concorso al comportamento fraudolento evasivo.
(12) Cfr. Cass., sez. I, 2 agosto 1995, n. 8462, in Rep. foro it., 1995, Dogana [2450], n. 110.
(13) Cfr. Cass., sez. I, 25 agosto 2004, n. 16855, in Boll. Trib. On-line.
(14) Così Cass., sez. un., 25 maggio 2009, n. 11992, in Boll. Trib. On-line.
(15) Si evidenzia che la giurisprudenza tributaria, partendo dalla considerazione che l’ingiunzione fiscale deve essere munita del visto di esecutorietà del responsabile del servizio competente, incardinato nella struttura dell’ente locale creditore, ha affermato essere nulla, in quanto viziata da eccesso di potere e violazione di legge, l’ingiunzione emessa da società affidataria del servizio di liquidazione e riscossione dei tributi locali, stabilendo l’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in connessione con l’art. 2 del R.D. n. 639/1910, che il visto di esecutorietà dell’ingiunzione deve essere apposto, in ogni caso, dal funzionario responsabile appartenente all’ente locale creditore (così, Comm. trib. prov. di Cosenza, sez. III, 8 ottobre 2003, n. 122, in Boll. Trib., 2003, 1580, con nota di E. RIGHI, In tema di ingiunzione fiscale per la riscossione, affidata a società esterna, di tributo locale).
(16) In caso, invece, di mancata opzione per la riscossione in proprio o per il tramite di detti concessionari iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 (albo regolamentato con il D.M. 11 settembre 2000, n. 289), la riscossione viene ope legis demandata all’agente della riscossione che vi provvede in base alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 43/1988, ovvero tramite notifica della cartella di pagamento a seguito di emissione del ruolo da parte dell’ente locale impositore.
(17) In definitiva, per provare a dirla in altre (si spera più chiare) parole, il legislatore, tenuto conto della delicatezza dell’attività da porre in essere, che implica anche molteplici problematiche di carattere tecnico e giuridico, impone che lo strumento dell’ingiunzione fiscale, in materia di entrate locali, possa essere esercitata: o direttamente dall’ente locale, o da un concessionario iscritto al predetto albo della riscossione dei tributi locali, o da una società che annoveri almeno uno di tali soggetti al proprio interno che, se costituita a prevalente capitale pubblico, è esonerata dall’obbligo di chiedere la iscrizione al suddetto albo.
(18) La questione de qua è stata così risolta dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. un., 10 ottobre 2002, n. 14472, in Giust. civ., 2003, I, 356), rendendo precluso il ricorso all’ingiunzione fiscale da parte degli enti locali per la riscossione “in proprio” delle somme dovute per le sanzioni comminate in materia di violazione al Codice della strada, essendo così l’unica modalità di riscossione delle sanzioni da violazioni al Codice della strada, quella prescritta dall’art. 27 della legge n. 689/1981, richiamato dall’art. 206 c.d.s., che contempla la riscossione a mezzo ruolo da parte del concessionario.
(19) Sul tema specifico della giurisdizione si veda il paragrafo seguente.
(20) In tal senso cfr. Cass. 26 novembre 1981, n. 6292, in Rep. foro it., 1981, Previdenza sociale [5150], n. 377.
(21) Così Cass., sez. I, 4 luglio 2013, n. 16747, in Boll. Trib. On-line.
(22) Cfr. Cass., sez III, 8 novembre 2006, n. 23864, in Boll. Trib. On-line.
(23) Secondo Cass., sez. trib., 13 ottobre 2006, n. 22027, in Boll. Trib. On-line: «L’opposizione a ingiunzione fiscale dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il contribuente assume la veste formale e sostanziale di attore e l’amministrazione creditrice quella di parte convenuta, alla quale spettano, quindi, tutti i poteri processuali ricollegati a tale posizione, compreso quello di proporre domande riconvenzionali riflettenti il medesimo rapporto di imposta in contestazione. Il giudice adito, pertanto, deve procedere alla verifica, non solo della legittimità dell’ingiunzione, ma anche – in piena autonomia e nei limiti della domanda proposta dall’opponente, nonché delle eventuali domande riconvenzionali dell’ente opposto – delle condizioni di forma, cui l’esercizio della pretesa tributaria è dalla legge subordinato, ed altresì della legittimità della pretesa medesima sotto l’aspetto sostanziale, al fine di accertare se ed in quali limiti si siano realizzati gli elementi ed i presupposti di fatto della fattispecie impositiva».
(24) Afferma Cass., sez. trib., 16 giugno 2006, n. 14051, in Boll. Trib. On-line, che: «Il giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale ex art. 3 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, integra una domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta valere con l’ingiunzione, ed in esso l’opponente assume la veste di attore solo in senso formale, ma non in senso sostanziale, perché tutti gli elementi dell’obbligazione tributaria, compresa la riferibilità della medesima al contribuente, vanno allegati e provati dall’Amministrazione finanziaria, restando l’opponente soggetto all’onere dell’allegazione e della dimostrazione degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi dell’obbligazione stessa».
(25) Così testualmente Cass., sez. un., 25 maggio 2005, ord. n. 10958, in Boll. Trib. On-line.
(26) In questo senso si è espresso il giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2010, n. 8156, in Rep. foro it., 2011, Pensione [4880], n. 9), secondo cui le «controversie relative ad atti di recupero di ratei di pensione erogati e non dovuti appartengono alla giurisdizione esclusiva della Corte del Conti in materia di dipendenti degli enti locali poiché, venendo in discussione il quantum (o nella specie l’an) del trattamento pensionistico e, quindi la sussistenza o l’entità del diritto a pensione, ciò che rileva ai fini in questione è il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in giudizio; né tale regola soffre della deroga in favore di altro giudice nell’ipotesi in cui l’Amministrazione si sia avvalsa del procedimento per ingiunzione di cui all’art. 2 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639 (cfr., tra le tante, Cass., ss.uu., 16 novembre 2007 n. 23731). La Corte regolatrice della giurisdizione tanto ha altresì ribadito, affermando che spetta alla Corte dei Conti la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l’indebita percezione di ratei di pensione con conseguente diritto alla ripetizione fatto valere dall’Amministrazione del tesoro, né tale giurisdizione soffre deroga, in favore di altro giudice, nel caso in cui si contesti l’esperibilità ai fini del recupero del procedimento di riscossione adottato (cfr. Cass., ss.uu., 18 giugno 2008 n. 16530)».