26 Maggio, 2015

L’IMPUGNAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI RIGETTO DELLA DOMANDA DI DEFINIZIONE DELLA LITE PENDENTE

E LA SOGGEZIONE ALL’ISTITUTO DEL RECLAMO

1. Premessa

La pronuncia in rassegna si segnala perché, tra le prime, interviene sulla soggezione all’istituto del reclamo/mediazione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate di rigetto della domanda, avanzata dal contribuente, di definizione della lite pendente. La sentenza esamina, altresì, quanto consegue in termini di ammissibilità del ricorso introduttivo in caso di costituzione in giudizio prima dello spirare del termine previsto per la chiusura della fase del reclamo. A tale riguardo, essa inerisce all’originaria disciplina del reclamo, prevista dall’art. 17-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in vigore prima delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 611, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e degli effetti dispiegati dalla sentenza della Corte Costituzionale 9 aprile 2014, n. 98 (1). Nondimeno, presenta profili di indubbio interesse al pari di ulteriori profili processuali decisi dai giudici riguardo alla fattispecie concreta.

2. La controversia

Il ricorrente, dopo aver qualificato il proprio ricorso introduttivo «Ricorso ex art. 17-bis D.Lgs. n. 546/1992» e notificato alla controparte nel termine di legge, provvedeva alla costituzione in giudizio nel termine ordinario di trenta giorni, senza attendere quello di novanta giorni previsto per la realizzazione del procedimento relativo al reclamo/mediazione (2). Procedimento che peraltro, per espressa ammissione di parte, l’Ufficio finanziario non avrebbe tenuto per aver consapevolmente gestito il ricorso come ordinario e non come ricorso/reclamo.

Nel ricorso introduttivo avverso il provvedimento oggetto di impugnazione il ricorrente deduceva la mancata indicazione nell’atto della necessità di presentare il reclamo di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992.

Nella costituzione in giudizio l’Agenzia delle entrate resistente replicava affermando la non assoggettabilità dell’atto impugnato al procedimento di mediazione.

3. Il provvedimento di diniego di definizione della lite pendente e il reclamo/mediazione: cenni normativi

In estrema sintesi, e per quanto qui di rilievo, l’art. 39, dodicesimo comma, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), alle condizioni previste, prevedeva a favore del contribuente la facoltà definitoria delle liti pendenti alla data del 31 dicembre 2011, riguardanti gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate di valore non superiore a euro ventimila.

Il disposto normativo prevedeva, altresì, specifici adempimenti a seguito dei controlli di competenza operati dall’Agenzia delle entrate. Entro la data del 30 settembre 2012 l’Agenzia doveva comunicare alla Commissione tributaria competente l’esito positivo della definizione della lite. Viceversa, in caso di esito negativo, l’Agenzia doveva notificare al contribuente, nelle forme previste dall’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, un atto comunicativo del diniego della definizione della lite nonché depositare copia dell’atto presso la segreteria della Commissione tributaria competente.

[-protetto-]

La disciplina del reclamo e della mediazione fa riferimento agli atti “emessi” dall’Agenzia delle entrate. Quanto al catalogo degli atti reclamabili, occorre considerare il primo e sesto comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui: a) oggetto di reclamo sono gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate; b) al procedimento di mediazione devono applicarsi le disposizioni previste dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nessun dubbio, quindi, sorge per gli atti previsti dall’art. 19 come autonomamente impugnabili avanti alla Commissione tributaria provinciale. Per quelli non espressamente indicati, deve considerarsi che il catalogo degli atti impugnabili termina con la previsione alla lett. i) «di ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie».

Riguardo alle modalità di impugnazione del provvedimento di diniego di definizione della lite pendente, l’art. 39, dodicesimo comma, del D.L. n. 98/2011, nulla dispone in ordine all’impugnazione rinviando, al riguardo, a quanto previsto dall’art. 16, ottavo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Tale ultimo disposto normativo, tra l’altro, da un lato prevede che il provvedimento di diniego debba essere notificato al contribuente a norma dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973, e dall’altro lato, prevede che il destinatario possa impugnare l’atto nel termine di sessanta giorni «dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite». Ne consegue l’applicazione delle norme procedurali del relativo grado di giudizio (provinciale, regionale o di cassazione).

Alla luce del quadro normativo di riferimento può dedursi la competenza del giudice tributario a conoscere i ricorsi avverso i dinieghi di definizione delle liti pendenti (3).

4. La motivazione della sentenza sulla reclamabilità del provvedimento reiettivo della definizione della lite pendente

Nella sentenza in esame, muovendo dal disposto letterale dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, laddove fa riferimento alle controversie non superiori a ventimila euro e agli atti emessi dell’Agenzia delle entrate, i giudici affermano l’obbligatorietà del reclamo perché il provvedimento di diniego impugnato, da un lato, era stato emesso dall’Agenzia delle entrate, e dall’altro lato riguardava la definizione di una lite pendente del valore non superiore al minimo di legge previsto.

La conclusione dei giudici non appare pienamente condivisibile. Si è visto, infatti, che mentre la disciplina del reclamo è dettata dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 (il quale, per gli atti impugnabili, rinvia al successivo art. 19), quella dell’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite pendente è disciplinata, oltre che dal D.Lgs. n. 546/1992, dall’art. 16, ottavo comma, della legge n. 289/2002, che ne prevede la specifica disciplina di impugnazione «dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite».

Per giurisprudenza consolidata del giudice di legittimità, infatti, la richiesta di condono si inserisce, in via incidentale, nella lite pendente condonata quale fatto estintivo della controversia già iniziata, determinandone la cessata materia del contendere (4). Motivo per cui, per esigenze di razionalità ed economia processuale, il giudice della lite condonata diventa anche giudice del condono. La circostanza che, per le indicate ragioni di ordine processuale, anche l’art. 16 citato preveda l’impugnazione dell’atto di diniego presso il giudice tributario avanti cui pende la lite condonata (lite, quindi, già iniziata), rende impraticabile la sussunzione dell’atto di diniego tra quelli reclamabili per l’impossibilità di perseguire lo scopo a cui l’istituto del reclamo è preordinato, ovverosia evitare il sorgere di una lite. Laddove, viceversa, il tentativo di definizione della lite e il provvedimento di diniego presuppongono l’esistenza di una lite già incardinata. Da tale considerazione, peraltro, in un documento di prassi anche l’Agenzia delle entrate trae il convincimento della non reclamabilità del provvedimento di diniego della definizione della lite pendente (5).

Per altro verso, ferma la premessa che il giudice della lite condonata diventa anche giudice del condono, con riferimento alle liti pendenti presso la Corte di Cassazione la non applicabilità dell’istituto del reclamo all’atto di diniego si rinviene dalla circostanza che l’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 non rileva nel giudizio di legittimità, il quale segue regole proprie che non prevedono la fase della mediazione. Con la conseguenza che, nell’ipotesi di ipotetica soggezione al reclamo della lite da diniego, si creerebbe un vuoto normativo per l’applicazione del reclamo innanzi al giudice di ultima istanza.

Segnatamente, poi, rispetto al punto della sentenza ove si afferma che il provvedimento di diniego era altresì reclamabile perché di valore non superiore a euro ventimila, si osserva, per contro, che ai fini della determinazione del valore l’art. 17-bis rinvia all’art. 12, quinto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. Nel provvedimento di diniego, viceversa, l’Agenzia delle entrate non formula una pretesa in termini di imposte, interessi e sanzioni, ma oppone un diniego al beneficio chiesto dal contribuente. In altri termini, la lite da diniego di condono non riguarda un valore economico, ma il legittimo accesso alla norma premiale (6). Per le più volte indicate ragioni di razionalità ed economia processuale la legge individua quindi nel giudice presso il quale pende la lite condonata quello competente a conoscere (anche) il ricorso avverso il diniego. Ne consegue che l’esame positivo, in via pregiudiziale, della legittimità della definizione comporta l’estinzione del giudizio di merito senza ulteriore vaglio. Sotto tale profilo il provvedimento di diniego è privo di un proprio valore, con la conseguenza che non può assoggettarsi all’applicazione dell’istituto del reclamo per la mancanza di un ineludibile presupposto di legge, sostanziandosi la lite in una questione di legittimità priva di un valore economico predeterminato. Il provvedimento di rigetto dell’istanza clemenziale delinea, quindi, una fattispecie analoga a quella del diniego di iscrizione all’Anagrafe delle Onlus, per la quale l’Agenzia delle entrate ha escluso la reclamabilità dell’atto proprio per l’impossibilità di determinarne il valore (7).

Per altro verso ancora, la mancanza di un valore stimato nella lite da condono e la concentrazione della controversia sulla sola legittimità del ricorso alla norma premiale escluderebbe in radice la possibilità di “mediazione” della controversia (8). Con la conseguente impossibilità di configurare, a favore del contribuente, il godimento del beneficio della riduzione della sanzione alla misura ridotta prevista dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, applicabile all’istituto della mediazione in caso di esito positivo e perfezionamento del ricorso/reclamo (9).

5. Sulla (in)ammissibilità del ricorso non reclamato

È utile ricordare che l’annotata sentenza inerisce all’originaria disciplina del reclamo, prevista dall’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, successivamente modificata dall’art. 1, comma 611, della legge n. 147/2013, e, sul punto che qui preme, dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la già citata sentenza n. 98/2014.

Dopo aver ritenuto il provvedimento impugnato soggetto alla procedura di reclamo, nella fattispecie decisa, i giudici piemontesi hanno affermato che l’avvenuta costituzione in giudizio nel termine ordinario di trenta giorni non integrava l’ipotesi di inammissibilità del ricorso presentato dal contribuente. In primo luogo, perché la violazione del termine di legge previsto per il procedimento non prevede tale sanzione (10), e in secondo luogo perché l’Ufficio finanziario stesso aveva ritenuto non reclamabile l’atto notificato, motivo per cui non avrebbe mai proceduto in tal senso, come affermato nella costituzione in giudizio.

Seppure la decisione adottata dai giudici sia apprezzabile sotto il profilo dell’interpretazione della norma volta a ridurre le ipotesi di inammissibilità in funzione dell’effettiva tutela giurisdizionale, non se ne condivide il percorso logico-giuridico seguito.

In primo luogo perché nella previgente formulazione l’art. 17-bis, al secondo comma, prevedeva espressamente che la presentazione del reclamo era condizione di ammissibilità del ricorso. In tale ottica, il successivo nono comma fa decorrere il termine per la costituzione in giudizio dall’inutile spirare del termine (massimo novanta giorni) previsto per l’accoglimento del ricorso/reclamo ovvero per l’eventuale procedura di mediazione. Orbene, come precisato di recente dalla Corte di Cassazione (11) nella sua massima composizione, la sanzione della invalidità di un atto conclusivo del procedimento (qui da intendere quello del reclamo/mediazione) può derivare in via indiretta dal sistema ordinamentale nel quale la norma opera. In particolare dal rilievo che il vizio procedimentale comporta in termini di divergenza dal modello normativo previsto. L’istituto del reclamo/mediazione è volto a favorire la definizione delle controversie nella fase pregiurisdizionale al fine di soddisfare l’interesse generale affinché: i) sia assicurato un sollecito ed economico soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di controversie, sia per la parte privata sia per quella pubblica; ii) si riduca il numero dei processi di cui sono investite le Commissioni tributarie. Se tali sono le ragioni d’essere dell’istituto, è ovvio dedurre che il mancato rispetto del termine previsto per la procedura al fine di addivenire ad una bonaria definizione della controversia in chiave deflattiva al contenzioso giudiziario e la costituzione in giudizio della parte ricorrente secondo la regola generale svuoterebbero di contenuto la norma, rendendo inutile la previsione e la disciplina giuridica dell’istituto.

Sotto un altro profilo, i giudici hanno ritenuto ammissibile il ricorso in ragione del comportamento dell’Ufficio fiscale, il quale aveva considerato non reclamabile l’atto impugnato e, di conseguenza, non aveva dato corso al procedimento. Si ritiene che l’ammissibilità del ricorso, per la ragione indicata, non sia condivisibile.

La questione relativa all’inammissibilità del ricorso sottratto alla procedura di reclamo è prerogativa appartenente all’organo giurisdizionale e non alle parti (12). Ne discende che se per il giudice il ricorso doveva essere preceduto dal reclamo, la sanzione dell’inammissibilità andava applicata. Al più, per ridurre le ipotesi di inammissibilità in funzione dell’effettiva tutela giurisdizionale, il giudice avrebbe potuto rimettere in termini il ricorrente a tutela del legittimo affidamento (13) che questi avrebbe posto nel comportamento dell’Ufficio resistente, tenuto conto del documento di prassi emanato dall’Agenzia delle entrate (14), valorizzando quel canone di lealtà reciproca tra contribuente e Amministrazione finanziaria più volte invocato dal giudice di legittimità (15) considerata, altresì, la mancanza di giurisprudenza sul caso controverso.

Dott. Mauro Tortorelli

(1) In Boll. Trib. On-line.

(2) Cfr. l’art. 17-bis, nono comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

(3) Cfr. ex multis Cass., sez. trib., 27 gennaio 2012, n. 1170; e Cass., sez. trib., 19 ottobre 2012, n. 17972; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. l’art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992.

(5) Cfr. la circ. 19 marzo 2012, n. 9/E, par. 5.2, in Boll. Trib., 2012, 430.

(6) Invero, «la lite avverso il diniego di condono è per causa petendi e per petitum diversa da quella sulla pretesa erariale»: così Cass., sez. trib., 9 ottobre 2009, n. 21452, in Boll. Trib. On-line. Per la non reclamabilità degli atti dell’Agenzia delle entrate privi di una reale portata impositiva si è già pronunciata Comm. trib. prov. di Genova 30 maggio 2013, n. 140, ined.

(7) Cfr. la circ. n. 9/E/2012, par. 1.3.2, cit.

(8) Cfr. l’art. 17-bis, settimo e ottavo comma, del D.Lgs. n. 546/1992.

(9) Cfr. l’art. 17-bis, nono comma, del D.Lgs. n. 546/1992.

(10) Cfr. l’art. 17-bis, nono comma, del D.Lgs. n. 546/1992.

(11) Cfr. Cass., sez. un., 14 maggio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?; F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza; e U. Perrucci, La “sanzione’’ dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

(12) L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

(13) Art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).

(14) Ove l’atto di diniego di condono è annoverato tra quelli non reclamabili.

(15) Cfr. Cass. n. 18184/2013, cit.; nonché Cass., sez. trib., 10 gennaio 2013, n. 453; e Cass., sez. trib., 7 marzo 2014, n. 5373; entrambe in Boll. Trib. On-line.

Procedimento – Ricorsi – Reclamo e mediazione – Costituzione in giudizio entro il termine ordinario di trenta giorni – Mancato rispetto del termine dilatorio di novanta giorni previsto dal nono comma dell’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 – Inammissibilità del ricorso – Non consegue.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili – Provvedimento di diniego della definizione delle liti fiscali pendenti – Costituisce un atto impugnabile avanti le Commissioni tributarie previa instaurazione del procedimento di mediazione di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, se il valore della lite è inferiore a euro ventimila.

Procedimento – Controversie pendenti – Chiusura delle liti fiscali pendenti ex art. 39 del D.L. n. 98/2011 – Giudizio avente ad oggetto il solo ruolo di riscossione a titolo provvisorio – È suscettibile di definizione agevolata – impugnazione della relativa cartella di pagamento – Irrilevanza.

Qualora il contribuente qualifichi l’atto introduttivo quale ricorso ex art. 17-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dopo averlo notificato all’Ufficio finanziario in conformità all’art. 20 del medesimo decreto, lo depositi presso la Segreteria della Commissione adita nel termine ordinario di trenta giorni originariamente previsto dal successivo art. 22, senza perciò considerare la decorrenza di tale termine dal diverso momento previsto nel nono comma del citato art. 17-bis, non si determina alcuna inammissibilità dell’atto né come ricorso giurisdizionale né come ricorso introduttivo del procedimento di mediazione, posto che tale sanzione non è prevista dalla predetta norma, che l’inammissibilità si produce solo a seguito di atti compiuti dopo la scadenza del termine finale e non già prima di quello iniziale, e che comunque l’ufficio finanziario non è in alcun modo pregiudicato nelle proprie difese, perché se il ricorso viene trattato dal medesimo come introduttivo del procedimento di mediazione i termini per l’ufficio vanno comunque computati in conformità al disposto del ridetto art. 17-bis, mentre se il procedimento di mediazione si conclude positivamente il giudizio radicato con il deposito del ricorso nella segreteria della Commissione tributaria va dichiarato estinto ex art. 46 del D.Lgs. n. 546/1992 per cessazione della materia del contendere.

Il provvedimento di diniego di definizione della lite pendente rientra tra gli atti la cui impugnazione avanti le Commissioni tributarie deve essere preceduta dall’esperimento del procedimento di mediazione di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, qualora il valore della lite sia inferiore a euro ventimila.

È suscettibile di formare oggetto di definizione della lite pendente la controversia riguardante un atto, qual è il ruolo di riscossione provvisoria in pendenza del giudizio sul presupposto avviso di accertamento, sicuramente emesso dall’Agenzia delle entrate, parte nel relativo giudizio, che sia stato impugnato per vizi propri e che rientri negli altri parametri previsti dall’art. 39 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), a nulla rilevando che separatamente dal ruolo il contribuente abbia impugnato per vizi propri anche la cartella di pagamento che lo ha portato a sua conoscenza e che nel ricorso contro il ruolo siano state formulate doglianze qualificabili come vizi della cartella, poiché il ruolo è un atto autonomamente impugnabile per vizi propri nei confronti dell’Agenzia che lo emette e che è parte necessaria nel relativo giudizio, mentre la proposizione contro il ruolo di vizi attribuibili alla cartella delinea una mera questione di carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia in relazione a tali sole doglianze, senza incidere sull’impugnabilità del ruolo stesso per quanto concerne le altre censure addotte dal ricorrente.

[Commissione trib. provinciale di Torino, sez. XII (Pres. Villa, rel. Roccella), 26 settembre 2013, sent. n. 102]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO1) A.S. aveva provveduto ad impugnare avanti a questa Commissione Tributaria Provinciale il ruolo esattoriale n. … notificatole tramite la cartella esattoriale n. …, anch’essa oggetto di impugnazione separata da quella del ruolo.

L’impugnazione del ruolo portava il numero … ed il giudizio veniva sospeso ai sensi dell’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, su richiesta del contribuente.

Al procedimento … di cui sopra era stato riunito quello portante il numero … relativo alla cartella esattoriale rappresentativa del ruolo impugnato e, quindi, anche tale procedimento veniva consequenzialmente sospeso.

2) In data 12/2/2012 il contribuente inoltrava domanda di definizione della lite pendente e in data 27/9/2012 l’Ufficio comunicava al contribuente il rigetto dell’istanza di cui sopra, con provvedimento oggetto della presente impugnazione.

3) Il ruolo n. … a suo tempo impugnato dal contribuente era costituito da un ruolo provvisorio, ex art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973 portante il 50% delle maggiori imposte e relativi interessi, emesso a seguito di un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, avviso impugnato dal contribuente.

4) Il ricorrente impugna il provvedimento di diniego deducendo: – la mancata indicazione nell’atto della necessità di presentare il reclamo di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma solo quella relativa all’impugnazione avanti la Commissione Tributaria Provinciale (per un evidente refuso il ricorso del contribuente fa riferimento alla Commissione Tributaria Regionale); – l’errore in cui sarebbe incorso l’Ufficio nel ritenere che il contribuente avesse inteso definire la lite relativa alla cartella di pagamento, mentre il contribuente intendeva definire il ruolo impugnato; – l’omessa o insufficiente motivazione dell’atto non successivamente integrabile in corso di giudizio; – la natura dell’atto impugnato quale provvedimento irrogativo di sanzioni non preceduto da un atto di contestazione; – l’assimilabilità del ruolo ad un avviso di accertamento e la sua natura di avviso di accertamento quando non preceduto dall’atto impositivo; – la violazione o falsa applicazione di una norma interna, costituita da una circolare del 2003; – la carenza di potere di sottoscrizione del diniego in capo al Direttore Provinciale dell’Agenzia, spettando la rappresentanza sostanziale unicamente al Direttore dell’Agenzia Centrale; – la mancanza di qualifica dirigenziale in capo al soggetto che ha sottoscritto l’atto; – l’assenza di qualifica di messo speciale autorizzato in capo al soggetto che avrebbe eseguiti la notifica dell’atto, notifica in ogni caso tardivamente effettuata.

5) Si costituiva l’Ufficio convenuto contestando le argomentazioni di parte ricorrente affermando la non assoggettabilità al preliminare procedimento di mediazione della presente controversia; – la non definibilità del ricorso avverso il ruolo nel quale è stata inserita la richiesta di definizione della lite pendente; – la completezza della motivazione del provvedimento impugnato; – la non assimilabilità del ruolo agli atti indicati dal contribuente nel proprio ricorso; – la capacità di rappresentanza del Direttore Provinciale; – il livello dirigenziale delle Direzioni Provinciali dell’Agenzia delle Entrate e la qualifica del sottoscrittore dell’atto impugnato; – la ritualità e tempestività della notifica dell’atto impugnato.

6) Il procedimento veniva chiamato alla pubblica udienza, richiesta da parte ricorrente, del 6/6/2013, discusso dalle parti presenti e trattenuto a decisione dalla Commissione.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Ritiene la Commissione di rilevare preliminarmente quanto segue.

La pretesa tributaria fondamentale operata dall’Ufficio nei confronti del contribuente è quella contenuta nell’avviso di accertamento n. … oggetto di autonoma impugnazione e decisione, mentre il presente giudizio riguarda unicamente un aspetto della pretesa complessiva, cioè quello riguardante l’iscrizione a ruolo del 50% dei tributi e degli interessi richiesti con l’avviso di cui sopra, effettuata dall’Ufficio in applicazione dell’art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973.

È quindi evidente che la presente decisione non potrà avere alcun effetto sull’esito di quella, sostanziale, riguardante l’avviso di accertamento sopra indicato, essendo la pronuncia di quel giudizio quella che, allorché diventerà definitiva e nella misura in cui lo diventerà, determinerà l’an e il quantum del pagamento richiesto dall’Erario.

L’Erario ha, però, ritenuto di non attendere tale decisione e, avvalendosi di facoltà riconosciutegli dall’ordinamento, ha ritenuto di frazionare l’escussione del debitore con atti diversi e successivi dall’avviso di accertamento, atti separatamente ed autonomamente impugnabili (a prescindere dalla fondatezza, o meno delle censure) ed impugnati dal contribuente, che hanno originato separati ed autonomi procedimenti (rispetto a quello dell’avviso di accertamento) che, in quanto tali, devono necessariamente sottostare alle regole processuali dettate per il procedimento tributario.

L’Erario, quindi, se a ciò legittimato dalla sentenza definitiva del giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento potrà iscrivere a ruolo e pretendere tutte le altre somme dovute dal contribuente in forza di tale avviso, dedotto quanto già portato nel ruolo impugnato, il cui giudizio rimane definito dall’istanza del contribuente che, quindi, in definitiva ha beneficiato di uno “sconto” sulle eventuali maggiori somme dovute a seguito dell’avviso di accertamento.

Ciò a meno che per il contribuente fosse possibile avvalersi e questi si sia avvalso della possibilità di definire anche quel giudizio con l’istituto oggetto del presente contenzioso.

L’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 39 del D.L. n. 98 del 2011, così si esprime: Il reclamo e la mediazione. “Art. 17-bis.

1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila Euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48.

2. La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso.

L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

3. Il valore di cui al comma 1 è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12.

4. Il presente articolo non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis.

5. Il reclamo va presentato alla Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili.

6. Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12, 18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili.

7. Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

8. L’organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto, né l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa. Si applicano le disposizioni dell’articolo 48, in quanto compatibili.

9. Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale.

10. Nelle controversie di cui al comma 1 la parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione”.

La ratio della norma, per altro già sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale dalla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, è indicata come quella di limitare il contenzioso e la dizione “… controversie di valore non superiore a ventimila Euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate …” è quanto mai ampia e generica, ragione per cui appare quanto mai arduo il tentativo dell’Ufficio resistente di volerne arginare l’applicazione e, in particolare, di volerla negare alla fattispecie, visto che la questione circa la validità di un atto è certamente una “controversia”, il provvedimento di diniego di un beneficio (e, segnatamente, dell’istanza di definizione della lite pendente) è certamente un “atto emesso dall’Agenzia delle Entrate” e il valore della pretesa, i cui criteri di determinazione sono contenuti nella stessa norma, indicato dal ricorrente nel range per il quale il procedimento è obbligatorio, se pur non esplicitato da nessuna della parti litiganti non è contestato dall’Ufficio.

L’atto di diniego, inoltre, è stato notificato al contribuente in data 27/9/2012, quindi dopo la data (1/4/2012) prevista dal comma 11 dell’art. 39 del D.L. n. 98 del 2011, come data di notifica degli atti impugnabili a decorrere dalla quale si sarebbe reso necessario il ricorso al preventivo procedimento di mediazione.

Ciò posto la Commissione ritiene, quindi, che la lite dovesse essere effettivamente preceduta dal procedimento di cui all’art. 17-bis sopra citato.

E, per la verità, il contribuente qualifica l’atto introduttivo quale “Ricorso ex art. 17-bis D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546” e come tale lo inoltra all’Ufficio convenuto che, però, non da corso al procedimento stesso, ma lo gestisce come ordinario ricorso giurisdizionale.

Il reclamo era stato inoltrato all’Ufficio in conformità all’art. 20 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 cit. in data 19/11/2012 (ricevuto dall’Ufficio il 23/11/2012) e depositato presso la Segreteria della Commissione adita in data 18/12/2012, quindi nel termine originariamente previsto dall’art. 22 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 cit., senza farlo decorrere dal successivo momento previsto nel comma 9 dell’art. 17-bis, ma siffatto comportamento non determina certo l’inammissibilità dell’atto né come ricorso giurisdizionale, né come ricorso introduttivo del procedimento di mediazione, posto che tale sanzione non è prevista nella norma, l’inammissibilità si produce a seguito di atti compiuti dopo la scadenza del termine finale e non prima di quello iniziale, l’ufficio non è in alcun modo pregiudicato nelle proprie difese, visto che se il ricorso viene trattato dal medesimo come introduttivo del procedimento di mediazione i termini per l’ufficio sarebbero, comunque, da computarsi in conformità al disposto dell’art. 17-bis e se il procedimento di mediazione si concludesse positivamente il giudizio radicato con il deposito del ricorso nella segreteria della Commissione Tributaria dovrebbe venir dichiarato estinto ex art. 46 del D.Lgs. n. 546 del 1992 per cessazione della materia del contendere.

Il ricorrente, quindi, non è incorso in alcuna inammissibilità, né essa potrebbe essere pronunciata in ragione del comportamento dell’Ufficio, che ha ritenuto non reclamabile il provvedimento ed ha, conseguentemente, omesso di dar corso al relativo procedimento regolarmente instaurato dal contribuente.

Per quanto concerne la definibilità (o meno) della lite pendente la Commissione osserva quanto segue.

L’art. 39 del D.L. n. 98 del 2011 prevedeva, al comma 12 quanto segue:

12. Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della L. 27 dicembre 2002, n. 289. A tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 16, con le seguenti specificazioni:

a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione;

b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012;

c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012. Per le stesse sono altresì sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio;

d) gli uffici competenti trasmettono alle commissioni tributarie, ai tribunali e alle corti di appello nonché alla Corte di cassazione, entro il 15 luglio 2012, un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Tali liti sono sospese fino al 30 settembre 2012. La comunicazione degli uffici attestante la regolarità della domanda di definizione ed il pagamento integrale di quanto dovuto deve essere depositata entro il 30 settembre 2012. Entro la stessa data deve essere comunicato e notificato l’eventuale diniego della definizione;

e) restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi;

f) con uno o più provvedimenti del direttore dell’agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di versamento, di presentazione della domanda di definizione ed ogni altra disposizione applicativa del presente comma”.

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La norma chiarisce in primo luogo la sua espressa finalità indicandola in “… ridurre il numero delle pendenze giudiziarie …”, cioè delle liti pendenti alla data di riferimento specificando a quali delle stesse essa si riferisca, che vengono identificate in “… liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio …” senza introdurre alcuna ulteriore limitazione di sorta, né, in particolare, alcun riferimento in ordine al tipo di provvedimento impugnato, richiedendo unicamente di far riferimento al valore della lite (da determinarsi come più sopra specificato nello stesso articolo), alla parte convenuta (che deve essere l’Agenzia delle Entrate e non altri enti), alla data della pendenza della lite (31/12/2011, mentre la nozione di pendenza della lite è certamente quella ricavabile dai principi del codice di proceduta civile), all’organo giurisdizionale (commissioni tributarie o giudice ordinario) e al grado di giudizio (ogni grado del medesimo).

Introdurre altre limitazioni legate alla natura dell’atto oggetto del giudizio e/o alle domande in esso formulate e/o alle motivazioni delle stesse e/o alla fondatezza delle stesse appare una violazione della norma, di per sé estremamente chiara, e soprattutto una palese violazione della ratio della stessa, cioè quella di ridurre quanto più possibile il numero di giudizi pendenti.

L’impugnazione proposta dal contribuente nel corso della quale si è inserita la domanda di definizione della lite pendente (si ribadisce di quella lite e null’altro) riguardava un atto (ruolo esattoriale) sicuramente emanato dall’Agenzia delle Entrate, che era parte nel relativo giudizio, sicuramente impugnabile per vizi propri (a prescindere dalla fondatezza o meno dell’impugnazione stessa) e sicuramente rientrante negli altri parametri (giudice, valore, data di pendenza della lite) previsti dalla norma per una valida formulazione dell’istanza di definizione della lite pendente.

La circostanza che controparte abbia separatamente dal ruolo impugnato la cartella esattoriale che lo portava a conoscenza del contribuente per vizi propri della stessa (a prescindere dalla fondatezza dell’impugnazione) e quella che nel ricorso contro il ruolo possano essere state formulate doglianze qualificabili come vizi della cartella a nulla rilevano ai fini della presente decisione, in quanto il ruolo è ritenuto da questa Commissione atto autonomamente impugnabile per vizi propri nei confronti dell’Agenzia che lo ha emesso e che è parte necessaria nel relativo giudizio, mentre la proposizione avverso il ruolo di vizi attribuibili alla cartella è una mera questione di carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia in relazione a queste sole doglianze, senza incidere sull’impugnabilità del ruolo stesso per quanto concerne le altre.

La considerazione di cui sopra determina l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento del provvedimento di diniego di definizione della lite pendente oggetto della presente impugnazione, assorbendo tutte le altre censure mosse dal ricorrente all’atto impugnato.

La novità e la peculiarità delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente procedimento.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino – sez.ne 12 –

P.Q.M. – Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto di reiezione dell’istanza di definizione della lite pendente oggetto della presente impugnazione.

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