23 Giugno, 2017

SOMMARIO: PREMESSA – 1. IRAP; 1.1 Deduzioni dalla base imponibile ex art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997 – 2. LE IMPRESE OPERANTI IN CONCESSIONE E A TARIFFA; 2.1 Attività “a tariffa” secondo l’Agenzia delle entrate; 2.2 Attività “in concessione” secondo l’Agenzia delle entrate – 3. LE IMPRESE OPERANTI “IN CONCESSIONE E A TARIFFA” E LE IMPRESE OPERANTI IN “APPALTO DI SERVIZI”, SECONDO LA GIURISPRUDENZA – 4. LE NOVITÀ CONSEGUENTI ALLA C.D. “LEGGE DI STABILITÀ 2015”.

PREMESSA

Con il termine “public utilities” si intende definire tutte le imprese che si occupano della erogazione e gestione dei servizi pubblici e ambientali, quali ad esempio, la distribuzione di energia elettrica e gas, la gestione del ciclo idrico, il trasporto pubblico, lo smaltimento rifiuti. Invero, si tratta di tutte quelle imprese “regolamentate” che operano nell’ambito dei pubblici servizi in forza sia di una concessione pubblica che di una tariffa regolamentata.
L’obiettivo del presente elaborato è, dunque, quello di porsi come contributo all’analisi della disciplina e delle problematiche che si annidano intorno alle “public utilities” alla luce, soprattutto, dell’evoluzione normativa con cui è stata fortemente rivista la disciplina delle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP sin dall’entrata in vigore del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, fino alla recente legge 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. “legge di Stabilità 2015”).
Con l’art. 11, primo comma, lett. a), del D.Lgs. n. 446/1997, sono stati infatti introdotti specifici sgravi per ridurre la base imponibile IRAP, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato; al contempo, però, sono stati esclusi dalla fruizione delle suddette deduzioni, tra gli altri, i soggetti operanti in concessione e a tariffa (c.d. pubblic utilities) nei settori dell’energia elettrica, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Ebbene, proprio per tale ragione e stante il sottile divario che c’è tra un’azienda operante in concessione e un’azienda operante in appalto, al fine di meglio capire a quale tipo di attività possano applicarsi le deduzioni sul cuneo finale, con il presente articolo si esamineranno gli sviluppi normativi e le molteplici pronunce giurisprudenziali con cui sono stati forniti i chiarimenti necessari.

1. IRAP

L’IRAP, acronimo di Imposta Regionale sulle Attività Produttive, disciplinata dal D.Lgs. n. 446/1997, è un’imposta:
• locale, in quanto è applicabile alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna Regione;
• reale e oggettiva, in quanto prende in esame non il soggetto di imposta, ma le tipologie di attività esercitate dallo stesso e produttive di capacità contributiva;
• indeducibile dalla base imponibile delle imposte sui redditi per tutti i soggetti d’imposta.
Il presupposto dell’imposta de qua è l’esercizio abituale di un’attività, autonomamente organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. Invero, in forza dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, l’IRAP è un’imposta dal carattere reale e si applica a tutti i soggetti che esercitano una o più di tali attività (comprese le attività esercitate dalle società e dagli enti, inclusi gli organi e le amministrazioni dello Stato).
Dunque, affinché i liberi professionisti siano obbligati al pagamento dell’IRAP è necessario che svolgano un’attività autonomamente organizzata.
Da tale definizione consegue che, qualora dette attività dovessero essere esercitate in modo occasionale, le stesse non rileveranno ai fini dell’applicazione dell’IRAP. Infatti, com’è noto, il problema più tormentato in materia di IRAP è proprio quello rappresentato dalla definizione dell’attività “autonomamente organizzata”.
Orbene, con riferimento a questo aspetto, e a conferma dell’orientamento già consolidatosi, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta con la sentenza 10 maggio 2016, n. 9451 (1), definitivamente chiarendo che:
– «L’autonoma organizzazione ai fini IRAP ricorre quando 1) il contribuente sia sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse 2) impieghi beni strumentali eccedenti secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione».
– «Il professionista, l’artista o l’imprenditore individuale che impiega un solo collaboratore che esplica mansioni di segreteria o meramente esecutive non è obbligato a pagare l’IRAP» (2).
Ciò posto e per ciò che attiene, invece, la platea dei contribuenti tenuti ad utilizzare il modello IRAP, va rilevato che la stessa è composta dai soggetti elencati all’art. 3 del D.Lgs. n. 446/1997 e dunque:
• dalle società per azioni, in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e di mutua assicurazione, gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali [art. 73, primo comma, lett. a) e b), del TUIR];
• dalle società di persone (s.n.c., s.a.s.) e agli enti ad esse equiparati di cui all’art. 5, terzo comma, del TUIR;
• dalle persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni;
• sino al 2015, dai produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all’art. 32 del TUIR con volume d’affari non superiore a € 7.000;
• dagli enti privati non commerciali;
• dalle ONLUS (limitatamente all’attività commerciale eventualmente esercitata);
• dalle società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato [art. 73, primo comma, lett. d), del TUIR];
• dallo Stato e gli enti pubblici, comprese le Amministrazioni autonome indicate nell’art. 74 del TUIR.
L’imposta è dovuta anche dalle imprese in liquidazione, mentre in caso di fallimento il presupposto impositivo si verifica solo in presenza di esercizio provvisorio (3).

1.1 Deduzioni dalla base imponibile ex art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997

Ciò posto, è importante capire che al principio generale di indeducibilità del costo del lavoro che caratterizza l’IRAP sono state disposte dall’art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997 una serie di deroghe con finalità agevolative; nello specifico, sono stati introdotti specifici sgravi per ridurre la base imponibile IRAP in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato.
Invero, ex art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997, nella determinazione della base imponibile IRAP:
«a) sono ammessi in deduzione:
1) i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro;
2) per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a e) (4), escluse le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti, un importo pari a 7.500 euro (5), su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo di imposta, aumentato a 13.500 (6) euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni;
3) per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a e), esclusi le banche, gli altri enti finanziari, le imprese di assicurazione e le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti, un importo fino a 15.000 (7) euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo d’imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, aumentato a 21.000 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni; tale deduzione è alternativa a quella di cui al numero 2), e può essere fruita nel rispetto dei limiti derivanti dall’applicazione della regola de minimis di cui al regolamento (CE) n. 69/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001, e successive modificazioni;
4) per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a e), escluse le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti, i contributi assistenziali e previdenziali relativi ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato;
5) le spese relative agli apprendisti, ai disabili e le spese per il personale assunto con contratti di formazione e lavoro, nonché, per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a e), i costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca e sviluppo, ivi compresi quelli per il predetto personale sostenuti da consorzi tra imprese costituiti per la realizzazione di programmi comuni di ricerca e sviluppo, a condizione che l’attestazione di effettività degli stessi sia rilasciata dal presidente del collegio sindacale ovvero, in mancanza, da un revisore dei conti o da un professionista iscritto negli albi dei revisori dei conti, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali o dei consulenti del lavoro, nelle forme previste dall’articolo 13, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni, ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale”.
Sono, invece, indeducibili i seguenti importi:
– i compensi per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché i compensi attribuiti per obblighi di fare, non fare o permettere, di cui all’art. 67 del TUIR;
– i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente;
– gli utili spettanti agli associati in partecipazione;
– i compensi corrisposti a fronte di attività commerciali non esercitate abitualmente.
Peraltro, è bene rilevare che, con lo scopo di favorire la competitività delle imprese attraverso la riduzione del c.d. “cuneo fiscale” e contributivo, con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono state introdotte nuove deduzioni dalla base imponibile IRAP per i datori di lavoro che impiegano personale dipendente a tempo indeterminato. Tra queste, le deduzioni per la riduzione del cuneo fiscale, che consentono ai datori di lavoro che impiegano personale dipendente a tempo indeterminato di usufruire, per ognuno di questi lavoratori impiegati nel periodo d’imposta, di:
1. una deduzione base di 4.600 euro annui (5 mila per il periodo d’imposta 2007);
2. una deduzione maggiorata fino a 9.200 euro annui (10 mila per il periodo d’imposta 2007), se il dipendente è impiegato nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna o Sicilia;
3. una deduzione dei contributi previdenziali e assistenziali relativi ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.
La legge n. 296/2006 non ha, però, consentito l’applicazione delle suddette deduzioni:
– alle banche;
– agli altri enti finanziari;
– alle imprese di assicurazione;
– alle imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento di rifiuti.

2. LE IMPRESE OPERANTI IN CONCESSIONE E A TARIFFA

Ebbene, con particolare riguardo alle imprese che svolgono attività regolamentata, ossia operanti nel settore delle c.d. public utilities, sono sorti molti dubbi interpretativi che hanno dato luogo a diversi interventi da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Come già rilevato, per espressa previsione normativa sono stati, infatti, esclusi dalla fruizione delle suddette deduzioni, i soggetti operanti in concessione e a tariffa. Invero, l’obiettivo perseguito dal legislatore mediante l’introduzione del c.d. “cuneo fiscale” è stato quello di favorire la competitività delle imprese e di dare slancio alle assunzioni a tempo indeterminato, conseguentemente reputando di dover escludere da tale beneficio quelle imprese che operano in un equilibrio economico garantito, nella specie all’interno di un mercato protetto in virtù di una concessione traslativa, godendo di una tariffa remuneratoria in grado di coprire i costi sostenuti e di assicurare un utile.
Ai fini di una possibile deduzione in sede di dichiarazione IRAP è, pertanto, decisamente rilevante analizzare cosa debba intendersi per “imprese operanti in concessione e a tariffa” e quando tali presupposti ricorrano.
L’Amministrazione finanziaria chiamata a pronunciarsi sul punto ha chiarito che l’esclusione delle agevolazioni in parola avviene nel caso in cui l’attività svolta dall’impresa si caratterizzi per la presenza congiunta di una concessione e di una tariffa. In altri termini, la deduzione fiscale non trova applicazione laddove il gestore operi in una posizione “tutelata”, da un lato, in virtù di un “diritto di esclusiva” attribuito attraverso la concessione e, dall’altro, godendo di una integrale copertura dei costi e degli investimenti implicati dalla gestione.
Non sussistono, dunque, dubbi che ai fini dell’esclusione della fruizione del cuneo fiscale debbano sussistere in capo all’azienda entrambi i due requisiti indicati dalla norma; ciò che rileva è, però, capire quale specifico significato debba essere attribuito ai due termini de quibus.

2.1 Attività “a tariffa” secondo l’Agenzia delle entrate

Come già anticipato, l’Agenzia delle entrate, con riferimento al concetto di “tariffa”, ha chiarito con la circolare 19 novembre 2007, n. 61/E (8), che ai fini dell’esclusione dall’ambito soggettivo in parola, risulta rilevante il fatto che l’attività dell’impresa operante in regime di concessione sia esercitata a fronte di un corrispettivo costituito da una tariffa, ossia da «un prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione».
Stando a quanto dichiarato dall’Amministrazione finanziaria bisognerebbe, quindi, valutare di volta in volta se le tariffe e i prezzi individuati assicurino o meno l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento.
Peraltro, questo concetto è stato ribadito anche con le risoluzioni nn. 358-428-429-430/E del 2008 (9), con le quali è stato precisato che non è dirimente la circostanza che nella determinazione del corrispettivo i costi del servizio, compresi quelli fiscali, non assumano preminente rilevanza, maggiormente rilevando, invece, l’interesse pubblico ad assicurare la prestazione del servizio.
Pertanto, quando il servizio è gestito sulla base di una concessione traslativa e di una tariffa (che assicuri l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia, economicità), l’impresa de qua sarà esclusa dall’agevolazione prevista per i datori di lavoro che impiegano personale a tempo indeterminato.

2.2 Attività “in concessione” secondo l’Agenzia delle entrate

In merito al concetto di “concessione” va invece chiarito che secondo la citata circolare n. 61/E/2007 sussiste una vera e propria “concessione traslativa” tutte le volte in cui l’ente pubblico trasferisce al privato diritti o potestà inerenti un’attività in origine di spettanza della pubblica Amministrazione, a prescindere dal nomen iuris dell’atto con il quale detto affidamento viene posto in essere. Invero «ciò che caratterizza la natura concessoria del rapporto tra soggetto pubblico e privato non è tanto la tipologia dell’atto di affidamento del servizio, quanto piuttosto il particolare regime di controllo a cui è sottoposto il privato in ragione dell’interesse pubblico all’esercizio corretto del servizio affidato» (10).
In sostanza, secondo l’Ufficio, non è la tipologia del provvedimento di affidamento del servizio a determinare la natura concessoria del rapporto tra ente pubblico e società privata, bensì il particolare regime di controllo a cui è sottoposta l’impresa incaricata di svolgere il servizio per l’interesse pubblico.
Si ha pertanto un’attività “regolamentata” tutte le volte in cui un soggetto pubblico interviene esogenamente sulle dinamiche interne del mercato.
La concessione determina dunque l’insorgenza di un rapporto trilaterale, poiché oltre al coinvolgimento della pubblica Amministrazione e dell’impresa, sono coinvolti anche gli utenti ai quali viene erogata la prestazione e dai quali vengono ricavati i pagamenti.

3. LE IMPRESE OPERANTI “IN CONCESSIONE E A TARIFFA” E LE IMPRESE OPERANTI IN “APPALTO DI SERVIZI”, SECONDO LA GIURISPRUDENZA

Stante il sottile divario che c’è tra un’azienda operante in concessione e un’azienda operante in appalto, al fine di operare una più oculata definizione (onde evitare, peraltro, di incorrere in errori in casi di deduzioni in sede di dichiarazione IRAP), in più occasioni si sono espressi i giudici di merito e di legittimità.
Invero, il graduale “avvicinamento” dell’istituto della concessione a quello dell’appalto è avvenuto su impulso del diritto comunitario, poiché di fatto tra i due istituti sono stati posti dei confini estremamente sottili.
Più precisamente, attraverso un notevole lavoro interpretativo svolto dai giudici di merito (tributari e amministrativi) e dai giudici di legittimità, si è inteso fissare una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti “in concessione e a tariffa” e le imprese operanti in “appalto di servizi” al fine di:
– chiarire le caratteristiche delle une e delle altre;
– e specificare quando ricorrano i presupposti tesi a consentire il diritto alle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP come sopra descritte.
Considerata, dunque, la difficoltà di tracciare una netta distinzione tra il contratto di concessione e di appalto, la giurisprudenza ha specificamente precisato che si è in presenza di:
1. “Concessione” quando:
a) l’operatore assume su di sé i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio. Invero «Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato» (11). In buona sostanza «La differenza tra l’appalto e la concessione di servizi è contenuta soprattutto dalla normativa comunitaria, che individua il discrimine tra le due figure soprattutto nel rischio operativo che deve sempre gravare sul concessionario, e che non sussiste allorché l’amministrazione pubblica si obbliga a coprire le eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività esercitata comunque nell’interesse pubblico» (12).
In buona sostanza «la caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori e i servizi» (13).
Orbene la giurisprudenza in questo modo ha inteso chiarire che la concessione si distingue non tanto per il titolo provvedimentale dell’attività né per la sua natura autoritativa rispetto a quella contrattuale dell’appalto, bensì per il fenomeno di traslazione vera e propria dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (14).
b) l’impresa trae la propria remunerazione direttamente dall’utenza venendosi così a creare un vero e proprio rapporto trilaterale tra pubblica Amministrazione, concedente, azienda concessionario e utente. Il concessionario, quindi, ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione (come avviene nelle ipotesi in cui vi sia un appalto), ma dall’esterno, cioè dal pubblico che fruisce del servizio.
Ebbene «si ha una concessione quando in base al titolo l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione» (15). Invero «la qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza che il corrispettivo non è a carico dell’Amministrazione e che l’erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, è compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio» (16).
È la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi (dove, infatti, il rischio legato alla prestazione non viene trasferito in capo al prestatore) (17). Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste, dunque, unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio; l’elemento dirimente della concessione è costituito, infatti, dall’alea economica connessa alla gestione del servizio. «Il diritto di gestione permette al concessionario di percepire per un tempo determinato alcuni diritti derivanti dalla gestione che costituiscono il corrispettivo dell’operazione, sopportando, in conseguenza, l’alea legata all’aspetto finanziario dell’operazione la cui controprestazione dipende dal comportamento degli utenti del servizio» (18). In definitiva «Il concessionario – a differenza di quanto avviene nell’appalto di servizi (nell’ambito del quale l’Amministrazione riceve dal contraente una prestazione ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo) – ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione ma dall’esterno, ovvero dal pubblico che fruisce del servizio stesso, svolto dall’impresa con assetto organizzativo autonomo e con strumenti privatistici, come è usuale per i servizi alimentari, come quello in esame. Sul piano economico, il rapporto complessivo è dunque trilaterale, poiché coinvolge l’Amministrazione concedente (che resta titolare della funzione trasferita), il concessionario e il pubblico. Il concessionario utilizza quanto ottiene in concessione (nel caso di specie: il servizio con l’utilizzo di spazi interni alla sede dell’ente pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo – come richiede il diritto europeo – il rischio economico connesso alla gestione del servizio, svolto con mezzi propri; per godere delle risorse materiali appartenenti all’Amministrazione, il medesimo normalmente corrisponde un canone e non riceve dall’Amministrazione alcun corrispettivo. In conformità all’art. 30 del Codice dei contratti pubblici, infatti, “la controprestazione [dell’Amministrazione] a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto [dato al concessionario] di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente [verso il pubblico] il servizio”» (19). Vi è un vero e proprio atto unilaterale di affidamento.
2. “Appalto” tutte le volte in cui:
a) il rischio e l’onere del servizio continuano a permanere in capo all’Amministrazione venendosi così a costituire un rapporto di natura bilaterale tra pubblica Amministrazione e appaltatore.
Invero «Ai fini dell’ordinamento comunitario la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi (per il resto accomunati sia dall’identica qualificazione in termini di “contratti” che dall’omologia dell’oggetto materiale dell’affidamento) è netta, poiché l’appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi, riguarda di regola servizi resi alla pubblica Amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario» (20),
b) l’imprenditore ottiene dall’Amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito, e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti finali del servizio offerto; l’onere del servizio stesso viene, dunque, a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione (21).
Ciò posto, può concludersi che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione (22). Gli approdi sopra ricordati conducono, pertanto, a ravvisare nella soggezione al rischio di impresa e alla conseguente modalità di remunerazione gli elementi discriminanti della concessione rispetto a quelli dell’appalto.
In buona sostanza, in sede di dichiarazione IRAP sarà fondamentale capire se l’impresa in questione abbia le caratteristiche di una impresa “in concessione traslativa e a tariffa” o, al contrario, di un’impresa appaltatrice di servizi posto che, nel primo caso, non si potrà usufruire delle deduzioni ex art. 11 del D.Lgs n. 446/1997 (fino al 31 dicembre 2014) mentre, nel secondo, sì. Può, infatti, concludersi che, la giurisprudenza (chiamata ad affinare i contorni della “chiave” interpretativa proposta dall’Agenzia delle entrate), soffermandosi preliminarmente sulla natura giuridica del contratto, ha affermato che il diritto alle agevolazioni (e cioè alle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP) in questione, deve riconoscersi solo in capo alle società che espletano servizi in favore di enti pubblici mediante contratti riconducibili nell’alveo degli appalti e non in quello delle concessioni (23).

4. LE NOVITÀ CONSEGUENTI ALLA C.D. “LEGGE DI STABILITÀ 2015”

A conclusione della valutazione fin qui svolte è di fondamentale importanza rilevare che la legge n. 190/2014 (legge di Stabilità per il 2015), ha introdotto alcune significative modifiche alla disciplina del tributo regionale, di cui al D.Lgs. n. 446/1997.
L’art. 1, commi da 20 a 24, della legge n. 190/2014, ha previsto infatti che a partire dal periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2014 i soggetti tenuti al versamento del tributo regionale avranno la possibilità di portare in deduzione dalla base imponibile IRAP il costo sostenuto per il lavoro dipendente, con contratto a tempo indeterminato, che eccede le deduzioni previste dall’art. 11 del D.Lgs. n. 446/1997.
Peraltro, al fine di fornire chiarimenti su alcuni aspetti dubbi, l’Agenzia delle entrate è intervenuta sul punto precisando, con la circolare n. 22/E/2015 (24), che in merito alla deducibilità integrale dei costi afferenti i dipendenti a tempo indeterminato (art. 11, comma 4-octies, del D.Lgs. n. 446/1997), in assenza di specifica esclusione, rientrano tra i beneficiari della misura anche le imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori delle c.d. “public utilities” (ossia le imprese operanti nei settori di energia, acqua, trasporti, infrastrutture, poste, telecomunicazioni, raccolta e depurazione delle acque di scarico, nonché raccolta e smaltimento dei rifiuti).
Invero «La norma introduce, dunque, un criterio di deducibilità “per differenza” tra il costo del lavoro complessivo sostenuto in relazione ai rapporti di impiego a tempo indeterminato e le deduzioni spettanti ai sensi del richiamato articolo 11. Sul punto, la relazione tecnica ha precisato che, se la sommatoria delle deduzioni vigenti è inferiore al costo del lavoro, spetta un’ulteriore deduzione fino a concorrenza dell’intero importo dell’onere sostenuto. Ne deriva che quanto minori sono le deduzioni fruibili in applicazione dell’articolo 11 tanto maggiore è il differenziale deducibile. La circostanza che alcuni soggetti non beneficino di tutte le deduzioni richiamate dalla norma non li esclude dall’applicazione del beneficio. Le public utilities, escluse ex lege dalle misure sul cuneo fiscale possono, pertanto, beneficiare della deducibilità integrale del costo sostenuto per i lavoratori impiegati a tempo indeterminato ai sensi del comma 4-octies) in esame» (così circ. n. 22/E/2015, cit.).
In definitiva, e alla luce delle analisi fin qui svolte, risulta necessario rilevare che le public utilities (precedentemente escluse ex lege dalle misure sul cuneo fiscale), a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, potranno beneficiare ai fini IRAP della deducibilità integrale del costo del lavoro sostenuto per il personale impiegato a tempo indeterminato.

Avv. Maurizio Villani – Avv. Federica Attanasi

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) Ex plurimis cfr. Cass., sez. un., 26 maggio 2009, nn. 12108, 12109, 12110, in Boll. Trib., 2009, 1144, con nota di F. BRIGHENTI, Sezioni Unite: agenti di commercio e promotori finanziari esonerati dall’IRAP se non sono autonomamente organizzati; Cass., sez. un., 26 maggio 2009, n. 12111, e Cass., sez. lav., 16 ottobre 2015, n. 20998, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(3) Si veda in proposito R. ARTINA – V. ARTINA – S. CINIERI – R. FANELLI – M. PEIROLO – F. RICCA, Fisco 2016, Torino, 2016.
(4) Sono soggetti passivi dell’imposta coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2. Pertanto sono soggetti all’imposta: a) le società e gli enti di cui all’art. 87, primo comma, lett. a) e b), del TUIR; e) gli enti privati di cui all’art. 87, primo comma, lett. c), del TUIR, nonché le società e gli enti di cui alla lett. d) dello stesso comma; «Art. 87. Soggetti passivi. 1. Sono soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche: a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato; b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; d) le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato».
(5) Importo valido a partire dal periodo d’imposta che inizia successivamente al 31 dicembre 2013, in precedenza era 4.600 euro (cfr. art. 1, commi 484 e 485, della legge 24 dicembre 2012, n. 228).
(6) Importo valido a partire dal periodo d’imposta che inizia successivamente al 31 dicembre 2011 era 10.600 euro.
(7) Importo valido a partire dal periodo d’imposta che inizia successivamente al 31 dicembre 2013 (in precedenza era 9.200).
(8) In Boll. Trib., 2007, 1891.
(9) Ris. 24 settembre 2008, n. 358/E; ris. 10 novembre 2008, n. 428/E; ris. 10 novembre 2008, n. 429/E; e ris. 10 novembre 2008, n. 430/E; tutte in Boll. Trib. On-line.
(10) Ris. n. 428/E/2008, cit.
(11) Cass., sez. VI, 6 maggio 2015, ord. n. 9139, in Rep. Foro it., 2016, I, 995.
(12) TAR Liguria – Genova, sez. II, 19 novembre 2014, n. 1670, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cfr. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
(14) Cfr. Cons. Stato, ad. plenaria, 30 gennaio 2014, n. 7, in Urbanistica e appalti, 2014, 665.
(15) Cons. Stato, sez. V, 18 giugno 2015, n. 3120, in Appalti & Contratti, 2015, fasc. 7, 75.
(16) Cons. Stato, sez. III, 12 maggio 2016, ord. n. 1927, in Boll. Trib. On-line.
(17) Cass. n. 9139/2015, cit.
(18) TAR Puglia – Bari, sez. I, 25 febbraio 2010, n. 680, in Boll. Trib. On-line.
(19) Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3571, in Riv. dir., 2015, 1888.
(20) Cfr., in tale senso, Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4682, in Urbanistica e appalti, 2013, 47; e Cass. n. 9139/2015, cit.
(21) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1243, in Foro amm., 2014, 812; nonché TAR Puglia n. 680/2010, cit.; e TAR Liguria – Genova, sez. II, 19 marzo 2015, n. 323, in Boll. Trib. On-line.
(22) In tale senso, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2012, n. 4682, in Urbanistica e appalti, 2013, 47; Cons. Stato, sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068, in Riv. trib. loc., 2011, 520; e Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 2011, n. 3377, in Riv. dir., 2011, 1700.
(23) Cfr. Comm. trib. prov. di Brescia, sez. I, 20 aprile 2012, n. 62, e Comm. trib. prov. di Venezia, sez. V, 24 giugno 2011, n. 131, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(24) Circ. 9 giugno 2015, n. 22/E, in Boll. Trib., 2015, 938.

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