SOMMARIO**: 1. Premessa storico–normativa –2. Struttura e funzioni della fattispecie impositiva – 3. Natura della tares e rapporto con la capacità contributiva – 4. La carbon tax: profili introduttivi; 4.1 (segue) Profili interni e comunitari – 5. I permessi negoziabili (emission trading scheme). – 6. Prospettive future e considerazioni finali.
1. Premessa storico–normativa
Prima di approfondire i caratteri strutturali del nuovo tributo denominato TARES, riteniamo imprescindibile, in via preliminare, inquadrare tale forma di imposizione nell’ambito del federalismo fiscale(1), attuato con la legge delega del 5 maggio 2009, n. 42, in cui veniva attribuito un ruolo fondamentale, per la fiscalità dei Comuni, al tributo immobiliare (2). In essa veniva, altresì, disposto che i principi ispiratori dei tributi locali dovessero essere quello del beneficio (3) e quello di continenza (4) opportunamente sintetizzati – com’è stato rilevato (5) – in una “service tax”, ispirata, appunto, al principio del beneficio ed essenzialmente volta alla copertura sia dei costi relativi ai servizi pubblici indivisibili dei Comuni, che a quelli relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento e, attraverso la maggiorazione di cui si dirà in seguito, anche dei costi relativi ai servizi indivisibili degli stessi Comuni.
La questione federalista nel tema de quo – inevitabilmente riferibile al principio di sussidiarietà, secondo il quale «le decisioni in campo ambientale devono essere prese al livello di governo più vicino possibile ai cittadini» (6) – è anche riconducibile al noto principio volto ad una più efficace tutela dell’ambiente di spiccata matrice europeista (7) “chi inquina paghi” [artt. 174 (8) e 175 del Trattato Cee], secondo il quale l’attitudine alla contribuzione è agganciata ai danni ambientali generati dalla propria attività. Proprio con questa finalità, nel 1997 è stata istituita la TIA (tariffa di igiene ambientale) calcolata con metodo statistico e commisurata alla effettiva produzione dei rifiuti. L’art. 14 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha istituito a decorrere dal 1° gennaio 2013 il nuovo tributo sui rifiuti e sui servizi TARES o più semplicemente RES.
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Vengono, così, abolite, al fine di evitare pericolose duplicazioni d’imposta, tutte le altre forme di prelievo relative alla gestione dei rifiuti urbani: la TARSU (tassa per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, prevista dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507), la TIA1 (tariffa di igiene ambientale, introdotta dall’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, c.d. decreto Ronchi) e la TIA2 (tariffa integrata ambientale, introdotta dall’art. 238 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e viene posto un maggiore ordine ed una maggiore sistematicità ad una estremamente stratificata struttura impositiva.
Ci sembra opportuno rammentare che le origini del prelievo in argomento sono risalenti, infatti, alla legge 29 marzo 1903, n. 103, che recava disposizioni in materia di «nettezza pubblica e sgombro di immondizia dalle case» che costituiva il presupposto normativo del Testo Unico per la Finanza Locale, istituito con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, il quale prevedeva la corresponsione al Comune di un «corrispettivo per il servizio di ritiro a trasporto delle immondizie domestiche», attribuendo natura privatistica al rapporto tra contribuente e Comune. Fu poi la legge 20 marzo 1941, n. 366, che riscrisse organicamente la tassa comunale per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, in attesa della riforma tributaria del 1971/1973 che non apportò sostanziali modifiche in subiecta materia(9).
Con il D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, di attuazione delle direttive CEE numero 75/442, numero 76/403 e numero 78/319, venne profondamente modificata la disciplina della tassa e particolare attenzione venne attribuita a problematiche ambientalistiche (qualità della vita e protezione dell’ambiente). Tale decreto subì ulteriori modifiche per effetto del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, che ribadiva, nell’utilizzare il nomen iuris di “tassa”, la natura pubblicistica del prelievo stabilendo che fossero coperti (totalmente o parzialmente) i costi del servizio di smaltimento. Una profonda revisione della disciplina venne, altresì, attuata con l’approvazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, istitutivo della Tarsu – emanato in virtù della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 – più volte modificato ed integrato, ma comunque in vigore in attesa dell’entrata a regime della tariffa di igiene ambientale (Tia), disciplinata dal c.d. decreto Ronchi n. 22/1997.
L’applicazione del sistema tariffario (10) in luogo di quello tassativo (11) (Tarsu) era stata da ultimo prorogata al 31 dicembre 2009, per effetto del disposto dell’art. 5 del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208 (c.d. decreto “Mille proroghe”), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13. Le cause di queste reiterate proroghe nell’attuazione della norma istitutiva della tariffa erano da individuarsi prevalentemente nella difficoltà di applicazione della stessa e nei fondati dubbi di inevitabile aggravio della pressione fiscale a carico dell’utenza.
Da ultimo con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (c.d. “legge di stabilità”, art. 1, comma 387), con il D.L. 14 gennaio 2013, n. 1 (art. 1-bis, primo comma), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2013, n. 11, e con l’art. 10 del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, sono state introdotte ulteriori significative modifiche all’art. 14 del D.L. n. 201/2011.
2. Struttura e funzioni della fattispecie impositiva
Orbene, procedendo per gradi, e prima di affrontare le criticità ed innovazioni della TARES così come oggi disciplinata, ci sia consentito descrivere, sia pur brevemente, le caratteristiche strutturali di tale forma di imposizione. Soggetto attivo dell’obbligazione tributaria de qua è il Comune nel cui territorio insiste la superficie dell’immobile assoggettato al tributo che è dovuto dai possessori, occupanti o detentori a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Il soggetto passivo del tributo (ed i coobbligati in solido, cioè i componenti del nucleo familiare e tutti coloro che adoperano in comune locali o aree) è colui che occupa o detiene locali o aree assoggettate al tributo. Riveste la qualifica di soggetto inciso dal tributo il contribuente a prescindere dalla effettiva produzione dei rifiuti il quale è obbligato, inoltre, alla presentazione della dichiarazione TARES (12) entro i termini fissati dall’Ente locale con proprio regolamento a decorrere dalla data di inizio del possesso. Il tributo è corrisposto per anno solare e commisurato in base ad una tariffa deliberata da ciascun Comune con riferimento alle qualità e quantità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie tenuto conto della tipologia di attività esercitata ed ai relativi usi della superficie medesima. Nel caso di unità immobiliari a destinazione ordinaria (categorie A, B e C) iscritte o iscrivibili nel Catasto edilizio urbano, la superficie assoggettabile al tributo è pari all’80 per cento della superficie catastale e risultano escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 c.c. che non siano detenute od occupate in via esclusiva. Quanto, invece, alle aree scoperte pertinenziali e accessorie a locali tassabili relative alle utenze non domestiche, per esse era prevista una iniziale imponibilità, a differenza di quanto previsto in regime di Tarsu, Tia1 e Tia2 (dove invece risultavano escluse dal prelievo).
Tale disposizione, fortemente penalizzante per le imprese in particolare, ha generato vibranti critiche, per cui con l’art. 10 del D.L. n. 35/2013 sono state accolte le istanze avanzate prevalentemente dalle imprese (13) in merito ed è stata stabilita la non tassabilità delle aree scoperte e pertinenziali delle utenze non domestiche (14). Alla tariffa così determinata si applica una maggiorazione pari allo 0.30 per cento (elevabile fino allo 0.40 per cento) per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei Comuni. È anche prevista la possibilità di una riduzione tariffaria, nella misura massima del 30 per cento, nei casi di abitazione con unico occupante o tenute a disposizione per uso stagionale o limitato o discontinuo, locali diversi dalle abitazioni ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o non continuativo, ma ricorrente, abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero, fabbricati rurali ad uso abitativo. Ulteriori riduzioni tariffarie (in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona servita) possono essere previste e deliberate nelle ipotesi di mancato o inefficiente svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti. Per i soli Comuni che abbiano adottato sistemi di misurazione della quantità dei rifiuti conferiti per ogni singola utenza o con riferimento al numero dei sacchi ritirati o degli svuotamenti dei contenitori, è prevista la possibilità di sostituire il tributo con una tariffa, di natura non tributaria, ad integrale copertura dei costi del servizio relativi ai servizi indivisibili. Ed anche in questo senso la TARES risente degli effetti del federalismo considerato che essa dovrà coprire ulteriori servizi pubblici quali la sicurezza, l’illuminazione stradale, la messa in sicurezza del territorio che, di fatto, sono elementi sganciati da qualsivoglia capacità partecipativa del contribuente.
Quanto ai termini di versamento del tributo, con l’art. 1-bis, primo comma, del citato D.L. n. 1/2013, era stato fissato il versamento della prima rata per il 2013 al mese di luglio. Le recenti modifiche introdotte per effetto dell’art. 10 del D.L. n. 35/2013 hanno, invece, superato tale scadenza stabilendo che la stessa, unitamente al numero delle rate di versamento del tributo, dovranno essere fissate secondo le deliberazioni adottate dal singolo Ente locale e, comunque, per il primo anno di imposizione il regolamento comunale non potrà prevedere termini di versamento della prima rata inferiori ad almeno trenta giorni successivi alla data della sua pubblicazione sul sito web istituzionale.
3. Natura della tares e rapporto con la capacità contributiva
Orbene, tutto ciò precisato circa la struttura e le funzioni della TARES, riteniamo di dover esaminare due aspetti particolarmente significativi del tributo in argomento: in primis quello relativo al rapporto tra la TARES e la capacità contributiva e, successivamente, quello relativo alla natura di tale forma di imposizione. Relativamente al primo profilo giova ricordare che la disposizione intorno alla quale ruota l’intero sistema tributario (15) è riferibile all’art. 53 Cost. il quale riveste la duplice funzione non solo tracciando i limiti dell’imposizione, ma altresì entrando a far parte della fattispecie d’imposta (16) (tramite l’elemento oggettivo della fattispecie giuridica tributaria costituito dal presupposto di fatto o fattispecie imponibile). Da ciò consegue logicamente che non è possibile riscontrare un tributo senza un definito elemento oggettivo costituito, appunto, dalla capacità contributiva ex art. 53 Cost. Orbene, una delle problematiche più interessanti del diritto tributario positivo è da un lato quella della prestazione pecuniaria obbligatoriamente dovuta, in virtù dello ius imperii, per far fronte alle spese pubbliche coattivamente imposte dallo Stato; dall’altro quella della capacità contributiva, espressa dalla citata formula costituzionale, che dovrebbe spiegare la causa impositionis, vale a dire la pretesa tributaria. Ci sembra, pertanto, nel tema de quo «indispensabile una lettura attenta ed attuale del principio costituzionale di capacità contributiva che governa il nostro sistema tributario, al fine di stabilire quale sia il collegamento necessario tra capacità contributiva e fattore ambientale, che possa giustificare un tributo qualificabile come ambientale» (17). Riteniamo, dunque, estremamente riduttivo identificare, come avviene nella Tares, il concetto di capacità contributiva unicamente con l’attitudine a contribuire alle spese pubbliche, al fine di coprirne i relativi costi, poiché l’art. 53 Cost. rivestirebbe unicamente una valenza economica e la disposizione costituzionale risulterebbe essere anche tautologica. Il principio di capacità contributiva, implicando una potenzialità per così dire a priori, non è spiegabile unicamente in virtù della sua connessione alla spesa pubblica, che identifica solo una destinazione a posteriori. In altri termini, il rapporto tra capacità contributiva e presupposto di fatto del tributo si realizza anche, ma non solo, nell’obbligo da parte del legislatore di individuare quei presupposti di fatto espressione di capacità contributiva. È necessario, inoltre, che le scelte legislative siano ispirate al concetto di giustizia tributaria tenuto conto che al contribuente spetta il diritto alla giusta imposta, altrimenti il fisco finirebbe col rivestire la qualifica di “sopraffattore”, eccessivamente ancorato ad un esasperato formalismo senza ispirare la proprie scelte al «metro invariabile della giustizia tributaria al quale l’umanità deve inchinarsi» (18).
Posta in questi termini la questione relativa ai limiti ed alle condizioni in base alle quali «una unità fisica che determina un danno ambientale può essere assunta a presupposto del tributo nel rispetto del principio di capacità contributiva» (19), riteniamo corretta l’impostazione di chi (20) afferma che occorra fare riferimento ad una capacità economica qualificata e stabilire «se l’unità fisica che determina o può determinare un danno ambientale (o, meglio, incidere sull’ambiente) possa essere costituzionalmente assunta a presupposto del tributo ai sensi dell’art. 53 Cost., e cioè come fatto, atto o situazione esprimente una ricchezza economica attuale e concreta» (21). Ci sembra corretta l’impostazione di chi (22) afferma che «una definizione dell’imposta ambientale coerente non deve essere centrata sul rapporto tra base imponibile ed unità fisica ecologicamente nociva, bensì tra fattispecie imponibile o presupposto ed unità fisica inquinante». E, pertanto, in materia di Tares, ci sembra che il nuovo istituto avrebbe dovuto prevedere un più efficace collegamento con la effettiva produzione dei rifiuti di modo che il tributo risultasse maggiormente coerente con i principi comunitari e costituzionali ed entrasse in vigore soltanto successivamente, cioè qualora i Comuni si fossero attrezzati in tal senso. Il rischio che si corre ci sembra, infatti, la totale presuntività del prelievo a fronte dell’effettivo utilizzo del servizio pubblico da parte dei contribuenti fruitori. Quanto al secondo ed ultimo profilo, cioè quello relativo alla natura del tributo, lungi dal rappresentare una questione squisitamente terminologica, il passaggio dalla tassa(23) alla tariffa(24) comporta interessanti implicazioni volte a delimitare, grazie anche ai recenti contributi della Corte Costituzionale (25), i confini tra imposte, tasse, contributi e tariffe. In effetti, secondo quanto chiaramente osservato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 7 dicembre 2007, n. 25551 (26), «le tasse costituiscono entrate pubbliche differenziate in quanto destinate al finanziamento di una funzione o di un servizio pubblico specifico e che vedono, come soggetto inciso dall’imposizione, l’effettivo o potenziale fruitore del servizio medesimo. In tal caso il carattere differenziato e la finalità specifica dell’imposizione si coniugano all’individuazione dei soggetti destinatari dell’imposizione che sono quelli fruitori del servizio pubblico, talché si ritiene che ciò soddisfi di per sé la prescritta condizione della capacità contributiva (art. 53, comma 1, Cost.), ma senza che da ciò emerga un rapporto di commutatività, e meno ancora di sinallagmaticità». Restringendo l’ambito della nostra analisi al tema che interessa, e cioè alla linea di demarcazione tra tassa e tariffa, ci sia consentito ricordare come gli elementi che contraddistinguono la tassa siano riconducibili alla commutatività (27) ed alla coercitività (28).
Avevamo già rilevato (29) come il termine tariffa fosse strettamente connesso all’idea di un pubblico servizio e «tariffa e prezzo di un pubblico servizio appaiono “sinonimi ellittici, dicendosi appunto che il prezzo unitario dei servizi prestati da pubbliche imprese prende generalmente il nome di tariffa”» (30). Quanto alla Tarsu e all’art. 49, il quale stabiliva tout court la soppressione della tassa e l’istituzione di unatariffa, avevamo ritenuto fuorviante tale rubrica in quanto la tariffa ci sembra piuttosto riconducibile a un elemento di articolazione di una imposizione tributaria volta semmai, ove strutturata in due parti, a finalità prettamente collegate al servizio pubblico ad alla sua eventuale copertura.
La questione relativa alla natura giuridica del tributo comunale oggetto delle nostre riflessioni, sia pur sinteticamente ripercorsa, oggi sembrerebbe risolta normativamente dal secondo comma dell’art. 14 del D.L. n. 201/2011, il quale stabilisce come la nuova forma di prelievo abbia natura di obbligazione tributaria. In effetti la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 238/2009 (31), aveva attribuito la giurisdizione delle Commissioni tributarie sulle controversie riguardanti la Tia motivando che il fatto generatore d’imposta fosse legato «non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e all’effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento». Lo stesso itinerario interpretativo della Corte Costituzionale è stato percorso dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 8313 del 2010 (32), ha ribadito la natura tributaria della Tia facendone discendere interessanti ricadute fra cui l’impossibilità di delegare il potere impositivo a soggetti diversi dall’Ente impositore, l’impugnabilità della fattura (33) che, di conseguenza, «dovrà possedere i requisiti sostanziali tipici degli atti amministrativi pretensivi, primo fra tutti la motivazione» (34) e, infine, l’inapplicabilità dell’Iva (35) sulle somme pretese per il servizio di smaltimento. L’assenza di un nesso causale tra «entità del prelievo e la prestazione del servizio, il carattere autoritativo della Tia e l’impossibilità di sottrarsi al pagamento, fanno annoverare detta tariffa fra quei diritti, canoni, contributi che secondo la normativa comunitaria non possono essere assoggettati ad Iva quando percepiti da Stati, Regioni, Province, Comuni ed altri organismi di diritto pubblico» (36), con conseguente restituzione nel caso in cui il gestore l’abbia indebitamente percepita.
In definitiva, sebbene la recente formulazione del tributo abbia consentito di superare qualche criticità, ci riferiamo in particolare alla non imponibilità delle aree pertinenziali se possedute da imprese, permangono, tuttavia, seri dubbi applicativi. In primo luogo la determinazione del tributo, in quanto stabilita in via presuntiva, ci sembra pericolosamente sganciata dalla effettiva produzione dei rifiuti poiché in effetti «l’attitudine alla contribuzione, diversificata in ragione del fattore ambientale, è, comunque, suscettibile di valutazione economica in base alla considerazione che tanto più un soggetto pone in essere attività fiscalmente rilevanti che determinano un deterioramento ambientale, tanto più si avvantaggia in termini economici, rispetto ad altri soggetti che pongono in essere attività fiscalmente omologhe, ma prive di effetti inquinanti» (37).
In secondo luogo, sebbene sia stata definitivamente stabilita la natura tributaria della TARES, ciò esclude l’applicazione dell’Iva, ma ci sembra non ancora chiarito il dubbio sull’eventuale diritto alla restituzione dell’Iva medesima che non ci sembra tuttora codificato. Last but not least permangono numerose incertezze anche in ambito di deducibilità dalle imposte sul reddito (38) e di impugnabilità della fattura che, pur non rientrando nel novero degli atti impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a nostro avviso consente la piena tutela del contribuente in sede di giurisdizione tributaria, purché recente la motivazione e gli altri elementi essenziali dell’atto impugnabile. In conclusione, la scarsa fiducia dei cittadini nei confronti del fisco e nelle sue leggi nasce proprio dal fatto – ricordando Socrate laddove affermava come «le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano» – che esse vengono dal di fuori, cioè si avvertono come imposte dall’alto e richiedono sacrifici ai cittadini i quali si sentono colpiti dal tributo sempre più in maniera presuntiva e sempre meno in maniera effettiva e giusta.
4. La carbon tax: profili introduttivi
La politica comunitaria si è sempre dimostrata molto attenta alle problematiche ambientali, trovando pieno riconoscimento nell’art. 174 del Trattato della Comunità europea, secondo il quale “chi inquina paga”. Sotto il profilo fiscale, i riflessi di tale principio si traducono nell’obbligatorietà da parte del soggetto inquinatore di contribuire alle spese per la protezione dell’ambiente. La Commissione europea, seguendo quanto disposto dalla direttiva n. 2004/35/CE del 21 aprile 2004, ha rilevato come «le imposte ambientali, includendo i costi per la rimozione degli effetti inquinanti nei prezzi delle merci e dei servizi, permettono di realizzare il principio “chi inquina paga”, attraverso la funzione di incentivo-disincentivo da queste esercitata» (39).
Il predetto principio “chi inquina paga” rappresenta, in ambito fiscale, la principale fonte volta a legittimare gli Stati membri a porre in essere tributi ambientali, sia di carattere impositivo, sia agevolativo, orientando il consumo verso fonti alternative. La sensibilizzazione ai problemi ambientali è emersa a partire già dagli anni settanta, muovendo dal presupposto che la salvaguardia dell’ambiente deve concretizzarsi mediante strumenti economico-finanziari; la formulazione Ocse attribuisce al tributo ambientale proprio la funzione di reperire i mezzi finanziari per tutelare l’ambiente (40).
4.1 (segue) Profili interni e comunitari
Una particolare forma di intervento, posta a tutela dell’ambiente e della tassazione energetica, è la carbon tax, ossia l’imposta applicata sul consumo di combustibili fossili in relazione all’emissione di anidride carbonica.
L’emissione di anidride carbonica è determinata dalla combustione di combustibili solidi, vale a dire prodotti petroliferi e gas naturali, che si differiscono in relazione al tipo di combustibile impiegato. A partire dagli anni novanta, con l’obiettivo di aumentare il gettito e favorire i “comportamenti virtuosi” volti al conseguimento dell’efficienza energetica, la Comunità europea sollecitava i vari Stati membri ad adottare un coordinamento tra le politiche energetiche ed ambientali, mediante l’introduzione di un’imposta diretta ad incidere sui consumi delle differenti fonti energetiche e sull’emissione di anidride carbonica.
L’invito non è stato accolto unanimemente perché, da un lato, i Paesi fabbricanti di prodotti petroliferi e gas naturali vedevano tale nuova imposizione come un ulteriore aggravio, sull’altro versante, invece, alcuni Stati comunitari avvertivano l’esigenza di una pianificazione a livello internazionale, considerato che i maggiori produttori di combustibili si trovano in Paesi Extra-Ue(41).
L’istituzione di una carbon tax a livello comunitario avrebbe consentito di aumentare il gettito e simmetricamente orientare i soggetti a non inquinare volgendo, infatti, i consumi verso energie pulite, incentivando processi tecnologici di energy-saving, conseguendo così efficienza e risparmio energetico. La mancata introduzione di questo tributo a livello comunitario ha indotto i diversi Stati membri ad autoregolamentarsi, utilizzando ognuno misure proprie attinenti le modalità applicative.
Negli anni novanta alcuni Paesi del Nord-Europa, quali la Danimarca, la Finlandia, l’Olanda, la Svezia e la Norvegia, con modalità ed esiti vari hanno introdotto tale tributo (42). Nel 1997, il trattato di Amsterdam ha messo in luce come la tutela ambientale rappresenti uno degli obiettivi della politica dell’Unione europea, prevedendo all’art. 6 del Trattato CE che «le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all’art. 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile».
A livello internazionale, l’obiettivo di perseguire uno sviluppo sostenibile è stato raggiunto in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite e con il protocollo di Kyoto avutosi nel 1997. Sulla scorta di tale protocollo, che prevede la riduzione di gas serra, il legislatore ha introdotto in Italia la carbon tax, disciplinata dall’art. 8 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (43).
In via del tutto preliminare, evidenziamo come essa sia un tributo in senso proprio e si conferisce tale significato, poiché si attribuisce questa nozione giuridica «solo a quei tributi costruiti dal legislatore secondo il principio comunitario “chi inquina paga” (artt. 174 e 175 del Trattato CE) e comunque in modo tale da ricomprendere, nel loro presupposto, lo stesso fattore inquinante e cioè lo stesso evento che produce il danno ambientale» (44).
In questo novero rientrano i tributi che colpiscono direttamente l’emissione di gas inquinanti, l’emissione di rumori, oppure la produzione di materie che arrecano danno ambientale (45).
A differenza dei tributi in senso proprio, la categoria dei tributi ambientali in senso funzionale hanno generalmente un presupposto d’imposta tradizionale, quale il reddito, il patrimonio, il consumo e così via; con quest’ultima categoria di tributi, il legislatore intende favorire lo sviluppo ambientale, promuovendo lo svolgimento di attività o l’uso e la produzione di alcuni beni in luogo di altri.
In breve sintesi, affinché si parli di tributo ambientale in senso proprio, è necessario che sussista una relazione diretta tra il presupposto e l’elemento materiale che provoca un deterioramento dell’ambiente.
Ciò al fine di giustificare l’imposizione ed orientare il comportamento dei contribuenti inquinatori verso l’utilizzo di fonti alternative; tale danneggiamento, però, deve essere reversibile. Come osservato in dottrina (46) «il danno ambientale irreversibile e non sostenibile non può essere assunto a presupposto di un tributo ambientale», pertanto, concordiamo con chi (47) sostiene che «il deterioramento non sostenibile e irreversibile non rientra, infatti, nella strumentazione tributaria perché in questi casi l’unità fisica che lo produce non può essere colpita con divieti e relativi strumenti sanzionatori e non certo legittimata dallo strumento tributario (o comunque, da altre misure economiche)».
Quanto agli aspetti intrinseci del tributo, la carbon tax prevede che il prelievo sui consumi sia proporzionale alle tonnellate di carbonecoke, di petrolio e bitume di origine naturale, emulsionato con il 30 per cento di acqua, impiegati negli impianti di combustione (48).
Logico corollario che il presupposto d’imposta è rinvenibile nel consumo dei prodotti combustibili, correlato al danno ambientale provocato. L’aliquota d’imposta, pertanto, è determinata in relazione al potere inquinante del prodotto sottoposto a tassazione.
Notiamo una stretta correlazione tra danno ambientale e presupposto d’imposta, giacché, al variare dell’emissione di anidride carbonica emessa dalla combustione di alcuni prodotti, varia l’applicazione dell’imposta (49), con la finalità di ridimensionare l’uso di combustibili inquinanti e limitare così la produzione di gas che concorrono a determinare l’effetto serra.
I soggetti passivi sono coloro che possiedono grandi impianti di combustione e sono obbligati ad effettuare la dichiarazione annuale all’Ufficio delle Dogane territorialmente competente in relazione all’ubicazione dell’impianto. Generalmente, il termine entro il quale andava presentata la dichiarazione era il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento (della realizzazione del presupposto) (50).
Queste società di produzione di combustibili dovevano versare trimestralmente un acconto che veniva parametrato presuntivamente in relazione ai consumi effettuati l’anno precedente (51). L’omessa o la tardiva presentazione della dichiarazione poteva essere sanata spontaneamente dal contribuente mediante ravvedimento operoso.
Proprio al fine di non penalizzare il trasporto professionale, l’art. 8, comma 10, aveva previsto delle misure agevolative volte a ridurre la pressione fiscale e a realizzare il principio di neutralità dell’imposizione ambientale (52) .
Particolarmente significativa è stata la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia 29 marzo 2011, n. 74 (53), che, affermata la qualifica di tributo proprio alla carbon tax, chiarisce come la ratio della norma sia quella di perseguire l’obiettivo di ridurre l’emissione di anidride carbonica dei diversi combustibili, individuando come indice di capacità contributiva e presupposto impositivo i combustibili inquinanti, con la finalità di volgere consumi favorevoli all’ambiente, in modo tale da ridurre il progressivo aumento dei gas serra.
Risulta evidente, quindi, come la carbon tax abbia presentato notevoli vantaggi volti ad incentivare la tutela dell’ambiente attraverso la promozione di processi tecnologici bio-compatibili, anche se non è riuscita ad ottenere i risultati sperati, poiché, sebbene sia adottata ciclicamente in alcuni Paesi europei, in Italia, attualmente, è stata abrogata per effetto dall’art. 1, comma 514, della legge n. 311/2004.
Nonostante i buoni propositi a livello comunitario, non si è mai adottata una tassazione europea.
5. I permessi negoziabili (emission trading scheme)
Questo risultato, invece, è sembrato facilmente raggiungibile mediante i permessi negoziabili. Dal 2005 è entrato in vigore il meccanismo di Emission Trading Scheme, che ha consentito l’uso dei permessi negoziabili che si concretizza nello stabilire lo standard, da parte degli organi competenti, del limite massimo di sostanze inquinanti da immettere nell’ambiente (54).
La quantità massima di sostanze inquinanti da attribuire ad ogni soggetto non deve superare lo standard prefissato. Alla predetta quantità di diritti di inquinamento è attribuito un prezzo. Ciascuna società, in relazione alle proprie esigenze, ed avendo verificato il rapporto tra i costi ed i benefici, decide se utilizzare fonti alternative eco compatibili, oppure acquistare da altre imprese i diritti di inquinamento. Si viene a determinare, quindi, un vero e proprio mercato di compravendita di diritti di inquinamento che, in presenza di appropriati controlli, dovrebbe consentire di realizzare gli obiettivi prefissati, quali, ad esempio, i limiti di emissione dei gas serra. Con il passare del tempo e con l’aumento dell’inquinamento, può verificarsi però che questi titoli siano venduti ad un prezzo maggiore, tale da indurre le imprese ad orientare la propria scelta verso fonti pulite.
La somma dei permessi negoziabili, pertanto, consente di ottenere l’ammontare complessivo dell’inquinamento sostenibile in ogni realtà ambientale. Certamente, a fronte dei vantaggi realizzati da tale sistema, si contrappongono svantaggi, quali, ad esempio, la difficoltà oggettiva da parte delle pubbliche Autorità a poter quantificare l’inquinamento sostenibile e correlativamente emettere la giusta quantità di permessi negoziabili (55).
Nondimeno, si presenta anche l’ipotesi che le imprese, in virtù del conseguimento di un elevato profitto – determinato anche attraverso l’utilizzo di fattori altamente inquinanti – intende acquistare i predetti permessi, tralasciando già in origine la possibilità di utilizzare fonti alternative.
Riteniamo, dunque, tale sistema particolarmente articolato, ed in assenza di opportuni controlli, potrebbe consentire di realizzare una distorsione di mercato, per cui, per una corretta politica ambientale, sarebbe più efficace e lineare applicare la tassa ambientale.
6. Prospettive future e considerazioni finali
Tirando le fila di quanto argomentato rileviamo che, nonostante i diversi provvedimenti normativi interni e comunitari, la carbon tax non ha ottenuto i risultati sperati, rimanendo, sia in Italia che in alcuni Paesi comunitari, sostanzialmente inapplicata, ciò perché i prodotti energetici sono già sottoposti ad imposizione, per cui, l’ulteriore aggravio sull’emissione di anidride carbonica comporterebbe un sensibile aumento dei costi (56).
In una prospettiva futura, notiamo come ciclicamente i vari ordinamenti propongono l’adozione della carbon tax a livello europeo, visto il costante impegno da parte dell’Unione europea di ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra.
Tra gli obiettivi comunitari del “Pacchetto Clima” (57) del 2009, ed in particolare la Strategia Europa 2020, vi è quello di determinare un reale cambiamento climatico, prevedendo che entro il 2020 si debba raggiungere la riduzione del 20 per cento di gas nocivi, l’aumento del 20 per cento delle fonti rinnovabili ed un aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica.
Le politiche fiscali, sia a livello nazionale (58) che europeo (59), mirano a rilanciare la carbon tax, sia al fine di ridurre le emissioni nei settori non inclusi nell’Emission Trading Scheme, sia per favorire gli obiettivi prefissati con la strategia “Europa 2020”. Questa forma di prelievo sull’emissione di CO2, risulta molto più lineare del complicato sistema di Emission Trading Scheme e consente, inoltre, di apportare benefici, sia per le pubbliche autorità, sia per le imprese. Segnatamente si registrerebbe un sensibile aumento del gettito e consentirebbe, inoltre, alle imprese soggette all’Emission Trading Scheme, ad assistere ad una riduzione dei prezzi dei titoli negoziati, poiché, vista l’applicazione di questo nuovo tributo, verrebbe meno la domanda di titoli negoziati. In conclusione, una politica ambientale low carbon mette a rischio il perseguimento degli obiettivi da raggiungere a livello europeo.
Prof. Maria Vittoria Serranò – Dott. Santa De Marco
* Il presente lavoro riproduce, con opportune sintesi ed aggiornamenti, le relazioni al Convegno Internazionale tenutosi presso l’Università di Messina il 14-15 marzo 2013 «Tutela dell’ambiente e principio “chi inquina paga”».
** I paragrafi da 1 a 3 sono stati elaborati dalla Prof.ssa Maria Vittoria Serranò; sono da attribuirsi alla Dott.ssa Santa De Marco i paragrafi da 4 a 6.
(1) L’inquadramento della tematica della tassazione ambientale nell’ambito del federalismo fiscale è affermato da Gallo, Profili critici della tassazioneambientale, in Rass. trib., 2010, 307 ss., il quale afferma che nonostante la tutela dell’ambiente sia letteralmente annoverata tra le materie di competenza esclusiva statale [art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.] «il terreno della finanza regionale e locale può ugualmente prestarsi, a certe condizioni, alla costruzione di tributi ambientali in senso proprio in funzione dell’allocazione delle fonti inquinanti». In realtà sulla competenza statale in materia ambientale è intervenuta la Corte Costituzionale (si vedano le sentenze 14 novembre 2007, n. 378 e 28 giugno 2006, n. 247, entrambe in Boll. Trib. On-line) che ha precisato come la tutela dell’ambiente non può essere identificata come una materia di esclusiva competenza statale, ma inevitabilmente si presenta come un valore per così dire trasversale.
(2) L’art. 12, primo comma, lett. b), della legge n. 42/2009, infatti, prevede «ladefinizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 11, comma 1, letteraa),numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all’IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126».
(3) L’art. 2, secondo comma, lett. p), della legge n. 42/2009, ci sembra che inquadri bene tale principio individuandolo nella «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria ed amministrativa».
(4) In tal senso di veda Salvini, Il ruolo dell’IMU nell’attuazione del federalismo fiscale, in Atti del convegno di Taormina 27-28 aprile 2012, “Regionalismo fiscale tra autonomie locali e diritto dell’Unione Europea”, 2012, 311 ss.
(5) Cfr. Salvini, op. ult. cit.
(6) Alfano, L’emission trading scheme: applicazione del principio “Chi inquina paga”, positività e negatività rispetto al prelievo ambientale, in Innovazione e Diritto, 2009, 8 ss.
(7) L’attenzione comunitaria ai problemi ambientali si è registrata intorno agli anni settanta. Il primo intervento in favore della tutela ambientale ci sembra riconducibile alla conferenza di Stoccolma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1972 in cui l’ambiente è stato definito “patrimonio comune dell’umanità” ed è stato affermato il principio secondo il quale «un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere». Negli stessi anni sono state emanate le prime direttive e sentenze comunitarie, tra le quali ricordiamo la n. 70/157/CEE sull’inquinamento acustico, la n. 70/222/CEE sull’inquinamento atmosferico derivante dai veicoli a motore a la n. 78/319/CEE sui rifiuti tossici e nocivi. Tra le sentenze si veda Corte Giust. CEE 18 marzo 1980, cause riunite C-91/79 e C-92/79, in Rep. Foro it., 1981, IV, 32.
(8) L’art. 174 del TCE, al paragrafo 2, dispone che «La politica della comunità in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”».
(9) Per una ricostruzione storica relativa alla genesi ed alle motivazioni circa l’introduzione ci sia consentito rinviare a Serranò, Brevi considerazioni in tema di Tarsu, in Boll. Trib., 1999, 1751.
(10) È opportuno chiarire che il regime tariffario non preclude la natura tributaria del prelievo, in tal senso ved. Corte Cost. 24 luglio 2009, n. 238 (in Boll. Trib., 2009, 1235, con nota di Righi, Tariffa di igiene ambientale: anche la Corte Costituzionale ne afferma la natura di tributo), con conseguente attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione delle Commissioni tributarie.
(11) Sulla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani cfr. Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000; Pennella, voce Rifiuti solidi urbani (Tassa per lo smaltimento dei e tariffa per la gestione dei), in Enc. giur., XXVII, 2003; Uricchio, La trasformazione della tassa rifiuti in tariffa nel Decreto Ronchi, in Boll. Trib., 1997, 207.
(12) Quanto alla presentazione della dichiarazione, la previsione di un modello comunale per effettuare la denuncia, disciplinato dal comma 34, non vi sono sostanziali novità rispetto all’art. 70 del D.Lgs. n. 507/1993, cioè rispetto a quanto previsto relativamente alla Tarsu. Degno di menzione è l’inserimento dell’ultimo periodo del comma 34 in forza del quale «al fine di acquisire le informazioni riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna di ciascun comune, nella dichiarazione delle unità immobiliari a destinazione ordinaria devono essere obbligatoriamente indicati i dati catastali, il numero civico di ubicazione dell’immobile e il numero dell’interno, ove esistente».
(13) Secondo una recente analisi realizzata da Unioncamere l’applicazione della Tares, considerato che coprirà integralmente i costi del servizio, realizzerebbe un forte incremento della tassazione per le imprese pari ad una percentuale compresa tra il 20 e il 50 per cento.
(14) L’art. 10 del D.L. n. 35/2013 così stabilisce: «Sono escluse dalla tassazione, ad eccezione delle aree scoperte operative, le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva».
(15) Sulla nozione di sistema tributario, sulla sua crisi, e sul proliferare di microsistemi generati da una iperproduzione della normativa tributaria cfr. Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, 166, il quale evidenzia una difficoltà a pervenire in modo sistematico alla individuazione di un sistema organico a causa delle continue deroghe che le disposizioni tributarie recano al diritto comune. In senso critico all’ordinanza della Corte Costituzionale 16 novembre 1993, n. 392 (in Boll. Trib., 1994, 90), che affermava la natura polisistematica dell’ordinamento tributario evidenziandone la sua sistematicità e fragilità, si veda Ferlazzo Natoli – Serranò, Le fonti del diritto tributario, in Corso di diritto tributario, Milano, 1999, 2 ss.
(16) Sul concetto di fattispecie in sede di teoria generale del diritto ci limitiamo per tutti a segnalare Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941; Pugliatti, La trascrizione (la pubblicità in generale), Vol. I, Tomo I, Milano, 1957. Sulla fattispecie giuridica tributaria per tutti ved. Ferlazzo Natoli, Fattispecie tributaria e capacità contributiva, Milano, 1979, e, più di recente, ID., voce Presupposto di fatto, in Enc. giur., Roma, 1992; e ID., Fattispecie tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Padova, 1994.
(17) Si veda Ferlazzo Natoli – Buccisano, Il tributo ecologico: presupposto e limiti costituzionali, in Riv. dir. trib. int., 2004, 439.
(18) Ved. Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, 1940.
(19) Cfr. Gallo, Profili critici della tassazione ambientale, cit., 305.
(20) Ved. Gallo, op. cit.
(21) Così Gallo, op. loco ult. cit.
(22) Ferlazzo Natoli – Buccisano, op. cit., 438 ss.
(23) Sul concetto di tassa ci limitiamo a ricordare gli imprescindibili contributi di Giannini, Il concetto giuridico di tassa, in Riv. it. dir. fin., 1937, 40 ss.; ID., I concetti fondamentali di diritto tributario, Torino, 1956, 74 ss.; ID., La classificazione delle imposte nel diritto tributario, in Studi in onore di Pier Paolo Zanzucchi, Milano, 1927, 348; Sacchetto, Tassa (in generale), in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992, 4 ss.; Fichera, I contributi speciali e le tasse, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, vol. IV, Padova, 1994, 297.
(24) Cfr. Esposito, voce Tariffa, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992; Tremonti, Profili della “tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani interni” e del “corrispettivo” per la raccolta dei rifiuti solidi industriali, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1977, I, 594.
(25) Interessanti pronunce della Corte Costituzionale (ex plurimis, ved. Corte Cost. 8 maggio 2009, n. 141, in Boll. Trib., 2009, 987, con nota di Righi, È (ancora) un tributo il “canone” comunale sulla pubblicità; Corte Cost. 10 ottobre 2008, n. 335, in Boll. Trib. On-line, e sulla quale Righi, I canoni di fognatura e di depurazione delle acque dopo la sentenza costituzionale n. 335 del 2008, in Boll. Trib., 2009, 1093; Corte Cost. 14 marzo 2008, n. 64, ivi, 2008, 769, con nota di Righi, Fuori dalla giurisdizione tributaria le controversie COSAP; Corte Cost. 19 ottobre 2006, n. 334; e Corte Cost. 11 febbraio 2005, n. 73, entrambe in Boll. Trib. On-line) hanno individuato i criteri cui fare riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi che sono riconducibili alla doverosità della prestazione, alla mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.
(26) In Boll. Trib. On-line.
(27) Con riferimento alla commutatività concordiamo con Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 1999, 26 ss., il quale afferma che «normalmente l’attività dell’ente pubblico viene espletata su domanda del soggetto e produce un beneficio nella sfera giuridica del richiedente: Ma siffatti elementi (domanda del soggetto, beneficio derivante dal servizio pubblico a favore del richiedente) non costituiscono requisiti essenziali della tassa: nel diritto positivo si rinvengono infatti ipotesi, pacificamente ricondotte dalla dottrina allo schema della tassa, in cui il servizio pubblico è provocato (e non richiesto) dal soggetto obbligato e non reca a quest’ultimo un vero beneficio … Assai discussa è la questione se, qualora il servizio pubblico non sia stato prestato dall’Ente, la tassa sia dovuta o meno. La giurisprudenza, esaltando il profilo commutativo della tassa, sembra orientata nel senso di escludere la debenza della tassa in tale ipotesi».
(28) Anche in questo caso ci limitiamo a segnalare il contributo di Del Federico, Contributo allo studio delle tasse, Pescara, 1996, 70 ss.
(29) Cfr. Serranò, op. cit.
(30) Cfr. Schinaia, voce Tariffe dei servizi pubblici, in Enc. giur., Roma, 1996, 1 ss.
(31) Cfr. nota 11.
(32) Cass., sez. un., 8 aprile 2010, n. 8313, in Boll. Trib., 2010, 1322.
(33) Sulla impugnabilità della fattura un interessante spunto di riflessione ci viene fornito proprio da Corte Cost. n. 238/2009, cit., la quale stabilisce come «è possibile, in via interpretativa – come, del resto ha già affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17526 del 2007 [Corte Cass., sez. trib., 9 agosto 2007, n. 17526, in Boll. Trib., 2007, 1928, con nota di chiarizia, La natura tributaria della tariffa di igiene ambientale (TIA): primi chiarimenti e questioni ancora aperte] con specifico riferimento alla Tia – un’applicazione estensiva dell’elenco di cui al citato articolo 19, al fine di considerare impugnabili anche atti che, pur avendo un diverso nomen iuris, abbiamo la stessa funzione di accertamento e di liquidazione di tributi svolta dagli atti compresi in detto elenco; con l’ovvio corollario che le suddette “bollette”, avendo natura tributaria, debbono possedere i requisiti richiesti dalla legge per gli atti impositivi».
(34) Cfr. Messina, Effetti riflessi della natura tributaria della TIA, in Corr. trib., 2010, 1591.
(35) Sull’inapplicabilità dell’Iva si è pronunciata Corte Cost. n. 238/2009, cit.; contra si veda Cass., sez. un., 15 giugno 2009, ord. n. 13894, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. I, 5 marzo 2009, n. 5299, ivi.
(36) Cfr. Messina, op. cit., 1591.
(37) Cfr. Ferlazzo Natoli – Buccisano, op. cit., 445.
(38) In tal senso Beghin, Corte costituzionale e TIA: un’occasione per riflettere sulla nozione di tributo, in Corr. trib., 2009, 3097.
(39) Così Selicato, Imposizione fiscale e principio “chi inquina paga”, in Rass. trib., 2005, 1161.
(40) Batistoni Ferrara, I tributi ambientali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2008, 1090.
(41) Sul punto si veda Alfano, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012, 223, la quale giustamente osserva che «nella consapevolezza che l’introduzione del tributo avrebbe prodotto molteplici effetti negativi sulla competitività dei loro prodotti al di fuori del territorio dell’Unione e soprattutto nei confronti degli Stati Uniti e del Giappone».
(42) Per un esame più approfondito delle modalità adottate nei diversi Paesi europei, si rinvia ad Alfano, op. ult. cit., 224, nota n. 6.
(43) La relazione di accompagnamento al provvedimento normativo in questione ha precisato che la norma in oggetto si pone la finalità di consentire «la tassazione di anidride carbonica dei diversi combustibili in relazione al loro contenuto di carbonio con lo scopo di orientare i consumi in senso favorevole all’ambiente, contenendo progressivamente la produzione di gas serra».
(44) Così Gallo, Profili critici della tassazione ambientale, cit., 303.
(45) Moisè – Steenblik, Trade-Related measures Based on Processes and Production Methods in the Context of Climate- change mitigation, OECD, Trade Environment Working Papers, n. 4, 2011.
(46) Così Ferlazzo Natoli – Buccisano, op.cit., 439.
(47) Così Gallo, Profili critici della tassazione ambientale, op. ult. cit., 304.
(48) Si veda Direttiva 609/88/CE, c.d. Direttiva Monti.
(49) La base imponibile era determinata moltiplicando la quantità di carbone dichiarata dal contribuente, per l’aliquota di 2,62567 euro per tonnellata.
(50) Evidenziamo che l’art. 1, comma 514, della legge n. 311/2004, ha abrogato la carbon tax, istituita originariamente con l’art. 8, comma 7, della legge n. 448/1998.
(51) Si veda Comm. trib. reg. della Puglia 10 giugno 2009, n. 75, inedita, la quale rileva che «la norma di cui all’art. 17, 29° comma ss., della L. n. 449 del 1997, istitutiva della cosiddetta “ecotassa” è immediatamente cogente ed è escluso che il regolamento cui rimanda (introdotto con d.p.r. n. 416 del 2001) sia integrativo della legge istitutiva medesima. La tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto ha natura di accisa e, quindi, di imposta sulla produzione applicata in relazione ad emissioni particolari derivati dalle sostanze impiegate nei grandi impianti di combustione. Ne consegue che il rimborso dovuto deve essere richiesto a pena di decadenza entro due anni alla data di pagamento secondo il disposto dell’art. 14, 2° comma, d.lgs. n. 504 del 1995 in tema di imposte sulla produzione e sui consumi».
(52) Sul punto si è espressa Comm. trib. prov. di Treviso, sez. II, 16 dicembre 2009, n. 93, in Boll. Trib. On-line, affermando che l’agevolazione fiscale della carbon tax, relativa agli autotrasportatori, vale soltanto per gli acquisti di gasolio e non per il biodiesel. Sull’argomento per ulteriori approfondimenti si veda Lovisolo, Carbon tax e accise sul gasolio per autotrazione: rimborso in favore degli autotrasportatori, in Dir. prat. trib., 2003, 723.
(53) In Boll. Trib. On-line.
(54) Cfr. Alfano, L’Emission Trading Scheme: applicazioni del principio “chi inquina paga”, positività e negatività rispetto al prelievo ambientale, cit.
(55) Cfr. Querini, La tutela dell’ambiente nell’unione europea: un’analisi critica, ed. Franco Angeli, 2007, 106.
(56) Così Alfano, Tributi ambientali. Profili interni ed europei,op. cit., 228, la quale rileva, inoltre, che «all’indomani dell’istituzione del tributo, in Italia si è registrato un aumento costante dei prezzi della benzina, del metano e dell’energia elettrica: si è temuto un possibile effetto inflativo che ha rinvigorito la querelle in merito al ruolo e alla valenza della carbon tax e ha stimolato alcune prese di posizione europee».
(57) Il “Pacchetto Clima” consta di cinque provvedimenti: la comunicazione 2008/30, che rappresenta la nuova politica climatica della Comunità europea; la Direttiva 2009/29/CE, che rivede il sistema europea di Emission Trading; la Decisione 406/2009, la quale stabilisce gli obiettivi nazionali di riduzione per i settori che non rientrano nell’ambito della applicazione dell’Emission Trading; la Direttiva 2009/28/CE relativa alla promozione e sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili; la Direttiva 2009/31/CE sulla cattura e lo stoccaggio di CO2.
(58) Il Consiglio dei Ministri del 16 aprile 2012, nell’approvare il disegno di legge sulla delega fiscale, alla terza parte della delega rivede la tassazione in funzione della crescita, dell’internazionalizzazione delle imprese e della tutela ambientale. In continuità con le politiche adottate nell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile, mira a riordinare la fiscalità con l’obiettivo di garantire la green taxes; rivede la disciplina delle accise sui prodotti energetici in relazione al contenuto di carbonio, come già contemplato nella proposta di Direttiva del Consiglio europeo in materia di imposizione dei prodotti energetici e dell’elettricità, pertanto, il gettito della carbon tax è destinato a finanziare le fonti rinnovabili.
(59) Si veda Melis – Pitrone, Un sistema fiscale armonizzato per rilanciare la Ue, in Il sole 24 ore del 15 maggio 2011. Il rinnovato interesse all’istituzione di una carbon tax europea ha già sollecitato la Commissione europea nel 2011.