5 Ottobre, 2018

LE AVVERSE CONDIZIONI DEL MERCATO POSSONO GIUSTIFICARE LA DISAPPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA ANTIELUSIVA
SULLE C.D. SOCIETÀ DI COMODO

La norma sulle c.d. società di comodo, nella formulazione di cui la Corte di Cassazione si è trovata a fare applicazione, disponeva che «in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinato ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600» (1).
La previsione, lo si rammenta, fu inserita a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 4 luglio 2006 dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), che, in definitiva, rese necessaria la presentazione dell’interpello disapplicativo per evitare l’applicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo (2).
Nel caso sottoposto all’esame del Supremo Collegio la società resistente, la cui attività aveva per oggetto l’acquisto, la vendita, la permuta e il noleggio di macchinari e attrezzature speciali per lavori edili, aveva concretamente operato dal 2002 al 2005 attraverso l’impiego dell’unico bene strumentale: una fresa escavatrice da utilizzare per la realizzazione di opere pubbliche e, nello specifico, di un tratto di metropolitana. La sopraggiunta mancanza delle condizioni economiche favorevoli, però, aveva impedito la stipula di contratti per l’utilizzo del citato macchinario negli anni successivi e da ciò era conseguita la decisione di dismetterlo e porsi in liquidazione nel 2008.
Nell’istanza di interpello, propedeutica, come si è visto, alla disapplicazione della normativa antielusiva, presentata per l’annualità 2006, la società aveva messo in evidenza la particolarità del macchinario in questione (una fresa di dimensioni importanti) e la specificità del settore che, a suo dire, avevano determinato l’impossibilità di stipulare contratti adeguati per l’utilizzo del macchinario medesimo.
Le citate circostanze, però, erano state diversamente interpretate dall’Amministrazione finanziaria, secondo la quale la mancata stipula di contratti di affitto della fresa non poteva ricondursi a cause oggettive, essendo il frutto di una scelta imprenditoriale e, cioè, soggettiva, che, come tale, non avrebbe potuto in alcun modo giustificare la disapplicazione della disposizione antielusiva (3).
Vistasi annullare la propria pretesa in primo e in secondo grado, l’Amministrazione finanziaria ha adìto il giudice di ultima istanza che, invece, ha confermato le ragioni della società.
Richiamando espressamente un suo autorevole precedente (4), la Corte di Cassazione ha ritenuto che «la nozione di impossibilità di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato». I Supremi Giudici hanno positivamente valutato la situazione esposta dalla società ricorrente segnalando che, pur non integrando gli estremi di una vera e propria causa di forza maggiore «ostativa, in senso assoluto al suo operare sul mercato», era un motivo più che ragionevole per escludere, «proprio per il mancato e motivato raggiungimento di un accordo sui termini economici del noleggio della fresa», il conseguimento dei ricavi accertati in via presuntiva dall’Ufficio finanziario.
In effetti la particolarità del macchinario, una fresa di dimensioni “enormi”, come si legge in motivazione, che poteva essere utilizzata solo in contesti molto circoscritti (nell’ambito, cioè, di un mercato altamente specialistico), consente di giustificare il suo mancato utilizzo che va quindi addebitato non, sic et simpliciter, come fa l’Amministrazione finanziaria, a scelte economiche dell’imprenditore (vale a dire soggettive o comunque contingenti), bensì a difficoltà di carattere oggettivo direttamente ricollegabili alle effettive circostanze del mercato (5).
A tale proposito la Suprema Corte, in maniera condivisibile, propone una lettura non meramente letterale della disposizione, adeguandola alla particolarità dei casi concreti; in questo modo anche il caso di specie, che ha visto la società inattiva per la mancata stipula di contratti di affitto del macchinario, può rientrare tra quelle «oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi … presunti», dovendo l’espressione essere intesa non in senso assoluto ma rapportata alle effettive circostanze del mercato. Un mercato che, nel caso di specie, presentava caratteri tali da rendere non proficuo l’utilizzo dell’unico macchinario posseduto dalla società tanto da indurla a cederlo e conseguentemente a chiudere definitivamente l’attività.
In conclusione ciò che sembra emergere nel ragionamento seguito dalla Corte di Cassazione è che se la disciplina delle società non operative ha come fine quello di contrastare l’utilizzo delle c.d. società di comodo che sono costituite non per esercitare un’attività commerciale, bensì per la gestione patrimoniale nell’interesse dei soci, nel caso all’esame dei Supremi Giudici la particolarità del bene strumentale (utilizzato per il calcolo presuntivo e che ha determinato il mancato rispetto del test di operatività) è tale da fare ritenere che un simile rischio difficilmente potesse ricorrere, ciò che poi ha trovato conferma nelle vicende successive che hanno visto la cessione del macchinario e la messa in liquidazione della società.
Del resto la stessa Amministrazione finanziaria nella propria prassi applicativa, laddove segnala che nell’istanza di interpello disapplicativo il contribuente deve esporre le ragioni ostative al mancato conseguimento dei ricavi e del reddito minimo previsti dalla legge, ha espressamente indicato tra queste «la crisi del settore in cui opera» ammettendo, cioè, che le difficoltà economiche incidono necessariamente sulle scelte dell’imprenditore, scelte che pertanto non vanno qualificate come realmente volontarie se indotte dalle avverse condizioni economiche (6).
In margine va rammentato che il controllo espletato dall’Ufficio finanziario circa la corretta applicazione dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, esige l’adozione di un vero e proprio atto di accertamento. Sul punto, con un altro arresto di poco precedente alla pronuncia in rassegna (7), la Suprema Corte ha sottolineato che il risultato del c.d. test di operatività non può legittimare l’emissione di una cartella di pagamento ex art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che è consentita solo quando l’importo viene determinato sulla base di un controllo meramente cartolare che non importa la risoluzione di questioni giuridiche. Nel test di operatività, invece, il risultato offre un dato meramente presuntivo avverso il quale il contribuente può fornire la prova contraria contestando le risultanze dei parametri e degli indici di cui al citato art. 30 della legge n. 724/1994, e che, quindi, esige l’emanazione di un avviso di accertamento.

Dott. Annalisa Pace
Università di Teramo

(1) Così l’art. 30, comma 4-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
(2) Come ricorda la circ. 2 febbraio 2007, n. 5/E (in Boll. Trib., 2007, 270), l’ambito applicativo della disposizione fu in seguito meglio precisato con l’ulteriore intervento normativo della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), che abrogò nel primo comma dell’art. 30 citato il riferimento alla «prova contraria» «al fine evidente di escludere che detta prova potesse essere fornita in sede di accertamento o nel corso del contenzioso», e stimolando, così, i contribuenti a presentare l’interpello disapplicativo che diventò presupposto sine qua non per le successive contestazioni. La norma, negli anni, è stata oggetto di modifiche continue e, da ultimo, il legislatore è intervenuto in maniera fortemente innovativa con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.
(3) Dalla stringata esposizione in fatto della sentenza, ciò che sembra emergere è che la società abbia scelto, conformemente a quanto suggeriva la stessa Amministrazione finanziaria nella circ. n. 5/E/2007, cit., par. 3.3, di non impugnare autonomamente il provvedimento di diniego dell’interpello: la contestazione, infatti, ha preso avvio con l’impugnazione dell’accertamento emesso dall’Ufficio per l’anno 2006. La questione dell’impugnabilità del diniego di interpello, però, e tutt’altro che pacifica e ha ricevuto soluzioni spesso contrastanti: sul punto ved. Cass., sez. trib., 15 aprile 2011, n. 8663, in Boll. Trib., 2011, 1249; Cass., sez. trib., 13 aprile 2012, n. 5843, ivi, 2012, 1019, con nota di ACCORDINO, Riflessioni in tema di impugnabilità del provvedimento di diniego della disapplicazione di norme antielusive; e Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17010, ivi, 2013, 211. Nel sistema ora vigente le disposizioni hanno subito l’ennesima modifica. Il legislatore è intervenuto con il citato D.Lgs. n. 156/2015 che ha riscritto integralmente l’art. 11 (“Diritto di interpello”) dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) e ha modificato anche il comma 4-bis del citato art. 30, riqualificando l’interpello come interpello probatorio, ex art. 11, primo comma, lett. b), e ha escluso in maniera esplicita l’autonoma impugnazione del diniego (cfr. l’art. 6); sul punto cfr. circ. 1° aprile 2016, n. 9/E, in Boll. Trib., 2016, 505.
(4) Si tratta di Cass., sez. trib., 21 ottobre 2015, n. 21358, in Boll. Trib. On-line.
(5) Proprio in Cass. n. 21358/2015, cit., la Suprema Corte ha ricordato che spetta al contribuente fornire la prova contraria circa la non operatività della società, dimostrando «l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto»; ebbene, una situazione come quella rappresentata nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, condivisibilmente, presenta i citati caratteri dato che la mancata stipulazione dei contratti di affitto della fresa è stata frutto non tanto di una volontaria scelta imprenditoriale, quanto di una non favorevole situazione economica che ha impedito il raggiungimento di idonei accordi contrattuali.
(6) Cfr. circ. n. 5/E/2007, cit., par. 4.
(7) Si tratta di Cass., sez. VI, 12 dicembre 2016, ord. n. 25472, in Boll. Trib. On-line.

IRES – Società di comodo – Art. 30 della legge n. 724/1994 – Mancata stipulazione di un contratto di affitto dell’unico macchinario altamente specializzato detenuto per la realizzazione di opere pubbliche – Costituisce una situazione oggettiva e non contingente di impossibilità di conseguimento dei ricavi minimi legalmente presunti.

IRES – Società di comodo – Art. 30 della legge n. 724/1994 – Situazioni oggettive e straordinarie, specifiche e indipendenti dalla volontà del soggetto interessato tali da impedire il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto – Nozione di “impossibilità” di cui al citato art. 30 – Va intesa in termini economici aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato – Mancata stipulazione di un contratto di affitto dell’unico macchinario altamente specializzato detenuto per la realizzazione di opere pubbliche – Costituisce una situazione oggettiva e non contingente di impossibilità di conseguimento dei ricavi minimi legalmente presunti.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Art. 360, n. 5), c.p.c., come riformato dall’art. 54 del D.L. n. 83/2012 – Rende sindacabile la motivazione della sentenza impugnata in sede di legittimità solo quando si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e riguarda l’inesistenza della motivazione stessa – Denunciabilità dei soli vizi consistenti nella mancanza assoluta di motivi, nella motivazione apparente, nel contrasto tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed incomprensibile – Consegue.

In materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali e un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando poi al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto, ed a tale riguardo la nozione di “impossibilità” di cui alla citata disposizione va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato, di talché, allorquando le condizioni particolari di un mercato altamente specializzato in cui poter utilizzare uno speciale macchinario tecnologicamente avanzato per la realizzazione di importanti opere pubbliche (trafori e metropolitane) e la mancata stipulazione di altri contratti di affitto della macchina, nel gioco economico della domanda e dell’offerta, abbiano comportato una obiettiva e non contingente situazione di impedimento della società ad operare, pur non integrandosi gli estremi di una forza maggiore ostativa in assoluto al suo operare sul mercato, si determina una situazione che porta ad escludere, proprio per il mancato e motivato raggiungimento di un accordo sui termini economici del noleggio del predetto macchinario, l’ottenimento dei ricavi solo presuntivamente determinati dall’Ufficio finanziario.

È denunciabile innanzi alla Corte di Cassazione, a norma dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., nel testo riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), solo l’anomalia motivazionale della sentenza che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della stessa sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi tale anomalia nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione medesima.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Di Amato, rel. Greco), 28 febbraio 2017, sent. n. 5080, ric. Agenzia delle entrate c. G.S.G. Tunneling s.r.l. in liquid.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con due motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, ha confermato la infondatezza della pretesa manifestata con l’avviso di accertamento, emesso a carico della srl in liquidazione GSG Tunneling ai fini dell’IRES per l’anno 2006, con il quale veniva determinato un reddito minimo presunto di Euro 1.216.397, a fronte di una perdita di Euro 427.590 dichiarata dalla contribuente, nonostante il rigetto dell’interpello, diretto alla disapplicazione della misura anti elusiva, di cui all’art. 30, comma 4-bis, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, introdotto dall’art. 35, comma 15, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, nell’ambito della disciplina delle società non operative.
Il giudice d’appello ha rilevato che la società contribuente, costituita nel 2001, ed avente come oggetto sociale l’acquisto, la vendita, la permuta ed il noleggio di macchinari ed attrezzature speciali per lavori edili nel settore pubblico, aveva esplicato la sua attività nel triennio 2002-2005 mediante l’impiego dell’unico bene strumentale costituito da una fresa escavatrice da “impiegare e noleggiare a freddo nella costruzione di opere pubbliche”, ed in concreto per la realizzazione di un tratto della metropolitana di …; e che nel 2006, anno oggetto dell’accertamento, la società non aveva prodotto ricavi non essendo riuscita a stipulare nuovi contratti di noleggio della fresa.
Ed ha osservato che lo stato di inattività era pur dipeso dalla mancata stipula di un nuovo contratto di noleggio del macchinario, ma che era altrettanto indubbio che le condizioni particolari di un mercato altamente specializzato in cui poter utilizzare la fresa e la mancata stipula di altri contratti di affitto della macchina, nel gioco economico della domanda e dell’offerta avevano comportato una obiettiva e non contingente situazione di impedimento della società ad operare. Fallito dunque il tentativo – documentato dalla contribuente – di stipulare altri contratti di noleggio, senza raggiungere l’accordo sulle condizioni economiche e finanziarie per l’uso della fresa, la GSG nel dicembre 2008 aveva ceduto il detto bene strumentale, procedendo poi alla propria collocazione in liquidazione.
Ciò posto, la CTR ha ritenuto che la mancata stipula da parte della contribuente dei contratti decisivi per l’esercizio della propria attività operativa era dipesa non tanto dalla volontà della società, ma dalla non convenienza delle offerte di noleggio della fresa, che si traduceva in una obiettiva situazione di impedimento al suo uso proficuo e redditizio.
In tale contesto, le condizioni dedotte dalla società, pur non integrando gli estremi di una forza maggiore ostativa in assoluto al suo operare sul mercato, portavano ad escludere, proprio per il mancato e motivato raggiungimento di un accordo sui termini economici del noleggio della fresa, l’ottenimento dei ricavi solo presuntivamente determinati dall’ufficio per l’esercizio 2006: la società contribuente, in altre parole, lungi dall’essere una società di comodo, come si evinceva del resto dai ricavi percepiti e dichiarati nel triennio 2002-2005, non potendo nell’anno successivo utilizzare proficuamente la fresa, non era effettivamente in condizione di percepire ricavi e di produrre reddito, sicché la normativa antielusiva, invocata dall’amministrazione, risultava ad essa inapplicabile ex art. 30 L. n. 724/1994.
Ta srl GSG Tunneling in liquidazione resiste con controricorso illustrato con successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Col primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4-bis, della legge n. 724/1994, assume che nella specie non ricorrevano valide situazioni idonee ad escludere l’applicazione della disciplina delle società di comodo, situazioni ravvisate dalla CTR nella insufficiente convenienza all’utilizzo ai fini commerciali di un bene strumentale, le quali si risolverebbero in scelta imprenditoriale, e pertanto soggettiva e non oggettiva. La disapplicazione delle disposizioni dell’art. 30 della legge n. 724/1994, potrebbe aver luogo solo qualora il contribuente desse la prova della ricorrenza di situazioni obiettive, e non riferite ad un singolo contribuente, e tali da impedire il conseguimento di ricavi, e non soltanto di limitare la possibilità di utilizzazione proficua dei beni aziendali.
Con il secondo motivo denuncia insufficiente motivazione sul mancato raggiungimento dell’accordo economico per la locazione della fresa documentato dalla società, se cioè esso sia o meno riconducibile a una scelta dell’impresa.
Il primo motivo è infondato.
Secondo la disposizione in rubrica, infatti, “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’IVA di cui al comma 4, la società interessata può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, D.P.R. n. 600/1973”.
In proposito questa Corte ha chiarito come “in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724/1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del D.L. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive (e straordinarie), specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto” (Cass. n. 21358 del 2015 ).
Osserva il Collegio che la nozione di “impossibilità” di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato.
Alla stregua di tale criterio il giudice di merito ha nella specie correttamente ritenuto che la contribuente, sulla quale gravava il relativo onere, avesse offerto la prova contraria prescritta. Rilevato infatti che la Commissione, ai fini della formazione del proprio convincimento aveva avuto modo di prendere cognizione delle dimensioni della fresa, grazie alla foto del macchinario depositata da parte contribuente, sulla base della documentazione acquisita ha ritenuto che “le condizioni particolari di un mercato altamente specializzato in cui poter utilizzare la fresa e la mancata stipula di altri contratti di affitto della macchina, nel gioco economico della domanda e dell’offerta avevano comportato una obiettiva e non contingente situazione di impedimento della società ad operare … in tale contesto, le condizioni dedotte dalla società, pur non integrando gli estremi di una forza maggiore ostativa in assoluto al suo operare sul mercato, portavano ad escludere, proprio per il mancato e motivato raggiungimento di un accordo sui termini economici del noleggio della fresa, l’ottenimento dei ricavi solo presuntivamente determinati dall’ufficio per l’esercizio 2006”.
Il secondo motivo è inammissibile, trovando applicazione ratione temporis alla sentenza impugnata il testo riformulato, ad opera dell’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, e dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il quale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sezioni unite, 7 aprile 2014, n. 8053(2)).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in € 13.000 per compensi di avvocato, oltre a spese forfetarie nella misura del 15%.

(1) Cass. 21 ottobre 2015, n. 21358, in Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib., 2014, 1646.

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