21 Novembre, 2017

Nella vicenda in oggetto si discuteva della assoggettabilità all’IRAP di uno studio di amministratori di condominio che, pur esercitando l’attività nella forma della società semplice, era privo di autonoma organizzazione.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno tuttavia decretato che l’esercizio nella forma della società semplice, ma anche dell’associazione non riconosciuta, di un’attività di lavoro autonomo realizza sempre e comunque il presupposto di imposta ai fini dell’IRAP.
Il ragionamento dell’annotata sentenza è molto semplice.
La Suprema Corte osserva che:
– l’art. 2, secondo comma, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, stabilisce che «costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti»;
– l’art. 3, primo comma, lett. c), del medesimo decreto, afferma che sono soggetti passivi IRAP le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, terzo comma, del TUIR, vale a dire le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni.
In tale quadro normativo le Sezioni Unite hanno espresso il principio massimato: il requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività non è in concreto richiesto in relazione all’attività delle società e delle associazioni di lavoratori autonomi, in quanto la legge prevede che l’attività esercitata da tali soggetti costituisce in ogni caso presupposto d’imposta.
Il sillogismo interpretativo della Massima Corte – sotto il profilo letterale – non fa una piega. «In claris non fit interpretatio» sembra dire la sentenza in rassegna. Per cui anche se non esiste la capacità contributiva – perché se non esiste l’autonoma organizzazione non esiste neppure il presupposto d’imposta e quindi non esiste capacità contributiva – si deve pagare ugualmente l’imposta. Così dice la legge. “Dura lex sed lex”.
E l’art. 53 Cost. secondo cui l’imposizione fiscale postula necessariamente la sussistenza della capacità contributiva? Sul tema le Sezioni Unite non dicono nulla: l’argomentare della Suprema Corte è circoscritto al dato lessicale. Così è scritto e così deve essere.
Digressione.
Montanelli incontrò il premio Nobel sir Alexander Fleming, lo scienziato che aveva scoperto la penicillina, il primo antibiotico della storia della medicina. Alla domanda di Montanelli «Come ha fatto a scoprire la penicillina?» Fleming – uomo molto distaccato – rispose «Chi, io?». E Montanelli dubitò di essere di fronte al grande scienziato, ma a un semplice omonimo. Invece era proprio lui.
Invero, leggendo un’altra pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (1) si ha la stessa sensazione che provò Montanelli: sono le Sezioni Unite o un omonimo? Infatti, in quella non lontana occasione le stesse Sezioni Unite avevano sostenuto che il dato letterale conta poco o nulla. Si discuteva sulla portata dell’art. 2, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, secondo il quale le controversie catastali avanti al giudice tributario possono essere promosse solo «dai singoli possessori» degli immobili. Se è scritto che gli atti del catasto possono essere impugnati avanti al giudice tributario solo dai possessori degli immobili i Comuni, se lamentano l’incongruenza di quegli atti (per ragioni evidentemente opposte a quelle del contribuente), non possono rivolgersi al giudice tributario (ma al giudice naturale, che è quello amministrativo). Così sta scritto nella legge. Ma ecco che le Sezioni Unite, con «interpretazione costituzionalmente orientata» e con una semplice ordinanza, affermano che anche i Comuni hanno il potere di impugnare gli atti catastali avanti al giudice tributario (2).
Ancora.
L’art. 9, secondo comma, del D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, stabilisce che «nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal danneggiato, sugli importi corrisposti non sono dovuti compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato».
In claris non fit interpretatio? No. La norma si deve interpretare «nel senso che sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore dovendosi altrimenti ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l’art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta ad impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell’erogazione di spese legali effettivamente necessarie» (3).
Per concludere: le Sezioni Unite avrebbero forse potuto affermare che l’art. 2, secondo comma, del D.Lgs. n. 446/1997, deve essere interpretato nel senso che le società o associazioni tra lavoratori autonomi realizzano il presupposto di imposta alla condizione che sussista in concreto l’autonoma organizzazione (della prova della cui assenza è onerato il contribuente), dovendosi altrimenti ritenere che la norma si ponga in insanabile contrasto con l’art. 53 Cost. secondo cui ogni imposizione fiscale postula l’esistenza di una capacità contributiva.

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. Cass., sez. un., 21 luglio 2015, ord. n. 15203, in Boll. Trib., 2016, 889, con nota di E. RIGHI, Anche il Comune può adire le Commissioni tributarie per questioni attinenti al classamento delle unità immobiliari urbane e alla rendita catastale.
(2) Cfr. Cass. n. 15203/2015, cit.
(3) Così Cass., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3266, in Boll. Trib. On-line.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Esercizio in forma associata di arti e professioni mediante società semplici e associazioni senza personalità giuridica – Assenza di autonoma organizzazione – Irrilevanza – Presupposto d’imposta – Sussiste.

Presupposto dell’IRAP è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi, ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione.

[Corte di Cassazione, sez. un. (Pres. Rovelli, rel. Greco), 14 aprile 2016, sent. n. 7371, ric. Agenzia delle entrate c. Studio Pilla s.s.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che, accogliendone solo parzialmente l’appello, ha riconosciuto il diritto della società semplice Studio Pilla, svolgente attività di amministratore condominiale, al rimborso dell’imposta regionale sulle attività produttive versata per gli anni dal 1998 al 2002, e non anche per il 2003, il cui importo di euro 609 era stato portato in compensazione l’anno successivo.
Il giudice d’appello, infatti, premesso che l’art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, stabilisce al primo periodo che “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni, ovvero alla prestazione di servizi”, e rilevato che ai sensi del secondo periodo “l’attività esercitata dalle società e dagli enti è da considerare in ogni caso presupposto d’imposta”, ha ritenuto che nella specie “la sussistenza delle circostanze che legittimano l’applicazione del tributo deve essere riscontrata attraverso un’analisi economica e qualitativa dell’attività esercitata, potendo esistere attività autonome svolte in assenza di organizzazione di capitali e lavoro altrui, che a parere di questa Commissione sussiste in questo caso, in quanto il contribuente ha sufficientemente provato e documentato nel ricorso introduttivo tale assenza, avendo esercitato la propria attività autonoma in via quasi esclusivamente personale, senza l’ausilio di personale dipendente e/o di ingenti cespiti”, sicché “manca il presupposto impositivo previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446/97”.
La società contribuente resiste con controricorso.
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l’amministrazione ricorrente censura la decisione per aver ravvisato l’insussistenza dell’autonoma organizzazione in presenza di un’attività svolta in forma associata/societaria, con ammesso dalla stessa contribuente, laddove non solo l’attività svolta in forma associata rientrerebbe nella fattispecie impositiva, ma in ogni caso la struttura tipica degli studi associati renderebbe evidente l’esistenza di un’organizzazione di mezzi e persone volta al raggiungimento di uno scopo, e quindi la piena assoggettabilità alla norma; con il secondo motivo, formulato in via subordinata, denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata omesso di considerare, e non aver motivato la ragione di tale omissione, il fatto decisivo che la contribuente svolgesse attività in forma societaria/associata.
Fissato per la discussione, a seguito di ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile, nell’articolazione della quinta sezione – tributaria (ord. 3870/2015), il ricorso è stato rimesso a queste Sezioni unite per l’esame di questione di massima di particolare importanza.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Viene rimessa alle Sezioni unite di questa Corte la questione «se, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, debba essere sottoposto ad IRAP il “valore aggiunto prodotto nel territorio regionale” da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una “autonoma organizzazione” dei fattori produttivi».
Osserva il Collegio che il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive, stabilisce all’art. 2, primo periodo, che presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
A tenore del secondo periodo dell’art. 2, “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato”.
Il requisito della autonoma organizzazione dell’attività non è quindi richiesto in relazione all’attività delle società e degli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, in quanto l’attività esercitata da tali soggetti, a mente del secondo periodo dello stesso art. 2, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta.
Il successivo art. 3, rendendo esplicito il catalogo dei soggetti passivi dell’imposta – che “sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2” –, in particolare individua espressamente, alla lett. c) del comma 1, le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate a norma (“ai fini delle imposte sui redditi”) dell’art. 5, comma 3, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, vale a dire “le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni” di cui al successivo art. 49 (Redditi di lavoro autonomo), nella vecchia numerazione, dello stesso d.P.R. n. 917 del 1996.
In questo senso la sezione tributaria si è espressa con Cass. n. 16784 del 2010 (1), in relazione all’esercizio in forma associata della professione di dottore commercialista, individuando la ratio della previsione in esame nel fatto che “l’attività esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce pertanto ex lege presupposto d’imposta”; con Cass. n 25313 del 2014 (2), in relazione all’esercizio in forma associata della professione forense; con Cass. n. 25315 del 2014 (3), che chiaramente afferma che l’esercizio in forma associata, per il tramite di una società in nome collettivo, dell’attività di agente di commercio “esclude la necessità di accertare la sussistenza di un’autonoma organizzazione”.
Ad analoghe conclusioni giungeva la sezione con il più risalente orientamento rappresentato da Cass. n. 13570 del 2007 (4), n. 17136 del 2008 (5), n. 24058 del 2009 (6) e n. 1575 del 2014 (7) che, pur a fronte della drastica formula impiegata dal legislatore – “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta” –, tuttavia è andata pronunciandosi nel senso che l’esercizio in forma associata di una professione liberale era “circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di struttura e mezzi.”. Un siffatto indirizzo non sembra dare adeguato rilievo al fatto che la “prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa.
Dall’accertamento in concreto dell’autonoma organizzazione non si è ritenuta dispensata Cass. n. 21326 del 2013 (8) – richiamata nell’ordinanza interlocutoria –, che, pur consapevole che “solo l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta, in base alla seconda parte” del detto art. 2, ha nondimeno ritenuto applicabile l’imposta a numerosi tassisti “organizzati in società cooperativa, in ragione delle specifiche modalità di esercizio dell’attività, integrata dall’apporto qualificante della predetta stabile struttura societaria, che assicura al singolo tassista, in via tipica e costante, continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali, centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale”: ma ciò, sembra di capire, in ragione della formulazione dei motivi del ricorso, uno dei quali “non aveva dato conto della descritta sussistenza, in capo ai tassisti, di una posizione contrattuale ed organizzativa collegata in modo essenziale – già ai fini di censirne l’intrinseca modalità di effettuazione – con i plurimi servizi della cooperativa di cui essi sono soci, dunque in una funzione collaborativa ben censita come contributo determinante per la produzione globale lorda del reddito dei contribuenti”.
Alla luce delle considerazioni che precedono, può affermarsi pertanto il seguente principio di diritto:
“presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione”.
La decisione impugnata si pone in contrasto il principio di diritto enunciato.
Il primo motivo del ricorso deve essere perciò accolto, assorbito l’esame del secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
La non univocità dei precedenti giurisprudenziali sul punto giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
Non sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M. – La Corte di cassazione, a sezioni unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Non sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

(1) Cass. 16 luglio 2010, n. 16784, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 28 novembre 2014, n. 25313, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 28 novembre 2014, n. 25315, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 11 giugno 2007, n. 13570, in Boll. Trib., 2007, 1075.
(5) Cass. 24 giugno 2008, n. 17136, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 13 novembre 2009, n. 24058, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 27 gennaio 2014, n. 1575, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass. 18 settembre 2013, n. 21326, in Boll. Trib. On-line.

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