28 Settembre, 2018

La questione era davvero singolare: i vestiti che indossa la nota soubrette televisiva Belen Rodriguez possono essere considerati beni strumentali? Possono quindi ritenersi inerenti alla produzione del reddito e quindi i relativi costi possono essere dedotti?
A tali interrogativi la Commissione tributaria milanese risponde affermativamente.
L’osservazione di partenza della pronuncia in esame è indubbiamente condivisibile: ci sono dei capi di vestiario che – sintetizziamo noi – possono esser definiti strumentali per natura. È il caso della toga dell’avvocato o del camice del medico. Il loro costo è indiscutibilmente inerente la professione e quindi deducibile per intero.
Gli abiti strumentali per natura compongono però una categoria piuttosto ristretta. Tutti gli altri vestiti possono essere strumentali “per destinazione”, come, ad esempio, gli slip del bagnino che, evidentemente, non può andare in spiaggia né nudo né in giacca e cravatta. Ma di quegli slip il bagnino può fare anche un uso privato quando se ne va in piscina per conto suo. Lo stesso potrebbe dirsi per qualunque abito di un lavoratore autonomo atteso che, come ovvio, non potrebbe lavorare privo di vestiti.
Il caso della signora Belen Rodriguez – dal punto di vista tributario, si intende – è esattamente identico a quello del bagnino: i vestiti acquistati dalla nota soubrette possono essere indifferentemente utilizzati sia per uscire a cena oppure per una comparsata televisiva.
Sostiene la sentenza massimata che la signora Belen Rodriguez era contrattualmente obbligata – come risulta dalla documentazione prodotta – a indossare “un adeguato vestiario moderno”. Insomma, sembrano dire i giudici, siccome la soubrette aveva l’obbligo di indossare vestiti a la page per comparire in televisione si può ragionevolmente pensare che il loro costo sia parzialmente inerente perché, se non vi fosse questo obbligo, probabilmente la signora Belen quei capi di vestiario non li avrebbe acquistati. Anche se poi li può usare per finalità non professionali.
Il discorso non è privo di logica, anche tributaria, ma a questa condizione: che l’attrice provi che quel determinato abito sia stato acquistato in funzione di una certa specifica trasmissione: ad esempio, un abito di colore arancione-zucca acquistato per comparire in uno spettacolo che si tiene il giorno di Halloween.
La prova dell’inerenza di un costo (salvo che sia in re ipsa, come la toga dell’avvocato) – afferma da decenni la giurisprudenza – deve essere fornita dal contribuente.
Il generico obbligo contrattuale di vestirsi in maniera “adeguata e moderna” non sembra sufficiente a provare l’inerenza di un capo di vestiario. Come non sono sufficienti a provare l’inerenza di un abito le convenzioni sociali. Perché, altrimenti, dovrebbero considerarsi inerenti pure la grisaglia del notaio o il completo bluette del promotore finanziario, anche se un notaio straccione o un promotore finanziario in canottiera non avranno di sicuro una folta clientela.
Del resto, anche per commettere certi reati bisogna sapersi vestire: non si è infatti mai visto un truffatore vestito male. Il malvestito desta sospetto, diffidenza; insomma, moti d’animo che rendono la truffa pressoché impossibile.
E forse non tutti sanno che l’abbigliamento è importante anche per i portieri di calcio. Nel volume “La scienza del gol” (1) viene riportato uno studio che dimostra come il portiere vestito di rosso induca gli attaccanti avversari a commettere un numero maggiore di errori.
L’abbigliamento è rilevante anche per affrontare i processi. In un recente libro scritto da un magistrato (2) si riferisce di un affermato avvocato che «in studio aveva un armadio, collocato nello sgabuzzino, dove teneva ogni genere di vestiario, soprattutto giacche. Ma non mancavano pantaloni, camice e cravatte. Non per lui, ma per i suoi clienti. O per i testimoni chiamati a difesa. L’avvocato suggeriva, anzi imponeva, una certa mise a seconda del giudice, del reato o dell’interesse mediatico del processo». Ma sicuramente non ne deduceva fiscalmente il costo, anche se si può dire che quei capi d’abbigliamento una certa inerenza ce l’avessero.
L’abito non fa il monaco – e ancora meno la monaca nel caso di Belen – è in fondo uno dei modi di dire più sbagliati. Ma fiscalmente regge ancora.

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. C. CANEPA – L. CANOVA, La scienza del gol, Milano, 2016.
(2) Cfr. A. MARTINELLI, Mi chiamavano signor giudice, Roma, 2016, 95.

IRPEF – Redditi di lavoro autonomo – Soubrette televisiva – Capi di vestiario e mobilio – Costi di acquisto – Deducibilità al 50 per cento – Sussiste.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Nozione – Soubrette televisiva – Consistenti esborsi per consulenze e a società di management, agenzie di moda e spettacolo, nonché compensi periodici corrisposti a terzi – Soggettività passiva ai fini dell’IRAP – Sussiste.

È deducibile dal reddito nella misura del 50 per cento ex art. 54, terzo comma, del TUIR, il costo affrontato da una soubrette televisiva per l’acquisto di capi di vestiario e del mobilio destinato all’arredo della casa utilizzata sia per l’attività professionale e sia per la vita privata, trattandosi di beni che, in ragione dell’attività della contribuente, vanno considerati di uso promiscuo.

L’IRAP è applicabile, in via astratta, alla categoria dei professionisti e dei lavoratori autonomi, in quanto colpisce un fatto economico diverso dal reddito, fatto costituito dal valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, e l’assoggettabilità all’IRAP degli esercenti arti e professioni deve essere esclusa allorquando la loro attività professionale sia svolta in assenza di elementi di autonoma organizzazione di capitali o lavoro altrui, di talché l’IRAP può escludersi quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nell’auto-organizzazione del professionista o comunque quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda la necessità di coordinamenti (situazione che si riscontra in genere nella disponibilità di pochi arredi di ufficio o strumenti di lavoro quali, ad esempio, fotocopiatrice, fax, cellulare, materiale di cancelleria, autovettura, etc.), ovvero quando i mezzi personali e materiali di cui si avvalga il contribuente costituiscano un mero ausilio alla sua attività, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’imposta quali i collaboratori continuativi ed i lavoratori dipendenti; costituisce infine onere del contribuente che chiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta per difetto del presupposto dell’autonoma organizzazione, proponendo ricorso contro il diniego espresso o tacito di rimborso, fornire la prova dell’assenza delle condizioni che integrano l’autonoma organizzazione, la quale ultima deve invece ritenersi sussistente allorquando la contribuente, nota soubrette televisiva, abbia dedotto ingenti costi per consulenza a società di management e produzione televisiva, ad agenzie di moda e spettacolo e per servizi di supporto organizzativo, nonché compensi corrisposti a terzi per prestazioni direttamente afferenti l’attività professionale ed artistica.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. XL (Pres. e rel. Fugacci), 22 luglio 2016, sent. n. 6443, ric. Rodriguez Belen Maria c. Agenzia delle entrate – Direzione provinciale I di Milano]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Avverso l’avviso di accertamento n. … per l’anno 2010 emesso dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale 1 di Milano, la sig.ra Belen Maria Rodriguez, rappresentata e difesa disgiuntamente dai dott.ri R.S., G.M.C. e G.F., ha presentato tempestivo ricorso chiedendo l’annullamento parziale dell’atto impugnato con l’annullamento totale dei rilievi n. 3, n. 5 nonché del rilievo relativo all’IRAP, con vittoria di spese e onorari di lite.
La ricorrente insiste per l’annullamento del rilievo n. 3 relativo alla totale indeducibilità dei costi per il vestiario e gli accessori utilizzati dall’Artista per la sua attività professionale, ritenendo gli stessi inerenti all’attività dell’artista e considerandoli deducibili nella misura forfettaria del 50% quali beni ad uso promiscuo. Chiede, inoltre, l’annullamento totale del rilievo n. 5, relativo a spese varie per l’acquisto di mobili destinati all’arredo della casa utilizzata promiscuamente per l’attività professionale e la vita privata, confermando la loro deducibilità nella misura forfettaria del 50%. Infine, insiste per l’annullamento totale del rilievo relativo all’IRAP, sostenendo l’inesistenza dei presupposti oggettivi previsti per l’applicazione dell’IRAP dichiarando illegittima la pretesa dell’Agenzia, alla luce sia della carenza di motivazione addotte sia dall’inesistenza di una struttura organizzativa autonoma capace di generare un surplus di reddito aggiunto a quello prodotto dal mero lavoro della ricorrente.
L’Ufficio preliminarmente rileva che la ricorrente, nel proprio ricorso, si limita a contestare i rilevi: n. 3, n. 5, nonché il rilievo relativo all’IRAP, pertanto, per i rilievi n. 1 – sottoconto consulenza; rilievo n. 2 – sottoconto costi per corsi; rilievo n. 4, sottoconto parrucchiere e rilievo sottoconto noleggi la ricorrente non solleva alcuna contestazione, prestando quindi acquiescenza. In relazione ai tre rilievi oggetto di contestazione, l’Agenzia, ritenendo di aver legittimamente operato chiede la conferma dei rilievi mossi.

MOTIVI DELLA DECISIONE – La Commissione in via preliminare rileva che la ricorrente, nel proprio ricorso, si limita a contestare i rilevi: n. 3, n. 5, nonché il rilievo relativo all’IRAP, pertanto, per i rilievi n. 1 – sottoconto consulenza; rilievo n. 2 – sottoconto costi per corsi; rilievo n. 4, sottoconto parrucchiere e rilievo sottoconto noleggi la ricorrente non solleva alcuna contestazione, prestando quindi acquiescenza.
Valutate le argomentazioni addotte dalle parti in ordine ai tre rilievi contestati, la Commissione ritiene il ricorso parzialmente fondato ed in quanto tale meritevole di parziale accoglimento.
A parere del Collegio il concetto di deducibilità di un costo per inerenza riguarda non tanto la natura del bene o del servizio ma il suo rapporto con l’attività professionale, in relazione allo scopo perseguito al momento in cui la spesa è stata sostenuta e con riferimento a tutte le attività tipiche della professione stessa e non semplicemente, ex post in relazione ai risultati ottenuti in termini di produzione del reddito.
Non v’è dubbio che vestiario e accessori, in alcuni casi specifici, devono essere considerati inerenti all’attività svolta e, pertanto, il loro costo integralmente deducibile (è il caso della toga per l’Avvocato o, in generale, della divisa da indossare durante l’orario di lavoro tanto da parte dell’imprenditore quanto dai dipendenti). In altri casi, in cui il vestiario e gli accessori utilizzati per la propria attività potrebbero avere anche impieghi privati (frac per il direttore d’orchestra), si ritiene opportuno limitarne la deducibilità applicando percentuali forfettarie, così come previsto dal comma 3 dell’art. 54 del TUIR per l’utilizzo di beni in uso promiscuo, al fine di semplificare il calcolo del reddito applicando una percentuale ragionevole e usualmente impiegata dalla normativa fiscale in tutti quei casi in cui vi è la possibilità che un determinato bene acquistato per l’attività economica svolta possa avere utilità anche nella sfera privata.
Gli abiti utilizzati durante le trasmissioni televisive e le interviste sono per la maggior parte dei casi acquistati direttamente dalla ricorrente, come risulta sia nelle dichiarazioni raccolte dalla Polizia Tributaria in sede di verifica (all 6) sia dai contratti d’ingaggio dell’artista (all 7). Infatti, come si evince dai contratti allegati, per le trasmissioni televisive è espressamente previsto che l’Artista deve usare adeguato vestiario moderno di sua proprietà (abiti, vestiti, scarpe, accessori in genere, trucchi, ecc.). Le società televisive si limitano a fornire solamente particolari abiti o costumi da scena legati a determinate coreografie, sketch che vengono realizzati dalle sartorie delle trasmissioni stesse. Pertanto l’inerenza e la deducibilità forfettaria del 50% di detti costi all’attività professionale è oggettivamente dimostrata dai contratti televisivi prodotti in atti.
Anche il rilievo n. 5 deve essere annullato. In effetti l’abitazione della ricorrente nell’annualità di cui si discute veniva utilizzata ad uso promiscuo sia per l’attività professionale che per la vita privata. Di conseguenza è ragionevole che l’acquisto di mobilio per arredare in modo appropriato le stanze dalla stessa utilizzate per rilasciare interviste, scattare foto, realizzare videoclip, ecc. sia deducibile nella misura forfettaria del 50%. Chiaramente, il costo dei mobili e degli arredi deve rientrare in una certa proporzionalità tra costi affrontati per l’acquisto e i ricavi conseguiti, presupposto che nel caso di specie si ritiene rispettato (10.322,98 costi a fronte di 1.267.149,00 ricavi conseguiti).
Infine la Commissione ritiene soggetta ad IRAP l’attività svolta dalla ricorrente.
Come è noto la Corte di Giustizia Europea con sentenza depositata il 3/10/2006 (1) ha statuito che l’IRAP (che è imposta diversa dall’IVA) non è vietata dall’art. 33 della VI Direttiva del Consiglio n. 77/388 CEE.
La Suprema Corte con le sentenze dal n. 3672 al n. 3682, tutte depositate il 16/2/2007 (2), ha motivatamente e persuasivamente statuito:
a: che l’IRAP è applicabile, in via astratta, alla categoria dei professionisti e dei lavoratori autonomi, in quanto colpisce un fatto economico diverso dal reddito, (fatto) costituito dal valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate;
b: che l’assoggettabilità all’IRAP degli esercenti arti e professioni deve essere esclusa nel caso concreto in cui la loro attività professionale sia svolta in assenza di elementi di autonoma organizzazione di capitali o lavoro altrui;
c: che l’IRAP può escludersi quando il risultato economico trovi ragioni esclusivamente nella autoorganizzazione del professionista o comunque quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda la necessità di coordinamenti (situazione che si riscontra, in genere, nella disponibilità di pochi arredi di ufficio o strumenti di lavoro, quali, ad esempio, fotocopiatrice, fax, cellulare, materiale di cancelleria, autovettura, eccetera) ovvero quando i mezzi personali e materiali di cui [si] sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio alla sua attività, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’imposta (collaboratori continuativi e lavoratori dipendenti);
– che costituisce onere del contribuente che chiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta per difetto del presupposto dell’autonoma organizzazione, proponendo ricorso contro il diniego espresso o tacito di rimborso, fornire la prova dell’assenza delle condizioni che integrano l’autonoma organizzazione, come sopra indicato;
– che la mancata prova dell’assenza di tali condizioni, comporta la soccombenza in giudizio del contribuente.
Esaminando il ricorso in oggetto alla luce di questi principi che la Commissione condivide, sul punto il ricorso va respinto non avendo il contribuente fornito la prova come sopra indicata.
In effetti la sig.ra Rodriguez ha dedotto costi per consulenza e supporto organizzativo per un importo pari a Euro 184.934,00 indicando tale importo nel quadro RE al rigo 12 della dichiarazione dei redditi modello unico PF 2011 quale compenso corrisposto a terzi per prestazioni direttamente afferenti l’attività professionale ed artistica. L’elevato valore delle consulenze soprattutto quelle riferite a società di management e produzione televisiva pari ad Euro 63.813,60, Agenzia di moda e spettacolo pari ad Euro 62.500,00 e prestazioni professionali pari a Euro 28.125,00 viene ritenuto l’indicatore di una struttura che consente al diretto interessato un surplus di reddito. Inoltre, tra i compensi a terzi, la ricorrente nell’anno di cui si discute ha corrisposto con frequenza mensile Euro 2.500,00 oltre accessori fiscali alla sig.ra B.P.B. sulla base di un contratto stipulato nel 2009, con cui l’artista conferiva alla predetta sig.ra l’incarico di intrattenere rapporti con i clienti e fornitori di beni e servizi in proprio nome e conto. La Commissione ritiene, pertanto, che la sig.ra Rodriguez per i consistenti compensi erogati per servizi di supporto organizzativo, nonché per le collaborazioni prestate dalla sig.ra B.P.B., sia soggetta ad IRAP. Detti fattori evidenziano di fatto la presenza di una struttura organizzativa che consente all’artista un surplus di reddito e la sottopone all’imposizione IRAP.
La soccombenza parziale giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M. – La Commissione in parziale accoglimento del ricorso annulla i rilevi n 3 e n 5. Conferma nel resto. Spese compensate.

(1) Corte Giust. CE 3 ottobre 2006, causa C-475/03, in Boll. Trib., 2006, 1578.
(2) Cass. 16 febbraio 2007, n. 3672, in Boll. Trib., 2007, 388; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3673, ibidem, 486; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3674, ibidem, 395; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3675, ibidem, 385; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3676, ibidem, 488; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3677, ibidem, 386; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3678, ibidem, 479; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3679, ibidem, 490; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3680, ibidem, 484; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3681, ibidem, 491; e Cass. 16 febbraio 2007, n. 3682, ibidem, 492.

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