24 Aprile, 2015

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Sulla debenza dell’imposta di bollo, ove concretamente dovuta – 3. Sulla natura del Servizio di tesoreria degli enti pubblici – 4. Esame delle possibili fattispecie – 5. Le esenzioni assolute dal tributo.

 

1. Premessa

Il Servizio di tesoreria e cassa degli enti pubblici può essere definito (1) come l’insieme delle operazioni relative alla gestione finanziaria dell’ente e finalizzate alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia dei titoli e valori (art. 209 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali 18 agosto 2000, n. 267).

Ai sensi dell’art. 208 dello stesso T.U. (“Soggetti abilitati a svolgere il servizio di tesoreria”), tale servizio a favore degli enti pubblici locali può essere affidato:

a) per i comuni capoluoghi di provincia, le province, le città metropolitane, ad una banca autorizzata a svolgere l’attività di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385;

b) per i comuni non capoluoghi di provincia, le comunità montane e le unioni di comuni, anche a società per azioni regolarmente costituite con capitale sociale interamente versato non inferiore (allora) a un miliardo, aventi per oggetto la gestione del servizio di tesoreria e la riscossione di tributi degli enti locali e che alla data del 25 febbraio 1995 erano incaricate allo svolgimento del medesimo servizio a condizione che il capitale sociale risulti adeguato a quello minimo richiesto dalla normativa vigente alle banche di credito cooperativo;

c) altri soggetti abilitati dalla legge”.

Da ciò discende, secondo il parere più volte ribadito dall’Amministrazione finanziaria, che tutta la descritta attività, per quanto fornita da una banca, esula dall’“attività bancaria” propriamente detta e contemplata dal T.U.B. (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) che, all’art. 1, primo comma, lett. b), precisa che la denominazione “banca indica l’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria” e che tale attività consiste nella “raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito” (cfr. T.U.B., Titolo II – Banche – Capo I – Nozione di attività bancaria e di raccolta di risparmio – art. 10) (2). Sorge quindi il quesito su quale sia il corretto trattamento, ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo, di tutti i contratti, gli atti e i documenti emessi in relazione a tale particolare rapporto.

La questione assume particolare rilievo in seguito alle rilevanti modifiche che hanno recentemente interessato detto tributo, con specifico riferimento alla possibile applicabilità ai documenti della specie dell’imposta di bollo c.d. “sostitutiva”, di tipo fisso o proporzionale, prevista per gli estratti conto e le comunicazioni periodiche alla clientela relative ai prodotti finanziari, ai sensi dei commi 2-bis e 2-ter dell’art. 13 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (di seguito: tariffa1), nel testo risultante dopo la riforma attuata dall’art. 19 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c.d. “Decreto Salva-Italia”), e successive modificazioni e integrazioni (3), tenendo conto anche delle specificazioni di cui al decreto di attuazione emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze il 24 maggio 2012 e delle relative interpretazioni ufficiali.

Cercheremo pertanto di risolvere la questione dal punto di vista generale (pur in assenza di interventi specifici e più aggiornati da parte dell’Amministrazione finanziaria) per poi scendere ad esaminare le varie fattispecie che sono emerse dall’esperienza concreata (4).

2. Sulla debenza dell’imposta di bollo, ove concretamente dovuta

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Prima di entrare nel merito di quanto proposto, occorre preliminarmente affrontare la questione su quale sia il soggetto coinvolto nel documento tassabile a doverne sopportare il relativo onere fiscale.

Invero, come è noto, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 642/1972, nei rapporti con lo Stato, l’imposta di bollo, quando dovuta, è comunque a carico dell’altra parte, nonostante qualsiasi patto contrario.

Tuttavia, secondo un’interpretazione più volte ribadita dall’Amministrazione finanziaria (5), detta disposizione va però esclusivamente riferita alle Amministrazioni centrali dello Stato e non vale per gli altri enti pubblici, anche territoriali (ivi compresi, quindi, le Regioni, le Province e i Comuni).

D’altro canto, a rafforzare detta conclusione, il D.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955, ha modificato il citato art. 8, eliminando anche il riferimento “agli enti parificati per legge allo Stato agli effetti fiscali”, che in passato potevano godere del medesimo esonero dal pagamento del tributo.

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Tuttavia, con riguardo alla importante fattispecie delle istituzioni scolastiche pubbliche, va segnalato che il Ministero della pubblica istruzione (pur nel silenzio dell’Amministrazione finanziaria) ha espressamente qualificato dette istituzioni come “Amministrazioni dello Stato” e quindi, sembrerebbe che la banca debba sopportare l’imposta di bollo dovuta in relazione alla documentazione emessa in relazione all’incarico ricoperto di cassiere svolto a loro beneficio.

In tal senso si esprime, invero, anche l’ABI quando osserva (6), altresì, che l’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. “Riforma Bassanini”, attuata con D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, e con D.M. 1° febbraio 2001), pur avendo riconosciuto alle istituzioni scolastiche la personalità giuridica, l’autonomia e il più ampio decentramento della gestione del servizio di istruzione, non ha inteso incidere sulla loro natura, né sussistono elementi che rendano quest’ultima incompatibile con i principi ispiratori della riforma.

Non è attualmente chiaro se tali conclusioni possano essere estese alle Università pubbliche, ove è ancor più spiccata l’autonomia gestionale rispetto all’Amministrazione statale.

Su quale delle parti debba poi corrispondere in concreto l’onere relativo all’imposta di bollo, con particolare riguardo alle quietanze, vanno altresì ricordate le norme di diritto comune di cui all’art. 1196 c.c. (“Spese di pagamento”), secondo cui: “Le spese del pagamento sono a carico del debitore” e all’art. 1199 c.c. (“Diritto del debitore alla quietanza”), per cui: “Il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza e farne annotazione sul titolo, se questo non è restituito al debitore. Il rilascio di una quietanza per capitale fa presumere il pagamento degli interessi”.

Da ciò si può desumere che l’imposta di bollo eventualmente dovuta sui “mandati di pagamento” (secondo i requisiti più diffusamente esposti in seguito) risulta a carico dell’ente pubblico (diverso dallo Stato) che ha emesso lo stesso mandato, a meno che dagli atti risulti che questa è stata pattuita a carico dell’utente. Per le stesse ragioni, per quanto riguarda le c.d. “reversali d’incasso”, il bollo sulla quietanza, se dovuta, è sempre a carico di chi versa.

3. Sulla natura del Servizio di tesoreria degli enti pubblici

L’Amministrazione finanziaria (7), nelle più recenti declaratorie di commento alla nuova disciplina sugli estratti conto e le comunicazioni-titoli intrattenuti con la “clientela” ha dapprima chiarito, in specifico riferimento ai conti vincolati presso il Fondo Unico di Giustizia o quelli aperti su ordine dell’Autorità giudiziaria (8), che questi non possono rientrare nella nozione di “rapporti aperti con il cliente”, valida ad identificare sotto il profilo soggettivo l’ambito applicativo della cennata imposta proporzionale di bollo “sostitutiva”.

Successivamente, e in maniera ancor più puntuale per quanto qui ci interessa, si è pronunziata nel senso che: “Ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo, di cui all’articolo 13, commi 2-bis e 2-ter, della Tariffa, parte I, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 642, non si considerano rapporti intrattenuti con i clienti quelli che l’ente gestore intrattiene con le Amministrazioni dello Stato. In relazione a tali rapporti, trova, dunque, applicazione l’imposta di bollo ordinaria. Ad esempio, per gli estratti di conto corrente inviati alle Amministrazioni dello Sato, l’imposta deve essere applicata, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, della citata Tariffa, nella misura di euro 1,81 [ora 2,00 euro: n.d.a.], quando la somma supera euro 77,47” (9).

È pur vero che la riportata interpretazione ufficiale fa espresso riferimento al contenuto dell’art. 8 del D.P.R. n. 642/1972 sopra commentato, è quindi appare limitata ai rapporti intrattenuti con gli enti e gli Organi dell’Amministrazione dello Stato propriamente detti e non appare indubitabilmente estendibile, ad esempio, agli altri enti pubblici territoriali.

Si può tuttavia affrontare la questione anche sulla scorta di altre interpretazioni ufficiali che, seppur più risalenti nel tempo, sembrano conservare la loro validità.

Al riguardo, va innanzitutto ricordato che con la Legge Finanziaria per l’anno 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388), tra le altre previsioni di carattere fiscale, ha modificato, con l’art. 33, l’art. 7, primo comma, della Tabella allegata allo stesso D.P.R. n. 642/1972 (di seguito: tabella).

In seguito a tale modifica, a decorrere dal 1° gennaio 2001, sono diventati esenti in modo assoluto dall’imposta di bollo le ricevute, quietanze e altri documenti recanti addebitamenti o accreditamenti formati, emessi ovvero ricevuti dalle banche nonché dagli uffici della società Poste italiane S.p.a., diversi dai documenti relativi a conti correnti o deposito titoli, che già non sono assoggettati all’imposta per l’effetto “sostitutivo” conseguente all’applicazione periodica del tributo, prevista per gli estratti conto e per le altre comunicazioni relative a tali rapporti, a norma della nota 3-ter dell’art. 13, comma 2-bis, della tariffa1 (10).

Come si ricorderà, con questa disposizione si intese superare una disparità di trattamento tra le banche e le Poste, esistente specialmente nello svolgimento dei servizi di pagamento, ove le ricevute e le quietanze emesse dalle prime scontavano l’ordinaria imposta di bollo ove non ricorresse il descritto effetto sostitutivo, mentre quelle emesse dalle Poste ne erano comunque esenti.

Pertanto, rientrano attualmente nel campo di esenzione ogni ricevuta o quietanza rilasciata dalla banca in relazione a proprie operazioni, anche se non regolate in conto corrente, come i pagamenti effettuati per cassa, ovvero se tali documenti sono ricevuti dalla banca, perché rilasciati da terzi allo sportello per i c.d. “prelevamenti di somme a disposizione”.

Attesa la dizione così generale della norma, erano sorti dubbi se in base ad essa si potessero considerare esenti dal tributo qualsiasi documento relativo ad operazioni di pagamento, ricevuto o rilasciato da una banca, anche se non strettamente connesso all’esercizio della sua attività istituzionale di impresa autorizzata alla raccolta del risparmio tra il pubblico e all’esercizio del credito, così come definita dall’art. 10 del T.U.B. Fra questi documenti, in particolare, le maggiori perplessità erano proprio sorte in relazione a quelli che la banca emette o riceve nell’esplicazione del Servizio di tesoreria e cassa per gli enti locali.

A tale proposito si è espressa l’Agenzia delle entrate (11), in base alla già ricordata definizione del servizio in questione come l’insieme delle operazioni relative alla gestione finanziaria dell’ente e finalizzate alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia di titoli e valori.

Invero, partendo dalla constatazione che il Servizio di tesoreria, ai sensi dell’art. 208 del T.U. n. 267/2000, delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, è affidabile alle banche per le province e i comuni capoluoghi di provincia, mentre per i comuni diversi esso può essere affidato anche a società per azioni aventi per specifico oggetto sociale lo svolgimento di tale servizio, l’Agenzia conclude che la funzione di tesoriere svolta dalle banche esula dall’attività bancaria intesa in senso stretto, ai sensi del richiamato art. 10 del T.U.B.

I documenti emessi o ricevuti dalle banche nello svolgimento della funzione di tesoreria pertanto non sono compresi tra quelli esenti dall’imposta di bollo di cui al citato art. 7 della tabella.

Del resto, una diversa interpretazione comporterebbe, per l’Agenzia: “un differente trattamento ai fini dell’imposta di bollo per i documenti in argomento a seconda che il servizio di tesoreria sia affidato ad una banca ovvero ad altro soggetto”.

Ogni singolo documento della specie sarà, conseguentemente, soggetto al regime dell’imposta di bollo a seconda della sua tipologia: ad esempio, una quietanza emessa a fronte di un pagamento per cassa, sconterà l’imposta di euro 2,00 se la somma documentata supera euro 77,47 (pari alle vecchie lire 150.000).

L’interpretazione dell’Agenzia delle entrate può ritenersi applicabile anche in relazione ad altre fattispecie per le quali, in passato, erano sorti dubbi circa il loro l’assoggettamento all’imposta di bollo. Ci si riferisce, in particolare, alle fatture emesse in relazione ad operazioni esenti da IVA che, ai sensi dell’art. 6, secondo comma, della tabella, devono scontare l’imposta di bollo.

In base ai principi contenuti nella risoluzione in commento, sussiste l’obbligo dell’applicazione dell’imposta di bollo per le fatture sulle quali non risulti evidenziata l’IVA, se sono emesse o ricevute dalle banche in relazione a rapporti commerciali che esulano dall’attività bancaria in senso stretto, così come richiamata dall’Agenzia delle entrate.

Alla luce di quanto riportato, sembrerebbe sostenibile la tesi secondo la quale, ove il Servizio di tesoreria con qualsiasi ente pubblico locale è disciplinato dalla specifica normativa di cui al citato T.U. n. 267/2000, tutta la documentazione emessa in relazione a detto servizio sconterà l’ordinaria imposta di bollo di cui ai commi primo e secondo dell’art. 13 della tariffa1 (e le relative convenzioni o contratti quella prevista dagli artt. 1 e 2 della stessa tariffa1), senza poter godere dell’effetto c.d. “sostitutivo” di cui alla nota 3-ter in calce allo stesso art. 13, prevista per i documenti connessi ai rapporti finanziari continuativi, in quanto agli stessi non si applicherebbe, per le ragioni sopra esposte, l’imposta di bollo proporzionale. Ugualmente, per la riportata interpretazione ministeriale, detti documenti non godrebbero nemmeno dell’esenzione assoluta dall’imposta di bollo contemplata dall’art. 7 della tabella.

È pur vero che, dopo le profonde trasformazioni subite dall’imposta in esame a seguito del Decreto Salva-Italia e successivi provvedimenti collegati, non risulta certamente agevole stabilire, in assenza di una esplicita conferma da parte dell’Agenzia delle entrate, se tale distinzione tra documenti di tesoreria e documenti bancari – peraltro all’epoca la stessa Amministrazione finanziaria si era pronunciata in riferimento solamente ai fini dell’applicabilità o meno di un regime di esenzione – possa essere fatta valere anche ai fini della nuova normativa dell’imposta di bollo così profondamente trasformata, con particolare riferimento alle rendicontazioni relative agli strumenti finanziari (12).

Cercheremo quindi, qui di seguito, di esaminare le singole fattispecie, alla luce dei precedenti orientamenti dell’Amministrazione finanziaria e dell’Associazione di categoria, prendendoci l’impegno di verificare presso le sedi competenti se gli stessi conservano validità.

4. Esame delle possibili fattispecie

Iniziando la rassegna dalle c.d. convenzioni di tesoreria o, in genere, dagli altri contratti ad esse inerenti, va detto che esse, ove redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (anche nella c.d. “forma pubblica amministrativa”, ove l’ufficiale rogante è un funzionario abilitato dalla legge o dalla pubblica Amministrazione) od anche per scrittura privata “semplice”, scontano l’imposta di bollo di 16,00 euro per ogni foglio (di quattro pagine) scritturato e per ogni esemplare o copia.

D’altro canto, se tali convenzioni fossero validamente concluse mediante corrispondenza – ipotesi peraltro remota, ove ammessa dalle norme sulla contabilità pubblica – sconterebbero l’imposta di bollo solamente in caso d’uso, ai sensi dell’art. 24 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972 (di seguito: tariffa2), così come sarebbero sottoposte a registrazione parimenti in “caso d’uso”, in forza dell’art. 4 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (13).

Peraltro, se i relativi contratti (o convenzioni) che disciplinano complessivamente detta materia, sono sottoscritti contestualmente dalle parti, come qualsiasi c.d. “scrittura privata”, seppur non redatta per atto pubblico o autenticata nelle firme, non potrebbero per la loro particolarità ascriversi nello speciale trattamento ai fini dell’imposta di bollo contemplato dalla nota 2-bis dell’art. 2 della tariffa1, che prevede l’applicazione dell’imposta di bollo c.d. “speciale” di 16,00 euro indipendentemente dalle pagine, dagli esemplari e copie in riferimento ai: “contratti relativi alle operazioni e servizi bancari e finanziari e contratti di credito al consumo, previsti dal titolo VI del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (…)”.

Se sono vere e tuttora valide le considerazioni espresse nel paragrafo precedente, i conti correnti di corrispondenza intrattenuti con gli enti e gli Organi della pubblica Amministrazione non sono equiparabili al tipico “conto corrente bancario ordinario” e, pertanto, non risultano riconducibili tra i contratti bancari previsti dal Titolo VI del T.U.B. (14).

Conseguentemente, i relativi contratti saranno ordinariamente assoggettati all’imposta di bollo pari ad euro 16,00 per ogni foglio, corrispondente a quattro facciate scritte, di cui sono composti (e non nella forma “speciale” prevista per contratti bancari e finanziari dalla ripetuta nota 2-bis in calce all’art. 2 della tariffa1).

Come ulteriore conseguenza, i relativi estratti conto sconteranno l’ordinaria imposta di 2,00 euro di cui agli artt. 1 e 2 della tariffa1 (se evidenziano un importo superiore a 77,47 euro), prevista per i documenti della specie dal secondo comma dell’art. 13 della tariffa1 e non quella c.d. “periodica” di cui al successivo comma 2-bis dello stesso articolo, non rientrando nell’effetto c.d. “sostitutivo”, connesso a quest’ultimo adempimento, previsto dalla nota 3-ter posta in calce al medesimo articolo. Ciò comporta, d’altro canto, che l’assolvimento dell’imposta di bollo risulterà dovuto solo nel caso di una effettiva emissione dell’estratto, non operando la c.d. “presunzione d’invio” contemplata dalla precedente nota 3-bis.

Si sottolinea che la questione era stata più volte oggetto di approfondimento, sia in sede associativa che esterna, attraverso la rappresentanza della problematica presso le sedi competenti (15) e le esposte considerazioni hanno trovato primario fondamento nella circostanza che il servizio di tesoreria e di cassa viene svolto dalle banche sulla base di un’articolata disciplina legislativa e regolamentare che ne fa emergere la specificità, con la conseguenza che rispetto ad esso l’utilizzo di un conto corrente appare meramente strumentale al suo svolgimento. La menzionata singolarità del servizio in discorso acquista poi particolare rilievo qualora lo stesso venga espletato per conto di enti pubblici.

Occorre tuttavia aggiungere ulteriori osservazioni, dettate dalle varie fattispecie che ci vengono segnalate dall’esperienza.

In via generale, nei rapporti con gli enti pubblici assoggettati al regime di tesoreria unica, esiste un c.d. “conto corrente di tesoreria”: si tratta del conto corrente di servizio, munito di IBAN, sul quale il tesoriere opera ed è proceduralmente agganciato alle contabilità speciali mantenute presso la Banca d’Italia. Trattasi quindi di un conto che non può essere assimilato a quello “ordinario di corrispondenza” e i relativi contratti e documenti vanno quindi assoggettato all’imposta di bollo secondo la comune disciplina di cui ai richiamati artt. 1, 2 e 13, commi primo e secondo, della tariffa1.

In questa categoria “generale” sembrano rientrare anche i c.d. “depositi cauzionali”, utilizzati nella prassi per conservare (anche in via meramente transitorio, senza accendere propriamente un conto corrente) il “contante” posto a garanzia di una determinata operazione, in osservanza della disciplina dettata dalla convenzione di tesoreria e/o il regolamento di contabilità dell’ente pubblico. Detti depositi cauzionali hanno una durata limitata nel tempo, in quanto o vengono restituiti al versante o incamerati dall’ente e contabilizzati nel suo bilancio.

Con specifico riguardo ai c.d. “depositi spese contrattuali”, ossia il deposito di somme presso il tesoriere per il pagamento di spese contrattuali dell’ente, occorre altresì aggiungere che non sembrano rientrare, ad avviso dell’ABI (16), nell’ambito applicativo dell’art. 23, primo comma, della tariffa2, che limita l’applicazione dell’imposta di bollo solamente in caso d’uso per: “le ricevute per versamento o svincolo di somme o valori depositati in garanzia o per semplice custodia presso pubbliche amministrazioni statali o locali compresi i depositi doganali e giudiziari”, non risultando il deposito esaminato effettuato a titolo di “garanzia o per semplice custodia” presso pubbliche Amministrazioni statali o locali (ad esempio, Cancellerie dei Tribunali), ivi compresi i depositi doganali e giudiziari, e cioè per le finalità indicate nel succitato art. 23.

Sembra pertanto legittimo ritenere che le ricevute di versamento (ovvero lo svincolo) di somme depositate si prestino, quali atti aventi natura pecuniaria (ricevute e quietanze), ad essere riconducibili alla sfera applicativa del ripetuto art. 13, primo comma, della tariffa1, indipendentemente dalla destinazione delle somme depositate.

Nella pratica si registra poi l’esistenza dei cc.dd. “conti economali” o “fondi economali”, intendendosi per tali i conti correnti collegato all’anagrafica dell’ente pubblico territoriale in cui risulta depositata la liquidità anticipata dall’ente all’economo al fine della gestione delle spese di propria competenza.

Più propriamente, in relazione a detti conti è stato osservato, anche la fine del riconoscimento della loro legittimità (17), che: “la gestione dei fondi economali possa essere assicurata anche attraverso l’apertura di un conto corrente bancario [ordinario, n.d.a.] intestato alla Cassa economale e che tale procedura non sia in contrasto con la normativa della Tesoreria Unica. Il deposito dei fondi economali presso il sistema bancario riguarderebbe, infatti, fondi che sono legittimamente fuoriusciti dalla tesoreria statale (con titolo di spesa emesso per anticipare i fondi stessi all’Economo) e che verosimilmente, per motivi di maggiore sicurezza, vengono depositati in un conto corrente bancario anziché essere custoditi in una cassaforte. La considerazione sopra espressa è avvalorata dal fatto che trattasi di somme destinate a pagamenti di modesto ammontare che, per la loro natura, devono essere effettuati contestualmente all’acquisizione del servizio o della fornitura”.

In considerazione di tale funzionalità e della sostanziale assimilazione del conto corrente di che trattasi a quello di corrispondenza secondo l’ordinamento bancario comune, porta a concludere che in questo caso si possa legittimamente applicare la disciplina dell’imposta di bollo c.d. “periodica” prevista per questi ultimi dal comma 2-bis dell’art. 13 della tariffa1, con il connesso effetto “sostitutivo” per tutti gli atti e documenti emessi in relazione ad esso.

Analoghe interpretazioni possono essere formulate in riferimento ai conti di deposito titoli a custodia ed amministrazione.

In proposito si osserva, in via generale, che i suddetti conti risultano anch’essi “strumentali” al servizio di tesoreria e, in quanto tali, esclusi dall’applicazione della normativa di “trasparenza bancaria”.

Alla luce delle descritte argomentazioni, e nel presupposto che la gestione del deposito titoli intrattenuto con l’ente sia regolato da norme convenzionali, si rileva che la sottoscrizione da parte dell’ente stesso di un apposito contratto di deposito è regolata necessariamente dalle norme di diritto comune (18).

La sottoscrizione da parte dell’ente pubblico del “collaterale” e autonomo contratto di conto corrente di “gestione” potrebbe peraltro rivelarsi non indispensabile, vertendo quest’ultimo rapporto nella più ampia regolamentazione prevista dalla convenzione di tesoreria che, tra l’altro, disciplina i contenuti economici del servizio. Se in detta convenzione è disciplinato anche il rapporto di custodia e amministrazione titoli e valori è ragionevole pervenire alla medesima conclusione.

Ferme queste premesse, ne consegue che le relative contabili non assolveranno l’imposta proporzionale “periodica” contemplata al comma 2-ter dell’art. 13 della tariffa1 per le comunicazioni periodiche alla clientela relativa ai prodotti finanziari “detenuti” presso le banche o gli altri intermediari finanziari, ma sconteranno l’importo di 2,00 euro come qualsiasi altro documento recante addebitamenti o accreditamenti, così come previsto ai precedenti commi primo e secondo dello stesso articolo.

Giova comunque sottolineare che deve trattarsi, appunto, di documenti recanti “addebitamenti ed accreditamenti”, caratteristica, questa, che devono infatti possedere, per rimanere soggetti all’imposta, i documenti non espressamente nominati dal richiamato art. 13 (estratti di conto, lettere e altri documenti di addebitamento e di accreditamento di somme, note, conti e simili documenti recanti addebitamenti ed accreditamenti); al contrario, ad esempio, le distinte che enumerano una serie di cose o valori non costituiscono di per sé tipici documenti di addebitamento e accreditamento e conseguentemente soggiacciono al tributo solo se vengono ad assumere tale specifica funzione (19).

Inoltre, come già notato in relazione agli estratti-conto di tesoreria, anche le comunicazioni relative ai prodotti finanziari di titolarità dell’ente pubblico, per essere tassate, dovranno essere effettivamente emesse ed inviate, non operando al riguardo la speciale “presunzione” di invio disposta dalla nota 3-bis all’art. 13 della tariffa1 per gli “ordinari” estratti conto bancari e per le comunicazioni relative ai prodotti finanziari.

Non è tuttavia da escludere che l’ente pubblico intenda intrattenere un distinto conto di deposito titoli e non “strumentale” con il servizio di tesoreria (ad esempio, per gli enti in regime di tesoreria unica, per il momentaneo impiego, ai fini di investimento, della propria liquidità vincolata, esclusa dall’accentramento in deposito presso le contabilità speciali, nelle more dell’utilizzo). In tal caso si stipulerà un ordinario e tipico “contratto bancario” con il ben noto trattamento ai fini del bollo per i documenti in relazione emessi (20).

Per completezza dell’argomento, vogliamo ora esaminare anche il trattamento fiscale degli altri documenti che vengono abitualmente utilizzati ed emessi in relazione al servizio complesso di tesoreria in esame.

Con riferimento al tema particolare degli estratti del c.d. “giornale di cassa” di cui, per gli enti pubblici locali, il T.U. n. 267/2000 ne impone la tenuta e la conservazione al cassiere incaricato e la loro periodica trasmissione, si ritiene che tali estratti (e la tenuta del relativo “libro”) siano da assoggettare ordinariamente all’imposta di bollo, nella misura prevista dall’art. 16 della tariffa1 (o dall’art. 7 del D.M. 23 marzo 2004 nel caso in cui detti registri siano tenuti in maniera informatica mediante firma elettronica e marcatura temporale), trattandosi, in buona sostanza, di rendicontazioni contabili, specie se vengano concretamente stampati e non ci si limiti ad una modalità di trasmissione, in maniera digitale, dei relativi contenuti (21).

Del resto, al riguardo, non è dato riscontrare alcuna vigente disposizione da cui discenda la previsione di un regime di favore per gli atti della specie, atteso che la letterale formulazione dell’esentativo art. 27 della tabella per i “conti delle gestioni degli agenti dello Stato, delle regioni, province …; conti concernenti affari trattati nell’interesse di dette amministrazioni; conti degli esattori e agenti della riscossione di tributi in genere” porta ad escludere che i cennati documenti si prestino ad essere considerati riconducibili nella sua sfera applicativa, tanto più considerato che finora la norma in questione non è stata oggetto, a quanto consta, di alcuna precisazione da parte dei competenti organi ministeriali (22).

Né sembrerebbe altresì possibile estendere ai documenti in discussione l’esenzione dal tributo di bollo riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria (23) ai modelli (c.d. Mod. 56T-TU) delle Sezioni di Tesoreria provinciale dello Stato trasmessi da queste ultime mensilmente ai tesorieri o cassieri degli enti o organismi pubblici, trattandosi di fattispecie diversa da quella appena esaminata.

In relazione alle verifiche di cassa (ordinarie e straordinarie) della gestione di tesoreria, queste non sembrano costituire, invece, di per sé presupposto impositivo ai fini del tributo di bollo.

Come è noto, infatti, l’imposta di bollo resta, pur con le sostanziali eccezioni nel frattempo intervenute, un tributo c.d. “cartolare”, sicché per la mancanza di un atto scritto, documento o registro che le tariffe 1 e 2 annesse al decreto considerano rilevanti agli effetti dell’imposta di bollo, quest’ultima non è dovuta per mancanza del presupposto impositivo.

Per contro, i verbali redatti in seguito a dette verifiche, compilati in forma di rendicontazioni, si prestano ad essere assoggettati all’imposta di bollo nella misura di 2,00 euro per ogni esemplare, ai sensi dei commi primo e secondo dell’art. 13 della tariffa1.

Passando ad altre tipologie di “documenti”, va osservato che i competenti Organi ministeriali hanno in più di un’occasione fornito le necessarie istruzioni in ordine alle modalità di corresponsione dell’imposta di bollo per lo svolgimento del servizio di tesoreria di che trattasi – ad esempio, per le quietanze rilasciate a fronte di pagamenti con emissione di ordinativi diretti a favore di terzi, ovvero tratti su ordini di accreditamento, mandati speciali ed altre forme di titoli di spesa, ecc. – è ciò induce a ritenere che i documenti attinenti al predetto servizio non beneficiano, di per sé, di uno specifico regime di esenzione, bensì scontino, in via generale, l’imposta di bollo, secondo la natura propria degli atti posti in essere (ricevute, conti, fatture, ecc.) e nella misura indicata nella tariffa1 (24), salvo la sussistenza delle fattispecie esentative enumerate in tabella.

Del resto, anche gli “atti e documenti” a cui fa riferimento la fattispecie esentativa di cui all’art. 16 della tabella fa esclusivo riferimento alla documentazione riferita ai movimenti finanziari intrattenuti esclusivamente tra Amministrazioni dello Stato.

Anche i competenti Organi dell’Amministrazione finanziaria, in più di un’occasione, hanno espresso l’avviso di ritenere tassativa l’elencazione degli enti menzionati nella norma appena citata – e, conseguentemente, preclusa la possibilità di un’interpretazione estensiva della medesima – e il regime di esenzione subordinato alla circostanza che deve trattarsi di atti e documenti posti in essere e scambiati tra i predetti soggetti statali e non tra questi ultimi e soggetti terzi (25).

Così, in generale, tutte le istanze, ovviamente quando non si tratti di semplici comunicazioni, tendenti ad ottenere un provvedimento amministrativo (quali a titolo esemplificativo: per la concessione di un contributo, l’iscrizione in albi, registri o elenchi, il rilascio di certificazioni varie, il rilascio di autorizzazione e/o concessioni, il rilascio in genere di documentazione, anche in copia conforme all’originale), sono assoggettabili all’imposta di bollo ai sensi dell’art. 3 della tariffa1.

Ovviamente, in riferimento a ciò sono previste una serie di esenzioni assolute dalla tabella, la cui consultazione risulta indispensabile per il corretto operare, come tenteremo di fare nel prossimo paragrafo. Ad esempio, sono esenti quelle istanze volte ad ottenere sussidi e presalari, come quelle rivolte ad ottenere certificati non assoggettati al bollo, o quelli concernenti rapporti di pubblico impiego espressamente indicati alla nota n. 3 dello stesso art. 3 della tariffa1.

Anche tutte le autorizzazioni e certificati, connessi alla tenuta di registri pubblici, sono da assoggettare all’imposta di bollo, ai sensi dell’art. 4 della tariffa1, salvo i casi di espressa esenzione previsti dalla tabella e da leggi speciali.

A tale proposito va ricordato che, in seguito all’introduzione dei provvedimenti relativi alla c.d. “semplificazione amministrativa”, di cui al relativo T.U. approvato con D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, le dichiarazioni sostitutive di atto notorio e di certificazioni, redatte dall’interessato in sostituzione delle normali certificazioni delle pubbliche Autorità di alcuni stati, qualità personali o fatti, sono esenti da imposta di bollo (cfr. il combinato disposto degli artt. 38, 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000).

Inoltre si ricorda che la tassazione ai fini del bollo prevista dai richiamati artt. 3 e 4 della tariffa1 è stata recentemente rivista dalla Legge di Stabilità per l’anno 2014 (26) (commi da 591 a 594 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147), con l’introduzione di un’imposta di bollo forfetaria di 16,00 euro, indipendentemente dal numero dei fogli e degli esemplari, sulle istanze trasmesse in via telematica agli Uffici e agli Organi della pubblica Amministrazione, dirette ad ottenere un provvedimento amministrativo o il rilascio di certificati, estratti, copie e simili, anche collegati alla tenuta di pubblici registri.

Per quanto riguarda le fatture e i mandati di pagamento (trattasi dell’atto amministrativo avente funzione di titolo di spesa) si pongono problemi di assoggettamento o meno all’imposta di bollo, in particolare in tutti quei casi in cui il documento contabile non si riferisca ad operazioni assoggettate ad IVA e sia di importo superiore a 77,47 euro.

Infatti, come è noto, qualora una fattura o un altro documento contemplato nell’art. 13 della tariffa1 (anche se attestante un valore superiore a 77,47 euro) riguardi il pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad IVA, lo stesso è esente da imposta di bollo in modo assoluto, cioè anche in caso di registrazione, in forza del disposto dell’art. 6 della tabella e della nota n. 2, lett. a), apposta in calce allo stesso art. 13.

Al riguardo vigono i principi generali secondo cui l’eventuale bollo sulle fatture è a carico del soggetto che forma i predetti documenti, li consegna o li spedisce (27) e il contrassegno apposto deve essere anteriore alla data di creazione della fattura (28).

A differenza però di quanto avviene per l’imposta di registro, l’alternatività fra l’IVA e l’imposta di bollo si realizza solo nel caso in cui l’operazione sia effettivamente assoggettata al primo tributo (sicché si applica il bollo per le fatture per le operazioni esenti da IVA, escluse o fuori dal suo campo di applicazione o effettuate senza il pagamento dell’IVA ai sensi dell’art. 74, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e l’ammontare della relativa imposta sia evidenziato nel documento.

Ai sensi del secondo comma dello stesso art. 6 della tabella, nel caso in cui sul documento contabile non sia evidenziato l’addebito dell’IVA, l’esenzione dal bollo è applicabile a condizione che lo stesso evidenzi l’indicazione che trattasi di documento emesso in relazione al pagamento di corrispettivi di operazioni già assoggettati ad IVA.

Quando il pagamento di una fattura è disposta da un mandato di pagamento dell’ente pubblico, questo è a sua volta soggetto ad imposta di bollo (fatta eccezione della previsione di specifiche esenzioni in relazione all’oggetto stesso del pagamento), perché trattasi di un documento diverso dalla fattura, anche qualora questa sia stata già sottoposta al medesimo tributo, perché riguardava il corrispettivo di un’operazione esente od esclusa da IVA. Di converso, si deve ritenere che, ove sul mandato sia opportunamente annotato, come prescrive il ricordato art. 6, che trattasi di un documento messo il relazione ad una operazione imponibile ad IVA, esso non vada assoggettato a bollo (29).

La problematica è stata poi affrontata dal Ministero delle finanze (30), di concerto con il Ministero del tesoro (e successivamente ribadita dall’Agenzia delle entrate) (31) anche in riferimento alla debenza o meno di bollo sulla quietanza apposta sullo stesso mandato di pagamento. In tale occasione si è fra l’altro precisato che l’imposta deve essere assolta, quando dovuta, in modo virtuale (a valere sull’autorizzazione propria dell’ente statale, mediante trattenuta all’atto di emissione del titolo di spesa), come del resto prevede la seconda “Modalità di pagamento” contemplata al primo comma dell’art. 13 della tariffa1, così come modificato dall’art. 6, sesto comma, della legge 13 maggio 1999, n. 133.

Da notare, però, che la modalità dell’assolvimento dell’imposta in modo virtuale è prevista per le firme di quietanza apposte sui soli titoli di spesa dello Stato e cioè per quelli tratti su capitoli del bilancio dello Stato e non anche quindi per quelli tratti su capitoli diversi da questo (ad esempio, su bilanci degli altri enti pubblici territoriali) non potendosi, in questo caso, che provvedere al pagamento del tributo mediante applicazione di ordinari contrassegni c.d. “telematici”. Inoltre, non sussistendo il principio secondo cui, quando è parte lo Stato in un rapporto, l’imposta di bollo è comunque dovuta dall’altra parte, di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 642/1972, l’imposta sulla quietanza del mandato di pagamento dovrebbe ricadere sull’ente pubblico/debitore, salvo patto contrario, secondo il ricordato principio generale di cui all’art. 1196 c.c.

Inoltre va sottolineato che l’effetto “liberatorio” proprio di una ricevuta o di una quietanza, a fronte dell’adempimento di una obbligazione pecuniaria, secondo la definizione contenuta nel primo comma dell’art. 13 della tariffa1, può essere ottenuto nella contabilità pubblica anche in maniera indiretta, senza cioè la sottoscrizione del creditore, atteso che detto effetto liberatorio per l’Amministrazione finanziaria si ha infatti con l’annotazione sul titolo di spesa degli estremi necessari e la firma del Capo della Sezione di Tesoreria (c.d. “dichiarazioni di commutazione o di accreditamento”, di cui all’art. 533 delle Istruzioni generali dei Servizi del Tesoro). Pertanto, anche in questo caso, ove ne sussistano i presupposti, tali “documenti” possono soggiacere autonomamente ad imposta di bollo.

Sull’obbligo o meno di sottoporre a bollo le “quietanze” di che trattasi, va ricordato il principio generale, di cui alla nota n. 2, lett. b), in calce all’art. 13 della tariffa1, secondo il quale il tributo non è dovuto per le quietanze e le ricevute apposte sugli stessi documenti o mandati già assoggettati al medesimo tributo o esenti (esempio, su una fattura a sua volta già assoggettata ad IVA).

Inoltre si rammenta che per le ricevute e le quietanze, contenute in un unico atto e relative a più percipienti, l’imposta si applica per ciascuno di essi, secondo la nota n. 1 in calce all’art. 13 della tariffa1.

Un’ipotesi particolare da considerare è quella dello smarrimento o distruzione di una quietanza e del conseguente certificato sostitutivo rilasciato dal tesoriere. Al riguardo appare ragionevole ritenere che, in assenza di diverse specifiche disposizioni, la domanda inoltrata al Tesoriere in ordine al rilascio del certificato sostitutivo di una quietanza distrutta o smarrita possa essere redatta in carta semplice, non trattandosi di un’istanza diretta agli Uffici o agli Organi, anche collegiali, della pubblica Amministrazione dello Stato, delle Regioni, delle Province o dei Comuni, di cui all’art. 3 della tariffa1.

Per contro, la certificazione rilasciata dal Tesoriere si presta ad essere considerata soggetta all’imposta di bollo, fin dall’origine, di 16,00 euro, a norma dell’art. 2 della tariffa1, sostanziandosi in una dichiarazione unilaterale con la quale si accerta o si documenta un determinato rapporto giuridico.

Inoltre, in riferimento ai mandati di pagamento con accredito in c/c postale la stessa ABI, per quanto in passato si fosse pronunciata (32) per l’esenzione delle relative annotazioni per quietanza apposte dal tesoriere sui mandati di pagamento ricevuti dagli enti locali, richiamandosi alla portata dell’art. 7 della tabella (esenzione all’epoca limitata proprio ai documenti afferenti l’Ente Poste italiane), osservava tuttavia di non aver ricevuto conforto in tal senso dall’Amministrazione finanziaria e, pertanto, suggeriva prudenzialmente di assoggettarle ugualmente al tributo.

Quanto alle speculari c.d. “reversali di incasso”, si deve ritenere che le stesse siano da assoggettare al tributo solamente in “caso d’uso” (che per l’imposta di bollo si realizza, come è noto, esclusivamente qualora il documento venga presentato all’Ufficio per la registrazione, avendo a mente il disposto dell’art. 2, secondo comma, del D.P.R. n. 642/1972), non essendo detti documenti espressamente contemplati né fra quelli soggetti all’imposta sin dall’origine né fra quelli esonerati, così come previsto dall’art. 32 della tariffa2 (33).

5. Le esenzioni assolute dal tributo

Come già anticipato, va inoltre verificato nel concreto se il documento, astrattamente assoggettabile all’imposta di bollo (si pensi ai mandati pagamento), sia a suo volta esentato, per le più svariate ragioni, dall’applicazione del tributo in quanto riguarda operazioni o soggetti contemplati espressamente nella tabella.

Trattandosi nella specie di norme eccezionali, le stesse sono da interpretare con estrema attenzione, atteso che la disciplina ivi dettata non può essere estesa a fattispecie diverse, anche se queste appaiono analoghe, come stabilito dall’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale del codice civile.

Va innanzitutto ricordato, come già fatto in precedenza, che l’art. 27 della tabella, per il suo disposto, sembrerebbe a prima vista molto pertinente per la soluzione del problema che ci occupa, escludendo l’applicazione del tributo per tutti i: “conti delle gestioni degli agenti dello Stato, delle regioni, province (…); conti concernenti affari trattati nell’interesse di dette amministrazioni; conti degli esattori e agenti della riscossione di tributi in genere”.

Tuttavia tale norma, introdotta dal D.P.R. 30 dicembre 1982, n. 955 (34) – per quanto nella prassi risulti talvolta richiamata dai Tesorieri interessati per giustificare un generico trattamento agevolativo nei loro riguardi – non è stata oggetto di approfondito esame da parte dell’Amministrazione finanziaria centrale (35), sicché va valutata con estrema cautela.

Comunque per quanto riguarda specificamente gli accertamenti, riscossioni e procedimenti relativi a qualsiasi tributo, sovviene un’altra norma contenuta nel D.P.R. n. 642/1972, ossia l’art. 5, primo comma, della tabella, che manda esenti, una volta certificata questa chiara relazione, i relativi documenti dall’imposta di bollo, tutti gli atti e le copie dei relativi procedimenti, ivi comprese le dichiarazioni, denunzie, atti, documenti e copie presentati ai competenti Uffici, ai fini dell’applicazione delle leggi tributarie, con esclusione dei ricorsi, opposizioni e altri atti difensivi del contribuente.

Pertanto, senz’altro è stata riconosciuta tale natura, con conseguente esenzione, alle quietanze rilasciate per il pagamento di tasse universitarie (36), oppure per le quietanze relative all’incasso dell’addizionale/imposta erariale sui consumi dell’energia elettrica.

È però spesso controverso stabilire la natura tributaria o meno delle entrate degli enti pubblici locali, come avviene in riferimento ai contributi dovuti ai Comuni per il rilascio di concessioni edilizie ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d. “oneri di urbanizzazione”), per le quali si è in passato ritenuto che le quietanze rilasciate per il versamento di dette somme non si prestano a godere della richiamata esenzione, atteso il principio affermato dal Consiglio di Stato (37), secondo il quale il contributo di concessione di cui trattasi ha natura di corrispettivo per opere di urbanizzazione.

Va comunque tenuto presente che la questione attinente la natura giuridica del contributo di urbanizzazione non è stata affrontata in modo uniforme dalla dottrina e dalla giurisprudenza, atteso che, da una parte, si è ritenuto che i contributi della specie non vanno considerati alla stregua di tributi, nell’assunto che trattasi di forme particolari di partecipazione alle spese di urbanizzazione nonché ai costi di costruzione (38) e, dall’altra, è stato, viceversa, sostenuto che la prestazione prevista dalla citata legge n. 10/1977 non può considerarsi un corrispettivo ma costituisce una figura ibrida in quanto presenta caratteristiche proprie sia della tassa che dell’imposta (39).

Tutta la materia meriterebbe, del resto, di essere aggiornata alla luce della modifica apportata dall’art. 55, quarto comma, della legge 21 novembre 2000, n. 342, al quarto comma del citato art. 5 della tabella mediante l’inserimento dell’avverbio “anche” nel vigente testo (il quale così rende esenti da bollo gli: “Atti e copie relativi al procedimento, anche esecutivo, per la riscossione dei tributi, dei contributi e delle entrate extratributarie dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficienza, dei contributi e delle entrate extratributarie di qualsiasi ente autorizzato per legge ad avvalersi dell’opera dei concessionari del servizio nazionale di riscossione”).

Conseguentemente, non legando più esclusivamente il trattamento di esenzione al solo “procedimento esecutivo”, si aprirebbe la strada al riconoscimento dell’esenzione per i documenti riguardanti l’incasso anche dei “contributi e delle entrate extra-tributarie” da parte dello Stato e degli enti pubblici locali o che comunque si avvalgono dell’opera dei concessionari del servizio nazionale di riscossione.

Occorre però considerare che, tenendo presente il principio generale contemplato all’art. 13, terzo comma, punto 15), del D.P.R. n. 642/1972, secondo cui, nell’ipotesi di più atti o causali riportati in un unico contesto (e quindi di quietanze rilasciate contestualmente per entrate tributarie ed extratributarie), occorre in ogni caso corrispondere, sia pure per una sola volta, l’imposta di bollo e quindi anche quando uno solo di essi sia soggetto al tributo e l’altro o gli altri atti ne siano esenti (40).

Invero, per quanto l’ultimo comma del più volte citato art. 5 della tabella riconosca l’esenzione dal tributo per le “Istanze di rimborso e di sospensione del pagamento di qualsiasi tributo, nonché documenti allegati alle istanze medesime”, sono state considerate soggette a bollo le lettere di addebitamento effettuate nei confronti dell’ente per sgravi o rimborsi di quote indebite e inesigibile di tributi comunali e delle quietanze rilasciate dai contribuenti in occasione del rimborso di tributi, a qualsiasi titolo effettuate, e ciò in considerazione della portata letterale della norma riportata e alle diverse affermazioni in tal senso formulate dall’Amministrazione finanziaria (41).

È stata comunque riconosciuta l’esclusione dall’applicazione dell’imposta di bollo per le annotazioni apposte dalla Sezione di Tesoreria provinciale dello Stato sui mandati di pagamento relativi al rimborso di imposta, ma non in virtù di tale natura, in quanto la commutazione del titolo avviene per disposizione di legge, sicché il relativo atto non assume il valore di quietanza ma è considerato un atto interno di amministrazione contabile e come tale esente dal tributo (42).

Riguardo al pagamento di emolumenti e altre indennità, le quietanze relative a qualsiasi compenso erogato, sia pure a terzi, per prestazioni effettuate in virtù della qualifica del soggetto ricevente come “lavoratore dipendente”, sia pubblico che privato (fisso o a tempo determinato), sono esenti da imposta di bollo in modo assoluto, ai sensi dell’art. 26 della tabella.

Il Ministero del tesoro (43) ha, peraltro, ritenuto sussistere i presupposti per l’esenzione dell’imposta di bollo anche alle quietanze relative a compensi e indennità percepiti dai rappresentanti di pubbliche Amministrazioni, in dipendenza di incarichi per l’attività di amministratore, sindaco o revisore dei conti presso enti pubblici e società controllate dallo Stato.

In riferimento alle delegazioni di pagamento, in forza di quanto disposto dall’art. 3 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (richiamato dall’ultimo comma dell’art. 5 della tabella), così come confermato dall’art. 46 del D.Lgs. 11 giugno 1996, n. 336, sono esenti in modo assoluto da imposte e tasse (nella specie, imposta di bollo) solo le delegazioni di pagamento rilasciate dalle Province e dai Comuni a garanzia di mutui, debiti e altri impegni.

Le delegazioni di pagamento diverse da quelle sopra richiamate si prestano, viceversa, ad essere considerate riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 7 della tariffa1 e come tali soggette alle stesse imposte stabilite per le cambiali, salvo che non trattasi di “delegazioni rilasciate dalle regioni, dalle province e dai comuni ed altri enti pubblici a favore della Cassa depositi e Prestiti e degli Istituti di previdenza, nonché delle banche (autorizzate) che concedono mutui ai predetti enti”, atteso che in tali ultime ipotesi dette delegazioni sono soggette all’imposta fissa di 16,00 euro, da corrispondersi mediante contrassegni, in forza del combinato disposto degli artt. 2 e 7, nota marginale n. 3, della ripetuta tariffa1.

Resta fermo, ovviamente, che le delegazioni di pagamento relative ad operazioni di finanziamento riconducibili nell’ambito applicativo dell’imposta sostitutiva di cui agli artt. 15 e segg. del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, si prestano ad essere assoggettate all’imposta di bollo in misura ridotta di euro 0,052 per ogni 516,46 euro o frazione ovvero esenti in modo assoluto se trattasi di fattispecie riconducibili al succitato art. 7, nota 3.

In riferimento ad eventuali contributi elargiti da enti pubblici locali, giusta quanto precisato dal Ministero delle finanze, l’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’art. 7, terzo comma, della tabella, per le quietanze relative ai pagamenti di contributi o quote associative ad associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive, deve ritenersi: “avere carattere oggettivo quali che siano le modalità di versamento” (44).

Circa l’ambito applicativo del richiamato comma dell’art. 7, per la parte che interessa il presente contesto, si osserva che l’esenzione in parola dovrebbe considerarsi limitata alle quietanze per il versamento di contributi o quote associative per aderire alle associazioni tassativamente indicate dalla norma e non può essere estesa alle quietanze relative a versamenti effettuati a titolo di pagamento di servizi resi dalle predette associazioni nei confronti dei propri associati ancorché effettuati in conformità alle proprie finalità istituzionali (45).

Tuttavia va segnalato che la stessa Amministrazione finanziaria in un’altra occasione (46), con apparente contraddizione, ha riconosciuto l’esenzione dall’imposta di bollo anche in relazione alle quietanze rilasciate a fronte di versamenti relativi a pagamenti per prestazioni effettuate dalle predette associazioni in funzione delle proprie attività istituzionali, nei confronti dei propri associati.

Resta comunque ferma la possibilità di considerare esenti dall’imposta le quietanze relative a contributi che più in generale risultano versati a scopo di beneficienza anche a soggetti diversi da quelli sopra richiamati, sempreché sull’atto risulti tale scopo, ai sensi dell’art. 8, quarto comma, della medesima tabella.

Va infine considerata la più generale esenzione riconosciuta per gli: “Atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni ed attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e dalle federazioni sportive ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI”, in forza dell’art. 27-bis della stessa tabella, introdotto dall’art. 17 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460.

Tuttavia in proposito va puntualizzato che, secondo la specifica interpretazione ministeriale (47), le cennate agevolazioni per l’imposta di bollo riguardano le ONLUS sia come enti destinatari degli atti che come soggetti che li pongono in essere ma che l’elencazione fatta dalla citata norma deve ritenersi tassativa e gli atti non espressamente elencati non possono godere del beneficio in parola.

Ciò ha indotto taluno a ritenere che le fatture emesse dalle ONLUS seguiranno le normali regole circa l’applicazione dell’imposta di bollo e anche i relativi mandati di pagamento sarebbero soggetti al medesimo tributo (48).

Invero tale rigida posizione lascia qualche perplessità, atteso che la stessa Amministrazione finanziaria (49), pur in riferimento ad un problema diverso, ha espressamente riconosciuto che l’esenzione da bollo, sancita per gli atti, documenti e contratti posti in essere dalle ONLUS torna applicabile anche per quelli dalle stesse ricevuti, fra cui gli estratti conto e le comunicazioni relative ai prodotti finanziari inviate dalle banche e dagli intermediari finanziari a dette organizzazione

Va inoltre ricordato:

i mandati di pagamento relativi ad atti di esproprio sono esenti dall’imposta di bollo ai sensi dell’art. 22 della tabella;

le quietanze di pagamento delle sanzioni amministrative irrogate da organi ispettivi del Ministero del lavoro sono state parimenti considerati esenti dal tributo (50). Più in generale si rammenta che, in forza dell’art. 3 della tabella, sono esenti dall’imposta di bollo, gli: “Atti, documenti e provvedimenti dei procedimenti in materia penale, di pubblica sicurezza e disciplinare (…)”, sicché – si ritiene (51) – godono di tale agevolazione anche le quietanza di riscossione delle relative sanzioni;

per la nota alternatività dell’imposta di bollo con l’imposta sulle assicurazioni, stabilita dall’art. 16 della legge 29 ottobre 19961, n. 1216, e dall’art. 34 del D.P.R. n. 601/1973, sono altresì esenti da imposta di bollo le quietanze relative al pagamento di premi assicurativi.

Postilla

Proprio nei giorni in cui si stava componendo in redazione il presente lavoro, la stampa specializzata (52) ha dato notizia di una risposta dell’Agenzia delle entrate centrale (al momento non ancora diramata come circolare o risoluzione) ad un interpello proposto sul tema qui trattato dal Comune di Trento e veicolato dalla locale Direzione provinciale della stessa Agenzia.

Secondo le notizie al momento diffuse, l’Amministrazione finanziaria si sarebbe esplicitamente espressa per l’esenzione dall’imposta di bollo (prevista nella misura ordinaria di 2,00 euro, dal primo comma dell’art. 13 della tariffa1) per le fatture e le quietanze rilasciate dai tesorieri comunali.

Con riguardo più specificatamente alle fatture, si è affermata la fonte dell’esclusione assoluta dall’applicazione dell’imposta di bollo, indipendentemente dal regime che assume, ai fini IVA, la sottesa operazione.

Invero, mentre risulta nota l’esenzione dal bollo per le fatture che riguardano le operazioni “imponibili” ad IVA (di cui all’art. 6 della tabella), si rinviene nel quarto comma dell’art. 5 della tabella la fonte per non assoggettamento a bollo anche per le fatture che sono riferite ad operazioni “esenti” ed “escluse” da IVA, in quanto riguardano comunque: “(…) atti relativi al procedimento anche esecutivo per la riscossione dei tributi, dei contributi e delle entrate extratributarie (…)”.

Come è noto i Comuni, tramite i propri tesorieri incaricati, possono emettere fatture per servizi resi a cittadini e imprese della più diversa natura, quali gli asili nido, le scuole materne, l’assistenza domiciliare, le locazioni, insieme ad entrate che non rilevano nemmeno ai fini IVA, come i diritti di segreteria, i canoni di concessioni demaniali, i rimborsi spese per il rilascio di documenti amministrativi.

Ancor più significative sono le conclusioni a cui si perviene in riferimento alle quietanze di cui all’art. 228 del T.U. n. 267/2001, emesse in seguito al pagamento dei mandati degli enti locali.

Fino ad oggi, qualora non si riscontrassero esclusioni oggettive, come in riferimento alle entrate di natura tributaria, si applicava l’imposta di bollo su detti documenti, a meno che non si riferissero esplicitamente ad operazioni regolarmente assoggettate ad IVA.

Nella risposta all’interpello, invece, ci si esprime per l’esenzione assoluta dal bollo perché le attestazioni dell’avvenuto pagamento vanno comunque inquadrate nei “(…) conti delle gestioni degli agenti dello Sato, delle regioni, province, comuni e relative aziende autonome (…)”, di cui all’art. 27 della tabella.

Abbiamo già avuto occasione di osservare supra come il disposto di detto articolo di esenzione non fosse stato in precedenza sufficientemente approfondito nella sua portata né dall’Amministrazione finanziaria né da altri commentatori.

Non siamo in grado, al momento, di verificare il concreto contenuto di tale pronunciamento, non essendo ancora disponibile e “ufficializzata” la ricordata declaratoria ministeriale.

Non ci si può però esimere, sin da ora, dal sottolineare la sua importanza, suscettibile di notevoli sviluppi in materia, specialmente in riferimento all’avvenuto richiamo al disposto del citato art. 27 della tabella, che potrebbe essere utilizzato anche in riferimento a diverse e ben più importanti fattispecie, come i “conti” di tesoreria, sia di contenuto numerario che relativi a prodotti finanziari.

 

Avv. Gianni Polo

(1) Cfr. ris. 15 novembre 2002, n. 357/E, in Boll. Trib. On-line.

(2) Ved. in tal senso anche lettera-circolare ABI 12 ottobre 1992, prot. n. LG/TBT 7550, di commento alla nota del Ministero del tesoro 16 settembre 1992, n. 957723.

(3) Di cui, da ultimo, si veda l’art. 1, comma 581, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. “Legge di Stabilità per l’anno 2014”).

(4) Al riguardo ved. anche G. Polo, La nuova imposta di bollo, Rimini, 2014, 149.

(5) Cfr. circ. 2 gennaio 1984, n. 1, in Boll. Trib., 1984, 140; si veda anche, per una fattispecie analoga, ris. 8 settembre 1998, n. 141/E, ivi, 1999, 151.

(6) Cfr. parere ABI 18 novembre 2003, n. 868; e parere ABI 8 luglio 2004, n. 894. In tal senso ved. anche il precedente parere ABI 29 luglio 2003, n. 854.

(7) Cfr. circ. 21 dicembre 2012, n. 48/E, in Boll. Trib., 2013, 115.

(8) Al riguardo, ved. anche parere ABI 12 novembre 2012, n. 1297.

(9) Cfr. circ. 10 maggio 2013, n. 15/E, par. n. 1.3, in Boll. Trib., 2013, 762.

(10) Al riguardo cfr. circ. Federcasse 25 novembre 2002, n. 146; e circ. ABI, serie trib., 13 dicembre 2002, n. 20.

(11) Cfr. ris. n. 357/E/2002, cit. Sull’argomento ved. anche la lettera-circolare ABI prot. TR/006376 ove, fra l’altro, si sottolinea come l’interpretazione ministeriale si scontri con la diversa interpretazione, più favorevole alle banche, diramata dall’ANCI con il parere 23 gennaio 2001, in Rubrica ANCI risponde, a cura di ANCITEL, e alcune Direzioni periferiche della stessa Agenzia delle entrate, come la Direzione regionale dell’Emilia Romagna con nota 13 maggio 2002, n. 21466, e la Direzione regionale del Veneto con interpello 20 settembre 2002, n. 31108. Sul tema si veda anche il Notiziario sulla disciplina dei rapporti tra banche ed enti pubblici allegato alla lettera-circolare ABI 8 agosto 2002, prot. n. OF/005444.

(12) In tal senso si esprime la stessa ABI, con un parere fornito ad una banca il 17 luglio 2013 (non risulta peraltro che sia stato pubblicato), annotando che: “La delicatezza della questione suggerisce allo stato attuale di mantenere comunque sul punto un comportamento prudenziale, assoggettando al prelievo proporzionale i titoli custoditi nell’ambito del servizio di tesoreria comunale”.

(13) Cfr. parere ABI n. 566, in Pareri ABI, n. 11, pag. 170.

(14) Cfr. parere ABI 22 settembre 1998, n. 412.

(15) Cfr. al riguardo lettera-circolare ABI prot. n. LG/TBT 7550/1992, cit., con allegata nota del Ministero del tesoro n. 957723/1992, cit; nonché circ. ABI, serie trib., 7 aprile 1994, n. 27.

(16) Cfr. lettera-circolare ABI prot. n. LG/TBT 7550/1992, cit.

(17) Cfr. nota Ministero del tesoro, dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, 27 dicembre 1999, n. 715311, commentata con circ. ABI, serie legale, 7 febbraio 2000, n. 4.

(18) Cfr. parere ABI 6 giugno 2002, n. 763.

(19) Cfr. circ. ABI, serie trib., 6 ottobre 1992, n. 67. Si veda però, quanto affermato nella circ. 16 novembre 2000, n. 207/E, par. n. 2.2.1, in Boll. Trib., 2000, 1623 (per quanto criticata dalla circ. ABI, serie trib., 10 gennaio 2001, n. 2) sulla necessità che i documenti emessi dalle banche, se non soggetti all’imposta di bollo “sostitutiva” di cui all’art. 13, commi 2-bis e 2-ter, della tariffa1, vadano comunque assoggettati all’imposta di bollo ordinaria di 2,00 euro qualora evidenzino un valore superiore a 77,47 euro.

(20) Cfr. circ. ABI n. 27/1994, par. 1.3, cit., oltre al già citato parere ABI 17 luglio 2013.

(21) Cfr. parere ABI 17 luglio 1998, n. 403, anche se la fattispecie andrebbe riconsiderata alla luce delle novità introdotte dal ricordato D.M. 23 marzo 2003 in merito alla tassazione dei registri tenuti in maniera “digitale”.

(22) Cfr. circ. ABI, serie trib., 24 gennaio 1983, n. 17; e circ. ABI, serie trib., 9 gennaio 1984, n. 6.

(23) Cfr. ris. 22 giugno 1987, n. 302264, in Boll. Trib., 1987, 1303.

(24) Cfr. a tal riguardo circ. 28 luglio 1983, n. 46, in Boll. Trib. On-line, riportata nella circ. ABI, serie trib., 16 novembre 1983, n. 68; e circ. 16 settembre 1986, n. 49, della Ragioneria Generale del Ministero del tesoro.

(25) Cfr. ris. 13 luglio 1994, n. V/10/568/93, in Boll. Trib., 1994, 1432; ris. 17 dicembre 1994, n. 26/E, in Boll. Trib. On-line; ris. 1 luglio 1997, n. 187/E, in Boll. Trib., 1997, 1115; e ris. n. 141/E/1998, cit.

(26) Per un primo commento, cfr. circ. Federcasse 10 gennaio 2004, n. 4.

(27) Cfr. ris. 18 novembre 2008, n. 444/E, in Boll. Trib. On-line.

(28) Cfr. ris. 3 novembre 2008, n. 419/E, in Boll. Trib. On-line.

(29) Cfr., in tal senso, E. Cuzzola, L’imposta di bollo sui mandati di pagamento, in La Finanza locale, 2012, 52.

(30) Cfr. circ. n. 46/1983, cit.

(31) Cfr. ris. 3 ottobre 2008, n. 365/E, in Boll. Trib. On-line.

(32) Cfr. circ. ABI n. 68/1983, cit. Si veda, del resto, quanto detto poc’anzi in relazione alla corretta interpretazione del disposto del cit. art. 7 della tabella in relazione alle quietanze rilasciate dalle banche nell’ambito dei servizi di tesoreria e di cassa in seguito all’interpretazione ufficiale intervenuta con ris. n. 357/E/2002, cit.

(33) Cfr. E. Cuzzola, op. cit., 57.

(34) Al riguardo cfr. circ. n. 1/1984, cit.

(35) Se si esclude la già ricordata ris. n. 302264/1987, cit., con cui è stata riconosciuta l’esenzione dall’imposta di bollo dei c.d. Modelli 56T.

(36) Ved. anche, seppur alquanto datata e riferita al trattamento, ai fini dell’imposta di bollo, applicabile alle istanze di esonero di tutte le tasse scolastiche, ris. 10 gennaio 1978, n. 292157, in Boll. Trib., 1978, 765.

(37) Cfr. parere n. 1/1981, divulgato dall’allora Ministero dei lavori pubblici con circ. 30 luglio 1981, n. 1669.

(38) Cfr. TAR Sicilia 29 dicembre 1980, n. 1374, in Trib. amm. reg., 1981, 721.

(39) Cfr. TAR Umbria 14 luglio 1981, n. 250, in Giust. civ., 1982, I, 1129.

(40) Cfr. circ. n. 1/1984, cit.

(41) Cfr. circ. 15 gennaio 1973, n. 9, in Boll. Trib., 1973, 225; ris. 12 giugno 1973, n. 415564, in Boll. Trib. On-line; e ris. 12 giugno 1985, n. 15/3904, in Boll. Trib., 1985, 1499.

(42) Cfr. ris. 1° febbraio 1986, n. 300220, in Boll. Trib., 1986, 1257, superando così le precedenti ris. 20 febbraio 1978, n. 291115, ivi, 1978, 766; e ris. 12 ottobre 1983, n. 311024, ivi, 1983, 1866.

(43) Cfr. circ. Min. interni 19 ottobre 1988, n. 46, in Boll. Trib. On-line.

(44) Cfr. circ. n. 1/1984, cit.; nonché ris. 26 ottobre 1984, n. 311737, in Boll. Trib., 1984, 1693.

(45) Cfr. ris. 21 dicembre 1985, n. 312682, in Boll. Trib., 1985, 658.

(46) Cfr. ris. 2 maggio 1989, n. 450486, in Boll. Trib., 1989, 1725.

(47) Cfr. circ. 26 giugno 1998, n. 168/E, in Boll. Trib., 1998, 1212.

(48) Cfr. E. Cuzzola, op. cit., 55.

(49) Cfr. ris. 4 novembre 1998, n. 90666, del dip. entrate, allegata e commentata con circ. ABI, serie trib., 30 novembre 1998, n. 55; peraltro, sull’esenzione da bollo delle domande di iscrizione all’Albo delle ONLUS e della relativa quietanza per i diritti di segreteria, cfr. ris. 17 maggio 2000, n. 63/E, in Boll. Trib., 2000, 1406. D’altra parte, in relazione ai libri contabili e ai libri sociali si è ritenuto che trattasi di una fattispecie non compresa nell’elenco tassativo previsto dalla riportata norma, sicché detti registri vanno assoggettati all’imposta secondo le regole comuni, ved. circ. 7 agosto 2002, n. 67/E, in Boll. Trib., 2002, 1250; e nota Dir. reg. delle entrate dell’Emilia Romagna 20 gennaio 2006, prot. n. 909-2854.

(50) Cfr. circ. Min. lavoro e politiche sociali 3 febbraio 2010, n. 2222.

(51) Argomentando da ris. 29 dicembre 1990, n. 390012, in Boll. Trib., 1991, 310, commentata da circ. Assonime 26 luglio 1991, n. 98.

(52) Cfr. M. Nocivelli, Fatture e quietanze dei Comuni esenti da bollo, in Il Sole 24 Ore del 19 marzo 2014.

 

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