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In un articolo dello scorso anno (1), che fece seguito ad un convegno al quale partecipai, organizzato dall’ODCEC di Bologna (2), unitamente ad un collega commentai il disegno di legge che avrebbe dovuto comportare, per le STP, l’applicazione del «regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui all’articolo 5, comma 3, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», a prescindere dalla struttura giuridica utilizzata.
Nello stesso articolo illustrammo per quali motivi ritenessimo (e ritengo tuttora) che attualmente sia la struttura giuridica prescelta che regolamenta la conseguente disciplina fiscale; inoltre, esponemmo fortissime perplessità riguardo l’annunciata modifica normativa che avrebbe creato un ibrido, dalle controindicazioni fortissime e forse non completamente immaginabili.
Seguentemente, si sono avute conferme da parte dell’Amministrazione finanziaria, semmai fossero state ritenute necessarie, della qualificazione di reddito d’impresa prodotto dalle STP commerciali strutturate in forma di società di persone “commerciali” o di società di capitali.
In altre parole, per il fisco (in questo caso, giustamente), “è il vestito che fa il monaco”.
Su questo solco, si ha notizia della seguente prassi:
– risposta ad interpello da parte dell’ADE come da pubblicazione sul Sole 24 Ore del 24 maggio 2014 (dati specifici non a disposizione);
– risposta dell’ADE ad interpello dell’Ordine Dottori Commercialisti di Trento, consulenza giuridica 954-55/2014.
Questa prassi è stata accolta a volte con sorpresa, a volte no, dalla dottrina (3).
Nel 2014, nel corso dell’iter di approvazione del decreto sulle semplificazioni fiscali (4), in forza della delega contenuta nella legge 11 marzo 2014, n. 23 [c.d. “Delega fiscale”] Art. 7. Semplificazione, la norma annunciata come da inserire in detto decreto delegato si è persa per strada.
Le motivazioni di questo pentimento si ritrovano nei pareri forniti dalla Commissione finanze della Camera e dalla Commissione finanza e tesoro del Senato.
Così si è espressa la prima Commissione: la norma «rischia … di non costituire una semplificazione per le STP in forma di società di capitale e società cooperative, le quali dovranno tenere una duplice contabilità e redigere un doppio bilancio: uno civilistico, basato sul principio di competenza economica, e uno fiscale, ispirato al criterio di cassa».
Ancora … «sia soppresso l’articolo 11 … relativo al regime fiscale delle società tra professionisti, in quanto l’applicazione, a prescindere dalla forma giuridica, della disciplina fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite per l’esercizio associato di arti o professioni, di cui all’art. 5 del Tuir, renderebbe estremamente difficile la possibilità di adottare la società tra professionisti, soprattutto nella versione di società di capitali e cooperativa, considerato che applicare allo stesso soggetto regole fiscali (principio di cassa) difformi e antitetiche rispetto a quelle contabili (principio di competenza), disciplinate peraltro da direttive europee, provocherebbe la proliferazione di adempimenti tra loro scarsamente conciliabili, e determinerebbe oneri e complicazioni tali da rendere non economicamente conveniente, né concretamente attuabile, l’impiego di tali forme societarie per lo svolgimento delle attività».
Fortemente critica rispetto all’annunciata e mai nata norma anche la seconda Commissione, quella del Senato.
Ho salutato con favore questi orientamenti, che confermano quanto affermato nel citato convegno dell’8 aprile 2014, garbatamente e rispettosamente controcorrente rispetto a quanto scritto dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (5).
Possibili novità potrebbero derivare dall’introduzione dell’IRI (Imposta sul reddito imprenditoriale), in attuazione della legge delega fiscale n. 23/2014, come bene evidenziato in dottrina (6).
Esaurito questo aggiornamento, e consolidata (per ora!) la qualificazione di reddito d’impresa, così come prodotto dalla STP in forma di società di capitali o di persone “commerciali”, rimane da affrontare la disciplina fiscale della trasmigrazione “dello studio professionale” verso la STP “societaria”.
La prassi conosciuta, al momento, si riferisce a trasmigrazioni verso associazioni professionali, ed è antecedente rispetto all’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (7).
Tale prassi sostanzialmente afferma che in caso di costituzione di associazione professionale non vi è tassazione per il professionista che, detta in senso atecnico, “conferisca” la propria clientela nel necessario presupposto che lo stesso professionista non percepisca, per tale “conferimento”, alcun corrispettivo dalla costituenda associazione.
A mio avviso non potrebbe essere altrimenti.
Ovviamente la citata prassi aveva a riguardo il comma 1-quater dell’art. 54 del TUIR, così come introdotto dal comma 29 dell’art. 36 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), per effetto del quale alla formazione del reddito di lavoro autonomo concorrono anche i corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale.
Lo stesso (intassabilità in mancanza di corrispettivo) dovrebbe valere ove de facto “la clientela” sia trasferita, senza corrispettivo alcuno, in una STP.
Però non si può così semplificare l’analisi.
La corretta base di partenza deve essere costituita da un corretto perimetro di ciò che – usualmente – può essere oggetto di trasferimento in una STP.
Essenzialmente, beni materiali e un avviamento costituito dalla clientela e dal nome che lo studio può avere assunto.
Per quanto riguarda i beni materiali, precedentemente acquisiti nell’esercizio della professione, vale quanto disposto dal comma 1-bis dell’art. 54 del TUIR, ritengo essenzialmente soprattutto alle lett. a) e c).
La lett. a) prevede il concorso alla formazione del reddito (professionale) delle plus e delle minus “realizzate mediante la cessione a titolo oneroso”.
Per effetto di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 9 del TUIR, i conferimenti in società sono assimilati alle cessioni.
Quindi: conferimenti = cessioni a titolo oneroso.
La lett. c) prevede ugualmente il concorso alla formazione del reddito in caso di destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’esercente l’arte o la professione, o a finalità estranee all’arte o alla professione.
Da ciò ne dovrebbe conseguire che nei casi – si immagina – non frequenti, di realizzo ex lett. a) o di “destinazione” ex lett. c), che abbiano per oggetto beni con valore normale superiore al costo fiscalmente riconosciuto, per effetto di cessioni a titolo oneroso (conferimento compreso) o di utilizzo improprio di beni da parte di una STP, beni già di proprietà del professionista, si abbia la tassazione delle relative plusvalenze.
I numeri ovviamente più rilevanti riguardano il passaggio della clientela e il “nome” alla STP.
Per tali beni immateriali, non si parte da un valore fiscalmente riconosciuto.
Iniziamo, per ora, col caso – si spera – più semplice, della cessione di clientela ad una STP.
Per il cedente, vale l’art. 54, comma 1-quater, del TUIR.
Se il cessionario è un professionista oppure un’associazione professionale, il trattamento è speculare: tassazione del corrispettivo da un lato, deducibilità nell’anno del pagamento, dall’altro. Tutto secondo il principio di cassa, senza alcuna possibilità per il cedente di avere una tassazione frazionata delle plusvalenze.
Per il cedente, c’è temperamento della tassazione, per la possibilità concessa di fruire della tassazione separata per i corrispettivi, se percepiti in unica soluzione, «percepiti per la cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale».
In materia di IRAP, il cedente non potrà far valere l’eccezionalità dell’operazione così come invece accade per i soggetti in regime di reddito d’impresa.
Ma se chi compra è una STP in forma di società “commerciale”?
Nell’assunto che per ora le STP trovano la disciplina del reddito d’impresa, se costituite in forma di società di capitali o enti equiparati, la disciplina non sarebbe più speculare fra cedente e cessionaria, perché presumibilmente dovrebbe valere quanto previsto dal comma 3 dell’art. 103 del TUIR, con deducibilità ripartita per diciottesimi (avviamento).
Ciò, a meno che per cessione non si intenda tanto la cessione della clientela, quanto un corrispettivo pattuito per la collaborazione del professionista cedente alla “trasmigrazione” (8) della clientela da sé stesso.
Se così fosse, potrebbe sostenersi la deducibilità per la cessionaria in base a quanto previsto ordinariamente dalla lett. b) del comma 2 dell’art. 109 del TUIR.
Le cose a mio avviso si complicano oltremodo quando si inizia ad immaginare un conferimento (non di beni materiali, prima invece trattati), bensì di immateriali.
La nota sentenza della Corte di Cassazione n. 2860/2010 (9) sdoganò il concetto di avviamento professionale, dando torto ad un professionista che, avendo sottoscritto un preliminare che prevedeva il pagamento di un corrispettivo per l’acquisizione di un “pacchetto clientela”, pretendeva ex post di considerarlo nullo, per la (sopraggiunta) pretesa di contestarne la legittimità.
La Corte di Cassazione, pur nella consapevolezza che l’azienda è altra cosa, visto che l’art. 2555 c.c. la definisce come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, ammette che vi possa essere un “avviamento professionale”, come ricordato nella circolare della Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti del 15 gennaio 2015 (“Evoluzione dello studio professionale in STP”) (“Circolare FNC”).
Per le SPA vige il noto divieto ex ultimo comma dell’art. 2342 c.c.: «Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi».
L’ultimo comma dell’art. 2346 c.c. consente però di emettere strumenti finanziari con diritti patrimoniali e partecipativi a fronte di opere e servizi da parte di soci e di terzi che, come interpretato dall’Agenzia delle entrate (10), «non sottendano una partecipazione al capitale o al patrimonio della società partecipata».
In ambito SRL, invece, è previsto il conferimento di prestazione d’opera o di servizi, per effetto dell’art. 2464 c.c., che lo subordina alla produzione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria a garanzia.
Ovviamente questa non è la sede per approfondire il substrato civilistico di tale previsione.
In dottrina (11) si è giustamente ricordato che oggetto del conferimento non è la garanzia ma la prestazione dell’opera o del servizio: «Gli strumenti della fideiussione e della polizza non prendono il posto del conferimento, ma ne assicurano l’adempimento».
Al proposito, sul fronte tributario si rammenta la risposta ad interpello (12) in tema di conferimento di opere e servizi.
In tale sopra citata risoluzione l’Agenzia delle entrate affermò la piena rilevanza fiscale per il conferente e la conferitaria, con regimi differenziati di concorso alla formazione del reddito, per il conferente, solo con riguardo all’applicazione del regime di cassa o di competenza, a seconda del suo essere professionista o imprenditore.
Sul fronte della conferitaria, fu affermata la piena applicazione del regime di competenza ex art. 109 del TUIR.
Fatte queste premesse, e per tornare al tema specifico della trasmigrazione da “studio professionale” a STP “società commerciale”, e allo specifico della conferitaria SRL, vi possono essere due scenari:
i) quello del conferimento d’opere e servizi, dove il soggetto che di fatto conferisce la propria attività professionale riceve una partecipazione “in cambio” delle prestazioni effettuate post costituzione, che fanno sì che si realizzi la transizione dal vecchio al nuovo;
ii) quello – tutto da esplorare e verificare civilisticamente – dove l’oggetto del conferimento non sia costituito da attività da realizzarsi ex post, bensì sia costituito dalla valorizzazione all’avviamento professionale insito nell’auspicato “automatico” passaggio di clientela.
Per quanto attiene il primo scenario, le risposte stanno nella citata risoluzione n. 35/E/2005.
Nel secondo scenario, quello sub ii), nel presupposto che civilisticamente possa essere data una valorizzazione, di per sé, all’avviamento professionale che si vuole conferire in una STP (13), le cose a mio avviso si complicano quando si deve determinare la fiscalità del conferimento per conferente (lavoratore autonomo) e conferitaria STP “società commerciale”.
Se è pacifico che nel caso sub i) la rilevanza fiscale per il professionista che conferisce i servizi si ha quando il servizio viene fornito e si ha la trasformazione del credito per il servizio fornito in capitale sociale versato, di contro, nel caso sub ii), sempre che civilisticamente sia data rilevanza all’avviamento professionale senza che sia richiesta un’ultrattività del professionista, le cose possono non essere così scontate.
Se è vero, come è vero, che:
i) la cessione di clientela è tassata ex art. 54, comma 1-quater, del TUIR,
ii) e se è vero, come è vero, che in base all’art. 9 del TUIR il conferimento in società è equiparato alla cessione a titolo oneroso … ne dovrebbe discendere che il conferimento che “automaticamente” dovesse comportare l’attribuzione di quote (senza obblighi di successive prestazioni di servizi), a rigore dovrebbe avere effetti fiscalmente rilevanti in capo al soggetto conferente (14).
Fra l’altro, che il conferimento d’azienda sia operazione fiscalmente neutra ex art. 176 del TUIR qui poco rileva, per un duplice ordine di motivi:
a) la neutralità ex art. 176 del TUIR presuppone la qualifica di imprenditore in conferente e conferitaria;
b) a rigore, quel che viene trasferito non è “azienda”.
Di contro, se tale ipotesi fosse corretta, un eventuale avviamento professionale iscritto nell’attivo della conferitaria sarebbe fiscalmente rilevante e quindi le quote del suo ammortamento dovrebbero essere fiscalmente rilevanti e perciò deducibili, diversamente da quanto accade nei conferimenti d’azienda da impresa a impresa (15).
Ancora, se tale ipotesi interpretativa fosse ritenuta corretta, e ove civilisticamente possa essere data attribuzione di valore al mero conferimento della clientela, probabilmente dovrebbe mettersi mano alla legislazione, per far sì che il conferimento della clientela da parte di professionisti non abbia a subire un trattamento più penalizzante rispetto a quello che si ha nel conferimento di aziende commerciali.
Altra fattispecie anch’essa tutta da esplorare è quella della trasformazione eterogenea progressiva ex art. 2500-octies c.c. e della conseguente applicazione del comma 2 dell’art. 171 del TUIR.
Fermi restando tutti gli aspetti da approfondire in campo civilistico, l’eventuale trasformazione da “studio associato” a STP in forma di società di capitali o di società di persone “commerciali”, fa sì che si consideri conferimento «limitatamente ai beni diversi da quelli già compresi nell’azienda o complesso aziendale dell’ente stesso».
Va da sé che nulla a rigore potrebbe essere prima compreso in un’azienda o complesso aziendale, visto che – come prima precisato – il professionista per definizione non è imprenditore.
Quid juris quindi del cosiddetto “avviamento professionale” così come sopra definito dalla citata sentenza della Corte di Cassazione (16), visto che si avrebbe un conferimento (= cessione, ai sensi dell’art. 9 del TUIR) di “un qualcosa” non compreso in un’azienda che per definizione non può esistere?
Dott. Emilio Abruzzese
* Questo articolo è stato oggetto di trattazione nel corso di un convegno organizzato dall’ODCEC di Bologna il 13 aprile 2015.
(1) Cfr. E. ABRUZZESE – A. RICCI, Riflessioni sulla disciplina tributaria delle società tra professionisti ex art. 10, terzo comma, della Legge 12 novembre 2011, n. 183, in Riv. it. rag. econ. aziend., giugno 2014.
(2) Tenutosi l’8 aprile 2014 in Bologna.
(3) Cfr. G. GAVELLI – M. SIRRI, La STP produce reddito d’impresa, in il Sole 24 Ore del 24 maggio 2014; C. DELL’OSTE – C. ODORIZZI, Per le STP tassazione con l’IRES, in il Sole 24 Ore del 6 novembre 2014; S. CERATO, STP, conta il modello societario, in Italia Oggi del 3 novembre 2014; e P.Q.M., Il fisco, il Gattopardo e le società tra professionisti, in il Sole 24 Ore del 19 novembre 2014.
(4) Poi approvato con D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175.
(5) Cfr. circ. 19 settembre 2013, n. 34/IR.
(6) Cfr. G. FERRANTI, Società tra professionisti: rinviata la disciplina normativa per la qualificazione del reddito, in il fisco, 2014, 3814.
(7) Cfr. circ. 13 marzo 2009, n. 8/E, in Boll. Trib., 2009, 453; e ris. 9 luglio 2009, n. 177/E, ibidem, 1534.
(8) O “auspicata” trasmigrazione, se il cliente non fosse d’accordo ….
(9) Cfr. Cass., sez. II, 9 febbraio 2010, n. 2860, in Boll. Trib., 2010, 994, con nota di F. FIORDALISI, Negoziabilità indiretta della clientela professionale: dopo l’intervento normativo in materia tributaria, il riconoscimento della piena legittimità dell’operazione anche sul piano civilistico.
(10) Cfr. circ. 16 giugno 2004, n. 26/E, in Boll. Trib., 2004, 937.
(11) Cfr. S. ALBANESE, Conferimenti di opere e servizi nelle s.r.l. in ambito civilistico e tributario: possibili soluzioni per superare le lacune legislative, in il fisco, 2005, 4512.
(12) Cfr. ris. 16 marzo 2005, n. 35/E, in Boll. Trib., 2005, 1137.
(13) In tale “scenario”, se fosse quindi ammessa civilisticamente una valorizzazione dell’avviamento professionale conferito, non trattandosi di conferimento di opere o servizi, teoricamente non sussisterebbero le preclusioni previste per le S.p.a.
(14) Il condizionale è d’obbligo …
(15) Ovviamente, salva la possibilità di ottenere la rilevanza fiscale mediante pagamento dell’imposta sostitutiva.
(16) Cfr. Cass. n. 2860/2010, cit.