4 Aprile, 2014

 

SOMMARIO: 1. Premessa 2. Il fondo di dotazione della stabile organizzazione e l’ACE – 3. I decrementi del fondo di dotazione ai fini ACE 4. Gli incrementi “di ritorno” del fondo di dotazione.

1. Premessa

 

 A più di un anno e mezzo di distanza dall’entrata in vigore dell’istituto dell’ACE (1), non è ancora stato emanato alcun chiarimento interpretativo da parte dell’Agenzia delle entrate; in relazione alla sua applicazione alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti (2) non è possibile rinvenire alcuno spunto interpretativo nei pronunciamenti ministeriali forniti a suo tempo in materia di DIT. Scopo delle presenti note è allora quello di affrontare alcune questioni interpretative derivanti dall’applicazione dell’ACE alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, dando per acquisita la conoscenza dei lineamenti generali di funzionamento dell’istituto premiale in questione.

2. Il fondo di dotazione della stabile organizzazione e l’ACE

 

 Come noto la stabile organizzazione, pur essendo dotata di autonomia gestionale, funzionale e contabile, non dispone di effettiva e piena autonomia patrimoniale e, soprattutto, appartiene ad un ente (individuale, societario o altro) la cui soggettività ha carattere assorbente rispetto alla stabile organizzazione medesima (3). Nonostante quindi la stabile organizzazione italiana costituisca una mera articolazione territoriale dell’unico soggetto giuridico rappresentato dalla società (o ente) non residente in Italia (4), ciò non di meno dal punto di vista fiscale essa configura un autonomo soggetto passivo IRES, il cui reddito, ai sensi dell’art. 152 del TUIR, è determinato sulla base di apposito conto economico relativo alla sua gestione e basato sulla istituzione di un apposito impianto contabile in Italia, separato da quello che la società non residente possiede nel proprio Paese ancorché con esso coordinato e in esso confluente a mo’ di un corpus di scritture sezionali. Come anticipato al paragrafo precedente, la normativa prevede espressamente che l’ACE trovi applicazione anche alle società non residenti di qualsiasi tipologia, in relazione alle loro stabili organizzazioni in Italia.

 Per quanto riguarda la base di computo dell’ACE, l’art. 2, comma 2, del D.M. 14 marzo 2012 (“Decreto Attuativo”), dispone che assume rilievo «la variazione in aumento del fondo di dotazione rispetto a quello esistente alla data di chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010». Pur in assenza di un’espressa nozione normativa di “fondo di dotazione”, si ritiene comunemente che esso costituisca una sorta di capitale iniziale, e sue successive movimentazioni incrementali o decrementali (in altri termini, una sorta di patrimonio netto) (5), che la società estera attribuisce alla sua stabile organizzazione italiana per consentirle di svolgere la propria attività (6).

 La relazione governativa di accompagnamento al Decreto Attuativo precisa che per le stabili organizzazioni i riferimenti che le norme fanno ai soci o ai partecipanti sono da intendersi come effettuati alla casa madre. La medesima relazione afferma poi che per le stabili organizzazioni «il fondo di dotazione ed i relativi incrementi devono intendersi in ogni caso quelli risultanti dalla dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta da intendersi congrui dal punto di vista fiscale tenendo conto dei principi condivisi in sede internazionale», e che «come qualsiasi impresa indipendente, la stabile organizzazione di un’impresa non residente deve avere un proprio fondo di dotazione che, ai fini fiscali, può essere anche “figurativo”, nel senso che deve essere comunque determinato ai soli fini fiscali, a prescindere dalle risultanze contabili» (7). Detto ultimo riferimento alla determinazione del fondo di dotazione ai soli fini fiscali è da intendersi come un implicito (8) rinvio all’art. 7, paragrafo 2, del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni elaborato dall’OCSE (9), nonché alle linee guida OCSE sul medesimo art. 7 contenute nel “Report on the attribution of profits to permanent establishments” datato 22 luglio 2010 (10).

 

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Dunque, pare potersi intendere che il fondo di dotazione esistente al 31 dicembre 2010 da utilizzare per la determinazione della variazione in aumento rilevante ai fini ACE sia quello risultante dalla contabilità della stabile organizzazione (11), e altresì indicato nel quadro RF (“Prospetto del capitale e delle riserve”) della dichiarazione dei redditi Unico SC della medesima stabile organizzazione, a condizione che tale valore coincida con quello correttamente determinato secondo i principi riconosciuti a livello internazionale dianzi citati (12). In caso contrario, deve invece utilizzarsi il diverso ammontare ricalcolato secondo i medesimi principi fiscali (c.d. fondo di dotazione figurativo) (13). Il fondo di dotazione contabile al 31 dicembre 2010 (14) potrebbe quindi risultare inferiore o superiore rispetto a quello figurativo alla stessa data. Nel primo caso, essendo premiati i soli incrementi rispetto al valore di partenza, quelli realizzati a partire dal 2011 dovrebbero essere sterilizzati fino a concorrenza del fondo di dotazione figurativo; nel secondo caso, non dovrebbero assumere rilevanza le restituzioni alla casa madre degli importi che eccedessero il fondo di dotazione figurativo (15).

 Per quanto riguarda la quantificazione della variazione in aumento del fondo di dotazione, l’espresso riferimento contenuto nella relazione al Decreto Attuativo agli incrementi risultanti dalla dichiarazione dei redditi da intendersi congrui dal punto di vista fiscale tenendo conto dei principi OCSE fa sorgere il dubbio, come sostenuto da taluno (16), che assumano rilievo solo le variazioni che siano fiscalmente congrue secondo l’OCSE, a nulla rilevando invece l’ammontare risultante dalle scritture contabili della stabile organizzazione. In sostanza, secondo questa tesi, a prescindere dagli incrementi contabili del fondo di dotazione bisognerebbe partire dall’incremento rilevato nel patrimonio netto della società estera e attribuirlo pro quota alla stabile organizzazione secondo i medesimi criteri seguiti per determinare il fondo di dotazione iniziale fiscalmente congruo, ossia tenendo conto dei rischi assunti e delle funzioni realmente esercitate dalla stabile organizzazione.

 Una tale interpretazione non pare condivisibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, risulterebbe in contrasto con la finalità dell’ACE che intende premiare le società che rafforzano la loro struttura patrimoniale in Italia. Infatti, se si ritenessero agevolabili solo gli incrementi del fondo di dotazione fiscalmente congrui sulla base dei principi OCSE, si porrebbe un limite alla patrimonializzazione della stabile organizzazione poiché gli eventuali aumenti del fondo di dotazione superiori a quelli da ritenersi congrui non potrebbero risultare agevolabili (17).

 In secondo luogo, la predetta interpretazione non sarebbe coerente con quanto normativamente previsto per le stabili organizzazioni costituite dopo il 31 dicembre 2010. Per queste, infatti, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del Decreto Attuativo, «… si assume come incremento anche il patrimonio di costituzione o il fondo di dotazione, per l’ammontare derivante dai conferimenti in denaro», lasciando così intendere che assumano rilievo tutti gli apporti materialmente effettuati dalla casa madre a prescindere dalla loro congruità fiscale. Dunque, non essendo giustificabile un diverso trattamento tra le stabili organizzazioni preesistenti e quelle costituite dopo il 31 dicembre 2010, pare ragionevole ritenere che la quantificazione delle variazioni del fondo di dotazione debba avvenire in modo analogo per tutte le stabili organizzazioni, e dunque che debbano assumere rilievo non già gli incrementi del fondo di dotazione virtualmente attribuibili alla stabile organizzazione ma quelli realmente eseguiti dalla casa madre (18). Nel medesimo senso depone il fatto che la relazione al Decreto Attuativo precisa che per le stabili organizzazioni il riferimento ai soci deve essere inteso alla casa madre. Tale riferimento sarebbe invece stato operato ai soci della casa madre laddove si fosse attribuito rilievo, anziché all’importo realmente trasferito alla stabile organizzazione dalla casa madre, ai conferimenti eseguiti dai soci di quest’ultima per la loro parte attribuibile alla stabile organizzazione.

 Infine deve essere valutato se per la determinazione della variazione in aumento del fondo di dotazione possano assumere rilievo, oltre agli apporti in denaro effettuati dalla casa madre, anche gli incrementi derivanti dagli utili prodotti dalla stabile organizzazione in Italia, e se sì a quali condizioni. Il dubbio origina dal fatto che l’art. 5 del Decreto Attuativo attribuisce rilievo in generale agli “utili accantonati a riserva” (19), sembrando così subordinare la loro rilevanza all’assunzione di una formale delibera di accantonamento.

 A questo proposito deve farsi menzione di un’opinione negativa espressa sul punto, secondo la quale «gli utili prodotti dalla stabile organizzazione in Italia, confluendo nel bilancio della società madre non residente, non dovrebbero in concreto assumere rilevanza ai fini dell’ACE» (20). In sostanza pare essere stato ritenuto decisivo in senso negativo il fatto che la stabile organizzazione non sia un soggetto giuridico autonomo dalla casa madre e che non abbia autonomia di bilancio, nel senso che il suo utile confluisce in modo indistinto nel bilancio della casa madre senza che possa essere oggetto di una formale deliberazione di destinazione a riserva.

 Tale posizione non sembra potersi condividere, in sé e in rapporto alla finalità dell’ACE. Infatti, la relazione al Decreto Attuativo ben evidenzia che per quanto riguarda l’accantonamento di utili a riserva «la formulazione normativa, in coerenza con la finalità della norma, deve intendersi riferita a tutti gli utili di esercizio che risultano mantenuti nell’economia dell’impresa, a prescindere dall’accantonamento a riserva. Ad esempio, rilevano anche gli utili portati a nuovo o quelli destinati direttamente a copertura di perdite». Ciò si spiega con il fatto che anche nel caso di utili portati a nuovo o utilizzati a copertura di perdite si determina il mantenimento degli utili all’interno dell’impresa, consentendo così il rafforzamento della sua struttura finanziaria. In altre parole, quello che conta è che gli utili siano reinvestiti nell’impresa e non la circostanza che si trovino evidenziati in quanto tali nel bilancio.

 Inoltre, per quanto riguarda la stabile organizzazione in Italia di una società non residente, nessuna norma del codice civile impone di redigere in Italia un bilancio d’esercizio soggetto alla consueta procedura di approvazione prevista per le società di capitali residenti; nondimeno, ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, vi è l’obbligo di istituire in Italia un impianto contabile riferito alla stabile organizzazione e di rilevare distintamente i fatti relativi alla sua gestione (21) al fine di determinare il risultato dell’esercizio da sottoporre a tassazione IRES ai sensi dell’art. 152 del TUIR. Ciò avviene, in sostanza, mediante la redazione di un bilancio della stabile organizzazione, costituito da un conto economico (22) e da uno stato patrimoniale (23), anche se privo di rilevanza esterna (24), tuttavia rispettoso dei medesimi principi di redazione e criteri di valutazione.

 Orbene, se il “bilancio” e le relative scritture contabili della stabile organizzazione evidenziano che l’utile prodotto in Italia attraverso la stabile organizzazione è stato mantenuto nella sua economia, incrementando così la sua consistenza patrimoniale, pur in assenza di un chiarimento sul punto da parte dell’Agenzia delle entrate (25) pare potersi fondatamente ritenere che detto ammontare di utile assuma rilevanza ai fini dell’ACE (26). Ciò, a condizione che non risulti in nessun modo “distribuito” o attribuito alla casa madre. In altre parole, nella misura in cui i conti sezionali dell’attivo e del passivo della stabile organizzazione, una volta chiusi al termine dell’esercizio per confluire nel bilancio della casa madre, siano riaperti il primo giorno dell’esercizio successivo nella medesima consistenza (alias, stesse attività e stesse passività), la misura della posta (ideale) di patrimonio netto della stabile organizzazione rimane giocoforza inalterata, derivandone il mantenimento di tutte le voci che la compongono (fondo di dotazione, utili a nuovo, utile dell’esercizio) all’interno dell’economia della stabile organizzazione (27).

 Tale conclusione è coerente con la finalità dell’ACE che, come ben esplicitato dalla relazione al Decreto Attuativo, intende favorire il rafforzamento patrimoniale delle imprese italiane, premiando l’incremento delle loro dotazioni patrimoniali a prescindere dall’origine esogena (conferimenti) o endogena (destinazione di utili a riserva) di esse.

 Infine, laddove si concludesse in senso negativo, il trattamento della stabile organizzazione risulterebbe deteriore rispetto a quello applicabile qualora la medesima attività fosse svolta in Italia tramite una società di capitali controllata dal medesimo soggetto non residente. Infatti, a parità di condizioni sostanziali, mentre la società di capitali italiana potrebbe indubitabilmente includere nella base ACE l’utile dell’esercizio non distribuito al socio estero, il medesimo utile non sarebbe invece conteggiato nella base ACE della stabile organizzazione. Tale differenza di trattamento violerebbe il principio di non discriminazione delle stabili organizzazioni di società non residenti rispetto alle società residenti contenuto nell’art. 24, paragrafo 3, del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni (28), nonché in ambito comunitario il principio della libertà di stabilimento (art. 43 del Trattato Istitutivo delle Comunità europee, oggi art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) che vieta qualsiasi restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro anche tramite l’apertura di agenzie, succursali o filiali.

3. I decrementi del fondo di dotazione ai fini ACE

 

 Un’ulteriore questione interpretativa attiene alla rilevanza ai fini ACE delle attribuzioni alla casa madre del fondo di dotazione (alias, patrimonio netto) da parte della stabile organizzazione. Più in particolare, ci si chiede se e in quale misura queste attribuzioni riducano la base ACE della stabile organizzazione.

 Al riguardo, deve rilevarsi che ai sensi dell’art. 5, comma 3, del Decreto Attuativo, «rilevano come elementi negativi della variazione del capitale proprio di cui al comma 1 le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci e partecipanti», tenendo conto che, secondo la relazione al Decreto Attuativo, «per le stabili organizzazioni i riferimenti ai soci o ai partecipanti sono da intendersi alla casa madre», e secondo l’art. 1, comma 6, del Decreto Monti, «i decrementi rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si sono verificati».

 Pertanto, in linea di principio (29) la riduzione del fondo di dotazione (alias, patrimonio netto) della stabile organizzazione con attribuzione a favore della casa madre determina un decremento della base ACE fin dall’inizio dell’esercizio in cui avviene. Poiché il Decreto Attuativo letteralmente si riferisce alle attribuzioni a qualsiasi titolo, si deve ritenere che determini riduzione di base ACE ogni genere di attribuzione a casa madre, dunque sia in denaro che in natura. Tale conclusione è coerente con quanto a suo tempo chiarito in materia di DIT (30). Di contro, nessuna riduzione di base ACE dovrebbe prodursi nel caso in cui il decremento del fondo di dotazione sia dovuto a perdite conseguite dalla stabile organizzazione (31).

 Il fatto che la stabile organizzazione non abbia autonomia giuridica rispetto alla casa madre, rappresentando una mera articolazione di quest’ultima, fa sì che, a differenza di quanto avviene nelle società, le riduzioni del fondo di dotazione (così come i suoi incrementi) con attribuzione alla casa madre non trovino corrispondenza in formali deliberazioni assembleari (32). Ciò non di meno, la riduzione del fondo di dotazione (così come il suo incremento esogeno per effetto di ulteriori versamenti della casa madre, o endogeno per effetto del mantenimento dell’utile dell’esercizio nell’economia della stabile organizzazione) può essere verificata e misurata (anche dall’Amministrazione finanziaria) mediante l’esame delle scritture contabili e del “bilancio” della stabile organizzazione. Ne deriva che anche per la stabile organizzazione la variazione (incrementi o decrementi) della base ACE non può che scaturire in primis dalle risultanze contabili (33).

 A supporto di questa tesi, va osservato che l’importanza delle risultanze contabili nel trattamento della stabile organizzazione è stata riconosciuta da tempo a livello internazionale negli ordinamenti che più di altri hanno approfondito il concetto di stabile organizzazione. Ci si riferisce in particolare alla normativa introdotta nell’ordinamento statunitense fin dal 1986 relativa alla cosiddetta branch profit tax (34). Detta imposta (di aliquota pari al 30 per cento) è stata istituita al fine di evitare disparità di trattamento tra la distribuzione di utili effettuata da una società americana al socio estero (per normativa interna soggetta a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta con aliquota pari al 30 per cento) ed una analoga “distribuzione” di utili effettuata dalla stabile organizzazione alla casa madre estera (fino al 1986 non soggetta a tassazione).

 In sintesi la branch profit tax è prelevata in capo alla stabile organizzazione sul Dividend Equivalent Amount (DEA), ossia l’ammontare di utile che si presume “distribuito” alla casa madre. Per calcolare il DEA si parte dal profitto contabile attribuito alla stabile organizzazione (Effectively Connected Earnings and Profits – ECEP), al netto delle imposte pagate da quest’ultima, e lo si diminuisce o lo si incrementa rispettivamente della variazione positiva o negativa del patrimonio netto contabile della stabile organizzazione formato con utili (cioè non formato con apporti della casa madre).

 Esemplificando (35), si ipotizzi che al termine dell’esercizio x il patrimonio netto della branch sia pari a 1.000, che nell’esercizio x+1 il profitto della branch (ECEP) ammonti a 100 e che al termine dell’esercizio x+1 il patrimonio netto risulti pari a 1.100. In tal caso, nell’esercizio x+1 il DEA (base imponibile della branch profit tax) è pari all’ECEP (100) meno l’incremento di patrimonio netto intervenuto tra l’esercizio x e l’esercizio x+1 (100), risultando così pari a zero; nessuna branch profit tax si rende quindi dovuta nell’esercizio x+1.

 Con gli stessi primi due dati (patrimonio netto dell’esercizio x pari a 1.000; ECEP dell’esercizio x+1 pari a 100), si faccia ora il caso che al termine dell’esercizio x+1 il patrimonio netto risulti pari a 1.040. In questo caso, il DEA soggetto a branch profit tax nell’esercizio x+1 è pari a 60 [100 – (1.040 – 1.000)].

 Concettualizzando gli esempi, in considerazione dell’assenza di autonomia giuridica della branch che esclude in radice che si possa fare affidamento su formali delibere di distribuzione, la normativa americana assume come dato di riferimento la movimentazione contabile del patrimonio netto della branch per la sua parte ideale formata con utili. In sostanza il ragionamento (estremamente semplice) è il seguente: se la branch consegue un utile e questo al termine dell’esercizio non si tramuta in un pari incremento di patrimonio netto significa che detto utile non è rimasto all’interno della stabile organizzazione (cioè che non è stato reinvestito nell’economia della stabile organizzazione) e che quindi vi è stata una “distribuzione”, quale che ne sia il titolo, alla casa madre; su tale distribuzione va prelevata la branch profit tax, omologa nella funzione alla ritenuta alla fonte sui dividendi societari.

 Proseguendo ora con l’analisi delle problematiche applicative che possono presentarsi nel caso di attribuzione alla casa madre del fondo di dotazione, ci si chiede come ci si debba comportare nel caso in cui la riduzione del fondo di dotazione intervenga in una situazione in cui il suo valore contabile al 31 dicembre 2010 era superiore al suo valore figurativo (ossia “congruo” ai fini fiscali) e vi sia stato dopo il 2010 un incremento rilevante ai fini ACE.

 In questo caso si ritiene che non assumano rilevanza, dunque non riducono la base ACE, le “distribuzioni” alla casa madre della parte del patrimonio netto della stabile organizzazione che eccede il fondo di dotazione figurativo al 31 ottobre 2010.

 Una conferma della correttezza di tale interpretazione può ricavarsi interrogandosi sul meccanismo applicativo dell’ACE nel caso in cui il valore contabile del fondo di dotazione di una stabile organizzazione, ad esempio al 31 dicembre 2008, fosse stato sovrabbondante rispetto a quello “congruo” ai fini fiscali e fosse stato ridotto, mediante attribuzione alla casa madre, nel corso del 2010 in misura sufficiente a rendere il suo importo coincidente con il valore fiscalmente “congruo” al 31 dicembre 2010. In questo caso l’intero incremento del fondo di dotazione della stabile organizzazione rispetto al valore al 31 dicembre 2010 sarebbe rilevante ai fini ACE. Se è così, non c’è alcuna ragione logico-sistematica per penalizzare, riducendo la base ACE, la stabile organizzazione che operi invece la medesima attribuzione alla casa madre in un momento successivo rispetto alla data di riferimento per il calcolo dell’ACE.

 In altre parole, dal momento che la norma intende favorire gli incrementi del fondo di dotazione (o patrimonio netto) della stabile organizzazione rispetto al suo valore “congruo” al 31 dicembre 2010, fintanto che l’incremento registrato del fondo di dotazione rispetto al suo valore al 31 dicembre 2010, che configura base ACE, resta quantitativamente inalterato, le attribuzioni alla casa madre di altre componenti preesistenti del patrimonio netto eccedenti il predetto valore “congruo” non determinano alcuna riduzione della base ACE. Ne consegue che se il patrimonio netto al 31 dicembre 2010 era sovrabbondante rispetto al valore “congruo” e la sua consistenza contabile è successivamente aumentata (configurando base ACE) per effetto della destinazione a riserva di utili conseguiti a partire dall’esercizio 2010 ovvero per versamenti di denaro incrementali da parte della casa madre, le “distribuzioni” a quest’ultima di parte del patrimonio netto effettuate dopo il 31 dicembre 2010, ad esempio nel 2013, non riducono la base ACE della stabile organizzazione fino a concorrenza della porzione del patrimonio netto sovrabbondante alla data del 31 dicembre 2010, dal momento che l’ammontare di incremento del patrimonio netto rispetto alla sua misura “congrua” al 31 dicembre 2010 rimane inalterato.

 Di contro un’attribuzione di patrimonio netto che ecceda l’ammontare sovrabbondante rispetto al valore “congruo” al 31 dicembre 2010 comporta una riduzione della base ACE di importo corrispondente a tale eccedenza.

 Esemplificando, si assuma che il valore contabile del fondo di dotazione della stabile organizzazione al 31 dicembre 2010 (senza tenere conto dell’utile 2010) sia pari a 1.000 e che il suo valore fiscalmente congruo (fondo figurativo) nel 2010 e negli esercizi successivi sia pari a 300. Si assuma poi che dal 2011 il valore contabile si sia incrementato di 400 (salendo a 1.400) tramite destinazione degli utili a nuovo (generando così una corrispondente base ACE) e che nel 2013 la stabile organizzazione attribuisca alla casa madre una parte del suo patrimonio netto pari a 500.

 Orbene, facendo applicazione della tesi interpretativa dianzi descritta, si ritiene che la “distribuzione” in parola non determini una riduzione della base ACE della stabile organizzazione nel periodo d’imposta 2013 e seguenti. Ciò in quanto l’ammontare “distribuito” (500) trova capienza nell’importo (700 = 1.000 – 300) del fondo di dotazione – al netto dell’incremento 2011 – che al 31 dicembre 2010 e negli esercizi successivi risulti sovrabbondante rispetto al suo valore fiscalmente congruo. Analogamente, eventuali ulteriori “distribuzioni” alla casa madre non riducono la base ACE fino ad esaurimento dell’importo sovrabbondante residuo (200) (36).

4. Gli incrementi “di ritorno” del fondo di dotazione

 

 Se nel paragrafo precedente si è fornita una soluzione alla rilevanza ai fini ACE delle attribuzioni di parte del fondo di dotazione alla casa madre, merita in conclusione interrogarsi, in ambito ACE, sulla possibilità che la attribuzione alla casa madre che non abbia comportato una riduzione della base ACE della stabile organizzazione (residuando un valore contabile del fondo di dotazione non inferiore al valore fiscalmente congruo) sia dalla casa madre successivamente riattribuito (in denaro) alla stabile organizzazione. In questo caso ci si può chiedere se tale riattribuzione possa incrementare la base ACE di quest’ultima.

 Di primo acchito, la circolarità del fenomeno potrebbe indurre ad escludere la rilevanza ACE di tale riattribuzione. Tuttavia, a ben guardare, se la soluzione positiva che si è proposta nel paragrafo precedente all’interrogativo sulla rilevanza delle attribuzioni alla casa madre della parte del fondo di dotazione sovrabbondante rispetto a quello congruo è stata fondata sull’esigenza di assicurare una parità di trattamento tra chi ha ridotto il fondo di dotazione fino a raggiungere l’importo congruo prima della data di riferimento iniziale dell’ACE (31 dicembre 2010) e chi invece lo ha fatto successivamente, allora per coerenza dovrebbe ammettersi che la riattribuzione in parola generi nuova base ACE. Infatti, qualora prima del 2010 l’ammontare sovrabbondante (rispetto al valore congruo) del fondo di dotazione sia stato attribuito alla casa madre sì da raggiungere un valore fiscalmente congruo al 31 dicembre 2010 e, successivamente, un ammontare equivalente di denaro sia stato ritrasferito alla stabile organizzazione quale apporto al fondo di dotazione, non vi è dubbio che da ciò consegua un incremento di base ACE.

 Se, dunque, si può concludere in favore della rilevanza ai fini ACE delle riattribuzioni di denaro alla stabile organizzazione anche in presenza di precedenti “distribuzioni” alla casa madre che non hanno ridotto la base ACE (avendo ad oggetto solamente la quota del fondo di dotazione che risultava sovrabbondante rispetto al valore congruo), resterebbe comunque impregiudicata per l’Amministrazione finanziaria la possibilità di disconoscere il vantaggio tributario, ossia l’aumento di base ACE, facendo applicazione del ben noto principio dell’abuso del diritto. Ciò, beninteso, solo laddove la circolarità della riattribuzione non trovi altra significativa giustificazione che il fine di incrementare la base ACE della stabile organizzazione.

Dott. Eugenio Romita – Avv. Marco Sandoli

 

 

(1) Come noto, ACE è l’acronimo di “Aiuto alla crescita economica”. L’ACE è stata introdotta dall’art. 1 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre, 2011, n. 214, “Decreto Monti”), al fine di promuovere la patrimonializzazione delle imprese italiane favorendo fiscalmente il ricorso al capitale proprio rispetto a quello di terzi, riproducendo meccanismi in parte coincidenti con quelli previsti ai fini della Dual Income Tax (DIT). A sua volta, La DIT è stata introdotta dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466, e successivamente abrogata, a partire dal 2004, dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. La normativa in materia di DIT in origine prevedeva (all’art. 5, comma 5) l’applicazione dell’istituto anche alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti secondo i medesimi meccanismi previsti per gli imprenditori individuali e le società di persone in quanto accomunati dalla carenza di autonomia patrimoniale e dalla scarsa significatività del patrimonio di scopo che caratterizza tali soggetti. Al riguardo, la relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 466/1997 così recita: «… per le imprese individuali e le società di persone non esiste quel pieno dualismo dell’impresa/società rispetto alla persona fisica/socio che caratterizza le società di capitali; il patrimonio netto delle società di capitali ha, infatti, una propria caratterizzazione formale, sia a fini civilistici che fiscali, che manca al patrimonio di scopo delle attività imprenditoriali esercitate nelle forme qui trattate. Il patrimonio netto di questi soggetti, che pure astrattamente esiste, può, infatti, modificarsi di continuo a seguito di prelievi, versamenti diretti o comunque con passaggi non formalizzati rispetto alla sfera personale. Lo stesso avviene, con le dovute differenze, per le stabili organizzazioni in Italia di imprese estere, sprovviste di un capitale nominale ed il cui fondo di dotazione può continuamente modificarsi». Successivamente, con il D.Lgs. 18 gennaio 2000, n. 9, il meccanismo applicabile alle stabili organizzazioni è stato assimilato a quello valevole per le società di capitali residenti al fine, tra l’altro, di prevenire rilievi in tema di discriminazione di trattamento delle stabili organizzazioni rispetto alle società di capitali residenti; in questo senso si pone la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 9/2000 che così recita: «Infine, il successivo numero 4) disciplina il regime delle stabili organizzazioni dei soggetti non residenti, attualmente assimilate alle persone fisiche e alle società di persone. Stante il principio di delega che limita alle sole persone fisiche e società di persone l’adozione del patrimonio netto come parametro di riferimento della DIT; data altresì l’inopportunità di mantenere un regime specifico per le sole stabili organizzazioni, che tra l’altro si potrebbe prestare a rilievi di trattamento discriminatorio; considerata infine l’inopportunità di divaricare il regime delle stabili organizzazioni rispetto a quello delle società controllate da soggetti esteri, si è stabilito che alle predette stabili organizzazioni sia applicabile il regime previsto per le società di capitali». Per una trattazione generale sulla DIT si veda, per tutti, T. Di Tanno, La Dual Income Tax, gli incentivi fiscali alla capitalizzazione delle imprese: D.Lgs. 18 dicembre 1997, Milano, 1998; ID., La dual income tax – Problemi e prospettive, in Boll. Trib., 1997, 823; R. Lizzul, Prime considerazioni sulla dual income tax, ibidem, 671; C. Cappelluti, Dual income tax: commento al D.lgs. 466/97, ivi, 1998, 898; M.C. Di Giandomenico, La dual income tax e le norme antielusive, ivi, 1999, 1349; e P. Franzoni, Dual income tax (DIT) – Opinabilità dell’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria in merito all’applicazione delle disposizioni antielusive dopo il 30 giugno 2001, ivi, 2005, 1700; per una disamina delle principali questioni interpretative relative all’applicazione della DIT alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti ved. C. Sacchetto E. Biffi, Dual income tax e riforma del credito d’imposta: effetti e problematiche per società e soggetti non residenti e soci residenti con partecipazioni all’estero, in Boll. Trib., 1997, 1509; e R. Michelutti, Note in tema di dual income tax e stabile organizzazione di soggetti non residenti, in Riv. dir. trib., 1998, IV, 249 ss.

 (2) L’applicazione dell’ACE alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti è prevista dagli artt. 1, comma 1, del D.L. n. 201/2011, e 2 del D.M. 14 marzo 2012.

 (3) Per approfondimenti sulla nozione di stabile organizzazione si vedano, tra molti, A. Lovisolo, Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale contro la doppia imposizione, in Dir. prat. trib., 1983, I, 1227 ss.; ID., La stabile organizzazione, in AA.VV., Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 1999, 233 ss.; F. Lizzul, la stabile organizzazione nel modello ocse, in Boll. Trib., 1988, 1084; G. Tardella, Stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 1998, I, 371 ss.; R. Lupi, Diritto tributario. Parte speciale, Milano, 1998, 164; S. Mayr, Società estera con stabile organizzazione in Italia e con partecipazioni in società italiane, in Boll. Trib., 2000, 731; D. Stevanato, L’impresa multinazionale, in AA.VV., Il diritto tributario nei rapporti internazionali, in Il Sole 24 Ore, 2003, 217 ss.; S. Mayr, Riforma Tremonti: le società commerciali non residenti con o senza stabile organizzazione in Italia, in Boll. Trib., 2003, 1221; ID., Riforma Tremonti: La definizione di stabile organizzazione, ibidem, 1290; e P. Marongiu, Il concetto di stabile organizzazione nel nuovo TUIR, ivi, 2006, 13.

 (4) In questo senso, si veda, per tutte, ris. 30 marzo 2006, n. 44/E, in Boll. Trib., 2006, 594, in cui si legge: «… sotto il profilo giuridico la stabile organizzazione non è un’entità autonoma e distinta rispetto alla casa madre della quale costituisce una mera diramazione amministrativa,ma dal punto di vista fiscale è considerata un’entità separata, sia dall’ordinamento nazionale, sia, in sede OCSE, dall’art. 7 del Modello di Convenzione».

 (5) Il fatto che per le stabili organizzazioni la nozione di fondo di dotazione coincida con il patrimonio netto contabile è stato confermato dall’Agenzia delle entrate nella ris. n. 44/E/2006, cit.

 (6) Cfr. Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo, circ. 26 aprile 2012, n. 3; e L. Cacciapaglia F. Siriani, L’agevolazione Visco, in allegato il fisco, 24 aprile 2000, n. 17.

 (7) Tale ultima affermazione riproduce sostanzialmente quanto chiarito da ris. n. 44/E/2006, cit., in tema di applicazione della thin-capitalization rule (art. 98 del TUIR vigente ratione temporis) alle stabili organizzazioni in Italia di società non residenti. In quella occasione l’Agenzia delle entrate ha affermato che «Come precisato dal Commentario OCSE all’art. 7 del Modello di Convenzione (cfr. paragrafo 18.3),è necessario che la stabile organizzazione sia dotata ‘di una struttura patrimoniale appropriata sia per l’impresa sia per le funzioni che esercita.come qualsiasi impresa indipendente, la stabile organizzazione di un’impresa non residente deve avere un proprio fondo di dotazione che, ai fini fiscali, può essere anche “figurativo”. In altre parole, qualora non risulti dal suo bilancio, il fondo di dotazione deve essere determinato ai soli fini fiscali.la determinazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione che possa ritenersi congruo dal punto di vista fiscale è questione di fatto che richiede un’analisi dettagliata delle singole fattispecie e che deve essere affrontata tenendo conto di principi condivisi in sede internazionale. La dotazione patrimoniale della stabile organizzazione può essere determinata, tenuto conto del grado di capitalizzazione della società nel suo complesso, in funzione, ad esempio, delle attività esercitate dalla stabile organizzazione, degli asset materiali e immateriali di cui dispone per le proprie funzioni e dei rischi da essa assunti».

 (8) In questo senso depone il fatto che un espresso rinvio all’art. 7 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni elaborato dall’OCSE e ai “principi condivisi in sede internazionale” è contenuto anche nella ris. n. 44/E/2006, cit., la quale, con ogni evidenza, ha rappresentato il modello che ha ispirato il redattore della relazione al Decreto Monti. In senso analogo si esprimono Assonime circ. 7 giugno 2012, n. 17; ABI circ. 26 giugno 2012, n. 8; e il Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo circ. 26 aprile 2012, n. 3.

 (9) Secondo cui «quando un’impresa di uno Stato contraente svolge un’attività industriale o commerciale nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata svolgente attività identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione».

 (10) Tale documento si occupa dettagliatamente della individuazione del reddito attribuibile (dunque tassabile in capo) alla stabile organizzazione sulla base dell’analisi delle funzioni realmente esercitate da quest’ultima, nonché del patrimonio netto figurativo della stabile organizzazione. A questo fine, il rapporto prevede l’attribuzione alla stabile organizzazione di asset, rischi e di un ammontare di mezzi propri (free capital) pari a quelli normalmente necessari per lo svolgimento delle medesime funzioni da parte di un’impresa indipendente dal soggetto non residente.

 (11) Ai sensi dell’art. 14, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973, «Le società, gli enti e gli imprenditori di cui al primo comma che esercitano attività commerciali all’estero mediante stabili organizzazioni e quelli non residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni, devono rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’ esercizio relativi a ciascuna di esse».

 (12) La quantificazione del fondo di dotazione figurativo ha originato un significativo contenzioso con l’Agenzia delle entrate in relazione alle stabili organizzazioni in Italia di banche estere, avente ad oggetto in particolare la riqualificazione (operata dall’Agenzia delle entrate) dei finanziamenti interni erogati dalla casa madre in fondo di dotazione della stabile organizzazione, con conseguente indeducibilità dei relativi interessi passivi. Per una disamina della questione si veda D. Avolio G. Fort, Stabili organizzazioni di banche estere: “fondo di dotazione figurativo” per dedurre interessi passivi, in Corr. trib., 2012, 2015 ss.

 (13) Il fatto che si debba assumere il fondo di dotazione figurativo non solo nel caso in cui questo sia inferiore a quello contabile ma anche quando sia superiore dovrebbe consentire di superare la questione di diritto comunitario della proporzionalità della restrizione alla libertà di stabilimento che altrimenti si porrebbe in relazione al trattamento della stabile organizzazione rispetto a quello della società controllata residente. Cfr. R. Michelutti, Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta: stabili organizzazioni, liquidazione volontaria e DTA Irap, in Corr. trib., 2012, 3414 ss.

 (14) Che include sia la dotazione iniziale di mezzi propri sia le movimentazioni successive in aumento (ad esempio, utili a nuovo) che in diminuzione (ad esempio, attribuzioni alla casa madre).

 (15) Tale ipotesi sarà meglio approfondita infra.

 (16) Cfr. circ. Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo, 2012, n. 3.

 (17)Tale critica è contenuta nella circ. ABI n. 8/2012, cit., ed è condivisa in dottrina da A. Catona G. Massa J. Tung, ACE e stabili organizzazioni italiane di banche estere, in Amm. e finanza, 2012, 6 ss.

 (18) Cfr. circ. Assonime n. 17/2012, cit., 84; e R. Michelutti, Trasformazione delle DTA, cit.

 (19) O, come sarebbe più appropriato dire, agli utili destinati a riserva.

 (20) Così circ. Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo n. 3/2012.

 (21) A questo fine, pur in assenza di una norma civilistica che imponga una specifica impostazione contabile o la tenuta di libri sociali, la rilevazione dei fatti gestionali è di regola operata tramite la tenuta in Italia dei libri contabili prescritti per le società e gli imprenditori residenti (libro giornale, libro degli inventari, registri IVA, scritture ausiliarie e scritture ausiliarie di magazzino).

 (22) La redazione del conto economico è prescritta in modo espresso dall’art. 152, comma 1, del TUIR.

 (23) La redazione dello stato patrimoniale della stabile organizzazione, oltre che risultare comunque necessaria per effetto della parziale dipendenza del conto economico dallo stato patrimoniale (ad esempio, per le quote di ammortamento), è altresì prescritta dall’art. 5, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui «le società e gli enti indicati alla lettera d) del comma 1, dell’art. 73 [del TUIR, dunque anche le società non residenti, ndr] devono conservare il bilancio relativo alle attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni». Il riferimento al “bilancio” impone pertanto la redazione di una situazione patrimoniale a corredo del conto economico richiesto dall’art. 152 del TUIR. Inoltre, nelle istruzioni al modello Unico SC 2012 e al modello Unico SC 2013 è previsto che «il conto economico relativo alla gestione della stabile organizzazione e alle eventuali altre attività produttive di redditi imponibili svolte in Italia, corredato della situazione patrimoniale, e il bilancio o rendiconto generale della società o ente dovranno essere esibiti su richiesta dell’ufficio finanziario territorialmente competente».

 (24) In Italia è previsto il solo obbligo di deposito al registro delle imprese del bilancio della casa madre estera in quanto è solo quest’ultimo che rappresenta la consistenza effettiva del patrimonio potenzialmente aggredibile dai creditori. La disciplina regolamentare del settore bancario (circ. Banca d’Italia 22 dicembre 2005, n. 262, cap. 4) richiede invece per le succursali in Italia di banche extra-UE (eccetto quelle localizzate in Stati che hanno stipulato accordi di reciprocità basati sulla verifica della condizione di conformità o di equivalenza dei bilanci delle banche medesime con la normativa contabile prevista dalla Direttiva 86/635/CE o dai principi contabili internazionali adottati a livello europeo), oltre alla pubblicazione del bilancio d’esercizio e, ove redatto, del bilancio consolidato della propria casa madre (compilati secondo le modalità previste dalla legislazione del Paese estero), anche la pubblicazione di «informazioni supplementari riguardanti l’attività delle succursali stesse e consistenti in uno stato patrimoniale, in un conto economico, nel prospetto della redditività complessiva, nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto e nel rendiconto finanziario redatti secondo gli schemi e i criteri indicati nella presente circolare», rinviando quindi ai criteri contabili dettati per i bilanci delle banche. Analoghi obblighi informativi sono previsti dal provvedimento di Banca d’Italia 13 marzo 2012 per gli intermediari finanziari disciplinati dal TUB.

 (25) Nessuno spunto interpretativo utile è rinvenibile nemmeno nei passati pronunciamenti dell’Agenzia delle entrate in materia di DIT che, come già indicato, costituisce il modello cui il legislatore ha guardato nell’ideazione dell’ACE.

 (26) In questo senso circ. Assonime n. 17/2012, cit., 85.

 (27) Al fine di supportare, oltre che contabilmente, anche in maniera documentale il mantenimento dell’utile nel fondo di dotazione (alias, patrimonio netto) della stabile organizzazione, potrebbe istituirsi il libro delle deliberazioni dell’organo gestorio della stabile organizzazione. Ciò, beninteso, non costituisce un obbligo né un onere.

 (28) L’art. 24, par. 3, del modello OCSE, dispone: «The taxation on a permanent estabilishment which an enterprise of a Contracting State has in the other Contracting State shall not be less favourably levied in that other State than the taxation levied on enterprises of that other State carrying on the same activities».

 (29) Ossia nel caso in cui il valore contabile del fondo di dotazione al 31 dicembre 2010 fosse coincidente con il suo valore fiscalmente “congruo”.

 (30) Cfr. circ. 6 marzo 1998, n. 76/E, par. 4.3, in Boll. Trib., 1998, 521. In senso analogo, circ. Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo n. 3/2012 cit.

 (31) In questo senso milita quanto precisato nella relazione al Decreto Attuativo in cui si legge: «Non rilevano come decremento le riduzioni del patrimonio derivanti da perdite poiché per le stesse non si è in presenza di un atto volontario di devoluzione ai soci».

 (32) Come menzionato nella nota 27, è comunque possibile, ma non obbligatorio, far risultare la movimentazione del fondo di dotazione della stabile organizzazione da un apposito verbale del suo organo gestorio.

 (33) Tale affermazione non deve essere fraintesa. Infatti, come già precisato, la prima quantificazione della base ACE, intesa come incremento del fondo di dotazione rispetto al dato al 31 dicembre 2010, è operata sulla base del dato contabile solo a condizione che tale valore coincida con quello determinato secondo i principi riconosciuti a livello internazionale (c.d. fondo di dotazione figurativo). In sostanza, qualora il valore contabile e quello figurativo non coincidano, si assume l’importo figurativo. Di contro, nonostante la relazione al Decreto Attuativo pare esprimersi diversamente, si ritiene – come argomentato più sopra nel testo – che le variazioni della base ACE debbano essere determinate unicamente sulla base delle risultanze contabili della stabile organizzazione.

 (34) Contenuta nella section 884 dell’Internal Revenue Code.

 (35) Gli esempi sono tratti dalla medesima section 884 dell’Internal Revenue Code statunitense.

 (36) Tale conclusione vale a prescindere dalla componente del fondo di dotazione che è oggetto di “distribuzione”, perché ciò che conta è che rimanga quantitativamente inalterato l’incremento del patrimonio netto rilevante ai fini ACE.

 

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