Da nord a sud stiamo assistendo ad un vero e proprio sussulto da parte delle Commissioni tributarie provinciali italiane che, seguendo le linee guida dettate dalla Corte Costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247 (1), non vogliono essere spogliate del potere di compiere quella, tanto temuta dall’Ufficio finanziario, “valutazione postuma” sull’esistenza delle condizioni legittimanti il raddoppio dei termini per accertamento previsto dagli artt. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Molto spesso accade che l’Agenzia delle entrate, pur avvalendosi della normativa sul raddoppio dei termini di accertamento, non produce in giudizio la copia della denuncia penale inoltrata all’Autorità giudiziaria.
Tale comportamento impedisce al giudice tributario, investito del relativo potere proprio in virtù dell’interpretazione fornita dalla Consulta nella citata sentenza n. 247/2011, di compiere quella c.d. “prognosi postuma” circa la reale esistenza (valutata ora per allora) delle condizioni legittimanti il raddoppio dei termini di accertamento (2).
Su tale specifico profilo si inserisce l’annotata sentenza che, in una vicenda relativa a false fatturazioni, accogliendo l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa della parte ricorrente, ha annullato integralmente gli avvisi di accertamento nella considerazione «che l’ufficio non producendo la denuncia non abbia provato la sussistenza dei presupposti di obbligo delle condizioni che legittimano il raddoppio dei termini di accertamento» uniformandosi, in tal modo, all’orientamento prevalente ormai consolidato (3).
La sentenza si segnala per un altro aspetto di rilievo messo a fuoco dai giudici calabresi che, attenti alle ultime pronunce della Corte di Giustizia europea, ed entrando nel merito della vicenda delle false fatturazioni, hanno censurato il comportamento dell’Ufficio affermando che «la ricorrente con la sua produzione documentale ha anche dimostrato che la … s.r.l. era regolarmente iscritta alla Camera di Commercio e presentava bilanci annuali, fatto, questo, che non poteva far sorgere nella ricorrente dubbi circa la reale consistenza ed operatività della … s.r.l.».
Degno di nota, quindi, anche quest’altro capo della sentenza dove la Commissione territoriale affrontando seriamente il delicato problema della falsa fatturazione – su cui di recente è intervenuto il legislatore modificandone radicalmente il trattamento sanzionatorio con l’art. 8, secondo e terzo comma, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) – ha condiviso gli orientamenti espressi sul tema dalla Corte di Giustizia europea. I giudici comunitari, già a partire dal 2006 (4), hanno ritenuto che «spetta all’Amministrazione fiscale dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di fornitura» (5); hanno, inoltre, affermato che l’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a sostenere la pretesa fittizietà (oggettiva o soggettiva) della prestazione, ma deve provare la conoscenza della frode altrui anche da parte del committente/cessionario.
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Detti principi sono stati recentemente confermati dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagébet-David (6). I giudici comunitari hanno affermato (punti 49 e 50) che «spetta all’Amministrazione fiscale dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di fornitura», e che le disposizioni comunitarie «devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una prassi nazionale in base alla quale l’Amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente».
Dott. Gianluca Corso
(1) In Boll. Trib., 2011, 1489, con nota di F. Brighenti, Corte Costituzionale: salvo (con riserva) il raddoppio dei termini di accertamento. In dottrina, sulle criticità insorte sulla norma sul raddoppio dei termini per l’accertamento, senza pretesa di esaustività cfr. M. Tortorelli, Il raddoppio dei termini per l’accertamento, l’accertamento parziale e il diritto alla detrazione dell’IVA, in nota a Comm. trib. prov. di Latina, sez. III, 3 maggio 2012, n. 107, in Boll. Trib., 2012, 1341; F. Brighenti, Anche la Corte di Cassazione a favore del raddoppio dei termini, in nota a Cass., sez. III pen., 30 novembre 2010, n. 42462, ibidem, 315; S. La Rocca, I termini di accertamento in presenza di fattispecie a rilevanza penale, ibidem, 9; e G. Verna, La violazione tributaria con rilevanza penale quale presupposto per il raddoppio dei termini di accertamento, ivi, 2011, 1669.
(2) Cfr. Comm. trib. prov. di Lecco, sez. I, 28 maggio 2012, n. 61, in Boll. Trib., 2012, 1639.
(3) Nello stesso senso si vedano anche Comm. trib. prov. di Milano, sez. III, 12 dicembre 2011, n. 372, in Boll. Trib. On-line; Comm. trib. prov. di Brescia, sez. XVI, 10 aprile 2012, n. 40, in Boll. Trib., 2012, 1195; e Comm. trib. prov. di Lecco, sez. I, 19 giugno 2012, n. 74, in Boll. Trib. On-line. Si veda altresì Comm. trib. prov. di Ancona, sez. II, 22 maggio 2013, n. 152, in Boll. Trib., 2013, 1494, nell’ipotesi in cui la denuncia penale sia stata inoltrata successivamente alla scadenza degli ordinari termini per l’accertamento, cosicché il raddoppio dei termini non avrebbe potuto essere legittimamente invocato.
(4) Cfr. Corte Giust. UE 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen; Corte Giust. UE 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries; e Corte Giust. UE 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel; tutte in Boll. Trib. On-line. In dottrina si rinvia a M. Rossi, L’onere della prova nelle frodi carosello, in Boll. Trib., 2013, 1638; F. Cerioni, L’onere di conoscenza del soggetto passivo nel sistema dell’IVA europea e i suoi limiti secondo la Corte di Giustizia, ibidem, 1397; ID., La Corte di Giustizia UE sancisce l’indetraibilità dell’IVA da parte del fittizio cessionario nelle operazioni inesistenti, in nota a Corte Giust. UE 31 gennaio 2013, causa C-642/11, ibidem, 1368; ID., L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione, in nota a Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167; Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9107; Cass., sez. trib., 23 settembre 2011, n. 19530; Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, ord. n. 608; Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867; Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943; e Cass., sez. trib., 11 giugno 2008, n. 15395, ibidem, 233; ID., “Frodi carosello’’ senza detrazione dell’IVA per le operazioni soggettivamente inesistenti, in nota a Cass., sez. trib., 26 febbraio 2010, n. 4750, ivi, 2010, 1077; ID., Ancora sull’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti, in nota a Cass., sez. trib., 1° settembre 2009, ord. n. 19078, ibidem, 804; C. Cipollini, L’indebita detrazione IVA di fatture per operazioni inesistenti, in nota a Cass., sez. trib., 23 marzo 2007, n. 7144, ivi, 2008, 344; L. Rosa, Indetraibilità dell’IVA relativa ad operazioni inesistenti, in nota a Cass., sez. trib., 7 ottobre 2002, n. 14337, ivi, 2003, 791.
(5) Così Corte Giust. UE cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 2006, Axel Kittel, cit.
(6) In Boll. Trib. On-line.
Procedimento – Notificazione dell’atto impositivo – Notifica eseguita nella sede effettiva della società anziché nella sede legale – Validità – Proposizione di tempestivo ricorso della società – Costituisce un ulteriore elemento di convalida della notificazione.
Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Durata della permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente oltre il termine di 30 giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Costituisce una mera irregolarità – Inutilizzabilità del processo verbale di constatazione – Non si configura – Nullità dell’accertamento – Esclusione.
Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Termini – Raddoppio dei termini di accertamento previsto dagli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972, in presenza di violazioni comportanti obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. – Obbligo dell’Ufficio finanziario di produrre in giudizio la denuncia penale – Sussiste – Omessa produzione – Mancata prova dei presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento – Invalidità dell’accertamento – Consegue.
Non è inesistente la notificazione dell’atto impositivo non eseguita nel domicilio fiscale ove è stabilita la sede legale della società, poiché a norma dell’art. 46 c.c. i terzi, quando la sede effettiva è diversa da quella legale, possono considerare come sede della persona giuridica la sede effettiva, fermo restando che non può comunque ritenersi inesistente la notificazione eseguita in luogo diverso dalla sede legale che abbia raggiunto lo scopo di far conoscere al soggetto interessato la pretesa dell’Ufficio finanziario, garantendogli così l’esercizio del diritto di difesa.
Non sono affetti da nullità gli avvisi di accertamento emanati a seguito di verifiche fiscali effettuate dalla Guardia di finanza che siano perdurate oltre il termine di trenta giorni di cui all’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto in mancanza di una specifica sanzione di nullità comminata dal legislatore detto superamento si sostanzia in una irregolarità e non comporta, di per sé, l’inutilizzabilità del processo verbale di constatazione da cui conseguirebbe la nullità degli atti ad esso conseguenti.
Il fatto che non sia stata prodotta in giudizio, da parte dell’Ufficio finanziario, la copia della denunzia penale al fine di consentire al giudice tributario, indipendentemente dall’accertamento del reato ipotizzato, il controllo della ricorrenza dei presupposti di obbligo della denunzia penale, che viene in essere quando il pubblico ufficiale individui con certezza gli elementi del reato da denunziare e non abbia soltanto il generico sospetto di trovarsi in presenza di un’eventuale attività illecita, comporta che l’Ufficio medesimo non abbia provato la sussistenza dei presupposti che legittimano il raddoppio dei termini di accertamento, con conseguente invalidità dell’accertamento stesso.
[Commissione trib. provinciale di Catanzaro, sez. II (Pres. Gariani, rel. Sgotto), 27 novembre 2012, sent. n. 515]
OGGETTO DELLA DOMANDA E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La società srl, in persona del l.r.p.t. rappresentata e difesa dal dr. G.C., impugnava l’avviso di accertamento n. …, avente ad oggetto IRPEG IVA IRAP, interessi e sanzioni anno d’imposta 2005, emesso dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Catanzaro che, sulla scorta di un p.v.c. della G. di F. ed avvalendosi della normativa che prevede il raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento in presenza di reati tributari:
1) aveva ripreso a tassazione in capo ad essa società costi per € 458.377,00, di cui: – costi per € 352,000 derivanti fatture per operazioni asseritamene inesistenti; – costi per € 9.220 per indebita detrazione costi carburante; – costi vari non di competenza per € 1.716; – costi già dedotti in anni precedenti per € 88.008;
2) aveva inoltre recuperato IVA per € 53.963 di cui: – € 47.900 sulle fatturazioni asseritamente false; – 4.166 sulla fattura n. 8; – € 49 sulla fattura 428/2004; – € 1.846 su schede carburante prive di indicazione.
Lamentava che a seguito di un precedente rinvio, e a ridosso della scadenza dei termini per la definizione dell’istanza di accertamento con adesione, il funzionario incaricato, senza sostanzialmente esaminare la memoria presentata, dopo pochi minuti chiudeva il verbale scrivendo “l’ufficio valutate le memorie, esibite dalla parte, non ritenendo fondate le argomentazioni difensive conferma le risultanze dell’avviso di accertamento”.
Chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato e la condanna dell’Ufficio alla restituzione, con interessi e rivalutazione, di quanto, nelle more, eventualmente fosse stata costretta a versare; con vittoria di spese, da distrarre e con ulteriore condanna dell’Ufficio ex art. 96 cpc. Tanto, eccependo:
A) in via pregiudiziale
– inesistenza della notifica dal momento che l’atto non era stato notificato nella sede legale della società;
– inesistenza delle condizioni per il raddoppio del termine, e conseguente decadenza dell’Ufficio stante l’irretroattività della norma, introdotta dall’art 37, co. 25, D.L. 223/2006, che ha modificato l’art. 57 del DPR n. 633/72, ed il fatto che la denuncia penale era intervenuta successivamente alla scadenza del termine utile ai fini dell’accertamento;
– violazione dell’art. 12, co. 5, L. 212/2000 stante il perdurare della verifica operata dalla G. di F. oltre il termine di trenta giorni fissato dalla legge;
- violazione dell’art. 7, co. 1, L. 212/2000 stante l’omessa allegazione dell’ano richiamato e cioè del pvc redatto a carico della … srl;
– violazione dell’art. 10, co. 1, L. 212/2000, stante il comportamento tenuto dall’Ufficio a seguito della presentazione della domanda di adesione in violazione dei principi di buona fede, collaborazione, correttezza ed affidamento.
B) nel merito:
– che le operazioni con la … srl, asseritamente inesistenti, erano regolarmente documentate da contratti e fatture con l’indicazione dei cantieri e dalla regolare registrazione delle fatture da parte di essa ricorrente nonché dai pagamenti effettuati quasi totalmente tramite banca;
- che da indagini effettuate risultava che la … srl aveva intrattenuto rapporti commerciali anche con enti pubblici e con gestori telefonici di rilievo nazionale, e che, comunque secondo la G. di F. l’amministratore della … srl aveva occultato o distrutto o non annotato le fatture relative ai rapporti con essa ricorrente;
- che il comportamento penalmente rilevante imputato al rappresentante della … srl non poteva riflettersi automaticamente su essa ricorrente che non traeva nessun vantaggio dalle omissioni di questi;
- che le indagini effettuate, avevano evidenziato che tutti i pagamenti relativi all’anno 2005 in questione erano stati eseguiti tramite banca e che non erano stati evidenziati ritorni di denaro;
- che ai fini della verifica dell’esecuzione dei lavori non erano state effettuate le pur possibili verifiche accertando presso la Caserma … o presso l’Aeroporto Militare …, i nominativi degli operai della … che avevano partecipato ai lavori;
- che diversamente da quanto ritenuto dai militari operanti, la … non registrando fatture, otteneva vantaggi fiscali non assoggettandosi al versamento IVA IRES ed IRAP;
- che, contraddittoriamente, i militari, nel pvc avevano sostenuto che nella contabilità della … non vi erano fatture emesse nei confronti della … in quanto per l’anno 2004 erano state regolarmente indicate diverse fatture per complessi € 143.600;
- che per il fatto stesso che la … aveva effettuato lavori per Enti pubblici, doveva considerarsi soggetto affidabile e che le irregolarità fiscali compiute dalla … non potevano ricadere a carico di essa ricorrente che si era invece attenuta alle regole, registrando le fatture e detraendo l’IVA corrispondente;
- che a termini dell’art. 39 DPR n. 600/73 e dell’art. 54 DPR n. 633/72, gli uffici possono procedere a rettifica solo quando siano in presenza di elementi certi e diretti che dimostrano la falsità degli elementi indicati nella dichiarazione, e non quando siano in presenza di elementi presuntivi desunti da verbali relativi ad ispezioni effettuate presso terzi;
- che la dichiarazione rilasciata dall’amministratore della … ai verbalizzanti, relativa ai lavori effettuati presso la Caserma …, avvalorava l’assunto che tra le parti vi fossero stati rapporti commerciali invece che costituirne un elemento di debolezza;
- che le altre risposte date dall’amministratore della … ai verbalizzanti rendevano evidente l’evasione fiscale posta in essere da questi;
– che i minuziosi controlli effettuati dai militari, mirati ad accertare irregolarità nei contratti relativi al periodo dal 2005 al 15.6.2010, stipulati con enti pubblici e nei quali essa ricorrente aveva dato in subappalto opere alla …, necessariamente non potevano individuare appalti con Enti pubblici dal momento che l’ultimo di essi era cessato l’1.1.2005;
- che pertanto non sussistevano i presupposti dell’accertamento, per come dimostrava confermato anche dalle perquisizioni, con esito negativo, eseguite dai militari presso le abitazioni dell’amministratore e dei soci;
- che in relazione al recupero a tassazione dei costi portati dalle schede carburanti, la G. di F., aveva allegato solo cinque schede per un totale di € 1.445,83 oltre IVA e che pertanto, restringendo il campo d’indagine alle schede allegate, poiché su di esse era segnato il mese in cui era stato effettuato il prelievo, risultava inesatto il rilievo dei verbalizzanti i quali avevano scritto che le schede erano tutte prive della data di effettuazione del prelievo; tanto, senza considerare che attraverso l’esame delle indicazioni relative ai chilometri percorsi, segnati sulle schede relative ai vari mesi, sarebbe stato ben possibile verificare la veridicità degli acquisti; in ogni caso, l’eventuale indetraibilità dell’IVA non poteva avere riflessi sulla deducibilità del costo stante la disciplina dell’art. 109 TUIR;
– che restavano incomprensibili i recuperi operati dall’Ufficio, rispettivamente esposti a pag. 4 dell’atto impugnato (€ 347.833 invece di € 352.851); a pag. 6, € 1.060 a titolo di maggiore imposta accertata; a pag. 4, € 98,944, per le ragioni di cui alle pagine 62, 71, 74 e segg. del pvc, nelle quali, tuttavia non era contenuto alcun riferimento diretto alla ripresa;
– che dette osservazioni si riflettevano anche sui recuperi IVA ed IRAP, con la precisazione che il raddoppio dei termini per l’accertamento non era stato esteso dal legislatore anche all’IRAP e che, peraltro, per il recupero IRAP non erano state offerte motivazioni;
– che le sanzioni irrogate erano anch’esse illegittime sia perché prive di motivazione, sia perché, avendo esso Ufficio irrogato sanzioni in altro accertamento (n. …, all’anno 2004), non aveva tenuto conto dell’istituto della continuazione di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 472/1997;
- che l’istituto del raddoppio del termine era costituzionalmente illegittimo (ricorso n. 1747/11 R.G.R.).
Si costituiva l’Agenzia delle entrate di Catanzaro e deduceva l’infondatezza dell’eccezione di inesistenza della notifica, delle condizioni per il raddoppio del termine, e, di decadenza del potere di accertamento; eccepiva l’infondatezza delle lamentate violazioni dello statuto del contribuente in ordine alla durata dell’indagine della G. di F.; all’inutilizzabilità della documentazione reperita presso terzi; ai principi di collaborazione e buona fede; nel merito si soffermava sul riconosciuto valore probatorio dei numerosi e concordanti indizi raccolti in sede di indagine in ordine alla inesistenza delle operazioni intercorse con la società … srl, e contestava che, nella fattispecie, l’onere della prova ricadeva sul contribuente; insisteva infine sulla non inerenza e sulla insufficiente giustificazione dei costi portati in deduzione nonché sulla mancanza di giustificazione dei costi già dedotti in anni precedenti.
Produceva documentazione e chiedeva il rigetto del ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese.
Con altri due ricorsi, la stessa Società impugnava gli avvisi di accertamento n. … anno d’imposta 2003 (ricorso n. 2011 R.G.R.), e n. … (ricorso n. …/2011 R.G.R.), emessi per IRPEG IRAP ed IVA, interessi e sanzioni, dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Catanzaro, sulla scorta del predetto p.v.c. della G. di F., avvalendosi della citata normativa che prevede il raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento in presenza di reati tributari.
L’Ufficio recuperava a tassazione, con l’avviso di accertamento anno 2003, costi per € 594.827 asseritamente derivanti da fatturazione di operazioni inesistenti intercorse con la … srl., e con l’avviso di accertamento anno 2004, costi per € 541.750 asseritamente derivanti da fatturazione di operazioni inesistenti intercorse anch’esse con la … srl, e con …
La Ricorrente, col ricorso per l’anno d’imposta 2003, proponeva le stesse eccezioni proposte in via pregiudiziale col ricorso per l’anno d’imposta 2005, e, nel merito insisteva nell’affermare di avere agito sempre nel rispetto delle regole e di non avere nessuna responsabilità nel comportamento tenuto dal rappresentante della … srl, in rapporto al quale, insisteva nelle critiche e nelle argomentazioni già esposte con il ricorso per l’anno 2005.
Anche con il ricorso per l’anno 2004, la Ricorrente riproponeva le argomentazioni e le eccezioni di cui si è detto, con l’ulteriore precisazione che, dall’esame del pvc non era possibile individuare le operazioni asseritamente intervenute con …
Quanto ai due avvisi di accertamento relativi agli anni 2003 e 2004, concludeva chiedendo l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento degli atti impugnati con la condanna dell’Ufficio alla restituzione, con interessi e rivalutazione, di quanto, nelle more, eventualmente fosse stata costretta a versare; con vittoria di spese, da distrarre e con ulteriore condanna dell’Ufficio ex art. 96 cpc.
Con separate memorie l’Ufficio costituitosi, chiedeva il rigetto dei ricorsi, con vittoria di spese, e contestava le eccezioni sollevate in via preliminare dalla Ricorrente come infondate. Nel merito, insisteva sul valore probatorio degli indizi raccolti e sull’inesistenza delle operazioni; deduceva che, in presenza di valide circostanze presuntive, competeva al ricorrente l’onere della prova circa le operazioni compiute.
Con successive memorie la Ricorrente insisteva per l’accoglimento dei ricorsi e, a contestazione delle affermazioni dell’Ufficio in tema di onore della prova, richiamava la giurisprudenza ultima della Corte di Giustizia EU e della S.C. di Cassazione; evidenziava pertanto che l’Ufficio non poteva limitarsi ad affermare che vi era stata una frode fiscale da parte della … s.r.l., ma avrebbe dovuto dimostrare che essa Ricorrente sapeva o avrebbe dovuto sapere dell’attività fraudolenta posta in essere dall’altra società. Produceva copia dei bilanci della … srl al 31.12.2004 ed al 31.12.2005. Insisteva sul fatto che non allegando la copia della denunzia penale, l’Ufficio aveva impedito il controllo dei presupposti dell’obbligo di denunzia.
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All’udienza del 12 novembre 2012, la Commissione sentiti i difensori delle parti, deliberava sui risorsi riuniti per evidenti ragioni di connessione.
MOTIVI DELLA DECISIONE – La Commissione sentito il relatore, e vista la documentazione prodotta, esaminata preliminarmente l’eccezione di inesistenza della notifica giacché non eseguita nel domicilio fiscale ove è stabilita la sede legale della società, deve rigettarla; tanto, sia perché, a mente dell’art. 46 codice civile, i terzi, quando la sede effettiva è diversa da quella legale, possono considerare come sede della persona giuridica la sede effettiva, sia perché indubbiamente la notifica anche se eseguita in luogo diverso dalla sede legale, ha raggiunto lo scopo di far conoscere alla Ricorrente la pretesa dell’Ufficio e quindi di difendersi. Deve inoltre disattendere l’eccezione di nullità degli accertamenti per il superamento del termine di cui all’art. 12 L. 212/2000 in quanto, in mancanza di una specifica sanzione di nullità comminata da parte del legislatore, detto superamento si sostanzia in una irregolarità e non comporta, di per sé, l’inutilizzabilità del p.v.c. cui conseguirebbe la nullità degli atti ad esso conseguenti.
Superati tali punti ed entrando nel vivo delle questioni prospettate dalle Parti in relazione ai diversi anni oggetto di accertamento, la Commissione ritiene di dovere esaminare anzitutto l’eccezione di parte ricorrente circa l’inesistenza delle condizioni necessarie per il raddoppio dei termini di accertamento, fissate dall’art. 43, co. 3 DPR n. 600/73 e dal co. 3 art. 57 del DPR n. 633/72, e correlate alla sussistenza di violazioni che comportino obbligo di denunzia ai sensi dell’art. 331 cpp per uno dei reati previsto dal D.Lgs. n. 74/2000. Su tale punto la Commissione, tenuto conto di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, ritiene rilevante il fatto che non sia stata prodotta copia della denunzia penale al fine di consentire, secondo l’insegnamento della giurisprudenza corrente, ed indipendentemente dall’accertamento del reato ipotizzato, la ricorrenza dei presupposti di obbligo della denunzia penale, obbligo che viene in essere quando il pubblico ufficiale individui con certezza gli elementi del reato da denunziare e non abbia soltanto il generico sospetto di trovarsi in presenza di una eventuale attività illecita. La Commissione ritiene pertanto che l’Ufficio, non producendo la denunzia, non abbia provato la sussistenza dei presupposti di obbligo delle condizioni che legittimano il raddoppio dei termini di accertamento.
Ad abundantiam, e, nel merito, a tanto si deve aggiungere che nella fattispecie, la ricorrente non si è limitata a produrre le fatture come prova documentale dell’effettività delle operazioni contestate – il che, secondo l’insegnamento della S.C. di Cassazione, sarebbe stato insufficiente – ma ha anche prodotto diverse scritture con le quali ha dimostrato di avere affidato lavori che le erano stati commissionati da Enti pubblici, in subappalto, alla … s.r.l., sicché, il valore indiziario delle fatture trova conferma nelle scritture di subappalto e nella considerazione che se i lavori per Enti pubblici non fossero stati eseguiti, sarebbe stato ben facile dimostrare che la Ricorrente fatturava operazioni inesistenti; le anzidette considerazioni trovano ulteriore conferma nelle dichiarazioni del rappresentante della … s.r.l. che, secondo quanto riportato dai verbalizzanti al fol. 65 (punto 7) ed al fol. 66 (punto 9) del pvc, “non ha né riconosciuto né disconosciuto” le quaranta fatture emesse nei confronti della … negli anni 2003, 2004 e 2005, sia le copie degli assegni emessi a favore della … s.r.l., e si è limitato a riservarsi di consultare in merito il proprio legale, sia il fatto che abbia comunque riconosciuto l’esistenza del rapporto commerciale dal momento che ha comunque affermato che la … s.r.l. aveva eseguito per conto della Ricorrente lavori per circa 150.000 Euro all’anno, e, infine, nel fatto che non sono state rinvenute dai verbalizzanti tracce di restituzione dei pagamenti effettuati con assegni, secondo quanto sarebbe stato logico aspettarsi in ipotesi di rapporti commerciali di cui alle fatture fossero stati realmente fittizi. Concorre a tale convincimento anche il fatto che la Ricorrente con la sua produzione documentale ha anche dimostrato che la … srl era regolarmente iscritta alla Camera di Commercio e presentava bilanci annuali, fatto, questo, che non poteva far sorgere nella Ricorrente dubbi circa la reale consistenza ed operatività della …
Non si comprende inoltre la contestazione circa “la mancata regolarizzazione della fattura emessa dalla “…”.
La Commissione deve pertanto ritenere fondati i ricorsi.
Le osservazioni che precedono esimono la Commissione dall’esaminare le ulteriori censure mosse dalle Parti.
La complessità della vicenda e la soccombenza della Ricorrente su alcune delle questioni prospettate consigliano disporsi la compensazione delle spese.
P.Q.M. – Accoglie i ricorsi ed annulla gli accertamenti impugnati. Spese compensate.
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