16 Ottobre, 2017

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il caso esaminato dalle Sezioni Unite – 3. Accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente e strumenti di tutela in caso di condotte illegittime – 4. La tutela del contribuente in caso di accessi, ispezioni e verifiche tributarie secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo – 5. Conclusioni.

1. Premessa

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8587 resa in data 8 marzo 2016, e depositata il 2 maggio 2016 (1), hanno esaminato per la seconda volta la controversia concernente la legittimità di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di finanza presso un noto studio associato legale e tributario di Milano.
La sentenza citata assume interesse in quanto i Giudici di legittimità, pur ribadendo concetti e principi già affermati dalla Suprema Corte, sembrano rafforzare – sebbene in modo ancora embrionale – le tutele di cui dispone il contribuente in caso di accessi e ispezioni presso i suoi locali, che si assumono illegittime per l’insussistenza dei relativi presupposti o per il modo in cui sono condotte.
La sentenza costituisce, inoltre, l’occasione per verificare se la tutela offerta dall’ordinamento italiano, come interpretata dalle Sezioni Unite, sia in linea con gli standard richiesti dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito Corte EDU) in applicazione degli artt. 6 e 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

2. Il caso esaminato dalle Sezioni Unite

La controversia in esame, come peraltro già si evince dalla prima pronuncia delle Sezioni Unite resa sulla medesima vicenda (2), trae origine da un accesso della Guardia di finanza, effettuato in data 20 febbraio 2007, presso la sede di un rinomato studio legale e tributario milanese, per eseguire una verifica fiscale ai fini delle imposte sul reddito per i periodi 2005, 2006 e 2007.
A seguito di tale attività di verifica, il legale rappresentante dello studio eccepì il segreto professionale con specifico riguardo a tutta la corrispondenza intrattenuta con la clientela e custodita nei locali dello studio; ciò in quanto i militari operanti iniziarono ad acquisire e ispezionare il contenuto di ogni fascicolo e di ogni file presente nei computer dei singoli professionisti, con l’intento di prendere conoscenza di tutto il loro contenuto, ivi compresa la corrispondenza con la clientela e con altri professionisti, per acquisire, in particolare, pareri, richieste di chiarimenti e relative risposte, notizie concernenti le controversie pendenti o da instaurare, comprese le consultazioni circa la legittimità di taluni atti fiscali o societari.
I verificatori, pertanto, ai sensi dell’art. 52, terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiesero alla competente Procura della Repubblica, con istanza ritenuta generica dai soggetti interessati, «di acquisire ogni tipo di documento utile ai fini dell’accertamento nei confronti dello studio … e nella prospettiva di ricercare e reprimere eventuali violazioni alla normativa tributaria»; l’Autorità adita autorizzò «l’esame dei documenti custoditi nei locali dello studio …, utili ai fini della ricerca e repressione di eventuali violazioni alla normativa tributaria, relativamente ai quali è stato eccepito il segreto professionale».
Conseguentemente i militari operanti acquisirono, mediante appropriati supporti informatici, tutti i messaggi di posta elettronica nonché numerosissimi documenti informatici presenti nei computer di sette professionisti associati dello studio.
Lo studio associato e i relativi professionisti ricorsero al giudice amministrativo per dedurre ed eccepire l’illegittimità delle modalità con le quali la verifica era stata in concreto espletata, l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione in quanto generico e sproporzionato nonché la lesione del segreto professionale.
I giudici amministrativi di prime cure dichiararono inammissibile il ricorso per carenza di giurisdizione, affermando che l’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica fosse impugnabile soltanto con l’atto impositivo finale innanzi al giudice tributario.
Tale pronuncia venne confermata dal Consiglio di Stato, il quale affermò che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica si colloca all’interno di un procedimento di verifica fiscale, di natura impositiva (in quanto finalizzato all’accertamento dell’effettivo assolvimento dell’obbligazione tributaria), con la conseguenza che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, sarebbe stato impugnabile soltanto con l’atto impositivo finale innanzi al giudice tributario in base ai principi generali che regolano l’attività dello Stato.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 11082/2010, confermarono la sentenza del Consiglio di Stato, volta a negare la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
I Giudici di legittimità sottolinearono dapprima che il thema decidendum della controversia dovesse essere ricercato, come accertato dal Consiglio di Stato, nell’individuazione del giudice cui l’ordinamento attribuisce la potestà di conoscere le controversie aventi ad oggetto la richiesta di “annullamento” dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 52, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, volta a superare l’eccepito segreto professionale in relazione alla corrispondenza intrattenuta con la clientela, risultando invece estranee all’oggetto della controversia le concrete modalità di svolgimento delle operazioni di verifica.
Quindi, ricostruita la disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche di cui all’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, le Sezioni Unite ritennero (discutibilmente) che il segreto professionale nel corso di una verifica fiscale possa essere eccepito esclusivamente dal contribuente assoggettato a verifica, che rivesta anche la qualità di professionista vincolato al segreto professionale (3).
Inoltre, considerato che l’opposizione del segreto professionale, concernente quanto appreso in ragione del compimento di attività professionali, impedisce di regola l’esame dei documenti nonché l’acquisizione delle notizie oggetto di quel segreto, la necessità o la (mera) opportunità di sottoporre a controllo fiscale pure gli atti secretati dal professionista-contribuente (in quanto potrebbero rivelare l’eventuale esistenza di attività professionali fiscalmente rilevanti non dichiarate) comporta la possibilità di richiedere al Procuratore della Repubblica l’autorizzazione a superare il segreto opposto.
In questo modo dunque, secondo le Sezioni Unite, si realizza il necessario bilanciamento tra i due doveri del contribuente-professionista, ovvero quello di subire (al pari di qualsiasi contribuente) una verifica fiscale involgente tutti i documenti e tutte le notizie proprie dell’attività svolta rinvenuti nei luoghi destinati all’esercizio dell’attività professionale e quello dello stesso di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione del compimento di attività aventi finalità difensive, proprie della professione.
Ne consegue che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica deve essere necessariamente motivata al fine di esplicitare l’avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti, ossia i motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale (che dunque devono essere anch’essi esplicitati) e le ragioni che, secondo l’organo verificatore, rendono necessari o indispensabili l’esame dei documenti o l’acquisizione delle notizie secretate.
Venendo al tema centrale della giurisdizione, le Sezioni Unite confermarono l’opinione consolidata secondo cui l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è un atto interno al procedimento amministrativo di verifica fiscale e produce effetti solo nel relativo ambito, con la conseguenza che è privo di autonomia e di efficacia esterna. Da ciò consegue che il relativo sindacato spetta al giudice tributario, titolare della giurisdizione piena ed esclusiva in materia tributaria, avente ad oggetto non solo gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria ma anche tutti gli atti prodromici e istruttori che, ove illegittimi, potrebbero determinare la caducazione, totale o parziale, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato.
I Supremi Giudici specificarono altresì che la riconducibilità dell’atto impugnato al novero degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non attiene alla giurisdizione, bensì alla proponibilità della domanda, spettando alla competenza esclusiva del giudice tributario verificare se l’atto concretamente impugnato sia o meno un atto impugnabile, adottando un’interpretazione rispettosa dei principi costituzionali.
Le Sezioni Unite, inoltre, anche in considerazione della giurisprudenza della Corte EDU sul caso Ravon (4) (sebbene, come da queste precisato, non incida sull’interpretazione delle norme nazionali di ripartizione della giurisdizione), chiarirono che l’eventuale illegittimità del provvedimento adottato dal Procuratore della Repubblica comporta una lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del contribuente, costituzionalmente tutelato, a non subire verifiche fiscali oltre i casi e le ipotesi previsti dalla legge.
Pertanto, continua la sentenza, «l’ipotizzabile esito negativo per l’Ufficio dell’attività di accertamento compiuta in forza di provvedimento ritenuto illegittimo dal contribuente … come, del pari l’adozione di un provvedimento impositivo del tutto avulso dall’esame dei “documenti” e/o delle “notizie” secretati», porta nell’orbita giurisdizionale del giudice ordinario la valutazione della legittimità del provvedimento autorizzativo, siccome ipoteticamente lesivo del diritto soggettivo del contribuente.
A seguito di tale arresto, lo studio associato e i relativi professionisti ritennero di adire la Commissione tributaria provinciale per ottenere l’annullamento del provvedimento di autorizzazione in questione e il risarcimento del danno subito. I giudici di prime cure accolsero parzialmente il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e respingendo la domanda risarcitoria.
La Commissione tributaria regionale, invece, in accoglimento dell’appello della Procura della Repubblica e dell’Amministrazione finanziaria (in senso lato), dichiarò improcedibili i ricorsi originari; ciò sulla base della circostanza che il provvedimento conclusivo della verifica fiscale a carico dello studio associato non era stato oggetto di impugnazione e, quindi, difettava l’imprescindibile collegamento tra l’impugnazione del suddetto provvedimento (veicolo di accesso alla giurisdizione tributaria) e l’autorizzazione contestata, come tale non riconducibile tra gli atti impugnabili.
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 8587 del 2016, oggetto delle presenti riflessioni, hanno da ultimo confermato la decisione della Commissione tributaria regionale, chiarendo meglio (rispetto al primo arresto) che qualora «l’attività di accertamento non sfoci in un atto impositivo (ovvero, è da ritenersi, tale atto, come nella specie, non sia fatto oggetto di impugnazione), secondo le sezioni unite l’autorizzazione in questione, siccome in ipotesi lesiva del diritto soggettivo del contribuente a non subire verifiche fiscali al di fuori dei casi previsti dalla legge, è autonomamente impugnabile dinanzi al giudice ordinario».
I Giudici di legittimità hanno, quindi, sottolineato che, sulla base della sentenza n. 11082/2010, la Commissione tributaria regionale non ha declinato la propria giurisdizione, bensì l’ha esercitata dichiarando l’improcedibilità dei ricorsi. Ciò tuttavia, continua la sentenza in esame, «non crea un vuoto di tutela (né pertanto comporta alcuna violazione della Costituzione e della CEDU), posto che, qualora il procedimento di verifica fiscale non si sia concluso con un provvedimento “tributario” ovvero tale provvedimento non sia stato impugnato dal contribuente, in relazione all’atto “procedimentale” è comunque assicurata la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario, con la possibilità, ricorrendone i presupposti, di agire anche in via cautelare».

3. Accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente e strumenti di tutela in caso di condotte illegittime

L’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 – richiamato dagli artt. 32 e 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dall’art. 53-bis del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – disciplina gli accessi, ispezioni e verifiche che gli Uffici finanziari (o la Guardia di finanza, nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali di collaborazione con gli stessi) possono disporre nei locali dei contribuenti, per procedere a ispezioni documentali (5), verificazioni, ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’obbligazione tributaria e per l’irrogazione delle relative sanzioni.
Per esercitare il potere di accesso, prodromico a quelli di verifica e di ispezione, la norma citata impone che gli ispettori siano muniti di «apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono», per accedere «nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali» (primo comma) (6).
Tuttavia, per «accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica» (primo comma, penultimo periodo). Infine, «l’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma», vale a dire le abitazioni private, richiede la «previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica», che può concederla «soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme» tributarie, al fine di reperire libri, registri, documenti, scritture e altre prove delle violazioni (secondo comma) (7).
Il terzo comma del citato art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 prevede che, in ogni caso, è «necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’art. 103 c.p.p.» (8).
L’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) precisa, ulteriormente, che gli accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente possono essere «effettuati sulla base di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo» e si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti, «durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minima turbativa possibile» (primo comma). Il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni della verifica e del relativo oggetto nonché dei suoi diritti e obblighi connessi allo svolgimento delle verifiche, compreso quello di formulare osservazioni e rilievi alle operazioni di verifica, di cui debbono darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica (secondo, terzo e quarto comma).
La presenza dei verificatori «presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine», con possibilità di ritornare nella sede del contribuente solo per ragioni specifiche, circoscritte e autorizzate; «ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori … presso la sede del contribuente» (quinto comma) (9).
Nel caso in cui gli operatori «procedano con modalità non conformi alla legge», il contribuente «può rivolgersi al Garante del contribuente» (sesto comma).
Infine, il contribuente può comunicare osservazioni e richieste «che sono valutate dagli uffici finanziari» nel termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo e l’eventuale «avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza» (settimo comma) (10).
A fronte di tale disciplina da tempo si discute su quali siano gli strumenti di tutela del contribuente a fronte di accessi, ispezioni e verifiche presso locali di sua pertinenza, per l’ipotesi in cui fossero illegittimi per vizi concernenti la relativa autorizzazione (del capo Ufficio o del Procuratore della Repubblica) o per le modalità con cui le relative operazioni siano concretamente condotte, essendo del tutto priva di effettività e illusoria l’astratta tutela offerta dal Garante del contribuente.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità, come del resto ribadito nelle sentenze sopra sintetizzate, è consolidata nell’affermare che i vizi della propedeutica attività istruttoria possono essere fatti valere in sede di impugnazione del conseguente atto impositivo, al fine di determinarne la caducazione per illegittimità derivata. Ciò in quanto la giurisdizione piena ed esclusiva del giudice tributario non ha ad oggetto solo gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, definiti impugnabili dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma investe anche la legittimità degli atti istruttori e prodromici delle fasi del procedimento che hanno portato all’adozione dell’atto finale, con la conseguenza che la loro illegittimità, ove accertata, può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, in tutto o in parte del conseguente atto impositivo (11).
Tale orientamento è stato fortemente contestato dalla dottrina, che non ha mancato di sottolineare l’inadeguatezza della tutela in tal modo offerta al contribuente e, soprattutto, l’assenza di tutela del diritto soggettivo del contribuente a non subire ispezioni illegittime, riconosciuto dagli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost. che sovraintendono alle libertà inviolabili, nel caso in cui l’attività istruttoria illegittima non sia sfociata in un atto impositivo o l’atto impositivo non la recepisca.
Per fare fronte a tali critiche sembra apprezzabile lo sforzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di riconoscere, per le ipotesi in cui l’attività istruttoria non desse luogo all’emanazione di atti tributari impugnabili ovvero l’atto finale emanato fosse del tutto avulso dagli atti istruttori ritenuti illegittimi o, infine, l’atto impositivo non fosse impugnato dal contribuente, la possibilità di far valere la lesione del suddetto diritto soggettivo del contribuente dinanzi al giudice ordinario (12).
In tale ambito sarebbe compresa – come da ultimo precisato dalle Sezioni Unite, sebbene in termini del tutto generici e astratti – la «possibilità, ricorrendone i presupposti, di agire anche in via cautelare» (13).
I principi sintetizzati, seppure lodevolmente sviluppati dalle Sezioni Unite, non sembrano tuttavia raggiungere appieno quello standard di tutela richiesto dalla Corte EDU in materia di diritto al rispetto alla vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione europea; diritto, quest’ultimo, che rientra nel campo di applicazione dei principi del “processo equo” di cui all’art. 6 della Convenzione medesima.

4. La tutela del contribuente in caso di accessi, ispezioni e verifiche tributarie secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo

Il diritto del contribuente a non subire accessi, ispezioni e verifiche illegittime è tutelato dalla CEDU in quanto rientra – per giurisprudenza consolidata della Corte EDU – nell’ambito delle prerogative tutelate dall’art. 8 della Convenzione europea, in materia di diritto al rispetto della vita privata e familiare, che a sua volta rientra nell’ambito dei «diritti e obbligazioni di carattere civile» tutelati dall’art. 6 della CEDU, in materia di “processo equo”.
La tutela riconosciuta dalla Convenzione ai diritti del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche concerne, quindi, sia l’aspetto “sostanziale”, sia quello “processuale”, non trovando applicazione il principio affermato dalla Camera Grande della Corte EDU con il noto caso Ferrazzini (14) circa l’estraneità delle controversie in materia di accertamento dell’obbligazione tributaria (e solo quella) (15) dal campo di applicazione dell’art. 6 citato.
Ciò premesso, l’art. 8 della CEDU prevede una nozione autonoma di “domicilio”, ossia che prescinde dalla nozione di domicilio prevista dagli ordinamenti nazionali dei singoli Stati contraenti.
La nozione convenzionale di “domicilio” di cui al primo paragrafo dell’art. 8 citato ha, in particolare, un’estensione ampia, maggiore rispetto all’analoga nozione prevista dal nostro ordinamento (16), comprendendo non solo l’abitazione e gli altri luoghi di privata dimora, ma anche quelli in cui l’interessato esercita la propria attività economica, quali i locali in cui si svolge l’attività di impresa, la sede legale e le unità locali delle società, lo studio professionale, in quanto anch’essi necessari a stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani (17). Restano invece esclusi da tale concetto i luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Ne consegue che le attività istruttorie che si svolgono presso locali commerciali, professionali o privati riferibili al contribuente debbono rispettare i parametri previsti dall’art. 8 della CEDU e, quindi, debbono essere previste dalla legge, devono essere necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui e, infine, dev’essere in ogni caso rispettato il principio generale di proporzionalità.
Sotto quest’ultimo aspetto si osserva che la Corte europea richiede sempre che le legittime ingerenze delle Autorità nella vita privata del soggetto (ossia, previste dalla legge e giustificate) debbano anche raggiungere il “giusto equilibrio” tra l’interesse pubblico e il diritto individuale tutelato dalla Convenzione, nel senso che l’ingerenza deve arrecare il minore pregiudizio possibile al diritto tutelato per realizzare lo scopo per cui l’ingerenza è stata disposta.
Ai fini del rispetto del requisito di proporzionalità, la Corte EDU, in applicazione del principio di sussidiarietà, ritiene che sia compito primario delle Autorità nazionali realizzare il corretto bilanciamento tra le contrapposte esigenze, riconoscendo altresì agli Stati contraenti un certo margine di apprezzamento, in quanto sono in linea di principio più idonee rispetto a un giudice internazionale a valutare la rilevanza dei vari fattori coinvolti. Tuttavia, la stessa Corte si riserva il potere di valutare la correttezza delle valutazioni effettuate dalle Autorità nazionali con i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione, che devono essere effettivi e concreti e non già meramente astratti e ipotetici.
Ciò premesso, come accennato, la Corte europea ha esaminato le prerogative dei contribuenti sottoposti a verifiche fiscali con diverse pronunce (18), di cui il caso Ravon costituisce il leading-case.
In particolare i Giudici di Strasburgo, nella premessa che le liti in materia di regolarità delle ispezioni domiciliari e dei conseguenti sequestri hanno natura “civile” ai fini del rispetto dell’art. 6 della CEDU, hanno sottolineato che anche in tale ambito dev’essere assicurato il rispetto del diritto all’accesso a un Tribunale per conseguire una decisione utile sulla lite, previsto dal primo paragrafo dell’art. 6 citato; l’organo giudiziario, per essere tale, deve soddisfare una serie di criteri, quali l’indipendenza rispetto al potere esecutivo e alle parti, ed essere titolare della “piena giurisdizione”, vale a dire deve essere competente a esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti della controversia, al fine di assicurare il diritto a un ricorso effettivo, cioè pratico ed efficace.
Ciò implica, secondo la Corte europea, che con riguardo alle ispezioni domiciliari le persone interessate debbano poter ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, in punto di fatto e di diritto, sulla legittimità della decisione che autorizza l’ispezione domiciliare e, se del caso, sulla regolarità delle conseguenti operazioni. In particolare, i ricorsi con i quali si contesta la irregolarità delle ispezioni devono consentire sia di sospendere la continuazione delle operazioni sia, nei casi in cui le operazioni siano già terminate, di riparare il danno, in modo appropriato, arrecato alla persona interessata (19).
Pertanto, per i giudici europei, non rispetta tale standard di tutela un sistema – quale quello francese all’epoca, peraltro caratterizzato da un livello di tutela maggiore rispetto a quello riconosciuto dall’ordinamento italiano – in cui le ispezioni domiciliari sono solamente autorizzate da un giudice, senza che l’interessato possa essere ascoltato e senza che vi sia un pieno controllo giudiziario (cioè, in punto di fatto e di diritto) in ordine alla correttezza delle operazioni autorizzate e dell’autorizzazione medesima. Sotto quest’ultimo profilo non è sufficiente, in quanto appare più teorico che effettivo, attribuire una simile controversia alla competenza del giudice chiamato a decidere sulle eventuali azioni intraprese sulla base dei documenti sequestrati.
Inoltre, con il successivo caso Andrè (20), è stato esaminato il rapporto tra le ispezioni e sequestri per finalità tributaria e il segreto professionale. Al riguardo, la Corte europea ha ritenuto che, anche se una simile interferenza delle Autorità pubbliche sia prevista dalla legge e per uno scopo legittimo, deve essere rispettato il principio di proporzionalità.
La “necessità” di una simile interferenza dev’essere accertata in modo rigoroso, soprattutto nel caso di perquisizioni e di sequestri nei confronti di un avvocato, posto che il segreto professionale tutela la riservatezza dei rapporti tra l’assistito e il suo avvocato, quale corollario del diritto di difesa e del diritto a non contribuire alla propria incriminazione (21).
Pertanto, considerato che gli avvocati occupano una posizione centrale nell’amministrazione della giustizia, le ispezioni domiciliari nello studio di un avvocato debbono essere necessariamente assistite da garanzie particolari, che prevedono deroghe solo in casi eccezionali, come ad esempio quando vi siano indici obiettivi della partecipazione di un avvocato a un illecito oppure per la lotta contro talune pratiche illecite (22).
Infine giova sottolineare come le ampie tutele riconosciute dalla Corte EDU in materia ricevono ulteriore protezione, nella materia di competenza del diritto dell’Unione europea (si pensi all’IVA e alle dogane), dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito CDF) che, ai sensi dell’art. 6 del TUE (come modificato dal trattato di Lisbona), ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati istitutivi.
Infatti, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, compreso il “domicilio”, è previsto anche dall’art. 7 della CDF e, ai sensi del successivo art. 52 della Carta medesima, laddove questa «contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti» dalla CEDU, «il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione», salvo il diritto dell’Unione europea di concedere una protezione più estesa.

5. Conclusioni

Dai principi affermati dalla Corte EDU in materia di tutela del contribuente a fronte di accessi, ispezioni e verifiche, sopra sintetizzati, si evince che la tutela offerta dal nostro ordinamento, pure lodevolmente ampliata con l’ultimo arresto delle Sezioni Unite, non sembra raggiungere appieno quel livello di tutela richiesto dalla CEDU.
Infatti, la c.d. “tutela differita”, teorizzata dalla Corte di Cassazione in caso di emissione di un atto impositivo basato sulle risultanze dell’attività ispettiva illegittima, seppure fosse idonea ad annullare (in tutto o in parte) l’atto impositivo, non sembra garantire una piena e integrale riparazione del diritto soggettivo del contribuente a non subire accessi e ispezioni fuori dai casi previsti dalla legge, sotto il profilo dell’integrale risarcimento dei danni subiti, soprattutto non patrimoniali (23), in considerazione della natura impugnatoria del processo tributario, finalizzato all’eliminazione dell’atto impositivo.
Per quanto concerne, invece, la tutela offerta dal giudice ordinario, quest’ultima sembrerebbe essere idonea ad assicurare l’effettiva riparazione dei diritti eventualmente lesi, aventi pure rilevanza costituzionale, purché il soggetto interessato vi possa accedere senza limitazioni e, dunque, senza dipendere dall’esito negativo – per l’Amministrazione finanziaria – della verifica, dall’emissione di un atto impositivo avulso dall’attività ispettiva illecita ovvero dalla mancata impugnazione dell’atto impositivo (come pure taluni passaggi delle Sezioni Unite lascerebbero intendere).
Infatti, la tutela offerta dal giudice ordinario sarebbe meramente teorica e illusoria (per usare le espressioni della Corte europea) se il contribuente, per accedere alla tutela cautelare, dovesse attendere l’esito negativo per l’Amministrazione finanziaria della verifica, ossia il termine delle operazioni di verifica.
Analoghe conclusioni si impongono pure nel caso in cui l’emanazione dell’atto finale del procedimento impositivo dovesse impedire l’accesso al giudice ordinario ovvero la prosecuzione del giudizio eventualmente già instaurato, precludendo al contribuente la possibilità di ottenere l’integrale risarcimento della lesione subita.
Inoltre, anche riconoscendo l’immediato e incondizionato accesso alla tutela dei diritti soggettivi lesi da parte del giudice ordinario, sussistono dubbi sull’effettività e praticabilità del rimedio cautelare solo genericamente ipotizzato dalle Sezioni Unite anche in ragione dell’assenza di precedenti in materia. La Corte EDU richiede infatti, giova ripeterlo, che i diritti tutelati dalla Convenzione siano effettivi e praticabili e non già meramente astratti e ipotetici.
Pertanto, anche in questo caso potrebbe configurarsi comunque una lesione del diritto all’accesso a un giudice, ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Convenzione in parola, nel caso in cui la tutela cautelare astrattamente postulata dalla Corte di Cassazione si rilevasse in concreto inidonea a realizzare l’obiettivo di una decisione di merito sulla sospensione cautelare dell’ispezione fiscale, di cui si contesta la sussistenza dei presupposti di legge ovvero la correttezza delle relative modalità di svolgimento.
Ulteriore questione da valutare circa la compatibilità con le garanzie poste dalla CEDU da parte della disciplina interna sui presupposti e le condizioni per effettuare accessi, ispezioni e verifiche, ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, concerne il divieto di ricerca indiscriminata di prove (c.d. fishing expedition), desumibile dall’art. 8 della Convenzione medesima in tema di tutela del domicilio (nell’accezione autonoma – e ampia – della Convenzione). Ciò implica che la motivazione dell’autorizzazione del capo dell’Ufficio (per accedere presso i locali commerciali o professionali) o del Procuratore della Repubblica (per accedere presso i locali anche abitativi) debba essere adeguatamente motivata, soprattutto con riguardo all’accesso presso l’abitazione dell’interessato.
Nel caso Funke (24), infatti, la Corte europea ha ritenuto violato l’art. 8 della Convenzione per non essere stato assicurato il giusto equilibrio tra i contrapposti interessi (del fisco e del contribuente), laddove la legislazione nazionale lasci alle Autorità amministrative poteri troppo ampi in ordine alla valutazione della opportunità, della lunghezza e della portata delle ispezioni; poteri discrezionali che non sono sufficientemente controbilanciati, a tutela di possibili arbitri, dalle circostanze che le relative decisioni siano prese dal capo (distrettuale) dell’Ufficio competente, sia prevista la presenza nel corso delle operazioni di alti funzionari di polizia giudiziaria, sia previsto il segreto professionale e vi sia la possibilità di invocare la responsabilità delle Autorità pubbliche.
In tale prospettiva sussistono dubbi di compatibilità della normativa domestica laddove sia prevista e disposta la sola autorizzazione del “capo dell’ufficio” dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con detti Uffici ad essa demandati) per accedere presso i locali destinati ad attività commerciali, agricole, artistiche o professionali. Maggiori garanzie dovrebbe, invece, fornire la previsione dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica (sebbene sia solo la figura apicale dell’organo requirente) per accedere presso locali adibiti “anche” ad abitazione privata ovvero esclusivamente ad abitazione privata in caso di “gravi indizi” di evasione. Ciò, ovviamente, a condizione che il relativo controllo da parte del Procuratore sia effettivo e non si traduca in una sistematica e acritica adesione (a “stampone”) alla richiesta di autorizzazione presentata dalle Autorità amministrative.
Infine, la particolare tutela offerta dalla CEDU potrebbe essere estesa non solo agli accessi domiciliari, intesi nel senso ampio previsto dalla Convezione, ma anche alla segretezza della corrispondenza, privata e commerciale, cartacea ed elettronica (risultando irrilevante se essa sia aperta o chiusa), compresi i dati elettronici e i file informatici, anch’essa rientrante nella tutela garantita dall’art. 8 della Convenzione (25).

Avv. Giulio Chiarizia

(1) Pubbl. in Boll. Trib., 2017, 558, con nota di TOMBINI, Le Sezioni Unite sulla giurisdizione del giudice ordinario per la contestazione degli atti istruttori lesivi a cui abbia fatto seguito un atto impositivo non impugnato.
(2) Cass., sez. un., 7 maggio 2010, n. 11082, in Boll. Trib. On-line. Al riguardo cfr. BASILAVECCHIA, Il segreto professionale nella verifica fiscale e la tutela giurisdizionale (nota a Cass. SS.UU. 7 maggio 2010, n. 11082), in Riv. giur. trib., 2010, 768.
(3) Tale assunto non sembra essere convincente, in quanto il segreto professionale non ha la funzione di tutelare la riservatezza del contribuente-professionista, bensì – come anche riconosciuto dalle Sezioni Unite nella medesima sentenza – il diritto di difesa della persona assistita dall’avvocato (o altro professionista tenuto al segreto professionale), compresi i suoi corollari, quali il necessario e sottostante rapporto di fiducia e il principio nemo tenetur se detegere (Corte Cost. 8 aprile 1997, n. 87, in Giur. cost., 1997, 883; Corte EDU, sez. V, 24 luglio 2008, n. 18603/03, André e altri c. Francia, in Corr. trib., 2009, 643; Corte Giust. CEE 18 maggio 1982, causa C-155/79, AM e S Europe, in Boll. Trib. On-line; e Corte Giust. UE, sez. grande, 14 settembre 2010, causa C-550/07, Asko e Akros, ivi).
(4) Cfr. Corte EDU, sez. III, 21 febbraio 2008, n. 18497/03, Ravon e altri c. Francia, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. dir. trib., 2008, IV, 181, con nota di MULEO, L’applicazione dell’art. 6 CEDU anche all’istruttoria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte europea dei Diritti dell’Uomo nel caso “Ravon e altri c. Francia” e le ricadute sullo schema processuale vigente.
(5) L’“ispezione documentale”, ai sensi del quarto comma del medesimo art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali.
(6) L’accesso presso locali destinati all’esercizio di arti o professioni dev’essere, inoltre, eseguito in presenza del titolare dello studio o di suo delegato.
(7) In merito agli accessi domiciliari cfr. GALLO, Accessi domiciliari e inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, in Boll. Trib., 2006, 984; ID., Accessi in domicilio e loro legittimazione, ivi, 2003, 1494, in nota a Comm. trib. prov. di Avellino, sez. IV, 26 febbraio 2003, n. 12; ARDITO, Brevi note a margine dell’accesso domiciliare, ivi, 2005, 723, in nota a Cass., sez. trib., 1° ottobre 2004, n. 19689; ID., Illegittimità dell’accesso e conseguente inutilizzabilità dei dati raccolti, ivi, 1998, 1660, in nota a Cass., sez. I, 27 luglio 1998, n. 7368.
(8) In merito all’opposizione del segreto professionale nel corso delle indagini fiscali cfr. PERRUCCI, Segreto professionale e fisco, in Boll. Trib., 2008, 1417.
(9) In merito alla durata della verifica fiscale cfr. DE BENEDICTIS, La durata della verifica fiscale a norma dello Statuto dei diritti del contribuente tra permanenza effettiva, giorni consecutivi e novità legislativa, in Boll. Trib., 2012, 1716; e DIMONTE – ROMITA, La permanenza degli organi verificatori presso la sede del contribuente nella verifica fiscale, ivi, 2010, 744.
(10) Il mancato rispetto di tale termine comporta, come è noto, l’illegittimità dell’atto impositivo: cfr. per tutte Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
(11) Cfr. Cass., sez. un., 2 maggio 2016, n. 8587, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. un., 7 maggio 2010, n. 11082, ivi; Cass., sez. un., 16 marzo 2009, n. 6315, in Boll. Trib., 2009, 729; Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5791, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, in Boll. Trib., 2007, 1554, con nota di FERLAZZO NATOLI – INGRAO, Nullità degli ‘’atti successivi’’, non preceduti dalla notifica degli ‘’atti presupposto’’; Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n. 16293, ibidem, 1810; Cass., sez. un., 9 giugno 2003, n. 9181, ivi, 2003, 1417; e Cass., sez. un., 29 aprile 2003, n. 6693, in Boll. Trib. On-line. In generale ved. TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. Trib., 2005, 1445.
(12) Cfr. Cass. n. 8587/2016, cit.; Cass. n. 11082/2010, cit.; e Cass. n. 6315/2009, cit.
(13) Cfr. Cass. n. 8587/2016, cit.
(14) Cfr. Corte EDU 12 luglio 2001, n. 44759/98, Ferrazzini c. Italia, in Giornale dir. amm., 2002, 295.
(15) La Corte EDU è, infatti, orientata a considerare le sanzioni amministrative tributarie quali sostanzialmente penali ai fini del riconoscimento delle tutele garantite dalla CEDU compreso l’art. 6 in materia di processo equo. Inoltre, nel caso in cui una controversia presenti aspetti che per loro natura esulano dal campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione (quali l’accertamento dell’obbligazione tributaria) e altri che invece vi rientrano (quali le sanzioni tributarie) e tali diversi aspetti siano interconnessi tra loro in modo inscindibile, alla stregua di un unico procedimento, la Corte europea si è ritenuta competente a esaminare, ai fini del rispetto dei principi del processo equo, anche le questioni che in linea di principio si collocherebbero al di fuori della propria competenza: cfr. Corte EDU, ad. plen., 23 novembre 2006, n. 73053/01, Jussila c. Finlandia [CG], in Dir. prat. trib., 2007, 710; Corte EDU, sez. V, 5 aprile 2012, n. 11663/04, Chambaz c. Svizzera, in Boll. Trib., 2013, 615, con nota di AZZONI, Il diritto del contribuente di non accusarsi.
(16) Ai sensi dell’art. 14 Cost.: «Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o ai fini economici o fiscali sono regolati da leggi speciali». Gli artt. 614 e 615 c.p. tutelano il domicilio sul versante penale. Sul versante civile invece l’art. 43 c.c. prevede: «il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi», sicché «riguarda la generalità dei rapporti del soggetto – non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari – e va desunta alla stregua di tutti quegli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona» (Cass. 5 maggio 1980, n. 2936, in Mass. giur. it., 1980).
(17) Cfr. tra le tante Corte EDU 16 dicembre 1992, n. 13710/88, Niemietz c. Germania, in Mass. red., 2007, parr. 29-31; e Corte EDU 16 luglio 2002, n. 3797/97, Société Colas Est e altri c. Francia, par. 41, in Boll. Trib. On-line.
(18) Cfr. Corte EDU n. 18497/03, Ravon e altri c. Francia, cit.; Corte EDU 18 dicembre 2008, n. 18659/05 Kandler e altri c. Francia; Corte EDU 16 ottobre 2008, n. 10447/03, Maschino c. Francia; Corte EDU 20 febbraio 2009, n. 2058/04, Société IFB c. Francia; Corte EDU 10 dicembre 2009, n. 30345/05, Joubert c. Francia; Corte EDU 8 gennaio 2002, n. 51578/99, Keslassy c. Francia; e Corte EDU 9 novembre 2010, n. 52149/2008, Société Internationale de Règlement c. Francia; tutte in Boll. Trib. On-line.
(19) Cfr. Corte EDU n. 18603/03, cit.
(20) Cfr. Corte EDU n. 18603/03, cit.
(21) Cfr. Corte EDU n. 18603/03, cit.
(22) Cfr. Corte EDU n. 18603/03, cit., par. 42.
(23) Cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Nuova giur. civ., 2009, I, 102, in tema di risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da una grave violazione dei diritti inviolabili della persona.
(24) Cfr. Corte EDU 25 febbraio 2003, n. 10828/84, Funke c. Francia, par. 57, in Boll. Trib. On-line.
(25) Cfr. Corte EDU, sez. IV, 3 aprile 2007, n. 62617/00, Copland c. Regno Unito, in Giornale dir. amm., 2007, par. 44, 644; Corte EDU 16 gennaio 2007, n. 74336/01, Wieser e Bicos Beteiligungen GmbH c. Austria, par. 45, in Boll. Trib. On-line; e Corte EDU 27 dicembre 2005, n. 50882/99, Petri Sallinen e altri c. Finlandia, par. 71, ivi.

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