8 Maggio, 2013

SOMMARIO: 1. premessa – 2. la finalità della norma – 3. l’ambito soggettivo – 4. l’ambito oggettivo – 5. la decorrenza dellanorma – 6. i presupposti applicativi e le modalità di calcolo della trasformazione delle dta – 6.1. Il primo presupposto: l’evidenziazione di una perdita civilistica nel bilancio d’esercizio ; 6.2. Il secondo presupposto: l’indicazione di una perdita fiscale nella dichiarazione dei redditi ; 6.3. Il terzo presupposto: l’evidenziazione di un patrimonio netto positivo nel bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento o liquidazione coatta amministrativa – 7. gli effetti della conversione delle dta sulle differenze temporanee e sulla perdita fiscale che hanno generato tali attività per imposte anticipate – 8. le modalità di utilizzo dei crediti d’imposta rivenienti dalla trasformazione delle dta – 9. l’esposizione in bilancio e in dichiarazione dei redditi delle dta oggetto di trasformazione e dei crediti d’imposta rivenienti da tale conversione.

 

1.premessa

 

Con la circolare 28 settembre 2012, n. 37/E [1], l’Agenzia delle entrate ha illustrato in modo organico la disciplina della trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate (“Deferred tax assets” o “DTA”) prevista dai commi 55-58 dell’art. 2 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), come modificato dall’art. 9 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).

Tale disciplina stabilisce che, al verificarsi di determinate condizioni e con certi limiti, sono trasformate in crediti d’imposta le DTA iscritte in bilancio a fronte di quote di svalutazioni su crediti non ancora dedotte ai sensi dell’art. 106, comma 3, del TUIR, e di componenti negativi relativi al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali che saranno deducibili nei successivi periodi.

In particolare, la predetta conversione opera: (i) in presenza di una perdita civilistica, per un importo pari al prodotto tra tale perdita e il rapporto tra le DTA rilevanti ai fini della disciplina in parola e la somma del capitale sociale e delle riserve (commi 55 e 56); (ii) in presenza di una perdita fiscale, in misura pari alle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relativamente alla parte di tale perdita che si è formata per effetto delle variazioni in diminuzione apportate nella medesima dichiarazione in cui è rilevata la perdita, a titolo di quote di svalutazioni su crediti di esercizi precedenti e di ammortamento dell’avviamento e di altre attività immateriali (comma 56-bis) e, infine, (iii) in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi, per l’intero ammontare se il bilancio finale della società evidenzia un patrimonio netto positivo (comma 56-ter).

Nella prima ipotesi, la trasformazione delle DTA decorre dalla data di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci, o dei diversi organi competenti per legge, mentre nella seconda ipotesi la conversione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene rilevata la perdita fiscale.

Inoltre, qualora operi la prima ipotesi di trasformazione, è previsto il divieto di dedurre le variazioni in diminuzione corrispondenti alle DTA convertite a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio; qualora, invece, si applichi la seconda ipotesi di trasformazione, è stabilito che la perdita fiscale riportabile a nuovo debba essere ridotta in misura pari all’ammontare delle variazioni in diminuzione corrispondenti alle DTA trasformate.

Infine, è previsto che il credito d’imposta riveniente dalla trasformazione delle DTA non è produttivo di interessi, può essere utilizzato, senza limiti di importo, in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, oppure ceduto al valore nominale secondo quanto previsto dall’art. 43-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. L’eventuale credito che residua dopo aver effettuato le predette compensazioni è rimborsabile.

Con la predetta circolare l’Agenzia delle entrate ha fornito la propria interpretazione riguardo a taluni aspetti non chiari che erano stati evidenziati dai primi commentatori di tale normativa [2]. Altre questioni dubbie, invece, non sono state chiarite.

Pertanto, nel seguito si esamineranno i principali aspetti applicativi di tale disciplina, evidenziando i punti che sono stati oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate e quelli che, invece, necessitano ancora di precisazioni.

In dettaglio, saranno analizzati la finalità della norma, l’ambito applicativo della stessa e, quindi, i profili soggettivi e oggettivi, la sua decorrenza, i presupposti applicativi e le modalità di calcolo della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta, gli effetti di tale trasformazione sulle differenze temporanee e sulla perdita fiscale che hanno generato tali attività per imposte anticipate, le modalità di utilizzo dei crediti rivenienti dalla conversione in parola nonché l’esposizione in bilancio e in dichiarazione dei redditi di tali DTA e dei crediti d’imposta rivenienti dalla trasformazione, tralasciando, invece, gli aspetti sanzionatori.

 

[-protetto-]

 

2.la finalità della norma

 

Come evidenziato dall’Agenzia delle entrate nella citata circolare n. 37/E/2012 la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta ha due distinte finalità: (i) «la prima, di natura agevolativa e riferibile alla generalità dei soggetti, è quella di ridurre l’impatto delle disposizioni fiscali che, in modo più significativo di altre, producono il differimento del riconoscimento fiscale di un onere rispetto a quando lo stesso si manifesta contabilmente» e (ii) «la seconda, diretta esclusivamente alle banche ed agli altri intermediari vigilati dalla Banca d’Italia, è quella di garantire a determinate DTA, attraverso un meccanismo di trasformazione automatica in credito d’imposta, una “qualità” patrimoniale sufficiente a evitare la deduzione delle stesse dal patrimonio di vigilanza» [3].

Fra le due finalità quella che ha ispirato la norma e le modifiche successivamente apportate alla stessa dovrebbe essere la seconda e cioè quella volta a evitare alle banche e agli altri intermediari finanziari vigilati di dover dedurre dal patrimonio di vigilanza, all’entrata in vigore delle nuove regole di Basilea 3, le tipologie di attività per imposte anticipate che sono più rilevanti per il settore bancario e finanziario.

Infatti, le disposizioni in commento, al momento della loro prima previsione nel disegno legge di conversione del D.L. n. 225/2010, erano state inserite in un autonomo articolo rubricato “Disposizioni concernenti il sistema bancario”; la stessa norma dapprima richiama espressamente il nuovo accordo di Basilea, che si applica esclusivamente alle banche e agli altri intermediari finanziari, e poi si riferisce alle sole svalutazioni operate dagli enti creditizi e finanziari (art. 106, comma 3, del TUIR); infine la stessa relazione tecnica al provvedimento fa riferimento varie volte agli enti creditizi e al settore finanziario.

Inoltre, le modifiche apportate dal D.L. n. 201/2011 hanno avuto, come risulta dalla stessa relazione a tale decreto, «l’obiettivo di eliminare qualsiasi circostanza in cui il recupero delle DTA indicate nel predetto decreto possa dipendere dalla redditività futura delle imprese, in modo da assicurare in ogni situazione la certezza del recupero delle DTA stesse. Dal punto di vista della normativa in materia di patrimonio di vigilanza degli intermediari finanziari – come disciplinata dall’accordo di Basilea 3 – ciò assicura la completa capacità di assorbimento delle perdite, in tutte le fasi della vita degli intermediari stessi, da parte della corrispondente riserva patrimoniale, ed evita di dedurre dal patrimonio di vigilanza le DTA in esame».

Anche le stesse modalità di cessione introdotte dal predetto decreto legge, che richiedono la cessione a valore nominale, rispondono, come evidenziato dalla stessa Agenzia delle entrate nella già citata circolare n. 37/E/2012, alla logica di garantire l’integrale liquidabilità del credito d’imposta ai fini della normativa prudenziale di vigilanza delle banche e degli intermediari finanziari.

Non va infine dimenticato come la stessa denominazione del codice tributo, istituito dall’Agenzia delle entrate con la citata risoluzione n. 57/E/2011 [4] e da utilizzare per compensare il credito riveniente dalla trasformazione delle DTA, fa esclusivo riferimento agli enti creditizi e finanziari.

La successiva o contestuale estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della norma in esame, con l’inclusione della generalità dei soggetti IRES, dovrebbe, invece, discendere dalla volontà di evitare discriminazioni tra operatori di diversi settori.

Si tratta, quindi, di due distinte finalità che, come si vedrà nel seguito, possono comportare una diversa interpretazione della norma quanto all’ambito e alle modalità applicative della stessa.

Al riguardo, vi è da chiedersi se tali due finalità abbiano pari rango e, quindi, in sede di interpretazione della norma si debba considerare l’una o l’altra a seconda del soggetto a cui si applica la norma (banca e intermediario finanziario vigilato oppure altro soggetto), con possibile differente applicazione di tale disposizione, oppure se una finalità prevalga sull’altra e, pertanto, se quella principale debba indirizzare l’interpretazione della norma nel suo complesso a prescindere dal soggetto a cui la stessa deve essere applicata.

Da alcune interpretazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012 sembra desumersi che la finalità principale della norma sia quella rivolta alle banche e agli altri intermediari vigilati dalla Banca d’Italia e che tale finalità indirizzi l’interpretazione della norma nel suo complesso.

Tale approccio, però, come si vedrà in seguito, comporta che talune interpretazioni possano apparire corrette se applicate alle banche e agli altri intermediari vigilati mentre non giustificate se riferite agli altri soggetti.

 

3. l’ambito soggettivo

 

La norma in parola non identifica in modo chiaro i soggetti a cui la stessa è applicabile limitandosi a prevedere, al comma 55, che «in funzione anche della prossima entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea, le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, relative a […] sono trasformate in crediti d’imposta qualora nel bilancio individuale della società venga rilevata una perdita d’esercizio», al comma 56, che «la trasformazione di cui al comma 55 decorre dalla data di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci, o dei diversi organi competenti per legge» e, al comma 57, che la disciplina in parola «si applica anche ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione della crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e di altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia».

In particolare, il tenore letterale della norma non consente di comprendere in modo incontrovertibile se la stessa riguardi solamente le banche e gli altri enti finanziari a cui si applicano le regole previste dal Comitato di Basilea ovvero la generalità delle imprese, così come se tale disciplina possa interessare anche le stabili organizzazioni di società estere (ad esempio le succursali italiane di banche estere).

Tuttavia, alla luce delle due distinte finalità della norma sopra evidenziate, l’Agenzia delle entrate ha precisato come la trasformazione delle attività per imposte anticipate sia applicabile alla generalità dei contribuenti che sono soggetti all’IRES e che presentano i requisiti indicati nella norma. Pertanto, tale disciplina è applicabile non solo alle banche e agli altri intermediari finanziari soggetti alla vigilanza di Banca d’Italia, ma anche alle società diverse da tali soggetti, quali, ad esempio, le società industriali [5].

Al riguardo, si osserva come, seppure la finalità della norma per le banche e gli altri intermediari finanziari vigilati sia quella di far diventare pienamente riconoscibili talune DTA ai fini della normativa in materia di patrimonio di vigilanza come disciplinata dall’accordo di Basilea 3 e la stessa norma nonché le relazioni al D.L. n. 225/2010 e al D.L. n. 201/2011 richiamino espressamente tale normativa, l’Agenzia delle entrate nell’individuare i soggetti per i quali la trasformazione delle DTA assume natura obbligatoria fa, invece, riferimento alle banche e agli altri intermediari finanziari vigilati da Banca d’Italia.

Tale riferimento potrebbe comportare una possibile esclusione o inclusione di soggetti a cui Basilea 3 rispettivamente si applica oppure no; ad esempio, sulla base dell’elenco fornito dall’Agenzia delle entrate nella circolare 28 marzo 2012, n. 11/E [6], le succursali italiane di banche comunitarie non sono sottoposte alla vigilanza di Banca d’Italia, ma alle stesse, considerate unitariamente alle banche comunitarie a cui appartengono, dovrebbe essere applicabile l’accordo di Basilea 3.

Inoltre, è stato specificato che per le banche e gli altri intermediari finanziari vigilati la trasformazione in parola opera ex se al verificarsi delle fattispecie astratte descritte dalla norma e, quindi, ha natura obbligatoria, mentre per gli altri soggetti rappresenta un’agevolazione che può essere attivata in via facoltativa.

L’obbligatorietà della trasformazione per le banche e gli altri intermediari vigilati dovrebbe discendere dalla stessa ratio della norma che vuole prevedere per talune DTA un meccanismo di trasformazione automatica in credito d’imposta, che non sarebbe tale laddove tale trasformazione fosse solamente facoltativa.

L’Agenzia delle entrate ha altresì specificato [7] come la norma in esame si applica anche alle società estere che operano in Italia mediante una stabile organizzazione di cui all’art. 162 del TUIR e che, ai sensi dell’art. 152 del medesimo decreto, determinano il reddito complessivo sulla base di un conto economico relativo alla gestione della stabile organizzazione [8].

Per tali ultimi soggetti, però, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, non opera la terza ipotesi di trasformazione prevista dal citato art. 2, comma 56-ter, del D.L. n. 225/2010 – e cioè quella applicabile in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi – dato che tale ipotesi presuppone un evento di natura extrafiscale che non può trovare verifica in capo ad una stabile organizzazione, interessando la società estera [9].

Al riguardo si osserva come tale orientamento, nel caso di succursali italiane di banche estere o di altri intermediari finanziari vigilati esteri residenti in un altro paese comunitario, appare in contrasto con la finalità della norma di voler garantire una qualità patrimoniale alle DTA in parola sufficiente a evitare la deduzione delle stesse dal patrimonio di vigilanza [10].

Infatti, in assenza di tale ipotesi di trasformazione, vi sarebbero casi in cui il recupero delle DTA potrebbe dipendere dalla redditività futura della stabile organizzazione e, quindi, non sarebbe assicurata la certezza del recupero delle DTA stesse.

Sembrerebbe essere, quindi, più in linea con la finalità della norma un’interpretazione che preveda comunque la trasformabilità della totalità delle DTA in caso di chiusura della succursale sia se tale evento dipenda dall’assoggettamento della società estera a procedure di diritto estero equivalenti alla nostra liquidazione volontaria o alle altre procedure concorsuali o di gestione della crisi sia se discenda dalla mera decisione della società estera di non operare più sul mercato italiano per il tramite di una stabile organizzazione e, quindi, di chiudere la propria presenza sul territorio dello Stato.

Va altresì considerato che tale interpretazione restrittiva potrebbe comportare, per la generalità dei soggetti IRES, una discriminazione fra società italiane e società estere che operano in Italia mediante una stabile organizzazione.

Si pensi, ad esempio, al caso di una banca estera comunitaria che opera in Italia tramite una succursale a cui sono attribuibili le principali attività di impiego della banca e, quindi, anche le principali svalutazioni su crediti; l’inapplicabilità della terza ipotesi non garantirebbe alle DTA rilevate nella contabilità della stabile organizzazione e iscritte conseguentemente nel bilancio della banca quella qualità patrimoniale sufficiente a evitare la deduzione delle stesse dal patrimonio di vigilanza richiesto alla banca estera, con evidente discriminazione rispetto ad una banca italiana.

 

4. l’ambito oggettivo

 

L’ambito oggettivo di applicazione della norma è dettato dal comma 55 del citato art. 2 del D.L. n. 225/2010 secondo il quale sono trasformabili in crediti d’imposta «le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, relative a svalutazioni di crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché quelle relative al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi».

Ne consegue che la conversione in parola non riguarda la massa delle DTA iscritte in bilancio, ma solo le fattispecie analiticamente individuate dalla norma.

Si tratta, in sostanza, come si può desumere dai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate [11], solamente delle DTA sorte per effetto di quelle disposizioni che, in modo più significativo di altre, producono il differimento del riconoscimento fiscale di un onere rispetto a quando lo stesso si manifesta contabilmente [12].

In particolare, in base a quanto specificato dell’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012, la trasformazione riguarda le DTA iscritte in bilancio a fronte di: (i) svalutazioni di crediti operate dagli enti creditizi e finanziari e non dedotte ai sensi del comma 3 dell’art. 106 del TUIR (cd. diciottesimi), nonché, per motivi di ordine logico-sistematico, anche ai sensi del comma 3-bis del medesimo articolo (cd. noni); (ii) svalutazioni di crediti effettuate dalle compagnie di assicurazione e non dedotte ai sensi dell’art. 16, comma 9, del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, che richiama il predetto art. 106 del TUIR; (iii) ammortamenti e svalutazioni iscritti a conto economico, ma non dedotti ai sensi dell’art. 103 del TUIR, in quanto eccedenti i limiti fiscali previsti da tale articolo, relativi all’avviamento, ai marchi e, per i soggetti IAS adopter, anche alle attività a vita utile indefinita per le quali la deduzione è ammessa alle medesime condizioni previste per marchi e avviamento [13] (fra cui dovrebbero rientrare i nomi commerciali e le testate giornalistiche [14] e (iv) affrancamento dell’avviamento effettuato dai soggetti IAS adopter ai sensi dell’art. 15, comma 10, del D.L. 29 dicembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), allorquando sia stato correttamente applicato il secondo metodo di contabilizzazione indicato dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) nell’Applicazione IAS/IFRS n. 1 del febbraio 2009 [15], che prevede la rilevazione nel conto economico dell’imposta sostitutiva con contestuale iscrizione delle attività per imposte anticipate iscritte in base alle aliquote ordinarie vigenti.

Con riferimento alla terza fattispecie sopra evidenziata (DTA iscritte a fronte di ammortamenti e svalutazioni iscritte a conto economico, ma non dedotte ai sensi dell’art. 103 del TUIR), è stato sottolineato come la circostanza che l’Agenzia delle entrate abbia annoverato fra le attività immateriali, che possono dare luogo a DTA trasformabili in crediti d’imposta, solamente i marchi e le attività a vita utile indefinita, non dovrebbe significare l’esclusione delle eventuali DTA iscritte a fronte di attività immateriali a vita utile definita, quali, ad esempio, la valorizzazione della cosiddetta “market relationship” e la lista clienti [16].

Al riguardo, va però considerato come, a differenza delle attività a vita utile indefinita che, al pari dei marchi e dell’avviamento, come sopra osservato, sono ordinariamente deducibili ai sensi dell’art. 103 del TUIR, in diciotto periodi d’imposta, le attività a vita utile definita potrebbero essere deducibili in misura non superiore al 50 per cento del costo ai sensi dell’art. 103, comma 1, del TUIR, per analogia alle informazioni e conoscenze in campo industriale, commerciale e scientifico non coperte da diritti di privativa, oppure ai sensi dell’art. 108, comma 3, del TUIR, nei limiti della quota imputabile in bilancio secondo corretti principi contabili [17]. Non si tratterebbe, quindi, di DTA iscritte per effetto di disposizioni fiscali che, in modo più significativo di altre, producono il differimento del disconoscimento fiscale di un onere rispetto a quando lo stesso si manifesta contabilmente.

Relativamente, invece, all’ultima fattispecie richiamata dall’Agenzia delle entrate nella predetta circolare (DTA iscritte a fronte dell’affrancamento dell’avviamento ex art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008), si osserva, in primo luogo, che l’Agenzia delle entrate ha anche puntualizzato come gli altri due metodi di contabilizzazione previsti dal predetto documento predisposto dall’OIC, nella misura in cui non danno origine all’iscrizione di DTA in bilancio, non possono generare poste rilevanti ai fini della disciplina in commento [18].

In secondo luogo, va evidenziato che la predetta Applicazione IAS/IFRS n. 1, si occupa esclusivamente dell’ipotesi in cui oggetto di riallineamento ex art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008, sia l’avviamento senza delineare quale sia il trattamento contabile del riallineamento dei marchi e delle immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita.

Al riguardo, va osservato come il principio IAS 12 impone di rilevare la fiscalità differita connessa all’iscrizione in bilancio, a seguito di operazioni di aggregazione fiscalmente neutrali, di beni con valori contabili superiori a quelli fiscali già alla data di rilevazione iniziale, con la sola eccezione dell’avviamento che è considerato una posta di natura residuale che non tollera né lo stanziamento iniziale delle imposte differite passive, né l’iscrizione o la cancellazione della fiscalità differita in caso di successiva variazione del disallineamento tra valori civili e fiscali.

Ciò posto, si potrebbe ipotizzare che qualora il riallineamento, effettuato ai sensi del citato art. 15, comma 10, abbia ad oggetto i marchi e le altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, lo stesso non dovrebbe comportare l’iscrizione di alcuna attività per imposte anticipate, eventualmente trasformabile in credito d’imposta in base alla disciplina in commento, ma solamente lo scarico delle imposte differite iscritte alla data di rilevazione iniziale dato che, per effetto dell’opzione di riallineamento esercitata, verrebbe appunto meno l’originario disallineamento che aveva comportato l’iscrizione di imposte differite passive.

Tuttavia, se fosse confermato che non solo per l’avviamento, ma anche per le altre immobilizzazioni immateriali, quali i marchi e le attività a vita utile indefinita, il riallineamento in parola non comporta il venir meno dell’originario disallineamento fra il valore contabile e quello fiscale di tali attività, ma la creazione di un elemento dell’attivo del tutto autonomo rispetto alle immobilizzazioni immateriali (avviamento, marchi e altre immobilizzazioni a vita utile indefinita), come sembra assumere il secondo metodo di contabilizzazione delineato dall’OIC nell’Applicazione IAS/IFRS n. 1 [19], allora forse si potrebbe ipotizzare l’iscrivibilità in bilancio di imposte anticipate anche con riferimento ai marchi e alle altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, che potrebbero essere oggetto di trasformazione in crediti d’imposta.

Inoltre, seppure non siano state espressamente richiamate dall’Agenzia delle entrate nella predetta circolare, è ragionevole ritenere, per motivazioni di ordine logico-sistematico, che rientrino nell’ambito di applicazione della disciplina in esame anche le seguenti tipologie di DTA iscritte in bilancio dai soggetti IAS adopter [20]: (i) imposte anticipate iscritte in sede di riallineamento, effettuato ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR [21], dell’avviamento iscritto a seguito di un’operazione di fusione, scissione o conferimento di azienda o ramo d’azienda; (ii) imposte anticipate iscritte in sede di affrancamento, effettuato ai sensi dell’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, dell’avviamento, dei marchi e delle altre attività immateriali a vita utile indefinita iscritti nel bilancio consolidato e ricompresi nel maggior valore di acquisizione delle partecipazioni di controllo [22] e (iii) imposte anticipate iscritte in sede di contabilizzazione a diretta riduzione del patrimonio netto, secondo il metodo suggerito dall’Associazione Italiana Revisori Contabili (Assirevi) nel documento OPI 1, dell’avviamento o delle altre attività immateriali a vita utile indefinita emerse a seguito dell’acquisizione di aziende o rami d’azienda under common control [23].

Infatti, per quanto riguarda le imposte anticipate iscritte a seguito di riallineamento effettuato ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR, oppure di affrancamento operato ai sensi dei commi 10-bis e 10-ter dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008, va osservato come il riallineamento di cui al predetto comma 10, annoverato espressamente dall’Agenzia delle entrate fra le fattispecie che danno luogo a DTA trasformabili in crediti d’imposta, costituisce, da un lato, una variante del regime di riallineamento ordinario previsto dal predetto art. 176, comma 2-ter, del TUIR [24] e, dall’altro lato, è specificamente richiamato dai commi 10-bis e 10-ter del citato art. 15, che prevedono l’applicabilità delle “previsioni del comma 10” anche ai maggiori valori delle partecipazioni di controllo iscritti in bilancio e riferibili all’avviamento e alle altre attività immateriali della società partecipata, cosi come risultante dal bilancio consolidato di gruppo [25].

Pertanto, se possono essere oggetto di trasformazione le DTA iscritte in bilancio a seguito dell’esercizio dell’opzione per il regime di affrancamento previsto dal comma 10 dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008, allora dovrebbero esserlo anche le DTA iscritte per effetto dell’applicazione di discipline da cui tale regime trae origine, costituendone una variante (quella appunto prevista dall’art. 176, comma 2-ter, del TUIR), ovvero di norme che rinviano a tale regime, estendendone l’applicabilità (quelle indicate nei commi 10-bis e 10-ter del citato art. 15 del d.l. n. 185/2008).

Inoltre, per quanto riguarda l’eventuale trasformabilità delle DTA iscritte in bilancio a seguito dell’affrancamento operato ai sensi dell’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, va considerato che la relazione tecnica ai commi 25–28 dell’art. 12 del disegno di legge di stabilità del 2013 [26] sembra confermare tale possibilità. Analizzando, infatti, gli impatti in termini di gettito derivanti dal differimento degli effetti dell’affrancamento di cui ai predetti commi 10-bis e 10-ter, previsto appunto dai commi 25-28 del predetto art. 12, la relazione tecnica considera anche l’effetto della possibile trasformazione in crediti d’imposta delle DTA iscritte in bilancio a seguito dell’affrancamento in parola, assumendo quindi che anche tali DTA rientrino nell’ambito applicativo della disciplina prevista dall’art. 2, commi 55-58, del D.L. n. 225/2010 [27].

Va altresì precisato come l’opzione per il riallineamento di cui all’art. 176, comma 2-ter, del TUIR, e quella per l’affrancamento di cui all’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, dovrebbero comportare l’iscrizione in bilancio di imposte anticipate solamente allorquando fosse applicato il secondo metodo di contabilizzazione indicato dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) nell’Applicazione IAS/IFRS n. 1 [28] che, come già osservato, prevede appunto la rilevazione nel conto economico dell’imposta sostitutiva con contestuale iscrizione delle attività per imposte anticipate iscritte in base alle aliquote ordinarie vigenti. Gli altri due metodi di contabilizzazione previsti dal predetto documento, infatti, come già evidenziato, qualora correttamente applicati, non comportano l’iscrizione in bilancio di imposte anticipate.

Infine, si osserva come, mentre non sembrano esservi dubbi che l’esercizio dell’opzione per l’affrancamento di cui all’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008 e l’adozione del secondo metodo di contabilizzazione previsto dall’OIC comportino l’iscrizione di attività per imposte anticipate non solo con riferimento all’avviamento, ma anche ai marchi e alle altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita [29], per il riallineamento previsto dal citato art. 176, comma 2-ter, del TUIR, si ripresentano i medesimi dubbi già evidenziati relativamente al riallineamento operato ai sensi dell’art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008, a cui pertanto si rinvia.

Per quanto riguarda, invece, le imposte anticipate iscritte a fronte del valore dell’avviamento o delle altre attività immateriali a vita utile indefinita contabilizzato a diretta diminuzione del patrimonio netto in base al metodo suggerito da Assirevi nel documento OPI 1, va evidenziato come si dovrebbe trattare di poste rilevanti ai fini della disciplina in esame in quanto entrambe le condizioni richieste dalla norma – e cioè l’iscrizione in bilancio di imposte anticipate e la riferibilità di tali imposte anticipate a componenti negativi relativi ad avviamento o altre attività immateriali deducibili in più periodi d’imposta – sarebbero soddisfatte.

Infatti, da un lato, l’esistenza di valori fiscali di importo superiore a quelli contabili dovrebbe comportare l’iscrizione di imposte anticipate nel bilancio dell’esercizio e, dall’altro lato, tale differenza positiva è fiscalmente rilevante in base a quanto previsto dall’art. 4, comma 3, del D.M. 1° aprile 2009, n. 48 [30] ed è certamente deducibile in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi nel caso in cui sia qualificabile come avviamento o altra attività immateriale a vita utile indefinita.

In particolare, la deducibilità di tali poste in più periodi è disciplinata dall’art. 103 del TUIR, sia per l’avviamento e i marchi che per le altre attività immateriali a vita utile indefinita, in virtù del rinvio operato a tale articolo dall’art. 10 del D.M. 8 giugno 2011 [31].

La disciplina in parola dovrebbe essere altresì applicabile alle DTA eventualmente iscritte in bilancio a seguito dell’imputazione a conto economico di una perdita per riduzione di valore (cd. impairment) dell’avviamento o di marchi e altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, che sono stati oggetto di affrancamento ai sensi dell’art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008, oppure dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR, contabilizzato in linea con quanto previsto dal primo metodo (Imposta sostitutiva senza l’iscrizione di imposte differite attive) descritto dall’OIC nel documento Applicazione IAS/IFRS n. 1.

Tale metodo di contabilizzazione, infatti, non prevede la rilevazione immediata a conto economico del beneficio fiscale futuro connesso all’affrancamento (da iscrivere in bilancio come attività per imposte anticipate), ma richiede che, in caso di successivo ammortamento o svalutazione non deducibile, siano dapprima riversate a conto economico le imposte differite iscritte lungo la durata di ammortamento fiscale dell’avviamento o dei marchi oppure delle altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita e successivamente, se necessario, iscritte imposte anticipate sulla differenza temporanea tra il valore contabile di tali attività e il loro valore fiscalmente riconosciuto [32]; ciò in quanto attraverso il pagamento dell’imposta sostitutiva viene operato un riallineamento dei valori fiscali di tali attività a quelli contabili con conseguente necessità di iscrivere imposte anticipate nel caso in cui successivamente il valore fiscale superi quello contabile.

Qualora, invece, sia adottato il secondo metodo (Imposta sostitutiva con rilevazione di imposte differite attive) o il terzo metodo (Imposta sostitutiva iscritta come anticipo di imposte correnti) di contabilizzazione previsto dalla citata Applicazione IAS/IFRS n. 1, un’eventuale imputazione a conto economico di una perdita per riduzione di valore dell’avviamento o di marchi o altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita non dovrebbe comportare la rilevazione di imposte anticipate considerato che tali metodi presuppongono che, nonostante l’avvenuto riallineamento, l’avviamento continua ad essere configurato come una posta disallineata e priva di valore fiscale e, quindi, non idonea a generare fiscalità anticipata o differita.

Infine, si osserva come, per i soggetti che redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali, il documento interpretativo n. 3 redatto dall’OIC [33] prevede un’unica modalità per contabilizzare gli effetti scaturenti dalla decisione di adesione al riallineamento dell’avviamento ai sensi dell’art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008.

In particolare, è previsto che l’esercizio dell’opzione per il predetto riallineamento comporta per le immobilizzazioni immateriali diverse dall’avviamento, da un lato, lo storno a conto economico della fiscalità differita passiva iscritta alla data di rilevazione iniziale dei maggiori valori di bilancio e, dall’altro lato, l’iscrizione dell’imposta sostitutiva dovuta fra i costi dell’esercizio, mentre per l’avviamento solamente l’iscrizione dell’imposta sostitutiva dovuta, che assume il connotato di anticipazione di future imposte correnti recuperabili in più esercizi, all’attivo di bilancio e, in particolare, nell’attivo circolante fra le imposte anticipate [voce II – Crediti, 4-ter) imposte anticipate] [34].

Ne dovrebbe conseguire che tale riallineamento – così come, per le ragioni sopra esposte, quello effettuato ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR, e l’affrancamento operato ai sensi dell’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008 – comporti l’iscrizione in bilancio di DTA che possono essere oggetto di trasformazione in crediti d’imposta secondo la disciplina in esame.

Tale trasformazione, però, non sembra essere conveniente da un punto di vista economico e finanziario considerato che, a fronte della conversione in crediti d’imposta di attività per imposte anticipate calcolate utilizzando l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicata [35], si dovrebbero sterilizzare, come meglio descritto nel seguito, future variazioni in diminuzione che, in assenza della trasformazione delle DTA, assumerebbero rilevanza sia ai fini IRES che IRAP ad aliquota ordinaria.

Inoltre, nello stesso documento redatto dall’OIC è stato precisato che il differimento previsto dalla norma degli effetti dell’affrancamento, in termini di deducibilità dell’ammortamento del maggior valore dell’avviamento o dei marchi di impresa, può generare nuove differenze temporanee che devono essere rilevate secondo le regole ordinarie dettate per le imposte differite attive.

Pertanto, sembrerebbe che, a differenza di quanto precisato dall’OIC in sede di commento del terzo metodo di contabilizzazione previsto per i soggetti IAS adopter – che ha in comune con il metodo in esame l’iscrizione all’attivo di bilancio dell’imposta sostitutiva dovuta – il metodo di contabilizzazione previsto per i soggetti che redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali non assuma che l’avviamento e le altre immobilizzazioni immateriali continuino a essere considerati, ai fini contabili, poste prive di rilevanza fiscale, ma attività con valori contabili e fiscali riallineati.

Ciò dovrebbe comportare anche che, a regime, un’eventuale svalutazione o ammortamento eccedenti i limiti fiscali possa dar luogo all’iscrizione di attività per imposte anticipate potenzialmente trasformabili in crediti d’imposta.

Delineate le tipologie di attività per imposte anticipate che possono essere oggetto di trasformazione secondo la disciplina in commento, va verificato, alla luce dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate nella più volte citata circolare n. 37/E/2012, quali siano gli importi di tali DTA che possono essere in concreto trasformati in crediti d’imposta e, in particolare, in primo luogo, se le tipologie di attività per imposte anticipate sopra evidenziate siano sempre convertibili oppure lo siano solo se iscritte in bilanci relativi ad esercizi di ordinaria attività; in secondo luogo se assumono rilevanza, come emerge dal testo della norma, solamente le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio oppure anche quelle non iscritte per motivi prudenziali ovvero compensate in bilancio con eventuali imposte differite passive (“Deferred Tax Liabilities” o “DTL”) [36]; e, in terzo luogo, se possono essere trasformate solamente le imposte iscritte ai fini IRES oppure anche ai fini dell’IRAP.

Con riferimento alla prima tematica, l’Agenzia delle entrate ha precisato, sentita anche Banca d’Italia, come, alla luce della finalità della norma, sono trasformabili in crediti d’imposta solamente le attività per imposte anticipate che hanno o hanno avuto rilevanza ai fini della normativa prudenziale di vigilanza e, pertanto, in caso di liquidazione volontaria o altra procedura concorsuale, sono convertibili solo le DTA iscritte fino all’ultimo bilancio d’esercizio approvato prima di entrare in fase di liquidazione volontaria o di procedura concorsuale [37].

In sostanza, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, sono trasformabili solamente le attività per imposte anticipate iscritte nei bilanci ordinari d’esercizio, che, per le banche e gli altri intermediari vigilati, includono anche i bilanci di amministrazione straordinaria di cui all’art. 75 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, mentre non lo sono quelle iscritte nel corso della liquidazione volontaria o di procedure concorsuali.

Per tali ultime DTA, infatti, non si pone il problema di assicurarne la liquidabilità integrale in quanto, generandosi nel corso della liquidazione volontaria o di procedure concorsuali, non assumono rilevanza ai fini della normativa prudenziale [38].

Tale orientamento è condivisibile nel caso delle banche o degli altri intermediari vigilati considerato che la finalità della norma in parola è appunto quella di garantire la liquidabilità integrale delle DTA che hanno un impatto più significativo per tali soggetti ai fini della normativa prudenziale di vigilanza; lo è meno, però, se si pensa agli altri soggetti a cui tale normativa di vigilanza non si applica e per i quali, invece, la finalità della norma è quella, come già evidenziato, di ridurre l’impatto delle disposizioni fiscali che, in modo più significativo di altre, producono il differimento del riconoscimento fiscale di un onere rispetto a quando lo stesso si manifesta contabilmente.

È stato altresì osservato come le DTA eventualmente generate durante la fase di crisi dovrebbero poter diventare trasformabili in crediti d’imposta una volta che la società è tornata in bonis, così come dovrebbero ricadere nell’ambito di applicazione della disciplina in parola le attività per imposte anticipate sorte in periodi d’imposta di ordinaria attività che, però, per carenza dei requisiti di recuperabilità, vengono iscritte solamente nel primo esercizio della procedura di crisi [39].

Per quanto riguarda la seconda fattispecie, però, si tratterebbe comunque di un’attività che non assume rilevanza ai fini del patrimonio di vigilanza e per la quale, pertanto, non vi sarebbe la necessità di garantirne la piena computabilità ai fini della normativa prudenziale. Infatti, fintantoché tali DTA non erano iscritte in bilancio durante l’ordinaria attività della società, le stesse non assumevano rilevanza ai fini del patrimonio di vigilanza, così come non la assumono una volta iscritte in bilancio durante un periodo di crisi.

Inoltre, il riferimento fatto dall’Agenzia delle entrate all’ultimo bilancio approvato prima di entrare in fase di liquidazione volontaria o di altra procedura concorsuale pone il problema se l’applicazione della disciplina in commento si estenda o meno alle eventuali DTA iscritte in sede di predisposizione, ad opera degli amministratori, del rendiconto sulla gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato.

Considerato che l’Agenzia delle entrate successivamente precisa come: «l’applicazione della disciplina di trasformazione delle DTA in credito d’imposta non si estende, pertanto, ad eventuali DTA che si siano generate successivamente alla data di inizio della fase di liquidazione volontaria o procedura concorsuale» e il predetto rendiconto di gestione riguarda il risultato economico derivante dall’attività degli amministratori svolta tra la data di chiusura del precedente bilancio fino alla data di avvio della liquidazione, si potrebbe ritenere che la disciplina della trasformazione delle DTA si estenda anche alle eventuali attività per imposte anticipate iscritte nel rendiconto di gestione.

Va altresì tenuto conto che, come evidenziato dall’Organismo Italiano di Contabilità nel documento OIC 5 “Bilanci di liquidazione”, tale rendiconto ha la natura di bilancio di esercizio infrannuale e risulta comunque sottoposto all’approvazione dell’assemblea degli azionisti, dovendo essere allegato al primo bilancio annuale di liquidazione.

Tuttavia, anche in questa ipotesi, non può ignorarsi come le DTA eventualmente iscritte nel predetto rendiconto di gestione non dovrebbero assumere alcuna rilevanza ai fini del patrimonio di vigilanza.

Relativamente, invece, alla seconda tematica, l’Agenzia delle entrate ha specificato che [40], stante l’esplicito riferimento fatto dalla norma alle “imposte anticipate iscritte in bilancio”, l’importo delle DTA trasformabili corrisponde al valore delle imposte anticipate indicato nell’apposita voce dell’attivo dello stato patrimoniale e, quindi, non sono trasformabili, in quanto non iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale, le DTA compensate con eventuali imposte differite passive ovvero quelle svalutate per motivi prudenziali.

Il riferimento alle sole imposte anticipate effettivamente iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale – senza considerare, quindi, le imposte anticipate compensate con imposte differite oppure le imposte anticipate teoricamente iscrivibili in bilancio, ma non iscritte, ad esempio, per ragioni di prudenza – appare coerente con la principale finalità della norma che, come sopra evidenziato, è quella di evitare la deduzione delle stesse dal patrimonio di vigilanza delle banche e degli altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia secondo le regole dettate dal Comitato di Basilea.

Va considerato, infatti, che, in linea generale, sono solo le DTA effettivamente iscritte in bilancio a dover essere potenzialmente dedotte dal patrimonio di vigilanza e non anche quelle non iscritte all’attivo dello stato patrimoniale per motivi prudenziali ovvero perché correttamente compensate con imposte differite passive.

Una diversa interpretazione che attribuisse rilevanza anche alle imposte anticipate non effettivamente iscritte in bilancio comporterebbe la trasformazione in crediti d’imposta di DTA che, in quanto non iscritte all’attivo dello stato patrimoniale, non dovrebbero avere alcun impatto negativo sul patrimonio di vigilanza secondo le regole previste dal Comitato di Basilea [41].

Per quanto riguarda il trattamento delle DTL ai fini della normativa sul patrimonio di vigilanza secondo le regole previste dal Comitato di Basilea, il documento «Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari», predisposto da tale comitato, precisa che, in linea generale, le DTA iscritte in bilancio vanno dedotte dal patrimonio di vigilanza al lordo delle eventuali DTL a meno che «entrambe si riferiscono a imposte prelevate dalla stessa autorità fiscale e la compensazione è autorizzata da quest’ultima» [42]. Ne dovrebbe conseguire la computabilità nel patrimonio di vigilanza e, quindi, la non trasformabilità in crediti d’imposta ai sensi della disciplina in parola, non solo delle DTA correttamente compensate in bilancio, ma anche di quelle non compensate, ma compensabili secondo le regole dettate dal Comitato di Basilea.

Se, però, si pensa che la trasformazione in parola è fruibile anche da soggetti IRES diversi da quelli a cui si applicheranno le regole dettate dal Comitato di Basilea, la limitazione della trasformabilità delle sole DTA iscritte in bilancio non appare in linea con la prima finalità della norma che, come sopra evidenziato, è applicabile alla generalità dei soggetti ed è quella di ridurre l’impatto delle disposizioni fiscali che producono in modo significativo il differimento del riconoscimento fiscale di un onere rispetto a quando lo stesso si manifesta contabilmente. Infatti, in base all’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate, a parità di applicazione di una disposizione fiscale, potrebbero fruire della disciplina in parola solamente i soggetti che hanno iscritto in bilancio le relative DTA.

È stato poi precisato che la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta trova applicazione anche nei confronti delle DTA che vengono iscritte in bilancio in fase di reassessment, cioè delle attività per imposte anticipate che non erano state rilevate in esercizi precedenti (ad esempio, per scarsa probabilità di realizzare redditi imponibili futuri), ma che vengono iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale, essendo venute meno (anche per effetto della norma in esame) le condizioni che ne hanno impedito l’iscrizione nei bilanci di precedenti esercizi.

Al riguardo si osserva che il documento predisposto congiuntamente da Banca d’Italia, Consob e ISVAP in tema “Trattamento contabile delle imposte anticipate derivante dalla Legge 214/2011” (doc. n. 5 del 15 maggio 2012) precisa come la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta conferisce certezza al recupero di tali DTA incidendo sul probability test contemplato dallo IAS 12 e rendendolo di fatto automaticamente soddisfatto.

Comunque, alla luce di quanto sopra evidenziato, in seguito all’emanazione del predetto documento congiunto di Banca d’Italia, Consob e ISVAP e della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 37/E/2012, non dovrebbero più presentarsi dei casi di società che, in ottica prudenziale, non hanno iscritto in bilancio l’intero importo delle DTA.

L’Agenzia delle entrate ha altresì evidenziato come non possano costituire oggetto di trasformazione in credito d’imposta eventuali DTA eccedenti rispetto alla minore imposta effettivamente corrispondente ai componenti negativi deducibili in futuri periodi d’imposta. Ciò potrebbe verificarsi sia nel caso in cui il contribuente, in presenza di una riduzione delle aliquote d’imposta, non abbia provveduto ad aggiornare le aliquote utilizzate per l’iscrizione in bilancio delle DTA sia nel caso in cui, invece, le DTA siano state iscritte in bilancio considerando importi solamente stimati delle variazioni in aumento apportate al risultato dell’esercizio nel periodo d’imposta di formazione, che non sono poi stati aggiornati.

L’Agenzia delle entrate, invece, non si è pronunciata espressamente sulla tematica della trasformabilità delle sole DTA iscritte ai fini IRES o anche di quelle rilevate ai fini IRAP.

Tuttavia, dalla lettura degli esempi numerici fatti dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012, risulta che la stessa ha utilizzato esclusivamente l’IRES: ciò costituisce sicuramente un indizio di quale sia l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria sulla tipologia di imposte trasformabili in crediti d’imposta.

Al riguardo, va osservato come la norma dapprima si riferisce genericamente alle «attività per imposte anticipate iscritte in bilancio», fra cui vi rientrano sicuramente sia l’IRES che l’IRAP, mentre poi richiama i «componenti negativi […] deducibili […] ai fini delle imposte sui redditi» e le «perdite di cui all’art. 84 del testo unico delle imposte sui redditi» che possono far pensare, almeno in prima istanza, come la disciplina in parola interessi solamente le attività per imposte anticipate iscritte ai fini IRES [43].

Va comunque considerato che per le DTA IRAP non può operare l’ipotesi di trasformazione prevista dal comma 56-bis dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010, che si applica in presenza di una perdita fiscale, considerato che, ai fini di tale tributo, le perdite fiscali non sono riportabili ai successivi periodi d’imposta, con la conseguenza che per tali attività non sarebbe garantito il pieno realizzo delle stesse e, quindi, non dovrebbero poter essere computabili ai fini del patrimonio di vigilanza come disciplinato dall’Accordo di Basilea 3; ciò dovrebbe comportare l’irrilevanza di tali attività per imposte anticipate ai fini della disciplina della conversione delle DTA in crediti d’imposta considerato che la principale finalità di tale norma è, come già evidenziato, quella di assicurare in ogni situazione la certezza del recupero di tali attività, ma nel caso specifico tale certezza non esisterebbe. Anche in tale ipotesi si tratterebbe di una limitazione che mal si concilierebbe con l’altra finalità della norma che, come già evidenziato, è volta a ridurre l’impatto di talune disposizioni fiscali e riguarda la generalità dei soggetti e, quindi, anche i soggetti diversi dalle banche e dagli altri intermediari finanziari vigilati.

 

5.la decorrenza dellanorma

 

La norma contenente la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta (commi 55-58 dell’art. 2 del del D.L. n. 225/2010) non prevede una specifica decorrenza e, pertanto, tale disposizione è applicabile a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento che contiene tale norma.

In particolare, considerato che i commi 55 e 56 sono stati introdotti in sede di conversione del D.L. n. 225/2010 (legge n. 10/2011) mentre i commi 56-bis e 56-ter sono stati aggiunti dal D.L. n. 201/2011, la trasformazione che opera in presenza di una perdita civilistica (commi 55 e 56) è applicabile a decorrere dal 27 febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge n. 10/2011) mentre la conversione che si applica in presenza di una perdita fiscale o in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi è applicabile a decorrere dal 6 dicembre 2011 (data di entrata in vigore del D.L. n. 201/2011).

Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, la trasformazione delle DTA in presenza di una perdita civilistica è applicabile a tutti i bilanci la cui approvazione avvenga successivamente alla data di entrata in vigore della norma [44] – e, quindi, a tutti i bilanci che sono stati approvati successivamente alla data del 27 febbraio 2011 [45] – considerato che, in base a quanto stabilito dal citato comma 56, tale trasformazione opera dalla data di approvazione del bilancio che evidenzia tale perdita.

In tale ipotesi assumono rilevanza, ai fini della trasformazione in crediti d’imposta, le DTA che risultano iscritte in tali bilanci, a prescindere dal periodo di formazione e sempre che si riferiscano a quote di svalutazioni su crediti non ancora dedotte ai sensi dell’art. 106, comma 3, del TUIR, e di componenti negativi relativi al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali che saranno deducibili nei successivi periodi.

Ai fini, invece, della trasformazione delle DTA in presenza di una perdita fiscale, nella circolare in commento viene precisato che sono computabili le DTA iscritte sulle perdite fiscali rilevate a partire dal periodo d’imposta nel corso del quale è entrato in vigore il predetto D.L. n. 201/2011 e, quindi, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data del 6 dicembre 2011.

Considerato, però, che la trasformazione in parola opera al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene indicata la perdita, sarebbe, forse, più aderente alla norma far riferimento alle DTA iscritte sulle perdite fiscali nei bilanci degli esercizi per i quali le relative dichiarazioni dei redditi sono presentate successivamente alla data del 6 dicembre 2011; ciò sarebbe anche in linea con il chiarimento fornito dalla stessa Agenzia delle entrate a proposito dell’applicabilità della trasformazione delle DTA in presenza di una perdita civilistica.

Nulla invece viene specificato dall’Agenzia delle entrate per quanto riguarda la decorrenza della trasformazione delle DTA che opera nell’ipotesi in cui il bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento e liquidazione coatta amministrativa, evidenzi un patrimonio netto positivo (comma 56-ter).

Tuttavia, tale ipotesi di trasformazione delle DTA dovrebbe essere applicabile a tutti i bilanci finali per cessazione di attività che sono stati formalmente o tacitamente approvati dai soci, per quanto riguarda il caso delle liquidazioni volontarie, oppure che sono stati approvati dagli altri organi competenti, per quanto riguarda il caso del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa, successivamente alla predetta data del 6 dicembre 2011. Infatti, è ragionevole ritenere, in base a quanto specificato dall’Agenzia delle entrate con riferimento alla prima ipotesi di trasformazione, che la trasformazione prevista dal comma 56-ter operi dalla data di approvazione del bilancio finale per cessazione di attività.

 

6. i presupposti applicativi e le modalità di calcolo della trasformazione delle dta

 

Come già evidenziato, la trasformazione delle DTA in crediti d’imposta opera in presenza di tre diversi presupposti: (i) l’evidenziazione di una perdita civilistica nel bilancio d’esercizio; (ii) l’indicazione di una perdita fiscale nella dichiarazione dei redditi formata in tutto o in parte per effetto delle variazioni in diminuzione apportate nella medesima dichiarazione a titolo di quote di svalutazioni su crediti di esercizi precedenti o di ammortamento dell’avviamento e di altre attività immateriali e (iii) l’evidenziazione di un patrimonio netto positivo nel bilancio finale di liquidazione volontaria o di altra procedura concorsuale o di gestione della crisi.

Tali presupposti e, in particolare, il primo e il secondo, possono coesistere e, come evidenziato dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012, possono cumularsi in caso di copresenza nel medesimo anno di una perdita fiscale e di una perdita civilistica.

 

6.1 Il primo presupposto: l’evidenziazione di una perdita civilistica nel bilancio d’esercizio

 

La prima ipotesi di trasformazione delle DTA è prevista dal comma 56 dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010 e si verifica in presenza di una perdita civilistica nel bilancio d’esercizio.

In particolare, è stabilito che «la trasformazione […] opera per un importo pari al prodotto, da effettuarsi sulla base dei dati del medesimo bilancio approvato, tra: a) la perdita d’esercizio, e b) il rapporto fra le attività per imposte anticipate indicate al comma 55 e la somma del capitale sociale e delle riserve». In sostanza, invertendo i fattori del prodotto contemplato al predetto comma 56, l’ammontare delle DTA iscritte in bilancio, che può essere oggetto di trasformazione in crediti d’imposta, si ottiene moltiplicando il valore di tali DTA per il rapporto fra la perdita civilistica dell’esercizio e la somma del capitale sociale e delle riserve.

Al riguardo, l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012 ha precisato che: (i) la “perdita d’esercizio” è quella evidenziata nel conto economico del bilancio oppure, nel caso di succursali italiane di società estere, nel conto economico sulla base del quale viene determinato il reddito complessivo IRES; (ii) le “attività per imposte anticipate”, come già evidenziato, sono solo quelle relative alle quote delle svalutazioni dei crediti e agli ammortamenti o alle svalutazioni dell’avviamento e delle altre attività immateriali che sono deducibili nei successivi periodi d’imposta e che sono iscritte all’attivo dello stato patrimoniale oppure, nel caso di succursali italiane di società estere, che sono rilevate nella contabilità della stabile organizzazione; (iii) per “somma del capitale sociale e delle riserve” si deve intendere l’ammontare del patrimonio netto evidenziato in bilancio oppure, nel caso di succursali italiane di società estere, l’importo del fondo di dotazione della stabile organizzazione risultante dalla dichiarazione dei redditi [46], con la sola esclusione della perdita civilistica dell’esercizio [47]; pertanto il patrimonio netto da considerare ai fini del calcolo dell’ammontare delle DTA da trasformare deve includere non solo il capitale sociale (o il fondo di dotazione della stabile organizzazione costituito con apporti della società estera) e le riserve patrimoniali, ma anche le altre voci che formano lo stesso, correttamente rilevate in applicazione dei principi contabili di riferimento (ad esempio, la riserva AFS, sia positiva che negativa), e le eventuali perdite pregresse portate a nuovo, con la sola esclusione della perdita civilistica dell’esercizio considerato e (iv) qualora la perdita civilistica dell’esercizio risulti uguale o maggiore del patrimonio netto contabile oppure del fondo di dotazione della stabile organizzazione, è trasformabile in crediti d’imposta l’intero importo delle DTA iscritte in bilancio, che sono rilevanti ai fini della disciplina in commento.

La trasformazione in parola, stante la precisazione contenuta nel comma 56-ter, si applica anche ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.

In tali casi, però, ad avviso dell’Agenzia delle entrate [48], la trasformazione delle DTA in crediti d’imposta prevista dai commi 55 e 56 – così come quella disposta dal comma 56-bis – opera solamente in sede di bilancio finale di liquidazione o altra procedura concorsuale e non anche in sede di bilanci intermedi in quanto in tali periodi, da un punto di vista fiscale, la dichiarazione potrebbe essere suscettibile di conguagli [49].

Tale chiarimento, però, non dovrebbe essere applicabile nell’ipotesi di società in liquidazione aderenti a un consolidato fiscale né quando la liquidazione si è protratta per più di cinque esercizi, compreso quello in cui ha avuto inizio.

Infatti, in entrambe le fattispecie si tratta di dichiarazioni dei redditi non suscettibili di conguagli; in particolare, nel primo caso, va considerato che l’art. 12, lett. c), del D.M. 9 giugno 2004 [50], sancisce che: «se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito o le perdite fiscali di ciascuno degli esercizi compresi nella liquidazione si considerano definitivi, indipendentemente dalla durata della liquidazione o dell’amministrazione straordinaria stessa» [51] mentre nel secondo caso che, ai sensi dell’art. 182, comma 3, del TUIR, a partire dal sesto esercizio di liquidazione i redditi non sono più determinati in via provvisoria, ma in modo definitivo.

Inoltre, si pone il problema se, in caso di liquidazione, l’evidenziazione di una perdita di periodo nel rendiconto di gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato, redatto ad opera degli amministratori, costituisce presupposto per la trasformazione delle DTA iscritte in tale rendiconto.

La risposta dovrebbe essere positiva considerato che, da un lato, il periodo oggetto del predetto rendiconto di gestione non è qualificabile come un periodo intermedio della liquidazione, suscettibile di conguagli da un punto di vista fiscale, ma riguarda il risultato economico derivante dall’attività degli amministratori svolta tra la data di chiusura del precedente bilancio fino alla data di avvio della liquidazione e, dall’altro lato, che, come evidenziato dall’OIC nel documento OIC 5 “Bilanci di liquidazione”, tale rendiconto di gestione ha la natura di bilancio di esercizio infrannuale e risulta comunque sottoposto all’attenzione dell’assemblea degli azionisti, dovendo essere allegato al primo bilancio annuale di liquidazione.

Tuttavia, le imposte anticipate iscritte in tale rendiconto da convertire in crediti d’imposta dovrebbero essere, aderendo all’impostazione data dall’Agenzia delle entrate, solamente quelle che sono state iscritte fino all’ultimo bilancio approvato prima di entrare in fase di liquidazione volontaria o di procedura concorsuale.

Va altresì osservato come l’ipotesi della trasformazione delle DTA in commento non dovrebbe di fatto operare in sede di bilancio finale di liquidazione o di altra procedura concorsuale. Infatti, in sede di determinazione del reddito relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura della liquidazione, se la liquidazione non si è protratta per più di cinque esercizi, oppure del reddito relativo al periodo in cui avviene la chiusura della liquidazione, in caso contrario, le eventuali quote residue dei cd. diciottesimi e noni e dei componenti negativi relativi al valore dell’avviamento, dei marchi e delle altre attività immateriali a vita utile indefinita dovrebbero concorrere, per il loro intero importo residuo, alla formazione del reddito o della perdita di tale periodo [52].

Conseguentemente, il bilancio finale di liquidazione non dovrebbe evidenziare DTA relative a tali fattispecie, ma, eventualmente, solo attività per imposte anticipate iscritte sulla perdita fiscale di tale periodo e, pertanto, in assenza di qualsiasi attività iscritta in bilancio suscettibile di trasformazione ai sensi dei citati commi 55 e 56, l’ipotesi di conversione in parola non potrebbe operare.

Un ulteriore aspetto problematico riguarda l’ipotesi in cui le dichiarazioni relative ai bilanci intermedi diventano definitive, ai sensi dell’art. 182, comma 3, del TUIR, per il protrarsi per più di cinque esercizi della liquidazione. Le eventuali DTA non trasformate ai sensi dei citati commi 55 e 56 intali periodi intermedi dovrebbero poterlo essere comunque, in base a quanto verrà osservato in seguito, ai sensi del comma 56-bis oppure del comma 56-ter rispettivamente al momento dell’approvazione dell’ultimo bilancio presentato dalla società o della presentazione dell’ultima dichiarazione dei redditi.

Nell’ipotesi, invece, di revoca della liquidazione, sarebbe necessario attendere il verificarsi del presupposto della perdita civilistica (commi 55 e 56) o della perdita fiscale (comma 56-bis) per poter trasformare le DTA che non state convertite durante la liquidazione, in ossequio al chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate sopra richiamato, pur essendo applicabile in tali periodi intermedi quanto previsto dai commi 55 e 56.

Infine, è previsto che tale trasformazione decorra dalla data di approvazione del bilancio d’esercizio da parte dell’assemblea dei soci, o dei diversi organi competenti per legge, e, pertanto, dalla data in cui viene approvato il bilancio dell’esercizio che evidenzia la perdita che ha comportato la trasformazione delle DTA [53].

 

6.2 Il secondo presupposto: l’indicazione di una perdita fiscale nella dichiarazione dei redditi

 

La seconda ipotesi di conversione delle DTA, che è prevista dal comma 56-bis dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010, opera in presenza di una perdita fiscale a condizione, però, che tale perdita derivi dalla deduzione di (i) quote di svalutazioni su crediti effettuate in esercizi precedenti e deducibili per quote costanti ai sensi dell’art. 106, commi 3 e 3-bis, del TUIR, e (ii) quote di ammortamento dell’avviamento e di altre attività immateriali deducibili ai sensi dell’art. 103, comma 3-bis, del TUIR, ovvero ai sensi del combinato disposto degli artt. 103, comma 1 (marchi) o 3 (avviamento e altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita in virtù di quanto previsto dall’art. 10 del decreto di coordinamento D.M. 8 giugno 2011), e 109, comma 4, lett. a), del TUIR.

In particolare, è previsto che «la quota delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relativa alle perdite di cui all’articolo 84 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e derivante dalla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55, è trasformata per intero in crediti d’imposta».

Pertanto, tale seconda ipotesi non riguarda le DTA relative alle quote di svalutazioni su crediti non ancora dedotte ai sensi dell’art. 106, comma 3, del TUIR, e alle quote di ammortamento dell’avviamento e delle altre attività immateriali che sono deducibili nei successivi periodi, come la prima ipotesi, ma le attività per imposte anticipate iscritte a fronte di una perdita fiscale, computabile in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi ai sensi dell’art. 84 del TUIR.

Tali DTA assumono rilevanza solo per la parte che corrisponde alle quote di svalutazioni su crediti e di ammortamento dell’avviamento, dei marchi e delle altre attività immateriali a vita utile indefinita che hanno concorso a formare tale perdita fiscale e che hanno comportato lo scarico delle attività per imposte anticipate iscritte negli esercizi precedenti [54].

Inoltre, in virtù di quanto previsto dal comma 56-ter, tale ipotesi si applica anche ai bilanci di liquidazione volontaria ovvero relativi a società sottoposte a procedure concorsuali o di gestione della crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa di banche e altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.

Con riferimento a tale seconda ipotesi di trasformazione delle DTA, l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012 ha chiarito, in primo luogo, che, al fine di individuare la parte della perdita fiscale che si riferisce ai cd. diciottesimi o noni o alle quote di ammortamento dell’avviamento o delle altre attività immateriali, è possibile attribuire l’importo della perdita fiscale alle suddette variazioni in diminuzione fino a concorrenza delle stesse.

Quindi, se la perdita fiscale risulta d’importo minore o uguale all’ammontare complessivo delle variazioni in diminuzione apportate in dichiarazione relative alle predette quote, le DTA iscritte in bilancio sulla perdita fiscale sono interamente trasformate. Nell’ipotesi in cui, invece, la perdita fiscale è d’importo superiore, sono trasformate in credito d’imposta le sole DTA relative al valore della perdita fiscale corrispondente all’importo complessivo di tali variazioni in diminuzione.

In secondo luogo, è stato precisato che, in caso di soggetti in liquidazione volontaria o altra procedura concorsuale, la trasformazione delle DTA prevista dal comma 56-bis può operare solamente in sede di dichiarazione dei redditi definitiva e, quindi, all’atto della presentazione delle dichiarazioni dei redditi relative agli eventuali bilanci intermedi in quanto tali dichiarazioni potrebbero essere suscettibili di conguagli.

Dovrebbero essere comunque trasformabili anche le eventuali DTA iscritte nei bilanci intermedi a fronte di perdite fiscali realizzate in tali periodi, per la parte che si riferisce a variazioni in diminuzione operate a titolo di diciottesimi o noni e di quote di ammortamento di avviamento o altre attività immateriali a vita utile indefinita, considerato che i redditi relativi ai bilanci intermedi sono oggetto di conguaglio in base al bilancio finale e, quindi, le medesime variazioni in diminuzione apportate nelle dichiarazioni relative ai bilanci intermedi vanno riproposte nella dichiarazione dei redditi finale [55].

Ciò, però, sempre che, da un lato, la liquidazione non si protragga per più di cinque esercizi, in quanto, altrimenti, le perdite dei predetti periodi intermedi, determinate in via provvisoria, assumerebbero carattere definitivo e, dall’altro lato, siano trasformabili – come dovrebbero esserlo, considerata la finalità principale della norma – non solo le DTA iscritte nell’ultimo bilancio della società, ma anche quelle iscritte nei bilanci intermedi e non stornate nell’ultimo bilancio.

Si pone, invece, il problema della trasformabilità di tali DTA nel caso in cui le perdite determinate in via provvisoria nei periodi intermedi diventino definitive come, ad esempio, nell’ipotesi in cui la liquidazione si protragga per più di cinque esercizi o qualora la liquidazione venga revocata, a meno di non potere rettificare le dichiarazioni dei redditi già presentate relative a tali periodi, indicando l’avvenuta trasformazione di tali DTA.

In tali ipotesi, infatti, risulterebbero iscritte in bilancio attività per imposte anticipate su perdite fiscali alle quali non sarebbe applicabile né l’ipotesi di trasformazione prevista dai commi 55 e 56 né, in base a un’interpretazione letterale della norma, quella di cui ai commi 56-bis e 56-ter. Se, però, la finalità principale della norma, come sopra ricordato, è quella di garantire la trasformabilità delle attività per imposte anticipate più significative, allora quanto previsto dai commi 56-bis e 56-ter dovrebbe essere applicabile anche a tali DTA. In particolare, il comma 56-ter dovrebbe essere applicabile non solo alle attività per imposte anticipate iscritte sui componenti di reddito di cui ai commi 55 e 56 (cd. diciottesimi, noni e quote di ammortamento dell’avviamento e delle altre attività immateriali a vita utile indefinita), ma anche a quelle iscritte sulle perdite fiscali di cui al comma 56-bis.

Inoltre, tale precisazione, come già osservato commentando l’ipotesi della trasformazione in presenza di una perdita civilistica, non dovrebbe essere applicabile in caso di società in liquidazione aderenti a un consolidato fiscale né quando la liquidazione si è protratta per più di cinque esercizi, compreso quello in cui ha avuto inizio. Infatti, in entrambi i casi non si tratterebbe di periodi d’imposta suscettibili di conguaglio.

Infine, in caso di liquidazione, l’evidenziazione di una perdita fiscale nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo oggetto del rendiconto di gestione predisposto dagli amministratori dovrebbe costituire presupposto per la trasformazione delle DTA iscritte su tale perdita fiscale.

Infatti, da un lato, tale periodo non è qualificabile come un periodo intermedio della liquidazione, suscettibile di conguagli da un punto di vista fiscale, ma riguarda il risultato economico derivante dall’attività degli amministratori svolta tra la data di chiusura del precedente bilancio fino alla data di avvio della liquidazione e dall’altro lato, come evidenziato dall’OIC nel documento OIC 5 “Bilanci di liquidazione”, tale rendiconto di gestione ha la natura di bilancio di esercizio infrannuale e risulta comunque sottoposto all’attenzione dell’assemblea degli azionisti, dovendo essere allegato al primo bilancio annuale di liquidazione.

In terzo luogo, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione fiscale dell’utile, come ad esempio talune società cooperative a mutualità prevalente, va considerata quale perdita che genera il presupposto per l’iscrizione delle relative DTA quella che, ai sensi dell’art. 84, comma 1, del TUIR, è computabile in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi e, quindi, solamente quella che eccede gli utili che non hanno concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti.

Pertanto, ipotizzando che una società cooperativa a mutualità prevalente realizzi (i) nell’anno x un utile civilistico di 100, di cui 70 escluso dal reddito poiché destinato a riserva indisponibile e (ii) nell’anno x+1 una perdita fiscale di 200, formata da una variazione in diminuzione di150 a titolo di quota di ammortamento di avviamento non dedotta in esercizi precedenti, l’ammontare della perdita fiscale che, da un lato, consente l’iscrizione di DTA in bilancio, e, dall’altro lato, è attribuibile, ai fini della trasformazione delle DTA, alla variazione in diminuzione operata a titolo di quota di ammortamento dell’avviamento non è 150 bensì 130 (perdita fiscale di 200 meno utile detassato dell’esercizio precedente di 70).

In quarto luogo, l’Agenzia delle entrate ha affrontato la questione relativa al soggetto che, in caso di adesione ad un consolidato fiscale, è legittimato, oppure obbligato, a trasformare le DTA in presenza di una perdita fiscale che consente appunto tale conversione.

Ad avviso dell’Agenzia delle entrate la trasformazione opera a livello di singola società, consolidante o consolidata, a condizione però che la stessa: «– abbia operato nella propria dichiarazione una variazione in diminuzione rilevante ai fini della disciplina; abbia evidenziato nella medesima dichiarazione una perdita fiscale; abbia iscritto in bilancio le DTA relative alla perdita fiscale (perlomeno per la parte rilevante ai fini della trasformazione)» [56].

Nel caso in cui, però, gli accordi di consolidamento prevedano la monetizzazione alla consolidata del beneficio fiscale riferibile alla perdita fiscale trasferita al consolidato, tale perdita non venga integralmente utilizzata in compensazione dei redditi imponibili trasferiti dalle altre società partecipanti al consolidato e, conseguentemente, la consolidante abbia iscritto nel proprio bilancio le DTA relative alla perdita trasferita per la parte non utilizzata, la trasformazione non può operare in capo alla consolidante in quanto tali attività per imposte anticipate si riferiscono ad una perdita fiscale non prodotta dalla consolidante e a variazioni in diminuzione relative a svalutazioni di crediti o ad ammortamenti o svalutazioni dell’avviamento o ad altre immobilizzazioni immateriali che non sono state effettuate dalla consolidante.

Ne dovrebbe conseguire che l’individuazione del soggetto legittimato, oppure obbligato, ad applicare la disciplina della trasformazione delle DTA dipende dalle previsioni contrattuali stabilite nell’accordo di consolidamento in essere, considerato, in primo luogo, che, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, la trasformazione in parola può operare a livello di singola società, consolidante o consolidata, solamente allorquando nel bilancio di tale società figurino iscritte le DTA relative alla perdita fiscale, e, in secondo luogo, che gli effetti contabili che derivano dall’applicazione della procedura di consolidamento fiscale – e, nel caso specifico, l’iscrizione di tali attività per imposte anticipate nel bilancio della singola società – dipendono direttamente dalle clausole contenute nel contratto di consolidamento.

Infatti, qualora l’accordo di consolidamento preveda la remunerazione immediata dell’intero importo delle perdite fiscali trasferite al consolidato fiscale, nel bilancio della società consolidata non dovrebbe figurare alcun importo iscritto a titolo di attività per imposte anticipate sulla perdita fiscale trasferita, ma solamente un credito verso la consolidante per il beneficio fiscale trasferito e immediatamente remunerato [57]. In tale ipotesi, la trasformazione non potrebbe operare né a livello di società consolidata, non essendo iscritto alcun importo in bilancio a titolo di DTA sulla perdita fiscale, né, qualora la perdita trasferita non sia stata integralmente utilizzata e la società consolidante abbia iscritto le DTA sulla parte di tale perdita che residua, a livello di società consolidante, trattandosi di una perdita generata da un’altra società e relative a svalutazioni dell’avviamento o ad altre immobilizzazioni immateriali che non sono state effettuate dalla consolidante [58].

Nel caso in cui, invece, il contratto di consolidamento preveda la remunerazione delle perdite fiscali trasferite solo se, e nella misura in cui, le stesse sono utilizzate dalla stessa società che le ha prodotte in diminuzione dei propri redditi imponibili, nel bilancio della società consolidata dovrebbero figurare le DTA relative alla perdita fiscale trasferita al consolidato, almeno per la parte oggetto di trasformazione qualora non sussista la ragionevole certezza di redditi imponibili futuri realizzati dalla società consolidata [59]. In questo caso, la società legittimata, oppure obbligata, a trasformare le DTA iscritte in bilancio sarebbe la società consolidata in quanto sarebbero soddisfatte tutte e tre le condizioni dettate dall’Agenzia delle entrate [60].

Qualora, infine, l’accordo di consolidamento preveda la remunerazione immediata delle sole perdite fiscali trasferite al consolidato fiscale e utilizzate in compensazione dei redditi imponibili trasferiti dalle altre società del consolidato fiscale, nel bilancio della società consolidata, che ha attribuito la perdita fiscale, dovrebbero figurare le DTA relative alla parte di perdita fiscale residua (cioè non utilizzata nell’ambito del consolidato nel medesimo periodo d’imposta in cui la stessa è stata prodotta). In tale ipotesi, la trasformazione dovrebbe operare a livello di società consolidata relativamente però alle sole DTA iscritte sulla perdita fiscale residua.

Inoltre, la norma prevede espressamente che la trasformazione in parola decorra dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi in cui viene evidenziata la perdita fiscale che ha comportato l’iscrizione di DTA nel bilancio dell’esercizio.

 

6.3 Il terzo presupposto: l’evidenziazione di un patrimonio netto positivo nel bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento o liquidazione coatta amministrativa

 

Il terzo presupposto applicativo della trasformazione delle DTA, previsto dal citato comma 56-ter dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010, si verifica «qualora il bilancio finale per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria, fallimento o liquidazione coatta amministrativa evidenzi un patrimonio positivo»; in tale ipotesi «è trasformato in crediti d’imposta l’intero ammontare di attività per imposte anticipate di cui ai commi 55 e 56».

Pertanto, tale modalità si applica solamente in presenza di bilanci finali per cessazione di attività, dovuta a liquidazione volontaria e altre forme di procedure concorsuali, che evidenziano un patrimonio netto contabile positivo.

Tale disposizione, così come quella prevista dal citato comma 56-bis, è stata introdotta, come precisato dalla stessa relazione al D.L. n. 201/2011 che ha aggiunto i commi 56-bis e 56-ter, al fine di «eliminare qualsiasi circostanza in cui il recupero delle DTA possa dipendere dalla redditività futura delle imprese, in modo da assicurare in ogni situazione la certezza del recupero delle DTA stesse».

Infatti, in assenza di tali ipotesi, vi sarebbero stati dei casi in cui non vi era la certezza di recuperare le DTA iscritte in bilancio come, ad esempio, nel caso di esercizi che evidenziavano in bilancio un utile e in dichiarazione dei redditi una perdita fiscale ovvero di esercizi che evidenziavano in bilancio una perdita, ma non d’importo sufficiente ad assorbire l’intero patrimonio netto.

A seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 211/2011 diventa, invece, certo il recupero delle DTA in parola attraverso (i) il fisiologico rigiro delle differenze temporanee deducibili nel calcolo del reddito imponibile; (ii) la trasformazione in presenza di una perdita civilistica; (iii) la trasformazione in presenza di una perdita fiscale e (iv) la trasformazione dell’intero importo di DTA residue in presenza di un bilancio finale di liquidazione o fallimento o altra procedura concorsuale che evidenzia un patrimonio netto positivo. In caso, invece, di patrimonio netto finale negativo, si dovrebbe applicare la seconda ipotesi di trasformazione con conversione dell’intero ammontare delle DTA in quanto l’importo della perdita civilistica dell’esercizio sarebbe superiore all’ammontare del patrimonio netto residuo.

Al riguardo, va evidenziato come il citato comma 56-ter preveda l’integrale trasformazione delle sole DTA di cui ai commi 55 e 56, ma non anche di quelle di cui al comma 56-bis e, quindi, delle sole attività per imposte anticipate iscritte in bilancio a fronte delle quote di svalutazioni su crediti e delle quote di ammortamento dell’avviamento, dei marchi e delle altre attività immateriali a vita utile indefinita deducibili negli esercizi successivi.

Tuttavia, come già evidenziato, tali quote dovrebbero concorrere, per il loro intero importo residuo [61], alla formazione del reddito o della perdita del periodo in cui avviene la chiusura della liquidazione [62].

Conseguentemente, il bilancio finale di liquidazione non dovrebbe evidenziare alcun importo iscritto a titolo di DTA relative a tali fattispecie, ma, eventualmente, solo attività per imposte anticipate iscritte sulla perdita fiscale di tale periodo e, pertanto, in assenza di DTA iscritte in bilancio suscettibili di trasformazione ai sensi dei citati commi 55 e 56, l’ipotesi di conversione in parola non dovrebbe poter operare.

Va, però, considerato che la principale finalità della disciplina in esame è quella di conferire certezza al recupero di tali DTA, così da essere pienamente computabili per le banche e gli altri intermediari finanziari nel patrimonio di vigilanza secondo le regole di Basilea 3, e che le attività per imposte anticipate a cui si applica il citato comma 56-bis sono di fatto le medesime che sono oggetto di trasformazione ai sensi dei predetti commi 55 e 56. Pertanto, quanto previsto dal comma 56-ter dovrebbe essere applicabile, per motivi di ordine logico-sistematico, anche alle attività per imposte anticipate che sono oggetto di trasformazione ai sensi del comma 56-bis e che risultano iscritte nel bilancio finale per cessazione dell’attività dovuta a liquidazione volontaria o altra procedura concorsuale.

Tale comma, inoltre, per i medesimi motivi, dovrebbe essere altresì applicabile alle eventuali DTA della medesima fattispecie che risultano iscritte nel predetto bilancio finale, ma che sono state rilevate in esercizi precedenti. Si pensi, ad esempio, al caso di periodi intermedi di liquidazione che hanno evidenziato una perdita fiscale che non è stata trasformata ai sensi del comma 56-bis in virtù dell’applicazione di quanto specificato dall’Agenzia delle entrate e che poi è divenuta definitiva essendo trascorsi più di cinque periodi dalla messa in liquidazione.

Infine, la norma, a differenza delle altre due ipotesi di trasformazione, non dispone nulla in merito alla decorrenza della trasformazione delle DTA in sede di bilancio finale per cessazione di attività. Tuttavia, è ragionevole ritenere che tale trasformazione decorra dalla data di approvazione espressa di tale bilancio finale da parte dei soci della società oppure dalla data in cui tale approvazione si intende tacitamente avvenuta o dal momento in cui l’ultima quota di riparto sia stata incassata dai soci senza alcuna riserva.

 

7. gli effetti della conversione delle dta sulle differenze temporanee e sulla perdita fiscale che hanno generato tali attività per imposte anticipate

 

La trasformazione delle DTA in crediti d’imposta comporta, per quanto riguarda l’ipotesi prevista dai commi 55 e 56 (perdita civilistica), che, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio d’esercizio che evidenzia la perdita civilistica, non sono ammesse le variazioni in diminuzione che corrispondono all’ammontare delle imposte anticipate trasformate mentre, per quanto riguarda l’ipotesi disciplinata dal comma 56-bis (perdita fiscale), che la perdita fiscale da computare in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi deve essere ridotta di un ammontare pari ai componenti negativi di reddito che hanno dato luogo alla quota di attività per imposte anticipate trasformate in crediti d’imposta.

In particolare, il comma 56 sancisce che: «con decorrenza dal periodo d’imposta in corso alla data di approvazione del bilancio, non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta ai sensi del presente comma».

Sul punto l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012, dopo aver puntualizzato che il divieto di dedurre le variazioni in diminuzione corrispondenti alle DTA trasformate è finalizzato ad escludere un doppio beneficio fiscale, ha fornito la propria interpretazione sul criterio da utilizzare per identificare i componenti negativi che non sono deducibili per effetto della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta.

Infatti, nel caso di trasformazione parziale delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio, si pone il problema di individuare quali siano i componenti negativi che, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data in cui opera la trasformazione, non vanno più considerati in sede di determinazione del reddito imponibile IRES.

A fronte di tre possibili criteri oggettivi utilizzabili per identificare i componenti negativi da sterilizzare – e, in particolare, un criterio proporzionale, un criterio che prevede la sterilizzazione delle variazioni in diminuzione a scadenza più prossima e uno, invece, che comporta l’annullamento delle variazioni in diminuzione a scadenza più remota – l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, a suo avviso, devono essere prioritariamente annullate le variazioni in diminuzione a scadenza più prossima per un ammontare a cui corrisponde un’imposta pari alle DTA trasformate, qualunque sia l’asset cui si riferiscono o la disposizione fiscale che le abbia generate [63].

Nel caso in cui, poi, le variazioni in diminuzione di un dato anno debbano essere annullate solo in parte, sussiste, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, la libertà per il contribuente di scegliere quali variazioni annullare, fermo restando l’obbligo di tenere evidenza documentale della scelta effettuata.

L’Agenzia delle entrate ha sottolineato altresì come la conversione delle DTA iscritte sull’avviamento o sulle altre attività immateriali produce effetti sul valore fiscale di tali attività riducendone il valore. Infatti, la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta rappresenta l’anticipata liquidabilità della minore imposta che sarebbe derivata operando le corrispondenti variazioni in diminuzione dal reddito imponibile dei periodi d’imposta di competenza e, quindi, produce il medesimo effetto che avrebbe sul valore fiscale di tali attività un ammortamento effettuato extra-contabilmente, cioè solo in sede di calcolo del reddito imponibile.

Con riguardo, invece, alle DTA relative alle quote di svalutazioni su crediti non dedotte (cd. diciottesimi o noni), la trasformazione di tali DTA non produce alcun effetto sul valore fiscale dei crediti che hanno originato tali diciottesimi o noni in quanto la deduzione di tali quote non comporta un disallineamento del valore fiscale rispetto a quello civilistico. Infatti, per i soggetti che applicano i commi 3 e 3-bis dell’art. 106 del TUIR, il valore fiscale dei crediti coincide con quello di bilancio in quanto le svalutazioni operate in bilancio sono riconosciute fiscalmente e riducono il valore fiscale dei crediti ancorché le svalutazioni vengano dedotte nel corso dei diciotto o nove anni successivi.

Per quanto riguarda, invece, gli effetti della trasformazione delle DTA operata ai sensi del comma 56-bis sulla perdita fiscale, tale comma sancisce che: «la perdita del periodo d’imposta rilevata nella dichiarazione dei redditi di cui al periodo precedente [e cioè la perdita fiscale cui si riferiscono le attività per imposte anticipate oggetto di trasformazione] è computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per un ammontare pari alla perdita del periodo d’imposta rilevata nella dichiarazione dei redditi di cui al periodo precedente ridotta dei componenti negativi di reddito che hanno dato luogo alla quota di attività per imposte anticipate trasformata in crediti d’imposta ai sensi del presente comma».

In altri termini, come osservato dalla stessa Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012, la trasformazione delle DTA iscritte sulla perdita fiscale, producendo la liquidabilità anticipata della minore imposta che sarebbe derivata computando in diminuzione dal reddito degli esercizi successivi l’ammontare della perdita corrispondente alle attività per imposte anticipate trasformate, comporta la riduzione della perdita medesima in misura pari all’ammontare delle variazioni in diminuzione corrispondenti alle DTA trasformate.

Nulla viene, invece, stabilito per l’ipotesi della trasformazione delle DTA in sede di bilancio finale per cessazione di attività (comma 56-ter); probabilmente perché, trattandosi dell’ultimo periodo d’imposta della società prima della sua cancellazione, non sussiste alcun rischio che possa configurarsi un doppio beneficio.

 

8. le modalità di utilizzo dei crediti d’imposta rivenienti dalla trasformazione delle dta

 

Le modalità di utilizzo del credito d’imposta risultante dalla trasformazione delle DTA sono disciplinate dal comma 57 del citato art. 2 del D.L. n. 225/2010, che stabilisce come: «il credito d’imposta di cui ai commi 55, 56, 56-bis e 56-ter non è produttivo di interessi. Esso può essere utilizzato, senza limiti di importo, in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero può essere ceduto al valore nominale secondo quanto previsto dall’articolo 43-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Il credito va indicato nella dichiarazione dei redditi e non concorre alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive. L’eventuale credito che residua dopo aver effettuato le compensazioni di cui al secondo periodo del presente comma è rimborsabile».

Sono pertanto previste tre modalità alternative di utilizzo del credito riveniente dalla conversione delle DTA: (i) la compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997; (ii) la cessione al valore nominale secondo la procedura di cui all’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973, e (iii) la richiesta a rimborso della parte che residua dopo le compensazioni.

Con la prima modalità, il soggetto che ha operato la trasformazione delle DTA utilizza il credito riveniente da tale conversione in sede di versamento delle imposte, contributi e premi indicati nell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/97, compensando il credito con tali tributi (cd. compensazione orizzontale tramite mod. F24).

La seconda modalità permette, invece, di ottenere l’immediata soddisfazione della propria posizione creditoria risultante dalla trasformazione delle DTA senza dover attendere la nascita di un debito d’imposta con cui compensare il credito riveniente dalla trasformazione delle DTA e, per il cessionario, di poter utilizzare l’eccedenza così acquisita come mezzo di pagamento delle proprie imposte.

Infine, la norma prevede, quale residuale modalità di utilizzo del credito d’imposta in parola, la possibilità di richiedere lo stesso a rimborso.

Inoltre, l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012 ha previsto due ulteriori modalità di utilizzo del credito d’imposta in parola: la cessione di tale credito nell’ambito del consolidato fiscale ai sensi dell’art. 7 del D.M. 9 giugno 2004 e, solo in caso di società sottoposte a liquidazione coatta amministrativa o fallimento che non fanno parte di alcun gruppo ex art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973, la cessione a qualunque soggetto purché a valore nominale.

Per quanto riguarda la prima modalità di utilizzo (e cioè l’utilizzo del credito in compensazione con altri tributi), non vi sono particolari osservazioni da fare se non che, come confermato dalla stessa Agenzia delle entrate, stante l’inciso “senza limiti d’importo” previsto dal predetto comma 57, al credito d’imposta in esame non è applicabile né il limite disposto dall’art. 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e, quindi, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ex art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 per ciascun anno solare, pari attualmente a 516.456,90 euro, né quello stabilito dall’art. 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in base al quale i crediti d’imposta da indicare nel quadro RU (Crediti d’imposta concessi a favore delle imprese) del mod. Unico – come nel caso di specie di cui infra – possono essere utilizzati nel limite di annuale 250.000 euro [64].

Pertanto, il soggetto che ha operato la trasformazione in parola può utilizzare in compensazione cd. orizzontale, senza limiti d’importo, il credito d’imposta riveniente da tale trasformazione a decorrere dalla data in cui si perfeziona tale trasformazione.

Non è stato, invece, chiarito se i crediti in parola possano essere utilizzati in compensazione anche in presenza di debiti iscritti a ruolo, per imposte erariali ed accessori, di ammontare superiore a 1.500 euro per i quali è scaduto il termine di pagamento. L’art. 31, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), infatti, prevede il divieto di operare compensazioni quando il contribuente risulta debitore di importi iscritti a ruolo di ammontare superiore a 1.500 euro. Tale divieto non dovrebbe essere applicabile al credito riveniente dalla trasformazione delle DTA considerato che l’Agenzia delle entrate, in sede di commento del predetto art. 31, comma 1, del D.L. n. 78/2010, ha precisato come: «ai fini dell’individuazione dei debiti per imposte erariali che fanno scattare il divieto alla compensazione sono esclusi i contributi e le agevolazioni erogati a qualsiasi titolo sotto forma di credito d’imposta, anche se vengono indicati nella sezione “erario” del modello F24» e i crediti in esame, come chiarito dalla stessa Agenzia delle entrate [65], sono di natura agevolativa [66].

Relativamente alla seconda modalità di utilizzo (e cioè la cessione del credito ex art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973), va osservato come il rinvio all’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1972 consente la cessione, in tutto o in parte, del credito d’imposta riveniente dalla trasformazione delle DTA a una o più società che appartengono allo stesso gruppo come definito dallo stesso art. 43-ter (cd. “gruppo fiscale”) oppure come individuato dalla disciplina civilistica del bilancio consolidato (cd. “gruppo civile”) [67].

In particolare, il predetto comma 4 stabilisce che appartengono al medesimo gruppo «l’ente o società controllante e le società da questo controllate; si considerano controllate le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata le cui azioni o quote sono possedute dall’ente o società controllante o tramite altra società controllata da questo ai sensi del presente articolo per una percentuale superiore al 50 per cento del capitale, fin dall’inizio del periodo d’imposta precedente a quello cui si riferiscono i crediti d’imposta ceduti» (cd. “gruppo fiscale”).

Inoltre, lo stesso comma precisa come «le disposizioni del presente articolo si applicano, in ogni caso, alle società e agli enti tenuti alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, e alle imprese, soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, indicate nell’elenco di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 38 del predetto decreto n. 127 del 1991 e nell’elenco di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 40 del predetto decreto n. 87 del 1992» (cd. “gruppo civile”).

Al riguardo si osserva unicamente, da un lato, come il soggetto controllante del “gruppo fiscale” dovrebbe poter essere sia residente nel territorio dello Stato che residente in un altro Stato membro dell’Unione europea, sempre che la capogruppo estera assuma forme giuridiche equipollenti alle società di capitali di diritto italiano; ciò in base ad un’interpretazione letterale delle norma, che non sembra richiedere la sussistenza di particolari requisiti in capo all’ente o società controllante, e alla luce dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con riferimento alla nozione di gruppo rilevante ai fini della disciplina dell’IVA di gruppo [68].

Dall’altro lato, si evidenzia come, per poter cedere ai sensi dell’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973, il credito d’imposta riveniente dalla trasformazione delle DTA iscritte nel bilancio di un dato esercizio (ad esempio nel bilancio dell’esercizio chiuso il 31 dicembre 2012), il controllo richiesto nell’ambito del cd. “gruppo fiscale” dovrebbe sussistere fin dall’inizio del periodo d’imposta precedente a quello cui si riferisce il bilancio d’esercizio in cui sono iscritte le predette DTA (e, quindi, nell’esempio, fin dal 1° gennaio 2011) mentre l’appartenenza del soggetto cedente e di quello cessionario al cd. “gruppo civile” dovrebbe sussistere non solo alla data di riferimento del bilancio consolidato, che dovrebbe essere anteriore a quella in cui avviene la cessione del credito d’imposta ai sensi dell’art. 43-ter, ma anche al momento in cui tale cessione si verifica [69].

Relativamente a tale modalità di utilizzo del credito d’imposta in parola, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 37/E/2012, dopo aver rammentato come tali peculiari modalità di cessione rispondono alla logica di garantire l’integrale liquidabilità del credito d’imposta ai fini della normativa prudenziale di vigilanza delle banche e degli intermediari finanziari, ha puntualizzato, in primo luogo, come la cessione del credito d’imposta in esame: (i) è efficace solo se effettuata a valore nominale e al ricorrere delle condizioni oggettive e soggettive previste rispettivamente dai commi 2 e 4 del citato art. 43-ter; (ii) si perfeziona con l’indicazione dei dati identificativi del cessionario e degli importi ceduti nella dichiarazione dei redditi della società cedente e, in particolare, nel quadro RU (Crediti d’imposta concessi a favore delle imprese) del modello Unico, sez. XXIV (Crediti d’imposta trasferiti), e (iii) richiede al cessionario di indicare nella propria dichiarazione dei redditi e, in particolare, nel predetto quadro RU, sez. XXIII (Crediti d’imposta ricevuti) i dati relativi a tale cessione.

In secondo luogo, ha confermato che, per individuare la data dalla quale il cessionario può utilizzare il credito ricevuto, è necessario contemperare quanto disposto dall’art. 5 del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 – in base al quale le eccedenze di imposta di cui al citato art. 43-ter «possono essere utilizzate in compensazione dal cessionario anche agli effetti del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a partire dall’inizio del periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale l’eccedenza si genera in capo al soggetto cedente» – con le disposizioni specifiche della disciplina in esame secondo cui la trasformazione decorre dalla data di approvazione del bilancio o di presentazione della dichiarazione fiscale.

Pertanto, nell’ipotesi di trasformazione delle DTA per effetto dell’evidenziazione di una perdita civilistica nel bilancio d’esercizio, la compensazione in capo al cessionario è ammessa a decorrere dal giorno successivo a quello in cui tale bilancio d’esercizio viene approvato dall’assemblea dei soci, o dei diversi organi competenti per legge, mentre, nell’ipotesi di trasformazione delle DTA per effetto dell’evidenziazione di una perdita fiscale, formata in tutto o in parte a causa delle variazioni in diminuzione apportate nella medesima dichiarazione a titolo di quote di svalutazioni su crediti di esercizi precedenti o di ammortamenti o svalutazioni dell’avviamento e di altre attività immateriali, tale compensazione è possibile a partire dal giorno successivo a quello di presentazione della predetta dichiarazione.

Ad esempio, nell’ipotesi di credito d’imposta risultante dalla trasformazione delle DTA iscritte nel bilancio d’esercizio chiuso al 31 dicembre 2012 per effetto dell’evidenziazione in tale bilancio, approvato il 30 aprile 2013, di una perdita d’esercizio, la compensazione in capo al cessionario è ammessa a decorrere dal 1° maggio 2013 considerato che la predetta trasformazione opera in capo al cedente a decorrere dalla data di approvazione del bilancio, cioè il 30 aprile 2013.

Nell’ipotesi, invece, di trasformazione delle DTA iscritte nel bilancio d’esercizio chiuso al 31 dicembre 2012 per effetto dell’evidenziazione di una perdita fiscale nella dichiarazione dei redditi relativa a tale esercizio, presentata il 30 settembre 2013, la compensazione è ammessa a decorrere dal 1° ottobre 2013 dato che tale trasformazione opera in capo al cedente dalla data di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, avvenuta il 30 settembre 2013.

In terzo luogo, ha precisato come le disposizioni contenute nel citato comma 57, che richiedono che la cessione avvenga al valore nominale ed entro i confini del gruppo (così come definito dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973) e che consentono di utilizzare il credito d’imposta in compensazione senza limiti d’importo, non siano applicabili in capo al cessionario a cui è stato trasferito il credito riveniente dalla trasformazione delle DTA mediante la modalità in esame.

Tali disposizioni, infatti, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, costituiscono norma speciale nei confronti del solo soggetto che ha effettuato la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta in quanto trovano la propria ratio nelle citate esigenze di assicurare, ai fini della normativa di vigilanza prudenziale, la piena liquidabilità del credito, generato dalla trasformazione delle DTA, nei confronti del soggetto in capo al quale è sorto.

Pertanto, il cessionario potrà cedere il credito d’imposta ricevuto senza il vincolo del valore nominale e ricorrendo alle procedure di cessione dei crediti d’imposta ordinariamente previste nell’ordinamento tributario. Inoltre, potrà utilizzare in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 il credito ricevuto, nel rispetto però dei limiti ordinariamente previsti e, quindi, in base a quanto specificato dall’Agenzia delle entrate nella più volte citata risoluzione n. 94/E/2011, nei limiti disposti dall’art. 34 della legge n. 388/2000 e dall’art. 1, comma 53, della legge n. 244/2007 [70]. Dovrebbero, comunque, essere applicabili i chiarimenti forniti dal Dipartimento delle finanze nella risoluzione 3 aprile 2008, n. 9/DF, compresa la possibilità, nel caso in cui le compensazioni effettuate nell’anno solare non eccedono complessivamente il limite generale dei 516.456,90 euro, di utilizzare il credito d’imposta in parola oltre lo specifico limite dei 250 mila euro, fino a colmare la differenza non sfruttata del limite generale [71].

Al riguardo, è stato osservato come tali limiti non dovrebbero essere applicabili allorquando tale credito, per la parte riferibile all’IRES, venga utilizzato dal cessionario in compensazione con la propria IRES [72].

Tale limitazione rende, di fatto, meno appetibile l’acquisto di tali crediti e, quindi, più difficile la cessione dello stesso da parte della società che ha operato la trasformazione considerato che, da un lato, tali crediti devono essere acquistati al valore nominale e, dall’altro lato, possono essere utilizzati solamente nel rispetto dei limiti ordinariamente previsti. Va comunque considerato che, ad eccezione di quanto specificato nel seguito, la cessione in parola può avvenire solamente nell’ambito di un gruppo, come definito dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973, in cui l’interesse di gruppo potrebbe assumere rilievo.

Per quanto riguarda la terza modalità di utilizzo del credito d’imposta in parola (richiesta a rimborso della parte del credito che residua dopo le compensazioni), non è chiaro quando sia fruibile tale modalità e a quali compensazioni sia necessario riferirsi per individuare la parte del credito che può essere richiesto a rimborso.

Dalla lettura del mod. Unico 2012 (2011) – Società di capitali e delle relative istruzioni [73] – nonché della bozza del mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali e della bozza delle relative istruzioni [74] – sembra emergere come tale modalità possa essere utilizzata non solo all’atto della trasmissione dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dalla società prima della sua cancellazione, ma fin dalla prima dichiarazione in cui tale credito viene esposto e ogni anno successivo, per l’importo che residua dopo l’eventuale utilizzo in compensazione effettuato nell’anno cui si riferisce la dichiarazione.

Infatti, l’ammontare del credito d’imposta residuo da riportare nella successiva dichiarazione è determinato al netto dell’importo del credito chiesto a rimborso. Laddove la norma avesse voluto consentire il rimborso del credito riveniente dalla trasformazione delle DTA solo all’atto della trasmissione dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, il modello di dichiarazione avrebbe dovuto probabilmente prevedere un diverso ordine dei righi, mettendo per ultimo quello destinato ad accogliere l’ammontare del credito da richiedere a rimborso.

In secondo luogo, si pone il problema se il soggetto che ha operato la trasformazione delle DTA possa, una volta che ha richiesto a rimborso il credito riveniente da tale trasformazione, cedere lo stesso secondo l’ordinaria procedura prevista dall’art. 43-bis del D.P.R. n. 602/1973 e, quindi, a qualunque soggetto anche non appartenente al medesimo gruppo e per un valore anche inferiore al valore nominale. Ciò non dovrebbe essere possibile considerato, da un lato, che altrimenti non avrebbe senso l’apertura fatta dall’Agenzia delle entrate di cui infra sulla possibilità di cedere il credito anche a soggetti non appartenenti allo stesso gruppo come individuato dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973 e, dall’altro lato, come l’obbligo di cessione a valore nominale è previsto per garantirne la piena computabilità nel patrimonio di vigilanza.

Relativamente, invece, alla prima delle modalità non previste espressamente dalla norma, ma ammesse dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 37/E/2012 (e cioè la cessione del credito nell’ambito del consolidato fiscale ai sensi dell’art. 7 del D.M. 9 giugno 2004, si osserva come, con tale modalità, il soggetto che ha operato la trasformazione delle DTA, oppure il soggetto a cui il credito riveniente da tale trasformazione è stato ceduto ai sensi dell’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973, possa trasferire il credito in parola alla propria consolidante per un ammontare non superiore all’IRES risultante, a titolo di saldo e di acconto, dalla dichiarazione dei redditi del consolidato.

Al riguardo, è stato osservato come la predetta cessione dovrebbe avvenire comunque a valore nominale e la consolidante, nell’ipotesi in cui utilizzi il credito ricevuto in compensazione dell’IRES di gruppo, dovrebbe poterlo fare senza alcuna limitazione quantitativa [75].

Infine, per quanto riguarda l’ultima modalità di utilizzo del credito d’imposta in esame (e cioè la cessione a valore nominale del credito d’imposta anche a soggetti non appartenenti allo stesso gruppo come individuato dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973), l’Agenzia ha chiarito che si tratta di un’eccezione che trova fondamento nella particolarità delle ipotesi descritte ed è tesa ad escludere la necessità di mantenere in piedi la procedura concorsuale al solo fine di incassare il credito riveniente dalla trasformazione delle DTA.

Tale eccezione, infatti, è prevista solamente per le società sottoposte a liquidazione coatta amministrativa o fallimento che non facendo parte di alcun gruppo, così come individuato dal comma 4 del citato art. 43-ter, sarebbero nell’impossibilità di monetizzare i crediti d’imposta rivenienti dalla trasformazione delle DTA tramite la modalità della cessione di tali crediti ai sensi del predetto art. 43-ter e dovrebbero, per la parte non utilizzabile in compensazione di altri tributi ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, attivare la procedura di rimborso.

Inoltre, l’Agenzia ha chiarito che la cessione in parola può «avvenire solo dopo la data di efficacia della trasformazione prevista dalla norma in esame […] [e] fin dalla data di apertura della liquidazione coatta amministrativa o del fallimento e, pertanto, può essere effettuata in sede di dichiarazione presentata per il periodo d’imposta antecedente quello della liquidazione coatta amministrativa o del fallimento ovvero in sede di dichiarazione dei redditi definitiva relativa al periodo di liquidazione coatta amministrativa o del fallimento. In questo caso il cessionario potrà utilizzare il credito d’imposta ricevuto a partire dall’inizio del periodo d’imposta successivo a quello di chiusura dell’attività ordinaria ovvero della procedura concorsuale del cedente».

Pertanto, considerato anche le precisazioni fatte dall’Agenzia delle entrate sulla trasformabilità nell’ipotesi di cui al comma 57-ter delle sole DTA iscritte nell’ultimo bilancio d’esercizio in attività ordinaria e non ancora trasformate in crediti d’imposta e sulla non applicabilità delle ipotesi di trasformazione previste dai commi 55, 56 e 56-bis ai bilanci e alle dichiarazioni dei redditi intermedi, durante il periodo di liquidazione o altra procedura concorsuale, la cessione fin dalla data di apertura della liquidazione coatta amministrativa o del fallimento dovrebbe riguardare i crediti d’imposta indicati nella dichiarazione presentata per il periodo d’imposta antecedente quello della liquidazione coatta amministrativa o del fallimento. La cessione, invece, dei crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi definitiva relativa al periodo di liquidazione coatta amministrativa o del fallimento dovrebbe riguardare anche gli eventuali crediti rivenienti dalla trasformazione delle DTA operata ai sensi del comma 56-bis avendo a riferimento la perdita fiscale risultante da tale dichiarazione.

 

9. l’esposizione in bilancio e in dichiarazione dei redditi delle dta oggetto di trasformazione e dei crediti d’imposta rivenienti da tale conversione

 

In linea generale, un’attività fiscale differita deve essere rilevata in bilancio, secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS [76], solo se è probabile che sarà realizzato un reddito imponibile a fronte del quale potrà essere utilizzata la differenza temporanea che ha generato tale attività, mentre per i principi contabili nazionali [77] le attività derivanti da imposte anticipate possono essere rilevate, in rispetto al principio della prudenza, solamente se vi è la ragionevole certezza dell’esistenza negli esercizi in cui si riverseranno le differenze temporanee deducibili, che hanno portato all’iscrizione delle imposte anticipate, di un reddito imponibile non inferiore all’ammontare delle differenze che si andranno ad annullare.

In sostanza, le attività per imposte anticipate possono – anzi, devono – essere iscritte in bilancio solo se sussiste la certezza, secondo i principi contabili nazionali, oppure la probabilità, secondo i principi contabili internazionali, che tali poste verranno recuperate.

Nel caso specifico delle DTA a cui si applica la disciplina della trasformazione in crediti d’imposta vi è la certezza e, quindi, la probabilità del loro recupero come evidenziato chiaramente nel documento redatto congiuntamente da Banca d’Italia, Consob e ISVAP in data 15 maggio 2012 (denominato “Trattamento contabile delle imposte anticipate derivante dalla Legge 214/2011”).

Tale documento fornisce altresì indicazioni utili sull’esposizione in bilancio delle DTA oggetto di trasformazione, prima e dopo la conversione in crediti d’imposta [78].

In particolare, viene evidenziato come: (i) gli effetti della disciplina della trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta non determinano alcuna variazione nella classificazione contabile delle DTA, per cui esse devono continuare a figurare all’attivo del bilancio tra le attività per imposte anticipate, considerato che tale disciplina non impatta in alcun modo il meccanismo di generazione di tali attività per imposte anticipate, ma introduce una modalità di recupero delle stesse che è aggiuntiva e integrativa rispetto a quella ordinaria; (ii) la conversione delle DTA iscritte all’attivo in crediti d’imposta genera una mera permutazione patrimoniale della pertinente quota parte di tali attività, senza alcun impatto a conto economico; (iii) la rimanente quota parte delle attività per imposte anticipate non convertite rimane iscritta in bilancio come attività fiscale anticipata; (iv) le DTA che concorrono alla determinazione della perdita fiscale di una società che partecipa al consolidato fiscale rimangono iscritte – per la parte che si trasforma in credito d’imposta – nel bilancio della medesima società; (v) per le società che, ai sensi dello IAS 12, prima dell’emanazione della legge n. 214/2011, non abbiano iscritto in bilancio o abbiano cancellato, se già iscritte, le attività per imposte anticipate in parola, vi è la possibilità di procedere alla rilevazione di tali poste, in considerazione del paragrafo 37 dello IAS 12 che prevede il reassessment alla fine di ogni esercizio delle attività fiscali differite fino a quel momento non segnalate. In particolare, tali DTA vanno rilevate limitatamente all’importo che, qualora le DTA fossero state rilevate, non sarebbe stato ancora rigirato in conto economico e (vi) appunto che la disciplina in parola conferisce certezza al recupero delle DTA, rendendo di fatto automaticamente soddisfatto il probability test contemplato dal principio contabile internazionale IAS 12.

Non viene, invece, fornita alcuna indicazione sull’esposizione di tali DTA nei bilanci delle società in liquidazione o assoggettate ad altre procedure concorsuali. Tali bilanci, comunque, dovrebbero continuare a evidenziare le DTA in parola considerato che la disciplina in esame richiede, per operare, l’iscrizione in bilancio delle attività per imposte anticipate da convertire in crediti d’imposta. Ciò dovrebbe valere, in assenza di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate, anche per il bilancio finale di liquidazione o di altra procedura concorsuale; in tale bilancio e nella relativa nota integrativa, però, andrebbe indicato chiaramente che si tratta di DTA che verranno trasformate in crediti d’imposta in base alla disciplina in esame mentre dovrebbe essere possibile indicare nel piano di riparto già il credito riveniente dalla trasformazione delle DTA.

Per quanto riguarda, invece, la dichiarazione dei redditi, si evidenzia come il modello Unico 2012 (2011) richieda solamente di indicare nel Quadro RU (Crediti d’imposta concessi a favore delle imprese) e, in particolare, nella sez. XV (Trasformazione attività per imposte anticipate – DTA), l’ammontare dei crediti d’imposta rivenienti dalla trasformazione delle DTA, l’importo di tali crediti utilizzato in compensazione ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, quello ceduto ai sensi dell’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1973 e quello richiesto a rimborso nonché nelle sez. XXIII (Crediti d’imposta ricevuti) e sez. XXIV (Crediti d’imposta trasferiti) rispettivamente i dati dei crediti ricevuti e del soggetto cedente e i dati dei crediti trasferiti e del soggetto cessionario [79].

Non è, invece, richiesta l’indicazione degli importi utilizzati per il calcolo delle DTA da trasformare nell’ipotesi di cui ai commi 55 e 56 (cioè in presenza di una perdita civilistica) e, quindi, l’ammontare della perdita civilistica, del patrimonio netto e dell’intero importo delle DTA potenzialmente trasformabili, né l’indicazione dell’ammontare della perdita fiscale che non è riportabile a nuovo in virtù di quanto previsto dal citato comma 56-bis oppure che non è trasferibile al consolidato fiscale in quanto le relative DTA verranno trasformate a livello di singola società partecipante al consolidato.

Al riguardo si osserva come i dati necessari per il calcolo delle DTA da trasformare in presenza di una perdita civilistica possono essere facilmente desumibili dalla nota integrativa al bilancio d’esercizio redatto dalle società mentre l’ammontare della perdita fiscale non riportabile a nuovo per effetto di quanto previsto dal citato comma 56-bis può essere desunta, prendendo come riferimento il mod. Unico 2012 (2011) – Società di capitali, facendo la differenza fra l’importo indicato nel rigo RN5 (Perdite), colonna 3, del quadro RN (Determinazione dell’IRES), e quello riportato nel prospetto delle Perdite di impresa non compensate (rigo RS44 (in misura limitata), colonna 3, o RS45 (in misura piena), colonna 3) del quadro RS (Prospetti vari) [80].

Sarebbe, invece, opportuno, che, a decorrere dal mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali, fosse previsto uno specifico rigo per indicare l’ammontare della perdita fiscale non trasferita al consolidato fiscale a seguito dell’applicazione di quanto previsto dal comma 56-bis. Tale rigo potrebbe essere contenuto nel quadro RF (Determinazione del reddito d’impresa) oppure nel quadro GN (Determinazione del reddito complessivo ai fini del consolidato). Va, infatti, considerato che le istruzioni al mod. Unico 2012 (2011) – Società di capitali, la bozza di quelle al mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali – e le specifiche tecniche per la trasmissione telematica del mod. Unico 2012 (2011) prevedono il riporto nel rigo GN2 (Perdita) dell’intero importo indicato nel rigo RF62 (Perdita) [81]. In caso contrario, sarebbe necessario esporre già nel rigo RF62 (Perdita) l’importo della perdita da trasferire al consolidato fiscale, indicando nel rigo RF32 (Altre variazioni in aumento) l’importo di quella che, invece, non viene trasferita.

 



[1] In Boll. Trib., 2012, 1406 ss. In precedenza, l’Agenzia delle entrate aveva emanato ris. 24 maggio 2011, n. 57/E, in Boll. Trib. On-line, con la quale era stato comunicato il codice tributo da utilizzare ai fini della compensazione del credito d’imposta riveniente dalla trasformazione delle DTA, e ris. 22 settembre 2011, n. 94/E, in Boll. Trib., 2011, 1463, con la quale erano stati illustrati, però, solamente alcuni aspetti relativi alle modalità di utilizzo del credito d’imposta in parola.

[2] Cfr. r. parisotto, Trasformazione in crediti d’imposta delle imposte differite iscritte nei bilanci delle banche, in Corr. trib., 2011, 1052 ss.; a. trabucchi – g. manguso, Trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate: soggetti e decorrenza, ibidem, 2335 ss.; g. molinaro, Conversione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate non solo per enti creditizi e finanziari, ibidem, 3300 ss.; g. manguso, La trasformazione delle DTA in crediti di imposta. Primi chiarimenti dell’Agenzia delle entrate, in Boll. Trib., 2011, 1516 ss.; p. dragone – r. valacca, Ambito applicativo ampliato per la conversione in crediti d’imposta delle imposte differite attive, in Corr. trib., 2012, 19 ss.; a. trabucchi – g. manguso, Proposte di soluzione ai dubbi sulla disciplina di trasformazione delle DTA in crediti d’imposta, ibidem, 558 ss.; g. vasapolli – a. vasapolli, Trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate in presenza di perdita civilistica; ibidem, 1098 ss.; g. ragucci, Trasformazione in crediti d’imposta delle “attività per imposte anticipate” in caso di fallimento dell’impresa, ibidem, 1410 ss.; g. molinaro – e. padovani, La disciplina fiscale non modifica la classificazione contabile delle DTA, ibidem, 2458 ss.; r. michelutti, Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta per le stabili organizzazioni in Italia, ibidem, 2682 ss.; a. trabucchi, La trasformazione di attività per imposte anticipate in crediti tributari (art. 103 e 106 T.U.I.R.), in m. leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2010, II, 281 ss.; abi, circ. 4 ottobre 2011, n. 15, serie trib.; ania, circ. tributi 9 novembre 2011, prot. 0398; e assonime, circ. 14 giugno 2011, n. 15.

[3] Sul punto, si veda il documento congiunto di Banca d’Italia, Consob e ISVAP 15 maggio 2012, n.5, in tema di “Trattamento contabile delle imposte anticipate derivante dalla Legge 214/2011” e il documento IAS ABI 31 maggio 2012, n. 12. Il primo documento evidenzia come la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti di imposta «nel conferire “certezza” al recupero delle DTA, incide … sul … probability test contemplato dallo IAS 12, rendendo di fatto automaticamente soddisfatto» mentre il secondo documento, richiamando la versione aggiornata delle FAQ sul nuovo Framework di vigilanza bancaria, precisa come: «il Comitato di Basilea ha riconosciuto che non devono essere dedotte dal patrimonio di vigilanza le attività fiscali differite attive derivanti da differenze temporanee in regimi fiscali che prevedono la trasformazione automatica in crediti d’imposta nei casi in cui la banca registra perdite o è sottoposta a procedure concorsuali o di gestione delle crisi, ivi inclusi quelli riferiti all’amministrazione straordinaria e alla liquidazione coatta amministrativa. Condizione indispensabile è che l’eventuale credito d’imposta che residua dopo aver effettuato le compensazioni sia rimborsabile, così come previsto dalla normativa italiana a seguito delle modifiche. Il parere ufficiale del Comitato di Basilea è determinante per l’approvazione della norma contenuta nella proposta legislativa comunitaria per la trasposizione del Framework di Basilea 3 nel diritto comunitario, al momento in approvazione in codecisione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, e che consentirà alle banche italiane dal 1° gennaio 2013 di non dedurre le DTA dal patrimonio di vigilanza».

[4] In particolare, la denominazione del codice tributo da utilizzare per compensare il credito d’imposta riveniente dalla trasformazione delle DTA (codice tributo 6834) è la seguente: «Credito d’imposta, a favore degli enti creditizi e finanziari, delle imposte anticipate iscritte in bilancio, in presenza di perdita d’esercizio – art. 2 commi da55 a 59, d.l. n. 225/2010 e successive modificazioni».

 

[5] Cfr. circ. n. 37/E/2012, cit.; e ris. n. 94/E/2011, cit.

[6] In Boll. Trib., 2012, 517, dove, richiamando quanto previsto dal D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, viene fornito il seguente elenco: «le banche; le succursali italiane di banche extracomunitarie; le società di intermediazione mobiliare (SIM); le società di gestione del risparmio (SGR); gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale ex articolo 107 del TUB; gli istituti di moneta elettronica (IMEL); gli istituti di pagamento».

[7] Cfr. circ. n. 37/E/2012, cit.

[8] In tema di applicabilità della norma in commento alle stabili organizzazioni di società estere si veda r. michelutti, op. cit.; e id., Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta: stabili organizzazioni, liquidazione volontaria e DTA IRAP, in Corr. trib., 2012, 3414 ss.; e abi, op. cit., 12.

[9] In particolare, l’Agenzia delle entrate al par. 4 della circ. n. 37/E/2012, cit., precisa quanto segue: «non si ritiene, invece, applicabile alle stabili organizzazioni di società estere il comma 56-ter della norma in esame [che prevede l’ipotesi della liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi] in quanto tale disposizione prevede, quale presupposto d’applicazione, un evento di natura extrafiscale che non può trovare verifica in capo ad una stabile organizzazione. Gli eventi civilistici della liquidazione volontaria o dell’assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi, infatti, non possono essere giuridicamente riconducibili alla sola stabile organizzazione ma interessano la società estera e, pertanto, si ritengono irrilevanti ai fini della disciplina in esame».

[10] Così r. michelutti, op. cit., 3417, che però sembra condividere l’inapplicabilità della terza ipotesi in caso di «mera chiusura della stabile organizzazione in Italia, dato il riferimento ivi operato agli istituti civilistici retti dal diritto italiano della liquidazione volontaria o delle procedure concorsuali o di gestione della crisi».

 

[11] Così circ. n. 37/E/2012, cit.

[12] In tale contesto, una disposizione fiscale dovrebbe essere più significativa di un’altra a seconda del numero di periodi d’imposta che sono richiesti da tale disposizione perché venga completamente annullata la differenza temporanea che si è generata per effetto dell’applicazione di tale norma. È evidente, quindi, che le disposizioni che dettano il trattamento delle svalutazioni su crediti per le banche e gli altri intermediari finanziari (art. 106, comma 3, del TUIR) e dell’avviamento (art. 103, commi 3 e 3-bis, del TUIR) siano più significative di altre disposizioni dato che l’art. 106, comma 3, del TUIR, prevede la deducibilità delle svalutazioni su crediti che eccedono il limite fiscale annuo nei diciotto anni successivi mentre l’art. 103, commi 3 e 3-bis, del TUIR, dispone che le quote di ammortamento del valore dell’avviamento iscritto nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del valore stesso.

[13] L’art. 10 del D.M. 8 giugno2011, in Boll. Trib., 2011, 922, stabilisce che: «a prescindere dall’imputazione a conto economico, la deduzione del costo dei beni immateriali a vita utile indefinita è ammessa alle stesse condizioni e con gli stessi limiti annuali previsti per i marchi d’impresa e dell’avviamento, ai fini IRES, dai commi 1 e 3 dell’art. 103 del testo unico ed, ai fini IRAP, ai sensi degli articoli 5, 6 e 7 del decreto IRAP». Al riguardo, la relativa relazione illustrativa precisa che «l’articolo10 ha lo scopo di integrare il processo di attuazione dei principi dell’art. 1, comma 60, lettera a), della finanziaria 2008 che, in particolare, si propone di evitare che la valenza ai fini fiscali delle qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni adottate in base alla corretta applicazione dei principi contabili internazionali di cui al … regolamento (CE) n. 1606/02 determini una doppia deduzione o nessuna deduzione di componenti negativi ovvero di doppia tassazione o nessuna tassazione di componenti positivi. In particolare, l’articolo in esame estende la disciplina di deduzione extracontabile dell’ammortamento dei marchi e dell’avviamento, introdotta a favore dei soggetti IAS adopter dall’art. 1, comma 58, della legge n. 244 del2007, in quanto si ritiene che le attività immateriali a vita utile indefinita siano assimilabili alle ipotesi di marchi e avviamento espressamente trattate dal legislatore fiscale».

[14] Cfr. consorzio studi e ricerche fiscali, circ. 9 settembre 2011, n. 3, 86; e assonime, Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS adopter, 2011, 122.

[15] Tale documento, intitolato «Trattamento contabile dell’imposta sostitutiva sull’affrancamento dell’avviamento ex art. 15 comma 10 del decreto legge n. 185 del 29 novembre 2008 (convertito nella Legge 28 gennaio 2009, n. 2) per i soggetti che redigono il bilancio secondo gli IAS/IFRS», applicabile ai soggetti IAS adopter, prevede tre diverse e alternative modalità per contabilizzare gli effetti scaturenti dalla decisione di adesione all’affrancamento dell’avviamento ai sensi dell’art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008: un primo metodo denominato “Imposta sostitutiva senza l’iscrizione di imposte differite attive”, un secondo metodo denominato “Imposta sostitutiva con rilevazione di imposte differite attive” e un terzo metodo denominato “Imposta sostitutiva iscritta come anticipo di imposte correnti”.

[16] Così abi, op. cit., 7.

 

[17] Cfr. assonime, circ. 25 giugno 2009, n. 27, 22, nota 24.

[18] Cfr. circ. n. 37/E/2012, cit. In particolare, mentre il primo metodo previsto dall’OIC non richiede l’iscrizione di alcun importo in bilancio a titolo di beneficio fiscale futuro connesso all’avviamento, il terzo metodo, come specificato nella stessa Applicazione IAS/IFRS n. 1, comporta l’iscrizione all’attivo di una posta che, però, non è qualificabile come imposta anticipata, ma è da inquadrare «sostanzialmente nell’ambito dei crediti d’imposta di cui allo IAS 12, la cui recuperabilità è tuttavia condizionata alla capienza di redditi imponibili futuri». L’assonime, nella circ. n. 27/2009, cit.,19, a commento del terzo metodo proposto dall’OIC, precisa come «l’avviamento viene considerato una posta contabile che rimane disallineata con la conseguenza che la deduzione extracontabile degli ammortamenti non è accompagnata dalla rilevazione delle imposte differite passive»; ciò dovrebbe comportare che, in caso di impairment, non sia possibile iscrivere alcuna fiscalità anticipata.

[19] L’assonime nella circ. n. 27/2009, cit., 18, precisa come il secondo metodo di contabilizzazione proposto dall’OIC nell’Applicazione IAS/IFRS n. 1 assume che «l’avviamento, ai fini contabili, continu[a] ad essere considerato una posta priva di rilevanza fiscale e di natura residuale, mentre l’asset fiscale dovrebbe assumersi come un elemento dell’attivo del tutto autonomo rispetto all’avviamento. In questa diversa impostazione, poiché l’avviamento continua ad essere configurato come una posta disallineata, in sede di deduzione fiscale degli ammortamenti non è necessario lo stanziamento delle imposte differite passive, mentre è previsto il rilascio per noni [ora decimi] delle imposte anticipate rilevate in sede di esercizio dell’opzione. In altri termini, l’asset che si crea con il riallineamento viene ammortizzato nel periodo in cui rilascia la sua utilità e, cioè, quando è consentito all’impresa di contrarre l’imponibile attraverso l’ammortamento extracontabile».

[20] In senso conforme a. trabucchi – g. manguso, Profili applicativi della trasformazione in crediti d’imposta delle DTA da perdite civilistiche e fiscali, in Corr. trib., 2012, 3409, che, però, per quanto riguarda l’affrancamento operato ai sensi dell’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, si limitano a richiamare le imposte anticipate iscritte sull’avviamento.

[21] L’art. 176 del TUIR riguarda esclusivamente i conferimenti di aziende o rami d’azienda, ma quanto previsto dal comma 2-bis di tale articolo è richiamato dall’art. 172, comma 10-bis, del TUIR, che disciplina il trattamento fiscale delle fusioni, e dall’art. 173, comma 15-bis, del TUIR, che si occupa delle scissioni.

[22] Sulla qualificazione del regime previsto dall’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, in termini di affrancamento anziché di riallineamento, si veda assonime, circ. 25 novembre 2011, n. 31, 5, nota 3.

[23] Il documento OPI 1, «Trattamento contabile delle business “combinations of entities under common control” nel bilancio d’esercizio e nel bilancio consolidato», redatto da assirevi prevede che, in caso di cessioni di aziende o rami d’aziende under common control, e cioè di cessioni effettuate tra soggetti IAS adopter appartenenti al medesimo gruppo, il cessionario debba rilevare nel proprio bilancio le attività e le passività acquisite in base ai valori contabili espressi nel bilancio del cedente, oppure in base ai valori indicati dalla società capogruppo nel bilancio consolidato, e l’eventuale differenza positiva fra il corrispettivo pattuito e il valore contabile di tali attività e passività a diretta riduzione del patrimonio netto.

 

[24] In tal senso si esprime l’assonime, circ. n. 27/2009, cit., 6, che sottolinea come la disciplina dettata dai commi da10 a 12 dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008 «si innesta sugli stessi presupposti applicativi che caratterizzano quel regime [quello di cui all’art. 176, comma 2-ter, del TUIR] modificandone alcuni e recependo tutti quelli che non vengono esplicitamente derogati. Al riguardo, pertanto, l’Agenzia delle entrate, nella circolare in commento [cioè circ. 11 giugno 2009, n. 28/E, in Boll. Trib., 2009, 967], opportunamente osserva che “per quanto non espressamente previsto dai commi da10 a 12, la disciplina del regime di cui al citato articolo 15 trova il suo inquadramento sistematico sia nell’articolo 1, commi 46 e 47, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, legge finanziaria per il 2008 (che ha inserito il comma 2-ter nell’art. 176 del TUIR), sia nel relativo decreto di attuazione, emanato in data 25 luglio 2008 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 2008, sia nella prassi esistente”».

[25] Così abi, op. cit., 7, che evidenzia come i commi 10-bis e 10-ter dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008 richiamano espressamente l’applicabilità delle previsioni del comma 10, mutuandone integralmente il contenuto, finalità ed effetti con la conseguenza che anche alle DTA iscritte per effetto dell’affrancamento previsto da tali commi dovrebbe essere applicabile, per motivi di ordine logico-sistematico, la disciplina della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta.

[26] Cfr. legge 24 dicembre 2012, n.228, in Boll. Trib., 2012, 42 ss.

[27] In particolare, la relazione tecnica evidenzia come: «a fronte di una imposta sostitutiva (con aliquota del 6%) versata di circa 3,93 miliardi di euro con le aliquote IRES del 27,5% ed IRAP del 5,2% si ottiene una stima delle imposte anticipate a favore (sostanzialmente) delle banche, complessivamente di circa [3,93 / 16% x (27,5% + 5,2%)] 8 miliardi di euro: di questo importo, tuttavia, quasi la metà (3 miliardi) come detto, sono stati o saranno usufruiti direttamente sotto forma di credito d’imposta, piuttosto che quali minori IRES ed IRAP, in dieci esercizi, attraverso il meccanismo delle maggiori quote di ammortamento dell’avviamento e delle altre attività immateriali fiscalmente rilevanti».

[28] Le indicazioni fornite dall’OIC nell’Applicazione IAS/IFRS n. 1 dovrebbero essere applicabili anche al riallineamento operato ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR, considerato che tale documento si occupa del trattamento contabile del riallineamento previsto dall’art. 15, comma 10, del D.L. n. 185/2008, che, come già osservato, trae origine dal regime dettato dal predetto art. 176, comma 2-ter. Per un commento sugli aspetti contabili di tale riallineamento si rinvia ad assonime, circ. 12 settembre 2008, n. 51, 77 ss., che però si era pronunciata prima dell’emanazione da parte dell’OIC del predetto documento. Per quanto riguarda, invece, il trattamento contabile dell’affrancamento previsto dall’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, si rinvia a quanto osservato dall’assonime, circ. 25 novembre 2011, n. 31; e da g. leoni – m. leotta, L’affrancamento fiscale nelle operazioni straordinarie di impresa e il regime del riallineamento dei plusvalori iscritti nelle partecipazioni di controllo, in Boll. Trib., 2012, 1385, nota30. In particolare, l’assonime osserva che: «per le imprese IAS adopter … dovrebbero risultare ancora valide le soluzioni alternative già indicate dall’OIC in relazione alle altre discipline di riallineamento del più volte citato art. 15, comma 10, del decreto n. 185/2008. Tra queste, in particolare, oltre all’ipotesi di imputazione diretta dell’imposta sostitutiva a conto economico e a quella alternativa di una sua capitalizzazione quale anticipazione di future imposte correnti, dovrebbe essere consentito di accedere anche alla terza soluzione indicata nel documento dell’OIC, e cioè a quella di procedere alla rilevazione dell’intero beneficio dovuto al differenziale tra imposizione ordinaria e sostitutiva nel conto economico e all’iscrizione nello stato patrimoniale di imposte differite attive pari all’intero importo dell’IRES e dell’IRAP sull’importo affrancato».

[29] Va, infatti, considerato che la base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva prevista dall’art. 15, commi 10-bis e 10-ter, del D.L. n. 185/2008, non viene calcolata esclusivamente come differenza fra i valori contabili e fiscali di attività iscritte nel bilancio separato o individuale, ma considera valori iscritti nel bilancio consolidato con la conseguenza che nel bilancio separato o individuale non risultano iscritte imposte differite passive nemmeno con riferimento a marchi e altre immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita.

 

[30] In Boll. Trib., 2009, 798 ss.

[31] In Boll. Trib., 2011, 921. Più precisamente è applicabile l’art. 103, comma 1 (per i marchi) e comma 3 (per l’avviamento e per le altre attività immateriali a vita utile indefinita), del TUIR, nel caso in cui si privilegi l’orientamento secondo il quale l’iscrizione della predetta differenza positiva, a diretta riduzione del patrimonio netto, comporta una preliminare imputazione a conto economico dell’intero importo come costo, ai sensi dell’art. 109, comma 4, del TUIR, che non è deducibile interamente nell’esercizio di imputazione, ma pro-quota negli esercizi successivi ai sensi dei predetti commi e dell’art. 109, comma 4, lett. a), del TUIR. Oppure si applica l’art. 103, comma 3-bis, nel caso in cui non si considerino imputati a conto economico gli importi rilevati a diretta riduzione del patrimonio netto.

[32] In particolare, il documento Applicazione IAS/IFRS n.1, a commento del primo metodo di contabilizzazione, precisa che: «15. La contabilizzazione successiva è esattamente uguale a quella descritta al precedente paragrafo 6 per l’avviamento rilevante fiscalmente, ovvero iscrizione di imposte differite passive lungo la durata di ammortamento fiscale dell’avviamento e riversamento a conto economico di dette imposte differite in caso di svalutazione non fiscalmente rilevante o di cessione dell’avviamento» e che: «nel caso in cui successivamente alla rilevazione iniziale, il valore fiscalmente deducibile dell’avviamento superi il valore contabile dello stesso occorre iscrivere un’imposta differita attiva calcolata sulla differenza tra valore contabile e valore fiscalmente deducibile. Si pensi al caso in cui la svalutazione da impairment dell’avviamento porta all’iscrizione di un valore contabile inferiore a quello fiscale, in conseguenza del mancato riconoscimento della svalutazione».

[33] Tale documento, redatto nel corso di marzo 2009, è intitolato «Le novità introdotte dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito nella Legge 28 gennaio 2009, n. 2). Aspetti contabili relativi alla valutazione dei titoli non immobilizzati, rivalutazione di titoli non immobilizzati, rivalutazione degli immobili e fiscalità differita delle operazioni di aggregazione aziendale».

[34] Al riguardo si segnala che per i soggetti IAS adopter, invece, l’Applicazione IAS/IFRS n. 1, redatta sempre dall’OIC, richiede l’iscrizione dell’imposta sostitutiva dovuta non fra le attività per imposte anticipate, ma fra i crediti d’imposta e, quindi, come osservato dalla stessa Agenzia delle entrate nella circ. n. 37/E/2012, cit., non dovrebbe poter essere oggetto di trasformazione in crediti d’imposta non essendo iscritta a titolo di attività per imposte anticipate.

[35] Pari al 16 per cento in caso di affrancamento effettuato ai sensi dell’art. 15 del D.L. n. 185/2008 e al 12 per cento sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro, al 14 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro e al 16 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede i 10 milioni di euro in caso di affrancamento operato ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del TUIR.

 

[36] Il principio contabile internazionale IAS 12, denominato “Imposte sul reddito” in tema di compensabilità tra imposte differite attive e imposte differite passive prevede, al par. 74, che: «l’entità deve compensare le attività e le passività fiscali differite se, e solo se: (a) l’entità ha un diritto legalmente esercitabile di compensare le attività fiscali correnti con le passività fiscali correnti; e (b) le attività e le passività fiscali differite sono relative a imposte sul reddito applicate dalla medesima giurisdizione fiscale su: (i) lo stesso soggetto passivo d’imposta; o (ii) soggetti passivi d’imposta diversi che intendono regolare le passività e le attività fiscali correnti su base netta, o realizzare le attività e regolare le passività contemporaneamente, in ciascun esercizio successivo nel quale si prevede che siano regolati o recuperati ammontari significativi di passività o di attività fiscali differite».

[37] Così circ. n. 37/E/2012, cit.

[38] Cfr. abi, op. cit., 13.

[39] Così abi, op. cit., 13.

 

[40] Così circ. n. 37/E/2012, cit.

[41] Al riguardo l’abi, nella circ. 19 dicembre 2012, n.11, ha osservato come: «l’orientamento assunto dall’Agenzia secondo cui l’importo delle DTA da considerare ai fini della trasformazione è quello risultante dall’attivo dello stato patrimoniale è sicuramente restrittivo; ciò tenuto conto che la norma fa riferimento alle DTA “iscritte in bilancio” e che dalle tabelle della Nota integrativa emerge comunque, anche in caso di compensazione, l’importo delle DTA lorde relative ai crediti ovvero all’avviamento e alle altre attività immateriali. Con la suddetta affermazione l’Agenzia sembra comunque aver posto un tetto massimo all’importo compensabile. Al riguardo si segnala che, a parere della scrivente, nel calcolo delle conversioni sia legittimo tener conto delle DTA “lorde”, quali risultano dalle tabelle di Nota integrativa – così come modificate a partire dai bilanci 2012 dalle menzionate disposizioni introdotte da Banca d’Italia – e che ai fini in questione la compensazione delle DTA con le DTL sia presuntivamente da imputarsi in via prioritaria alle DTA non rilevanti ai fini della disciplina di trasformazione; con la conseguenza che se a seguito della compensazione, l’importo delle DTA iscritte nello stato patrimoniale sia almeno pari all’importo delle DTA lorde trasformabili), tale importo non dovrà subire ulteriori decurtazioni ai fini della trasformazione in credito d’imposta». Così anche g. vasapolli – a. vasapolli, op. cit., 1100, che, prima dell’emanazione della circolare in commento, si erano espressi a favore della trasformazione anche delle DTA compensate in parte o in tutto con imposte differite passive.

[42] Nel documento denominato “La definizione di capitale contenuta in Basilea 3: domande frequenti”, il Comitato di Basilea ha precisato ulteriormente come: «affinché le DTL e le DTA create possano essere compensate per determinare la deduzione dal patrimonio di vigilanza, la compensazione delle sottostanti attività e passività per imposte deve essere autorizzata dall’autorità fiscale competente».

[43] L’abi, op. cit., 8, osserva come nella nozione di “imposte sui redditi” richiamata dal comma55 in esame dovrebbe poter rientrare anche l’IRAP considerato che: (i) dovrebbero prevalere le definizioni di bilancio, che classificano l’IRAP, al pari dell’IRES, fra le imposte sul reddito, dato che la disciplina in parola è prevalentemente bilancistica; (ii) lo stesso Governo italiano ha sostenuto l’appartenenza dell’IRAP alla categoria delle imposte sui redditi in occasione della pronucia della Corte Giust. UE 3 ottobre 2006, causa C-475/03, in Boll. Trib., 2006, 1578, con nota di f. brighenti, IRAP salva; e adesso?; (iii) il calcolo della stima di gettito operato nella relazione tecnica al provvedimento mille proroghe include le DTA totali relative, quindi, sia alle imposte sui redditi sia all’IRAP; e (iv) la relazione tecnica ai commi 23-25 dell’art. 12 del disegno di legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) nell’analizzare gli impatti di gettito derivati dal differimento di cinque anni del riconoscimento fiscale dell’ammortamento del valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali iscritti nel bilancio consolidato richiama le DTA IRAP. Sulla possibile rilevanza delle DTA IRAP, ved. altresì r. michelutti, op. cit., 3420.

[44] Cfr. ris. n. 94/E/2011, cit.

[45] L’Agenzia delle entrate, invece, nella citata ris. n. 94/E/2011 ritiene che la trasformazione delle DTA in presenza di una perdita civilistica sia applicabile a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 225/2010, cioè il 29 dicembre 2010, e, quindi, produca effetti con riferimento a tutti i bilanci la cui approvazione sia avvenuta successivamente a tale data. Al riguardo, va precisato che la disciplina in parola non è stata introdotta dal predetto D.L. n. 225/2010, ma solamente in sede di conversione di tale decreto ad opera della legge n. 10/2011 e, conseguentemente, l’affermazione fatta dall’Agenzia delle entrate non sembra essere corretta dovendo, invece, fare riferimento alla data di entrata in vigore di tale legge.

 

[46] Il riferimento fatto dall’Agenzia delle entrate nella circ. n. 37/E/2012, cit., al fondo di dotazione della stabile organizzazione risultante dalla dichiarazione dei redditi dovrebbe significare che l’importo del fondo di dotazione da considerare ai fini del calcolo del rapporto indicato dalla norma non è quello risultante dalla contabilità della succursale italiana, ma quello calcolato ai fini fiscali, che può essere anche figurativo e va indicato nel Prospetto del capitale e delle riserve contenuto nel quadro RF (Determinazione del reddito d’impresa) del mod. Unico. In senso conforme abi, op. cit., 12. Sulla possibilità che il fondo di dotazione della stabile organizzazione sia solo figurativo, si veda ris. 30 marzo 2006, n. 44/E, in Boll. Trib., 2006, 594.

[47] In particolare, l’Agenzia delle entrate nella circ. n. 37/E/2012, cit., precisa che l’esclusione della perdita dell’esercizio dal patrimonio netto contabile «trova fondamento nella circostanza che il rapporto tra DTA e patrimonio netto deve individuare la misura in cui le DTA concorrono alla copertura della perdita dell’esercizio; pertanto, l’inclusione della stessa perdita al denominatore inficerebbe la rappresentatività del rapporto». La necessità di escludere la perdita civilistica dell’esercizio dal patrimonio netto risulta, forse, in modo più palese se, invertendo i fattori del prodotto indicato dalla norma, si considera che l’ammontare delle DTA da trasformare dipende dal rapporto fra la perdita dell’esercizio e il patrimonio netto contabile.

[48] Così circ. n. 37/E/2012, cit.

[49] Sulla irrilevanza dei bilanci intermedi di liquidazione o di altre procedure concorsuali ai fini della trasformazione delle DTA si veda r. michelutti, op. cit., 3418.

[50] In Boll. Trib., 2004, 899.

[51] Cfr. abi, op. cit., 13.

 

[52] Ciò in linea con quanto precisato dal Ministero delle finanze nella circ. 3 maggio 1996, n. 108/E, par. 6.12, in Boll. Trib., 1996,824, in tema di concorrenza delle eventuali quote residue di plusvalenze alla formazione del reddito relativo all’ultimo esercizio in cui si chiude la liquidazione.

[53] È auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle entrate sulla decorrenza degli effetti in ipotesi di perdita civilistica per le stabili organizzazioni di società estere considerato che non viene approvato alcun bilancio relativo alla stabile organizzazione; si potrebbe, forse, far riferimento alla data in cui viene approvato il bilancio dell’esercizio dell’entità giuridica a cui appartiene la stabile organizzazione italiana.

[54] Va, infatti, rammentato che tale ipotesi di trasformazione, come sopra osservato, è stata introdotta al fine di rendere certa la recuperabilità delle DTA iscritte in bilancio a fronte di quote di svalutazioni su crediti non ancora dedotte ai sensi dell’art. 106, comma 3, del TUIR, e di componenti negativi relativi al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali che saranno deducibili nei successivi periodi con la conseguenza che, in assenza di tali DTA iscritte in bilancio, le eventuali attività per imposte anticipate iscritte a fronte di una perdita fiscale non dovrebbero poter essere trasformabili in crediti d’imposta. Così abi, op. cit., 10 che osserva come: «dalle precisazioni dell’Agenzia emerge che la disciplina di trasformazione in caso di perdita fiscale riguarda DTA su crediti, avviamento e altre attività immateriali che siano state precedentemente iscritte in bilancio e che, nello stesso periodo d’imposta in cui emerge la perdita fiscale, siano annullate a fronte delle variazioni in diminuzione evidenziate in dichiarazione in relazione ai suddetti beni» e come «ove peraltro … la perdita fiscale sia stata stimata già ai fini dell’accantonamento delle imposte nello stesso bilancio 2012 con evidenziazione delle relative DTA, queste ultime non assumeranno evidentemente rilevanza ai fini della trasformazione ex commi 55 e 56, avendo di fatto perso la natura di DTA su crediti ovvero su avviamento ed altre attività immateriali ed acquisito la diversa veste di DTA su perdite fiscali; resta in ogni caso fermo che la trasformazione in credito d’imposta ex comma 56-bis, nei limiti ovviamente della perdita ivi evidenziata riferibile alle variazioni in diminuzione rilevanti riportate nella stessa dichiarazione, nonché l’utilizzo in compensazione, potrà peraltro avvenire solo dopo la presentazione della relativa dichiarazione».

[55] Sugli adempimenti dichiarativi in caso di liquidazione di società soggette ad IRES si veda ris. 6 luglio 2010, n. 66/E, in Boll. Trib., 2010, 1132.

[56] Così circ. n. 37/E/2012, cit.

[57] Così Organismo Italiano di Contabilità (OIC), Documento OIC Interpretativo 2, Contabilizzazione del consolidato e della trasparenza fiscale, maggio 2006, 26.

[58] In senso conforme a. trabucchi – g. manguso, op. ult. cit., 3413.

[59] oic, op. cit., 27.

[60] Così a. trabucchi – g. manguso, op. ult. cit., 3413.

 

[61] Ciò in linea con quanto precisato dal Ministero delle finanze nella circ. n. 108/E/1996, par. 6.12, cit., in tema di concorrenza delle eventuali quote residue di plusvalenze alla formazione del reddito relativo all’ultimo esercizio in cui si chiude la liquidazione.

[62] Quindi il reddito relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura della liquidazione, se la liquidazione non si è protratta per più di cinque esercizi, oppure il reddito relativo al periodo in cui avviene la chiusura della liquidazione, in caso contrario.

[63] Sul punto l’abi, op. cit.,10, ha auspicato «un intervento di salvaguardia dei differenti comportamenti già adottati dai contribuenti, mediante la precisazione dell’Agenzia dell’inapplicabilità delle sanzioni sui conseguenti ravvedimenti dei versamenti operati».

 

[64] Cfr. ris. n. 94/E/2011, cit. Inoltre, l’Agenzia delle entrate con ris. n. 57/E/2011, cit., ha istituito il relativo codice tributo “6834” denominato «Credito d’imposta, a favore degli enti creditizi e finanziarti, delle imposte anticipate iscritte in bilancio, in presenza di perdita d’esercizio – art. 2 commi da55 a 59, d.l. n. 225/2010 e successive modificazioni», specificando che: «in sede di compilazione del modello F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario” in corrispondenza della colonna “Importi a credito compensati” ovvero nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento del credito, nella colonna “Importi a debito versati”. Il campo “Anno di riferimento” è valorizzato, nel formato “AAAA”, con l’anno cui si riferisce il credito». Al riguardo va osservato che per “anno cui si riferisce il credito” si dovrebbe intendere l’esercizio il cui bilancio evidenziava all’attivo le DTA oggetto di trasformazione. Ad esempio, nel caso di DTA iscritte nel bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2011 e oggetto di trasformazione in sede di approvazione di tale bilancio, l’anno da indicare dovrebbe essere il 2011 e non il 2012.

[65] Cfr. ris. n. 94/E/2011, cit.; e circ. n. 37/E/2012, cit.

[66] Così abi, op. cit., 15.

[67] Sulla disciplina dettata dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/1972, si rinvia a quanto osservato dall’assonime nella circ. 10 maggio 1996, n. 50, 79 ss.

[68] Cfr. ris. 23 ottobre 1996, n. 237/E, in Boll. Trib., 1996, 1685; e ris. 21 febbraio 2005, n. 22/E, ivi, 2005, 1303. Cfr. altresì assonime, circ. n. 50/1996, cit., 82; e circ. 19 novembre 1996, n. 120, 2.

[69] L’assonime nella circ. n. 50/1996, cit., 86, redatta, fra l’altro, a commento della disciplina dettata dal citato art. 43-ter, si pone «il problema se, ai fini dell’applicazione di tale articolo, sia sufficiente che la condizione di appartenenza al gruppo sussista alla predetta data ovvero se sia necessario che la stessa permanga, almeno, fino al momento della cessione. A favore della prima soluzione potrebbe, in effetti, addursi la circostanza che la disposizione del secondo periodo del citato comma 4 dell’art. 43-ter, dispone che ai soggetti la cui appartenenza al gruppo risulti dal bilancio consolidato, la disciplina in esame possa applicarsi in ogni caso. Tuttavia, motivi di ordine sistematico inducono, a nostro avviso, a preferire la seconda soluzione. Ed invero, nonostante l’ampiezza del dato letterale della norma non può ignorarsi che essa reca un criterio comunque strumentale rispetto alla disposizione del comma 1 dello stesso art. 43-ter la quale, ammettendo il trasferimento delle eccedenze d’imposta solo tra soggetti appartenenti ad un medesimo gruppo, presuppone necessariamente la sussistenza di tale condizione al momento in cui tale trasferimento si verifica».

 

[70] In particolare, l’art. 34 della legge n. 388/2000 prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo per ciascun anno solare» mentre l’art. 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che «a partire dal 1 gennaio 2008, anche in deroga alle disposizioni previste dalle singole leggi istitutive, i crediti d’imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi possono essere utilizzati nel limite annuale di 250.000 euro. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’eccedenza».

[71] In Boll. Trib. On-line. Le istruzioni al modello Unico 2012 (2011) – Società di capitali, a pag. 101, e la bozza di quelle al mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali, a pag. 117, richiamando tale risoluzione, precisano che: «per effetto di quanto disposto dall’art. 1, commi da53 a 57, della legge n. 244 del2007, a decorrere dall’anno 2008, i crediti d’imposta da indicare nel presente quadro possono essere utilizzati, anche in deroga alle disposizioni previste dalle singole norme istitutive, in misura non superiore a euro 250.000 annui. L’ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l’intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l’eccedenza. Con la risoluzione n. 9/DF del 3 aprile 2008, il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze – ha precisato che il limite di 250.000 euro si cumula con il limite generale alle compensazioni previsto dall’articolo 25, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (516.456,90 euro). La medesima risoluzione, inoltre, ha specificato che, qualora in un determinato anno siano effettuate compensazioni per un importo inferiore al limite di euro 516.456,90, i crediti da quadro RU possono essere utilizzati anche oltre lo specifico limite dei 250.000 euro, fino a colmare la differenza non utilizzata del limite generale».

[72] Così abi, op. cit., 15.

[73] Cfr. quadro RU, sez. XI, del mod. Unico 2012 (2011) – Società di capitali e le relative istruzioni a pag. 112.

[74] Cfr. quadro RU, sez. I, del mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali e le relative istruzioni a pag. 154.

[75] Così abi, op. cit., 15.

[76] Cfr. Principio contabile internazionale n. 12, denominato “Imposte sul reddito”, par. 24.

[77] Cfr. Principio contabile nazionale n. 25, denominato “Il trattamento contabile delle imposte sui redditi”, par. H.I.

 

[78] Il trattamento delle DTA in parola è stato anche oggetto della nota tecnica predisposta da Banca d’Italia, allegata alla comunicazione del 7 agosto 2012 riguardante la normativa in materia di bilancio e segnalazioni di vigilanza delle banche e degli intermediari finanziari. Con tale comunicazione, che è stata pubblicata sul Bollettino di Vigilanza agosto 2012, n. 8, è stato richiesto alle banche e agli altri intermediari vigilati di dare separata evidenza delle DTA trasformabili in crediti d’imposta rispetto alle DTA che, invece, non sono trasformabili, specificando se la loro diminuzione è dovuta al fisiologico rigiro oppure per effetto della trasformazione derivante da perdite di esercizio oppure da perdite fiscali.

[79] Le medesime informazioni e dati sono richiesti dalla bozza del mod. Unico 2013 (2012) – Società di capitali.

[80] Le istruzioni al mod. Unico 2012 – Società di capitali, a pag. 58, dopo aver precisato, in sede di commento del rigo RN5, colonna 3, come «le perdite residue devono essere riportate nell’apposito prospetto del quadro RS “perdite d’impresa non compensate”», evidenziano come «ai sensi del comma 56-bis dell’art. 2 del decreto legge n. 225 del 2010, introdotto dall’art. 9 del decreto-legge n. 201 del 2011, la perdita del presente periodo d’imposta è computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per un ammontare pari alla suddetta perdita ridotto dei componenti negativi di reddito che hanno dato luogo alla quota di attività per imposte anticipate trasformata in crediti d’imposta ai sensi del citato comma 56-bis». Inoltre, le specifiche tecniche per la trasmissione telematica del modello Unico 2012 – Società di capitali che l’importo indicato nel rigo RS44, colonna 3, e RS45, colonna 3, deve essere minore o uguale dell’importo indicato nel rigo RN5, colonna 3.

[81] Le istruzioni al mod. Unico 2012 – Società di capitali, a pag. 67, precisano che «nel rigo GN2, va indicata la perdita non preceduta dal segno meno, di rigo RF62 (al netto di quanto indicato nel rigo RF73, colonna 2) [dove viene richiesto di indicare il reddito imponibile delle società sportive dilettantistiche]» mentre le specifiche tecniche per la trasmissione telematica di tale modello stabiliscono che l’importo da indicare nel rigo GN2 «deve essere uguale al valore assoluto di RF073002 – RF062001».