7 Maggio, 2013

SOMMARIO: 1.Natura e perfezionamento della conciliazione giudiziale secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità – 2.Verifica dei presupposti normativamente previsti e perfezionamento della conciliazione. Una diversa soluzione prospettata dalla Suprema Corte – 3.Nuova formulazione dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 e considerazioni di sintesi.

 

1.Natura e perfezionamento della conciliazione giudiziale secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità

 

È consolidata opinione che sovente l’Amministrazione finanziaria possa trovare conveniente «sostituire al più pesante strumento provvedimentale il più duttile strumento contrattuale» [1]. Lo strumento provvedimentale, espressione delle scelte unilaterali dell’Amministrazione finanziaria, non essendo sempre quello più confacente al raggiungimento dell’interesse pubblico consacrato dalla norma giuridica, cede spazio talvolta a fattispecie e forme di contraddittorio deflattive del contenzioso [2]. In tale contesto si inserisce la valenza e l’operatività dell’istituto della conciliazione giudiziale [3] in relazione alle principali problematiche interpretative e recenti applicazioni processuali, alcune delle quali costituiscono il centro del recente dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Proprio queste ultime problematiche hanno condizionato la prassi applicativa e processuale dell’istituto conciliativo e sono rappresentate ineludibilmente dalle circostanze connesse alla verifica concreta in sede contenziosa della sussistenza o meno delle condizioni normativamente previste per l’efficacia dell’istituto, specie nella sua forma rateale.

Dai precedenti della giurisprudenza di legittimità e di merito, anche recenti, possono ben individuarsi alcuni principi di diritto in ordine all’efficacia della conciliazione soprattutto in relazione al diverso atteggiarsi del contribuente, controparte del rapporto processuale [4].

Va sin da subito chiarito che le maggiori problematiche applicative hanno avuto ad oggetto la conciliazione giudiziale nella sua forma rateale, ex art. 48 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, com’è noto, trova il suo perfezionamento con il versamento della prima rata concordata, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, nonché – prima della recente modifica legislativa – con la prestazione della garanzia prevista sull’importo delle rate successive.

 

 

[-protetto-]

 

Si ritiene opportuno rammentare che di recente il legislatore è intervenuto con l’art. 23, comma 19, lett. b), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), con il quale ha abrogato parte del comma 3 della disposizione di cui all’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 escludendo, dalle condizioni previste, la prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per gli importi superiori ai 50.000,00 euro. La predetta disposizione ha escluso, difatti, la predetta garanzia quale necessario requisito per il perfezionamento dell’istituto conciliativo, pur lasciando quali requisiti il versamento dell’intero importo, ovvero il versamento della prima rata per la conciliazione in forma rateale.

Cionondimeno, all’esito di un’analisi concreta in ambito processuale, risulta tutt’altro che peregrina – almeno prima della modifica legislativa introdotta – la fattispecie in cui il giudice di primo grado, ancor prima di verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la conciliazione tout court, ovvero quella in forma rateale ex art. 48 – versamento della prima rata di quanto conciliato e prestazione di garanzia – in modo a dir poco frettoloso, dichiari con sentenza l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per intervenuta conciliazione, ancorché in assenza dei citati presupposti non ancora verificatisi. Invero, il contribuente, che, ad esempio, non provvede al pagamento di quanto conciliato, né della prima rata, o non provvede a prestare garanzia alcuna sulla parte restante del quantum debeatur (almeno prima della modifica legislativa), in difformità da quanto normativamente previsto ex art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, dà luogo all’invalidità della conciliazione.

Com’è noto dalla disposizione ex art. 48 risulta che, affinché possa dirsi valida ed efficace, la conciliazione, e in particolare quella in forma rateale, necessita delle predette due condizioni, ovvero: versamento della prima rata, e – nella precedente formulazione normativa – prestazione di idonea garanzia sulla parte restante del quantum [5]. In mancanza, anche di una, delle predette garanzie la conciliazione non può trovare conferma [6]. Né d’altra parte potrebbe risultare applicabile, in tali casi, la prima parte del comma 3 della predetta disposizione che affida al processo verbale, nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi, la natura di titolo per la riscossione coattiva delle somme dovute, in assenza di versamento della prima rata.

Da quanto premesso, risulta evidente che l’estinzione dell’originaria pretesa vantata dal fisco si verifica solo allorquando siano divenuti efficaci e perfetti gli atti dichiarativi della conciliazione. Pertanto, non potrebbe aversi l’estinzione del giudizio prima del verificarsi dei predetti presupposti normativamente previsti per la validità della conciliazione giudiziale. Difatti, la fattispecie estintiva del giudizio può aversi soltanto se “il presidente della commissione, … ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità”. In assenza dei predetti presupposti qualsiasi estinzione del giudizio non potrebbe che considerarsi contra legem.

Orbene, ciò considerato, si potrebbe ulteriormente argomentare che una valida ed efficace conciliazione postula, in linea di massima, un effetto novativo nel significato tradizionalmente inteso, poiché si avrebbe l’estinzione di un rapporto obbligatorio tra le parti processuali e la conseguente nascita di un rapporto nuovo rispetto al precedente mutato nel titolo o nell’oggetto. A contrario, potrebbe ben dirsi che l’effetto novativo testé richiamato non si configura in assenza dei presupposti previsti per la validità ed efficacia della conciliazione, con conseguente impossibilità di estinzione del giudizio.

Tuttavia, la dottrina [7] e più in particolare la recente giurisprudenza di legittimità hanno, altresì, precisato che la conciliazione tributaria giudiziale non ha natura negoziale, e in particolare non ha natura novativa, essa costituendo fattispecie a formazione progressiva contraddistinta «dall’identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia e che solo nel momento in cui la conciliazione raggiunge la perfezione/efficacia si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale» [8].

Ciò implica la non sufficienza del mero accordo tra fisco e contribuente per estinguere il giudizio, occorrendo, nel caso, il verificarsi delle predette condizioni, motivo per il quale l’assenza del verificarsi dei presupposti implica la riviviscenza dell’originaria pretesa impositiva.

In coerenza con quanto anzidetto, va esaminata la decisione dei giudici di seconde cure, poi cassata dalla Suprema Corte con la sentenza 25 novembre 2011, n. 24931 [9], in cui, sebbene in essa i giudici della Commissione tributaria regionale avessero riconosciuto che l’efficacia della conciliazione potesse rinvenirsi o con il pagamento di tutto il quantum debeatur, ovvero con il versamento della prima rata e relativa garanzia fideiussoria, – errando – dichiaravano comunque estinto il giudizio, in presenza del mero accordo tra le parti, ritenendo che l’Amministrazione finanziaria potesse pur sempre provvedere alla riscossione di quanto concordato in sede di sottoscrizione del verbale di conciliazione.

La Suprema Corte, con la citata sentenza n. 24931/2011 [10], diversamente ragionando dai giudici di secondo grado – ritenendo illegittima l’estinzione del giudizio a seguito di presupposti della conciliazione non verificatisi – ha sostenuto la doverosità da parte dei giudici d’appello di giudicare il merito del rapporto controverso, non già di dichiarare estinto il giudizio.

Difatti, l’inadempimento dei succitati obblighi non può condurre all’estinzione del giudizio tributario per cessazione della materia del contendere, ex art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 e la causa, in tal caso, dovrà necessariamente essere decisa nel merito. Questo il principio di diritto contenuto nei recenti orientamenti della Corte di Cassazione [11].

Sulla questione, invero, già la stessa Suprema Corte [12] ha avuto modo di precisare che, in caso di impugnazione di una sentenza di primo grado dichiarativa di estinzione per cessata materia del contendere a seguito di conciliazione, il giudice d’appello deve verificare la sussistenza del perfezionamento della fattispecie estintiva e in caso contrario – in assenza dei presupposti – giudicare il merito del rapporto tributario, non essendo ammissibile la rimessione degli atti al giudice del grado precedente.

Più precisamente, i giudici di legittimità hanno più volte condiviso l’orientamento secondo cui, laddove si riscontra la mancata sussistenza dei presupposti della conciliazione, il giudice di secondo grado dovrebbe conoscere il merito dell’appello, verificando se si fosse perfezionata la fattispecie estintiva del giudizio e, in caso affermativo, respingere l’appello, confermando la sentenza di primo grado.

Pertanto, in caso di mancata sussistenza dei predetti presupposti della conciliazione, dovrebbe aversi la trattazione del merito della fattispecie concreta da parte del giudice di seconde cure [13], non già procedere all’estinzione del giudizio o alla remissione degli atti al giudice di grado precedente. Ciò, peraltro, troverebbe la propria ratio nel fatto che la rimessione al giudice di grado precedente – per l’esame di merito – ha carattere eccezionale e non può essere disposta oltre i casi espressamente previsti, né è estensibile a fattispecie simili o analoghe [14].

D’altra parte, sull’appellabilità delle sentenze dichiarative dell’estinzione del giudizio tributario, semprela Suprema Cortecon la citata sentenza n. 3560/2009 ha chiarito che gli atti dichiarativi della conciliazione ex art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 non postulano di per sé la cessazione della materia del contendere, essendo tale effetto configurabile solo qualora gli stessi siano divenuti efficaci e perfetti con il verificarsi dei rispettivi presupposti.

L’eventuale pronuncia di primo grado che dichiari illegittimamente l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ben può essere appellata dall’Ufficio impositore il quale non potrebbe essere costretto all’esecuzione di una conciliazione che per evidenti motivazioni non può che ritenersi, ad avviso dei giudici di legittimità, persino “inesistente” ab initio. In tal caso, in assenza del verificarsi dei presupposti, si ritiene che «il giudice di appello dovrà, giocoforza, procedere ad un esame nel merito del rapporto controverso» [15], non potendo procedere alla rimessione degli atti in primo grado e non potendosi neppure procedere alla riscossione coattiva di quanto conciliato.

Nel caso in cui non si siano verificati i presupposti e le condizioni affinché possa dirsi valida ed efficace la conciliazione tra le parti, risulta evidente che il giudice di seconde cure dovrebbe essere chiamato a entrare nel merito del fatto controverso oggetto del giudizio, evitando una qualsivoglia ipotesi di rimessione degli atti al giudice di primo grado al fine di ripristinare il giudizio interrotto dalla proposta conciliativa, essendo la rimessione in Commissione tributaria provinciale una fattispecie residuale, tipicamente e normativamente prevista, non suscettibile di applicazione analogica.

Da tale soluzione prospettata dalla Suprema Corte – in ordine all’impossibilità di rimettere gli atti al giudice di prime cure con conseguente esame di merito da parte del giudice d’appello – deriverebbe l’esistenza di un unico esame di merito della questione giuridica, vale a dire soltanto dinanzi al giudice di secondo grado; pertanto il contribuente in tale contesto troverebbe l’unico esame di cognizione e di merito della fattispecie concreta solo nel secondo grado di giudizio, essendogli precluso sostanzialmente il primo grado conclusosi con la proposta conciliativa, motivo per il quale non vi sarebbe cognizione da parte del giudice di prime cure.

È evidente che tale soluzione prospettata dalla Suprema Corte lascia non pochi dubbi circa il principio del giusto processo e dei tre gradi di giurisdizione, poiché se da un latola Suprema Cortenon ha inteso rimettere gli atti al giudice di prime cure, ma solo alla Commissione tributaria regionale per l’unico esame del merito, dall’altro tale soluzione postula un’evidente vacatio nella disciplina normativa giacché, dinanzi a una conciliazione non perfezionata e dunque inesistente, si lascia il contribuente privo del primo grado di giurisdizione e di merito. Ciò pone seri dubbi sul rispetto del principio del giusto processo, oltreché dal diritto di difesa del contribuente il quale, in tale fattispecie, si vede privato di un’importante prerogativa, ovvero la legittima fase di cognizione e di merito dinanzi al giudice di primo grado.

Tale soluzione, ad avviso della Corte di Cassazione [16], si rinviene nel fatto che la rimessione del processo al primo giudice avrebbe carattere eccezionale e non potrebbe essere disposta oltre i casi espressamente previsti, né risulta applicabile per analogia a fattispecie analoghe, ciò postulando che la predetta rimessione risulti limitata alla prevista ipotesi di riforma della sentenza normativamente prevista.

Tuttavia, a tali considerazioni vanno aggiunte quelle concernenti la prassi processuale delle Commissioni di merito di secondo grado le quali, contrariamente all’orientamento della Suprema Corte citato, talvolta – nel prendere atto che in fattispecie analoghe il giudizio non poteva essere dichiarato estinto – anziché entrare nel merito, hanno inteso applicare per analogia l’art. 59, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 546/1992, che peraltro non prevede tale ipotesi, e rimettere gli atti al giudice di prime cure, pur giudicando anomala la predetta fattispecie [17].

L’applicazione di tale norma processuale contenuta nell’art. 59, oltre a originare qualche dubbio sulla sua estensione analogica, non pare tuttavia sia confacente con l’orientamento della Suprema Corte che, come già visto, ha inteso attribuire alla «rimessione del processo al primo giudice … carattere eccezionale e non … oltre i casi espressamente previsti né estensibile a fattispecie simili od analoghe» [18]. Sembra dunque difficile trovare una valida soluzione, maggiormente rispondente al diritto di difesa, tra vacatio processuale e rimessione del giudizio, poiché entrambe le ipotesi esaminate presentano dubbi, criticità e difficoltà applicative.

 

 

2.Verifica dei presupposti normativamente previsti e perfezionamento della conciliazione. Una diversa soluzione prospettata dalla Suprema Corte

Alle perplessità riscontrabili allorquando si finisce con l’impedire la rimessione degli atti al giudice di primo grado e limitare il merito del giudizio alla cognizione del giudice di seconde cure, come esaminato, si aggiunge peraltro la perplessità sussistente nel caso in cui il giudice dichiari l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere e successivamente il contribuente non ottemperi a quanto concordato in sede conciliativa. In tali casi, come rilevato, l’Ufficio non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione non perfezionata per l’assenza dei presupposti essenziali, e dunque inesistente, poiché ha l’interesse alla prosecuzione del giudizio di merito sull’atto impugnato al fine di far rivivere l’originaria pretesa impositiva.

Sul punto sempre la Suprema Corteha precisato che «gli atti dichiarativi delle varie specie di conciliazione previste nel giudizio tributario dall’art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 non determinano di per sé la cessazione della materia del contendere, producendosi tale effetto solo quando, con il versamento della somma concordata, gli stessi siano divenuti efficaci e perfetti. Pertanto, nella conciliazione cosiddetta “breve postfissazione” – in cui, ai sensi del comma 5, la proposta è depositata dopo la fissazione dell’udienza e prima della trattazione in camera di consiglio – la Commissionetributaria provinciale, nel silenzio della norma, deve rinviare l’udienza di trattazione della causa ad una data successiva alla scadenza del termine concesso per il versamento, decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza di rinvio dell’udienza di trattazione, in applicazione analogica della disciplina dettata dal comma 1 per la conciliazione cosiddetta “breve prefissazione”, in cui la proposta è depositata prima della fissazione dell’udienza di trattazione; in mancanza di tale rinvio e del versamento, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è appellabile dall’Ufficio, che non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione inesistente, né privato della sua legittima pretesa di far valere l’interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso» [19].

Dunque in tale ultimo intervento, a dir poco risolutivo,la Suprema Corteha avallato l’applicazione analogica alle fattispecie di conciliazione breve postfissazione della disciplina dettata per la conciliazione breve prefissazione, a proposito del rinvio dell’udienza di trattazione della causa da parte della Commissione tributaria provinciale, al fine di verificare l’effettivo adempimento del contribuente in modo da coordinare quest’ultimo con l’estinzione del giudizio. Tale soluzione, difatti, appare idonea ad evitare radicalmente la problematica di estinzione del giudizio a seguito del mero accordo conciliativo tra le parti, necessitando, nel caso, il verificarsi dei requisiti previsti normativamente.

In tale nuova udienza, invero, solo se riscontra l’avvenuto versamento delle somme dovute e la prestazione di garanzia,la Commissionepotrà prendere atto dell’estinzione dell’obbligazione tributaria e dovrà con sentenza dichiarare estinto il giudizio per cessata materia del contendere.

Tuttavia, risulta con evidenza che nella conciliazione breve postfissazione ex art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, secondo il disposto normativo, non è affatto casuale che il legislatore abbia previsto la sola competenza del Presidente della Commissione tributaria provinciale per dichiarare estinto il giudizio con decreto. Tale scelta legislativa trova la propria ratio nella circostanza secondo cui avverso il decreto presidenziale è sempre ammesso il reclamo ex art. 28 del D.Lgs. n. 546/1992. Ciò consente, difatti, di verificare preliminarmente il buon esito del procedimento conciliativo già nel primo grado di giudizio, ovvero prima dell’udienza di trattazione all’esito della quale – in caso di inadempimento degli obblighi derivanti dalla conciliazione – è lo stesso giudice di prime cure a poter conoscere il merito della fattispecie e ad emettere una decisione di merito. Difatti, l’emanazione del decreto presidenziale reclamabile, evitando una decisione che con sentenza dichiari l’estinzione del processo, scongiura la scelta del giudice d’appello tra il rimettere gli atti al giudice di primo grado – ipotesi come visto limitata e tassativamente tipizzata [20] – o entrare nel merito della fattispecie controversa sottraendo la fattispecie giuridica al primo grado del giudizio di merito.

Orbene, dall’analisi giurisprudenziale qui condotta, con particolare riferimento all’orientamento espresso dalla Suprema Corte [21], dinanzi a una conciliazione non perfezionata per il mancato adempimento degli obblighi previsti non può verificarsi l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere e la causa dovrà giocoforza essere decisa nel merito da parte del giudice d’appello, anziché da parte della Commissione tributaria provinciale, atteso che l’Ufficio non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione giuridicamente inesistente.

Ciò posto, può ritenersi condivisibile la soluzione adottata dalla Suprema Corte nella più volte citata sentenza n. 3560/2009 e poi confermata dalla sentenza n. 11722/2011, anch’essa citata, ad avviso della quale nella conciliazione cosiddetta “breve postfissazione” ex art. 48, comma 5 – laddove la proposta è depositata dopo la fissazione dell’udienza e prima della trattazione in camera di consiglio – la Commissionetributaria provinciale, dinanzi al silenzio della legge, deve rinviare l’udienza di trattazione della causa a una data successiva alla scadenza del termine concesso per il versamento, in applicazione analogica della disciplina dettata per la conciliazione cosiddetta “breve prefissazione”, laddove la proposta è depositata prima della fissazione dell’udienza di trattazione. Tale soluzione, difatti, consente al giudice di prime cure di verificare effettivamente – nelle more del rinvio dell’udienza di trattazione – il buon fine della conciliazione e dei rispettivi adempimenti [22], evitando una sentenza di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere successivamente appellabile dall’Ufficio per l’assenza dei presupposti normativamente previsti.

Sul punto la Cortedi Cassazione ha ulteriormente ritenuto «che in ipotesi di conciliazione rateale il giudice tributario deve rinviare la decisione ad un momento successivo alla scadenza del termine fissato per gli adempimenti previsti dall’art. 48, comma 3, citato (v. cass. n. 9219 del 2011), al fine di consentire al contribuente di documentare sia la tempestività del versamento della prima rata sia la prestazione della garanzia, atteso che solo per questa via la conciliazione raggiunge la perfezione/efficacia, si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e si produce anche l’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere» sup>[23]. Coerentemente, nella recentissima ordinanza 3 luglio 2012, n. 11125, sempre la Suprema Corte, con un orientamento oramai consolidato, ha espresso il medesimo principio di diritto [24].

Peraltro, anche la dottrina ha avuto modo di evidenziare che in una ricostruzione della questione giuridica più convincente, per motivi di opportunità e per una maggiore aderenza a una interpretazione logico-sistematica della fattispecie normativa, si potrebbe richiedere – a seguito della sottoscrizione del verbale di conciliazione ad opera delle parti – un rinvio della trattazione a data fissa in modo che si possa procedere con sentenza alla dichiarazione di estinzione del giudizio solo dopo che la Commissionesi sia accertata dell’effettivo pagamento [25] o, in caso di conciliazione rateale, del versamento della prima rata.

dai costanti orientamenti della Suprema Corte emerge quindi che la conciliazione per dirsi validamente efficace necessita della coesistenza delle citate condizioni, ovvero: pagamento del quantum dovuto o, in caso di conciliazione rateale, della prima rata, non essendo oramai più prevista la prestazione di un’idonea garanzia.

In mancanza, ben lungi l’Amministrazione finanziaria dall’essere obbligata all’esecuzione di una conciliazione inesistente, deve tendere a una decisione che verta sul merito della fattispecie controversa.

A tali considerazioni vanno aggiunte quelle concernenti la prassi processuale delle Commissioni di merito di primo grado, le quali dinanzi al mero accordo in sede conciliativa, talvolta – oltre a estinguere repentinamente il giudizio per cessata materia del contendere prima di verificare la sussistenza dei presupposti – di rado rinviano l’udienza di merito per verificare il reale adempimento del contribuente [26], considerato che il mero accordo intervenuto tra le parti non può di per sé postulare l’estinzione del giudizio.

In tali casi, difatti, il giudice di prime cure, anziché emettere sentenza ed estinguere il giudizio per cessata materia del contendere prima del verificarsi dei predetti presupposti, dovrebbe quantomeno rinviare l’udienza di trattazione, ovvero, la decisione a un momento successivo alla scadenza del termine fissato per gli adempimenti previsti, e in caso contrario, ovvero verificato l’inadempimento del contribuente, dar luogo a una sentenza che verta sul merito della quaestio iuris, così evitando un’illegittima estinzione del giudizio per cessata materia.

 

3.Nuova formulazione dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 e considerazioni di sintesi

 

Dalle considerazioni svolte, dall’analisi giurisprudenziale condotta e dalla normativa applicabile ratione temporis risulta evidente che il giudice di primo grado, al fine di verificare l’effettiva coesistenza dei presupposti previsti per la conciliazione, dovrebbe – come suggerito dalla Suprema Corte [27] – rinviare l’udienza di trattazione a un momento successivo alla scadenza del termine concesso per il versamento, così da verificare l’adempimento del contribuente e solo successivamente estinguere il giudizio per cessata materia del contendere.

In caso contrario, ovvero in assenza di rinvio della predetta udienza, allorquando si verifichi una conciliazione non perfezionata per assenza dei presupposti normativamente previsti, cui è seguita una frettolosa estinzione del giudizio per mera sottoscrizione del processo verbale di conciliazione, il giudice di secondo grado – innanzi al quale è stata impugnata la sentenza che errando ha dichiarato estinto il giudizio – non potendo rimettere la causa innanzi al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 546/1992, per i motivi esposti, dovrebbe essere chiamato a entrare nel merito della fattispecie controversa oggetto di conciliazione [28].

Pertanto, il punto nevralgico della questione in esame è costituito dalla circostanza relativa all’unico esame di merito del rapporto controverso affidato al giudice d’appello che si avrebbe in tali casi [29].

con i propri orientamenti [30]la Suprema Corte sembra dunque attribuire al solo giudice d’appello l’esame di merito del giudizio, non ammettendo alcuna rimessione degli atti al giudice di primo grado, così eliminando sostanzialmente un grado di giudizio  di merito sul rapporto controverso dinanzi al giudice di prime cure.

Tale eventualità si traduce concretamente in una vacatio processuale che lede sostanzialmente il diritto di difesa del contribuente, il quale è privato di un grado di giudizio di merito. Difatti, se da un latola Suprema Corteha precisato che la rimessione del processo al giudice di primo grado non è suscettibile di applicazione analogica, e dall’altro la stessa Cassazione, nelle fattispecie de quibus, ha operato un rinvio al giudice di seconde cure – escludendo in concreto l’esame di merito del giudice di primo grado – ciò finisce inevitabilmente con il negare al contribuente una fase importante del processo tributario: il giudizio di merito di primo grado.

Tuttavia rimane da chiedersi in che misura il giudice di secondo grado potrebbe essere chiamato a valutare concretamente la fondatezza e l’opportunità della sottoscritta conciliazione, al fine di superare l’invalidità e l’inefficacia dell’accordo conciliativo a seguito del mancato rispetto degli adempimenti previsti. Più specificamente, potrebbe il giudice di secondo grado valutare la fondatezza dell’accordo e superare l’inadempimento formale del contribuente, così da far rivivere il verbale sottoscritto e convenuto in sede conciliativa dando luogo all’iscrizione a ruolo del quantum conciliato? Tale soluzione consentirebbe al giudice di secondo grado di valutare concretamente la fondatezza, l’an e il quomodo dell’accordo conciliativo, superando la decadenza in cui è incorso il contribuente, non avendo esso adempiuto agli obblighi prescritti nell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, così da salvare l’accordo intercorso tra le parti avendo, sostanzialmente, entrambe rinunciato a una parte delle proprie pretese. La predetta soluzione, sebbene consenta di trovare una mediazione e risolvere concretamente le invalidità delle conciliazioni per omissione e inadempimento degli obblighi prescritti, attribuirebbe al giudice d’appello il potere di valutare quali accordi conciliativi salvare e quali invece ritenere invalidi e inefficaci. Tuttavia tale possibile interpretazione non risulta compatibile con la disposizione normativa, poiché è chiaro che l’inadempimento degli obblighi indicati dal citato art. 48 comporta l’invalidità dell’accordo conciliativo, e pertanto il giudice d’appello sarebbe, in tali casi, l’unico giudice chiamato a svolgere il primo e ultimo esame di merito della fattispecie controversa.

Ciò dedotto, al fine di tutelare la situazione giuridica del contribuente, fortemente leso nell’illustrata circostanza, in ossequio al principio del giusto processo e al diritto di difesa del contribuente, si potrebbe auspicare un nuovo orientamento delle Commissioni di merito di primo grado, nel senso di non dichiarare estinto il giudizio prima di verificare l’esistenza dei presupposti della conciliazione normativamente previsti, e dunque disporre sempre un rinvio dell’udienza di trattazione al fine di constatare il verificarsi delle condizioni per ottenere una valida ed efficace conciliazione.

Il quadro argomentativo innanzi illustrato, espressione di una prassi giurisprudenziale di legittimità e di merito consolidatasi nel tempo, avrebbe potuto trovare un revirement a seguito della nuova formulazione normativa dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, ex art. 23, comma 19, lett. b), del D.L. n. 98/2011.

Come accennato, con tale recente intervento il legislatore ha modificato e parzialmente abrogato parte del terzo comma dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992 escludendo la prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per gli importi superiori a quello di 50.000,00 euro, lasciando quali requisiti necessari per la validità della conciliazione solo il versamento dell’intero importo, ovvero il versamento della prima rata in caso di conciliazione rateale. Al comma 3-bis il legislatore ha previsto che in caso di mancato pagamento anche di una sola rata diversa dalla prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, l’Ufficio provvederà all’iscrizione a ruolo delle somme residue dovute oltre sanzioni.

Con tale inciso il legislatore ha distinto la fattispecie di mancato versamento della prima rata dal mancato versamento delle altre, così attribuendo alla prima ipotesi requisito di validità ed efficacia dell’istituto conciliativo, lasciando dunque impregiudicata l’invalidità e inefficacia della conciliazione rateale in caso di mancato pagamento della prima rata dovuta.

Pertanto, con tale disposizione, così come di recente formulata, applicabile dalla sua entrata in vigore, si lascia immutato lo status quo ante l’ultima modifica in ordine alle anomalie come quelle innanzi illustrate. Difatti, in assenza di versamento della prima rata e in mancanza del rinvio dell’udienza di trattazione, la conciliazione parimenti non può dirsi valida e la mera sottoscrizione del verbale di conciliazione non impedisce all’Ufficio di impugnare la sentenza di primo grado che illegittimamente abbia estinto il giudizio e abbia dichiarato cessata la materia del contendere, con il conseguente unico esame di merito in sede d’appello. Tale fattispecie ripropone nuovamente i dubbi e le criticità dell’unico esame di merito proposto dalla Suprema Corte che si avrebbe in tale caso, ovvero quello dinanzi al giudice di secondo grado, perpetrando così una vacatio processuale che lede il diritto di difesa del contribuente per l’assenza del primo grado di giudizio.

È evidente, pertanto, che il legislatore con l’ultimo intervento avrebbe potuto, se non altro, positivizzare in tutti i casi di proposta di conciliazione il rinvio dell’udienza di trattazione in primo grado, ovvero prevedere l’emissione da parte del giudice di prime cure di un decreto reclamabile in luogo della sentenza. Una tale soluzione avrebbe definitivamente risolto a priori le criticità dell’unico esame di merito nel giudizio d’appello prospettato dalla Suprema Corte.

 

Dott. Sossio Colella

Dottore di Ricerca

Seconda Università degli Studi di Napoli

 

 


[1] Cfr. m.s. giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, 428; e anche g. petrillo, Profili sistematici della conciliazione giudiziale tributaria, Milano, 2006.

[2] È stato difatti precisato che «ha perso certamente centralità la figura dogmatica del provvedimento amministrativo e sin dalla L. 241/1990, sono emersi momenti di conventio in unum delle volontà dell’Amministrazione e dei privati che in precedenza venivano spesso relegati nell’ambito dell’informalità, con negoziazioni ed accomodamenti»: cfr. m. stipo, Accertamento con adesione, in Rass. trib., 2000, 1747.

[3] Per una ricostruzione onnicomprensiva dell’istituto conciliativo si vedano, tra gli altri, g. petrillo, op. cit.; m. cantillo, Note minime in tema di conclusione e perfezionamento della conciliazione giudiziale, in Rass. trib., 2011, 67; l. tosi, La conciliazione giudiziale, aspetti procedimentali e operativi, in il fisco, 1996, 1123; v. azzoni, La conciliazione giudiziale. il provvedimento conclusivo, ivi, 1998, 3760; l. ferlazzo natoli, Considerazioni in tema di conciliazione giudiziale tributaria ed estinzione del giudizio, in Riv. dir. trib., 2000, 849; o. saccone, La conciliazione giudiziale: i nodi irrisolti e le difficoltà operative, in particolare in tema di perfezionamento della conciliazione, in Rass. trib., 1998, 1611 ss.; e m. redi, Conciliazione giudiziale: anabasi di un istituto, in Dir. prat. trib., 1995, I, 401.

[4] Come già autorevolmente affermato, «la conciliazione tributaria giudiziale costituisce una fattispecie a formazione progressiva caratterizzata dall’identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia e che solo nel momento in cui la conciliazione raggiunge la perfezione/efficacia si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e, pendente una controversia giudiziale, si produce la cessazione della materia del contendere» (cfr. Cass., sez. trib., 13 febbraio 2009, n. 3560, in Boll. Trib. On-line).

 

[5] Difatti, come già ampiamente chiarito in dottrina, «in caso di pagamento intervenuto oltre i venti giorni, così come in caso di omesso versamento dell’importo oggetto di conciliazione o della prima rata non si perfeziona la conciliazione, con conseguente ripristino dello status quo ante; se, invece, nell’ipotesi di pagamento rateale, il pagamento delle rate successive alla prima non viene effettuato l’Amministrazione potrà, senza caducare in alcun modo l’accordo conciliativo, escutere la garanzia per la totalità del debito residuo»: così g. petrillo, op. cit., 51 ss.

[6] Cass., sez. trib., 21 aprile 2011, n. 9219, in Boll. Trib. On-line; perché la Commissione di primo grado possa dichiarare estinto il processo è quindi necessario che vi sia concorrenza sia del pagamento della rata, sia della prestazione di garanzia. Questo in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione che, in un passo della motivazione, espressamente indica come «Quand’anche si volesse considerare prorogabile sull’accordo delle parti il termine per l’effettuazione di tali adempimenti (per una lettura elastica del procedimento conciliativo cfr. Cass. n. 9222 del 2007), la proroga accordata (sino al 17 ottobre) era già scaduta al momento del primo e unico versamento del 5 novembre e comunque mai è stata prestata l’indispensabile garanzia per le somme residue (anch’esse non pagate)… Si deve concludere che l’iter perfezionativo della conciliazione rateale non si fosse mai compiuto fino in fondo e di ciò la commissione provinciale si sarebbe dovuta avvedere prima di dichiarare estinto il processo ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. 546/1992».

[7] La dottrina ha avuto modo di precisare che «detto accordo non potrebbe costituire una transazione novativa: secondo il disposto dell’art. 1976 c.c. quest’ultima presuppone, infatti, che la situazione previgente venga integralmente sostituita da una situazione nuova che trova la sua fonte nell’accordo, rilevando alla stregua di un negozio giuridico principale»: in tal senso g. petrillo, op. cit., 52 ss. Si veda anche m. cantillo, op. cit., 67.

[8] «più recentemente la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha altresì precisato che la conciliazione tributaria giudiziale non ha natura negoziale, e in particolare non ha natura novativa, ma costituisce una fattispecie a formazione progressiva caratterizzata dall’identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia e che solo nel momento in cui la conciliazione raggiunge la perfezione/efficacia si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e, pendente una controversia giudiziale, si produce la cessazione della materia del contendere (v. cass. n. 3560/2009.)»: così Cass., sez. trib., 27 gennaio 2012, n. 1174, in Boll. Trib. On-line.

[9] In Boll. Trib. On-line.

[10] «In siffatta ipotesi di mancato perfezionamento della fattispecie estintiva, pertanto, la pronuncia di primo grado che – come nel caso concreto – abbia, nondimeno, dichiarato l’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere, è appellabile dall’Ufficio, il quale non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione che, per le ragioni suesposte, è da reputarsi del tutto inesistente. E il giudice di appello dovrà, giocoforza, procedere a un esame nel merito del rapporto controverso»: Cass. n. 24931/2011, cit.

[11] Ved. Cass. n. 24931/2011, cit.: «La conciliazione giudiziale rateale, prevista dall’art. 48 d.lgs. n. 546/1992, si perfeziona solo con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’importo della prima rata concordata, e con la prestazione della garanzia prevista sull’importo delle rate successive; in caso di mancato adempimento degli obblighi suindicati, non può, di conseguenza, verificarsi l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 546/1992, e la causa dovrà, pertanto, essere decisa nel merito».

 

[12] Cass., sez. trib., 27 maggio 2011, n. 11722, in Boll. Trib. On-line.

[13] Cass. n. 24931/2011, cit.

[14] Difatti, come precisato più volte dalla Suprema Corte e, in particolare, da Cass. n. 11722/2011, cit.: «il giudice di appello può rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354, comma 2, c.p.c., solo se la sentenza di primo grado sia stata pronunciata in sede di reclamo ex art. 308 c.p.c. avverso una ordinanza dichiarativa dell’estinzione pronunciata dal giudice istruttore; mentre, se la sentenza di primo grado sia stata pronunciata in sede di decisione della causa, il giudice d’appello non può rimettere la causa al primo giudice, ma deve conoscerne nel merito. Si veda, sul punto, Cass. 5976 del 1987».

[15] Cass. n. 24931/2011, cit.

[16] Cass. n. 11722/2011, cit.: «Dal principio che la rimessione del processo al primo giudice ha carattere eccezionale e non può essere disposta oltre i casi espressamente previsti né è estensibile a fattispecie simili od analoghe, discende che detta rimessione, nel caso previsto dal comma 2 dell’art. 354 c.p.c., deve intendersi strettamente limitata alla prevista ipotesi di riforma della sentenza con la quale il tribunale, in base all’art. 308, comma 2, dello stesso codice, abbia respinto il reclamo contro la ordinanza del giudice istruttore che ha dichiarato l’estinzione del processo, senza alcuna possibilità di estenderla ai casi in cui tale estinzione sia stata dichiarata direttamente dal tribunale con sentenza emessa nelle forme ordinarie, ai sensi dell’art. 307, ultimo comma, c.p.c.».

[17] Comm. trib. prov. di Napoli, sez. VII, 4 maggio 2012, n. 207, inedita: «Il Collegio osserva: a) che il Giudice di primo grado non poteva dichiarare il giudizio estinto, poiché in mancanza di qualsiasi versamento la conciliazione giudiziale – ai sensi dell’art. 48 Dlgs 546/92 – non si era perfezionata; b) che la sentenza impugnata va dunque annullata; c) che essendo il caso in esame fattispecie anomala, si applica ad esso – per analogia – l’art. 59, comma 1, lettera c), del Dlgs 546/92; d) che, per l’effetto, la causa va rimessa alla Commissione tributaria provinciale di Napoli per l’esame di merito».

[18] Cass. n. 11722/2011, cit.

[19] Cass. n. 3560/2009, cit.

[20] Difatti, come precisato più volte dalla Suprema Corte, «il giudice di appello può rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354, comma 2, c.p.c., solo se la sentenza di primo grado sia stata pronunciata in sede di reclamo ex art. 308 c.p.c. avverso una ordinanza dichiarativa dell’estinzione pronunciata dal giudice istruttore; mentre, se la sentenza di primo grado sia stata pronunciata in sede di decisione della causa, il giudice d’appello non può rimettere la causa al primo giudice, ma deve conoscerne nel merito. Si veda, sul punto, Cass. 5976 del 1987»: così Cass. n. 11722/2011, cit.

[21] Cass. n. 24931/2011, cit.

 

[22] «Soltanto in mancanza di tale rinvio e del versamento, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è appellabile dall’Ufficio, che non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione inesistente, né privato della sua legittima pretesa di far valere l’interesse ad una pronuncia del giudice di merito sul rapporto giuridico controverso»: così Cass. n. 3560/2009, cit.

[23] Cass., sez. trib., 27 gennaio 2012, n. 1171, in Boll. Trib. On-line.

[24] In Boll. Trib. On-line.

[25] In tal senso g. petrillo, op. cit., 54 ss. L’obiettivo, difatti, è quello di coordinare l’estinzione del processo con l’effettivo versamento da parte del contribuente delle somme dovute. E ancora, «appare coerente ritenere che la conciliazione sia regolata, sul piano processuale, come sub procedimento comprensivo non solo dell’accordo conciliativo, ma anche della verifica dell’intervenuto adempimento dello stesso; e che pertanto il collegio, redatto il processo verbale di conciliazione debba rinviare l’udienza di trattazione a data successiva alla scadenza dei venti giorni concessi per l’adempimento dall’art. 48, co. 3, del D.lgs 546/92. In tale nuova udienza, se riscontra l’avvenuto versamento delle somme dovute, la commissione dovrà prendere atto dell’estinzione dell’obbligazione tributaria e verificandosi così una delle ipotesi di cui all’art. 46 del D.lgs 546/92, dovrà con sentenza dichiarare estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere»: cfr. m. cantillo, op. cit., 67.

[26] Cfr. in tal senso Comm. trib. prov. di Napoli, sez. XXI, 3 ottobre 2011, n. 585, inedita, in cui i giudici hanno chiarito che «La Commissione prende atto che l’Ufficio ha depositato in data 22.06.2011 la proposta di conciliazione giudiziale con adesione, cui il rappresentante della parte aderisce; visto l’accordo intervenuto la Commissione dichiara estinto il giudizio», con ciò confermando l’orientamento di merito che tende a estinguere il giudizio prima del verificare l’esistenza dei presupposti, a seguito del mero accordo delle parti.

[27] Cfr. Cass. n. 11125/2012, cit.

[28] Difatti, in ossequio all’orientamento della Suprema Corte laddove v’è il mancato perfezionamento della fattispecie estintiva, la pronuncia di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del processo della materia del contendere è appellabile dall’Ufficio, il quale non può essere costretto all’esecuzione di una conciliazione che è da reputarsi del tutto inesistente, di talché «il giudice d’appello dovrà, giocoforza, procedere ad un esame nel merito del rapporto controverso»: Cass. n. 24931/2011, cit.

[29] Cfr. sempre Cass. n. 24931/2011, cit.

[30] Cass. n. 24931/2011, cit.; e Cass. n. 11722/2011, cit.

 

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