13 Marzo, 2019

1. Il dettato legislativo

Nel giudizio tributario codificato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la fase cautelare – inizialmente circoscritta al primo grado di giudizio, con esclusivo riferimento pertanto alla richiesta di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato (1) – è stata a lungo trattata dagli organi preposti alla sua gestione con una certa leggerezza, ancora più spesso con approssimazione.
Disinvoltura favorita da una serie di fattori, in primis il precetto normativo (2).
Si pensi alla locuzione “delibazione del merito” (sottinteso: “allo stato degli atti”), cui l’art. 47, quarto comma, del D.Lgs. n. 546/1992, fa obbligo al giudice tributario di limitarsi a – stringatamente – guardare, rimettendo a più tardi l’approfondimento e privilegiando, soprattutto psicologicamente, il peso del secondo elemento, quello della verifica circa l’esistenza o meno di un potenziale “danno grave e irreparabile” derivante dall’esecuzione immediata. Mentre invece i due requisiti (il fumus boni iuris e il periculum in mora) sono entrambi indispensabili e vantano di conseguenza identico peso nell’economia del discorso.
Complicazione nella complicazione, il tenore originario del D.Lgs. n. 546/1992 nulla prevedeva (neanche per il tramite di un qualsivoglia richiamo aliunde) in ordine alle modalità operative della garanzia, una volta che il giudice avesse deliberato di subordinarvi la concessione della misura. Lasciando la Commissione tributaria provinciale in balia della sua (per quanto oculatamente dispiegata) capacità di inventiva (3).
In proposito, l’unico paletto saliente posto dall’art. 47 era quello – in sé estremamente laconico – fissato al quinto comma, alla cui stregua la sospensione poteva «anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento». Dunque, per il giudice, margini di libertà amplissimi in fatto di contenuti e di proiezione temporale del provvedimento (costituito, sempre, da una «ordinanza motivata non impugnabile») (4). Il che, a ben vedere, aumentava la responsabilità dell’organo giudicante, dovendo egli avvertire la sensibilità di conciliare gli interessi in gioco, evitando cioè – nel mentre tutelava la sfera giuridica del contribuente – di trascurare la salvaguardia dell’ente impositore. Ben potendo rispondere – perché escluderlo? – di un incauto uso delle sue facoltà; specie nel malaugurato caso che medio tempore (leggi: nel pur breve arco temporale intercorrente fra la disamina interinale e il verdetto nel merito) (5) i beni del contribuente sottoponibili a garanzia fossero stati da quegli maliziosamente sottratti al recupero erariale. Quid iuris una volta che la pretesa dell’Amministrazione fosse stata riconosciuta come legittima e pur tuttavia il beneficio accordato non superasse il vaglio di sensatezza condotto, secondo prognosi ex antea, dal giudice della responsabilità? (6) Guai davvero grossi, in quel caso.
Con la (più diffusamente corposa) riforma introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (7), anche l’istituto della sospensiva giudiziale, pur rispondendo ai medesimi paradigmi fattuali di prima (il fumus e il periculum), ha conosciuto una opportuna sterzata verso canoni più precisi e vincolanti (benché pur sempre riconducibili all’ambito della – del resto imprescindibile – lata discrezionalità tecnica del giudice).
Ne fa fede l’odierna locuzione finale del quinto comma del citato art. 47, ove si legge che la sospensione giudiziale può essere – oltre che “parziale”, come già dianzi – «subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’articolo 69, comma 2». Piccola aggiunta, ma capace di stravolgere lo scenario.
Orbene, l’art. 69, intitolato “Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente”, al secondo comma a sua volta recita: «Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emesso ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall’articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi» (8).

2. I decreti attuativi

L’attesissimo completamento della riforma è venuto quindici mesi dopo, con l’adozione del decreto del Ministero dell’economia 6 febbraio 2017, n. 22 (“Regolamento di attuazione dell’articolo 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, sulla garanzia per l’esecuzione delle sentenze di condanna a favore del contribuente”), con effetti dal 28 marzo successivo.
Tramite suo sono stati definiti nell’ordine: il contenuto e i soggetti abilitati al rilascio della garanzia (art. 1), la durata di quest’ultima (art. 2) e la sua escussione (art. 3). Sottraendo così i relativi passaggi a quella che abbiamo chiamato la vena inventiva del giudice, impossibilitato dunque oggi ad allargare o modificare il ventaglio delle condizioni edittali. Ma soprattutto – come subito si dirà – costretto a barcamenarsi in una trama normativa tracciata per fini promiscui e per ciò stesso non perfettamente lineare.
Prima di tutto, in base all’art. 1, primo comma, la cauzione non può che essere «costituita sotto forma di [α] cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore nominale, ovvero di [β] fideiussione rilasciata da una banca o da una impresa commerciale che, a giudizio dell’ente a favore del quale deve essere prestata, offra adeguate garanzie di solvibilità ovvero di [γ] polizza fideiussoria rilasciata da un’impresa di assicurazione» (9).
Da valutare il lemma «a giudizio dell’ente a favore del quale deve essere prestata».
Esso, a parere di chi scrive, nel nostro peculiare caso – il caso, si ripete, di una garanzia patrimoniale rilasciata a fronte della sospensiva ottenuta manu iudicis – deve, secondo elementare logica, commutarsi nel seguente: “a giudizio del giudice”, ossia al di lui assennato discernimento (assennato vuol dire: non improvvisato e meglio, molto meglio, se dettagliatamente motivato). Equivoco che sconta il fio della sopra deprecata miscellanea legislativa fra plurime tipologie di situazioni.
È infatti lui, il giudice, ad ergersi, nella descritta ottica di bilanciamento delle prospettive, a garante insieme della fattibilità e della neutralità (leggi: della non trasmodante onerosità) della prestazione; senza che si possa a priori escludere una certa qual negoziabilità del profilo, atteso che l’apposizione di una garanzia è, in capo ad esso giudice, totalmente discrezionale nell’an («la sospensione può essere subordinata») e per di più, a stretto rigore, non nasce necessariamente da una richiesta ad hoc. L’essenziale è che essa incameri «l’obbligazione di versamento integrale della somma dovuta, comprensiva di interessi» (art. 1, quarto comma, del decreto) (10).
Però, dato che il “Belpaese” delle formalità burocratiche non disdegna nessuna opportunità per farsi riconoscere, ecco che scopriamo (sempre al quarto comma dell’art. 1 del decreto) che la garanzia va «redatta in conformità ai modelli approvati con decreto del direttore generale delle finanze». Per cui – nominalmente – altra attesa. Solo nominalmente però, perché il diaframma burocratico è apparso subito agevolmente “bypassabile” anche stavolta dal giudice motu proprio.
Più seriamente, c’è da chiedersi se è trasmigrabile in parte qua il disposto dell’art. 69 laddove (terzo comma) prevede che «i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio». In altre parole: sono o no rimborsabili i costi sostenuti dal contribuente per la malleveria richiestagli a copertura della sospensiva? Più probabile la risposta negativa, posto che ubi lex voluit dixit; e qui, apertis verbis, la legge non ha detto.
In ogni caso ecco, una volta di più, manifestarsi, vistosamente enfiato, il nervo scoperto della nuova normativa. Ecce rursum causa malis: avere essa assemblato vicende processuali profondamente diverse, da un lato – fenomeno oggetto di principale premura agli occhi del legislatore – la garanzia a carico del contribuente in relazione al (graduale, scalettato) versamento a suo favore, da parte della mano pubblica, degli importi via via risultanti dalle pronunce della giustizia tributaria; e, dall’altro, la garanzia che – ancora ben lungi da una qualsiasi decisione nel merito – è lui contribuente a dover prestare in cambio della sospensione concessagli.
Ribadito ciò, e passando all’analisi dell’ampiezza temporale della garanzia (alla quale, non si dimentichi, è intuitivamente collegato l’importo del premio assicurativo da versare per ottenerla) (11), occorre porre in risalto l’art. 2 del decreto. Che fra l’altro stabilisce: «La garanzia a cui sia subordinata la sospensione dell’atto impugnato ovvero della sentenza ai sensi degli artt. 47, comma 5, 52, comma 6, 62-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, nonché la garanzia di cui all’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (12), è prestata fino al termine del nono mese successivo a quello del deposito del provvedimento che conclude la fase di giudizio nella quale la sospensione è disposta. La garanzia cessa automaticamente dalla data di deposito della sentenza favorevole al contribuente» (secondo comma).
Dunque la durata della fideiussione o della polizza che il privato andrà a stipulare con la banca o con la compagnia di assicurazione ammonta – senza scampo né deroghe – a nove mesi, decorrenti dal primo giorno del mese successivo alla pubblicazione integrale, sotto forma di deposito, del «provvedimento che conclude la fase [non il grado] di giudizio» (e dunque un’ordinanza, nel caso dell’art. 47; oppure una sentenza, negli altri due casi) (13).
La stentorea fissità del termine ha dei pro e dei contra. Fra i pro, la certezza del termine massimo, al di là del quale sembra doversi arguire che l’obbligo di garanzia viene meno ma la sospensione resta; fra i contra, una certa qual forzatura dei tempi di decisione nel merito: tempi che, per quanto cospicui, potrebbero non essere indicati in certi particolarissimi casi (si pensi a laboriose trattative conciliative o al terzo grado di giudizio, aperto dal ricorso per cassazione e non sempre speditissimo).
Alcune parole, in ultimo, intorno alla fase di escussione della garanzia, cui è deputato l’art. 3 del decreto. Il quale, con stretto riferimento alle fattispecie sotto esame, statuisce al secondo comma: «Nei casi previsti dall’art. 2, comma 2 [i nostri appunto], il termine di tre mesi per il pagamento da parte del contribuente delle somme garantite decorre dal deposito del provvedimento che conclude la fase di giudizio nella quale la sospensione è disposta». Aggiungendo poi al quarto comma: «Ai fini dell’escussione della garanzia, l’ente a favore del quale è prestata comunica al garante l’ammontare delle somme dovute mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altro mezzo idoneo, entro la fine del sesto mese successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 69, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 per l’adempimento del contribuente. Ferma restando l’efficacia della garanzia, il pagamento delle somme dovute deve essere effettuato dal garante entro trenta giorni dal ricevimento della suddetta comunicazione».
Ictu oculi, non sembra che il disposto appena ripreso comporti soverchie difficoltà.
È piuttosto da verificare la portata (soprattutto nell’esplicazione fattuale) del successivo quinto comma, inteso a rafforzare la posizione pubblica a detrimento degli interessi, pur ragionevolmente rivendicabili, dei terzi coinvolti (gli istituti bancari e assicurativi). Prescrive infatti la norma che «L’eventuale mancato pagamento dei premi o delle commissioni della garanzia da parte del contribuente non può in nessun caso essere opposto all’ente a favore del quale è prestata la garanzia ed è escluso sia il beneficio della preventiva richiesta di pagamento al debitore principale, sia quello della preventiva escussione dello stesso». Ciò che suona a suggerimento, agli enti garanti, di farsi a loro volta garantire se vogliono dormire sonni tranquilli.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Il diritto positivo ha conosciuto la (contemporanea) estensione della facoltà di sospensione giudiziale alla sentenza di primo grado (compito affidato alla Commissione tributaria regionale) e a quella impugnata avanti alla Suprema Corte (compito della Commissione tributaria emanante) in epoca assai più tarda, su forti pressioni di dottrina e giurisprudenza. L’accoglienza – di taglio pretorio prima, formale poi – è avvenuta solo nell’ultimo decennio, sotto il tiro incrociato del diritto vivente che aveva messo all’angolo il legislatore, a partire dalla (già conclusiva) sentenza resa da Corte Cost. 17 giugno 2010, n. 217 (in Boll. Trib., 2010, 1150). Per la bibliografia di interesse, rimando il Lettore a due scritti: il nostro contributo dal titolo Appunti sulla novellata sospensione cautelare della sentenza tributaria impugnata per cassazione o dell’atto fiscale oggetto della relativa controversia, a commento dell’ordinanza di Comm. trib. reg. della Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. XXIII, 29 febbraio 2016, n. 217, in Boll. Trib., 2016, 627, e la nota redazionale a una successiva ordinanza della medesima Commissione (sez. XXII, 19 aprile 2016, n. 377), in Boll. Trib., 2016, 955. La doppia (e così completa) estensione (cui è da aggiungere il caso della revocazione: ved. art. 65, comma 3-bis) è avvenuta in forza, rispettivamente, degli artt. 52 (Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello), sesto comma, e 62-bis (Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per cassazione), quinto comma, che presentano il medesimo tenore, cioè: «La sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all’art. 69, comma 2. Si applica la disposizione dell’art. 47, comma 8-bis». Con una doverosa precisazione: che, nella seconda delle due ultime fattispecie processuali (quella governata dall’art. 62-bis, quinto comma), il Collegio preposto alla disamina della richiesta – una volta verificata l’effettiva pendenza del gravame per cassazione, la cui prova incombe al ricorrente – valuta unicamente l’entità del danno e sulla sua scorta accorda o meno la sospensione, non curandosi – a differenza di quanto càpita nella prima fattispecie, governata dall’art. 52, sesto comma – del fumus boni iuris (art. 62-bis, sesto comma). Ciò in apprezzabile conformità con il rito civile (art. 373 c.p.c.). Acuta la seguente riflessione di D. CANÈ, Riflessioni sulla riforma della tutela cautelare nel processo tributario, in Boll. Trib., 2016, 341: «Come nel processo civile, i presupposti che legittimano l’inibitoria della sentenza sono stati graduati in ragione dello stato del giudizio e della maggiore o minore vicinanza dell’atto alla inoppugnabilità: tanto più esso si avvicina a tale condizione tanto più rigorosi sono i requisiti in questione».
(2) Ombre che continuano ad aleggiare sulla materia, in particolare intorno all’oggetto della sospensione e al binomio sospensione del provvedimento-sospensione della sentenza (per la loro coesistenza si veda il secondo comma dell’art. 52). Si legge nella circ. 29 dicembre 2015, n. 38/E (in Boll. Trib., 2016, 58): «Al contribuente è quindi consentito ottenere la sospensione degli effetti dell’atto impugnato anche quando questo sia confermato da una sentenza di merito». Una doverosa attenzione spetta, al riguardo, all’annotazione («Molto s’è scritto, poi, su cosa abbia ad essere l’oggetto della sospensione, se l’atto o la sentenza. Sul punto, la riforma fornisce indicazioni non univoche») che dobbiamo a D. CANÈ, op. cit., 339, testo che scioglie brillantemente il “ginepraio”. Per cui ad esso farà felice riferimento il Lettore.
(3) Stando alla personale esperienza di giudice tributario fatta da chi scrive, la dialettica che si instaura fra i litiganti obbedisce abitualmente a questo schema: il contribuente insta per la concessione tout court della sospensiva, raramente adducendo né tanto meno allegando documentazione irreprensibile; la mano pubblica confuta (per lo più con formule stereotipe) la titolarità del diritto sia sul fumus boni iuris sia sul periculum in mora, argomentando di disporre di armi spuntate per colpa di una legislazione eccessivamente restrittiva; a tutto concedere, invoca l’applicazione della garanzia, senza specificare null’altro. Con buona pace del giudice, che resta(va) con il classico cerino in mano (e non senza qualche scrupolo di coscienza). Qui di seguito un esempio dell’estro creativo del giudice (!) nella formula escogitata all’epoca per tali occasioni: «accoglie la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento impugnato subordinatamente alla prestazione, a favore di…., di una fidejussione rilasciata da primario istituto di credito bancario per l’intero importo dedotto a lite, cioè euro …, della durata di mesi cinque dalla comunicazione del presente provvedimento, sì da coprire un periodo ragionevolmente comprensivo del deposito della decisione di merito».
(4) Ora come allora, l’ordinanza collegiale può essere preceduta, su specifica richiesta e “in caso di eccezionale urgenza”, dal decreto presidenziale a valere “fino alla pronuncia del Collegio”, i cui effetti – ex art. 47, terzo comma – sono di poi assorbiti dalla sentenza che chiude il grado. Dato il tenore letterale della norma, l’efficacia del decreto presidenziale non sembra possa essere subordinata alla prestazione di garanzia.
(5) Si ricordi che la legge scolpisce una procedura accelerata: fissazione dell’udienza collegiale di trattazione dell’istanza di sospensione nella prima camera di consiglio utile (art. 47, secondo comma); decisione sull’istanza entro centoottanta giorni dalla sua presentazione (art. 47, comma 5-bis); scrutinio del merito, in caso di sospensiva accolta, non oltre novanta giorni dalla pronuncia (art. 47, sesto comma). Tutti termini d’indole ordinatoria, ma che nondimeno espongono a responsabilità, quanto meno disciplinare, il giudice (in ispecie il Presidente del Collegio, in considerazione dei suoi poteri-doveri organizzatori).
(6) Sensibilità, quella del giudice, acuita oggi dal dovere, statuito dall’art. 15, comma 2-quater, di liquidare immediatamente le spese della fase (salva l’opzione, da leggersi fra le righe, di rimetterne la quantificazione al verdetto di merito) e di dare lettura del dispositivo già in udienza (art. 47, quarto comma, secondo periodo).
(7) A regime, in parte qua, dal 1° gennaio 2016.
(8) Il riferimento all’«art. 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633» è la più tangibile dimostrazione della farraginosa commistione dei due diversi settori coinvolti (e confusi sul piano ontologico con incontenibili risvolti pratici) dall’art. 69.
(9) Più articolato il regime per ciò che attiene le piccole e medie imprese e per i gruppi di società con patrimonio risultante dal bilancio consolidato superiore a 250 milioni di euro. Per le piccole e medie imprese – tali quelle «definite secondo i criteri stabiliti dal decreto del 18 aprile 2005 del Ministro delle attività produttive in G.U. n. 238/2005» – «dette garanzie possono essere prestate anche dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi di cui all’art. 29 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, iscritti nell’albo previsto dall’art. 106 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385» (secondo comma dell’art. 1 del decreto). Per i gruppi di società con patrimonio risultante dal bilancio consolidato superiore a 250 milioni di euro, invece, «la garanzia può essere prestata mediante diretta assunzione dell’obbligazione da parte della società capogruppo o controllante di cui all’art. 2359 c.c. La prestazione di garanzia resta ferma anche in caso di cessione della partecipazione nella società controllata o collegata. In ogni caso la società capogruppo o controllante deve comunicare in anticipo all’ente a favore del quale è prestata la garanzia l’intendimento di cedere la partecipazione nella società controllata o collegata» (terzo comma dell’art. 1 del decreto).
(10) Con la seguente aggiunta: «Qualora i tributi oggetto di contenzioso afferiscano a risorse proprie tradizionali, come individuate dall’art. 2, paragrafo 1, lettera a, della Decisione n. 2014/335/UE, Euratom del Consiglio del 26 maggio 2014 [in G.U. dell’Unione europea 7 giugno 2014, n. L 168], il tasso di interesse è determinato ai sensi dell’art. 112, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 952/2013».
(11) Importo sovente elevato a tal punto da scoraggiare il privato dall’invocare la sospensione o dall’insistervi.
(12) Art. 19 (Esecuzione delle sanzioni), terzo comma, del D.Lgs. n. 472/1997 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662): «La sospensione deve essere concessa se viene prestata la garanzia di cui all’art. 69 del D.Lgs. n. 546/1992». Va qui riprodotto, per connessione di materia, l’art. 22 (Ipoteca e sequestro conservativo) dello stesso D.Lgs. n. 472/1997: «1. In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda. A tal fine l’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui agli artt. 32, primo comma, numero 7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 51, secondo comma, numero 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. 2. Le istanze di cui al comma 1 devono essere notificate, anche tramite il servizio postale, alle parti interessate, le quali possono, entro venti giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi. 3. Il presidente, decorso il termine di cui al comma 2, fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all’estero, il termine è triplicato. La commissione decide con sentenza. 4. Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. 5. Omissis. 6. Le parti interessate possono prestare, in corso di giudizio, la garanzia di cui all’articolo 69, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. In tal caso l’organo dinanzi al quale è in corso il procedimento può non adottare ovvero adottare solo parzialmente il provvedimento richiesto. 7. I provvedimenti cautelari pronunciati ai sensi del comma 1 perdono efficacia: a) se non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione; b) se, nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto impositivo, di contestazione o di irrogazione; in tal caso, il presidente della commissione su istanza di parte e sentito l’ufficio o l’ente richiedente, dispone la cancellazione dell’ipoteca; c) a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso gli atti di cui alla lettera b). La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice che ha pronunciato la sentenza riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro; se la sentenza è pronunciata dalla Corte di cassazione, provvede il giudice la cui sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione.». Così poi l’art. 2, quarto comma, del decreto ministeriale n. 22/2017: «La garanzia prevista dall’art. 22, comma 6 [appena ripreso per intero] è prestata fino al termine del nono mese successivo a quello della definitività dell’atto impositivo, dell’atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione di sanzioni. La garanzia cessa automaticamente nelle ipotesi di cui alle lettere b e c del comma 7 dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997». E ancora, circa il relativo iter di escussione, l’art. 3, terzo comma, del medesimo decreto: «Nel caso previsto dall’art. 2, comma 4, il termine di tre mesi per il pagamento da parte del contribuente delle somme garantite decorre dalla definitività dell’atto impositivo, dell’atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione delle sanzioni».
(13) Il dies a quo è quello del deposito anche in caso di ordinanza, benché il dispositivo di quest’ultima – come s’è detto (ved. supra, nota 6) – venga letto in udienza.

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