7 Settembre, 2018

1. Premessa

Con la sentenza in commento, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ravvisandone l’“inammissibilità”, da un lato, per violazione dell’art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a causa dell’omessa indicazione dell’oggetto della domanda; dall’altro, per inesistenza della relativa notificazione, determinata dalla mancata produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata con cui il ricorso in appello era stato notificato alla controparte.
In ordine all’asserita violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992 non c’è molto da osservare, se non che, sotto il profilo logico-giuridico, l’esame della questione relativa alla completezza o meno della domanda, ancorché preliminare rispetto al merito della controversia, avrebbe dovuto seguire e non precedere l’esame della questione pregiudiziale relativa alla validità della notificazione del ricorso in appello, trattandosi di una verifica che, com’è noto, attiene alla regolare costituzione del contraddittorio.
Interessanti spunti di riflessione, invece, si possono trarre dalla pronuncia in esame in tema di “prova” della validità della notifica per posta nel processo tributario, ragione per la quale, dopo una sintetica esposizione della vicenda processuale, analizzeremo nel dettaglio le motivazioni che hanno indotto il Collegio laziale a “respingere” l’appello dell’Ufficio finanziario, mettendole a confronto con i più recenti e autorevoli approdi interpretativi in subiecta materia.

2. Il caso di specie

La controversia traeva origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento mediante il quale, per l’anno d’imposta 2007, era stato rideterminato il reddito di partecipazione di una società a responsabilità limitata in un’altra società nei confronti della quale, per lo stesso anno, erano stati accertati maggiori redditi d’impresa e di capitale.
Il ricorso, proposto dalla società partecipante e dai relativi soci, veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Roma che giudicava «fondata l’eccezione preliminare mossa dai ricorrenti in ordine alla asserita illegittimità dell’atto impugnato, in ragione della presunta irregolarità dell’atto istruttorio presupposto (P.V.C.), per essere stato redatto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, organo ritenuto incompetente».
Avverso tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle entrate, atto del quale gli appellati eccepivano l’inammissibilità «in quanto non notificato e comunque manchevole degli elementi essenziali».
La Commissione tributaria regionale del Lazio, come anticipato in premessa, ha giudicato fondate le preliminari eccezioni della parte privata e ha respinto il gravame dell’Ufficio.
Invertendo l’ordine logico delle suddette eccezioni, il Collegio romano ha esaminato per prima quella relativa alla presunta violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, evidenziando che il primo comma di tale articolo «stabilisce i contenuti minimi del ricorso in appello, la cui mancanza, o anche soltanto l’incertezza riguardo ad uno di essi è motivo di inammissibilità».
Tra gli elementi assunti come indispensabili dalla richiamata disposizione, hanno osservato i giudici, è menzionato «l’oggetto della domanda» e, «analizzando l’atto depositato dall’Ufficio, … lo stesso appare incompleto e, in particolare, manca della domanda, ovvero di una conclusione in cui sia contenuta la richiesta rivolta alla Commissione adita».
Sotto altro profilo, ha osservato la Commissione tributaria regionale, «l’atto di appello non risulta regolarmente notificato alla controparte».
Seppure la parte appellata si fosse tardivamente costituita, affermando di «avere avuto conoscenza dell’appello soltanto dopo aver richiesto alla segreteria della Commissione provinciale una copia della sentenza di primo grado con attestazione del passaggio in giudicato», il Collegio ha rilevato che «dalla documentazione versata in atti, risulta soltanto l’elenco delle raccomandate consegnate all’ufficio postale in un dato giorno, ma non è presente l’avviso di ricevimento del plico, né tantomeno la ricevuta di spedizione della raccomandata stessa».
Invero, hanno osservato i giudici laziali, «la notifica eseguita per via postale, con raccomandata A/R, è provata soltanto con la produzione dell’avviso di ricevimento, unico documento idoneo ad attestare il compimento delle formalità di notificazione oltre che attestante le date in cui dette formalità sono state compiute. In mancanza di tale documento, la notifica deve ritenersi inesistente», né può sortire alcun “effetto sanante” la costituzione in giudizio degli appellati, stante la radicalità di quel vizio (inesistenza), insanabile per definizione.
Per altro verso, ove si ritenga che la costituzione in giudizio della parte appellata, destinataria della notifica inesistente, possa in qualche modo sanare il suddetto vizio per “raggiungimento dello scopo”, si tratterebbe di una sanatoria con effetti “ex nunc”, che non eviterebbe la decadenza dai termini di impugnazione nella quale era già irrimediabilmente incorsa l’appellante al momento in cui è sopraggiunta la suddetta costituzione in giudizio.
Dopo avere richiamato, a conforto di tali asserzioni, i principi stabiliti nella sentenza n. 19854 resa dalla Corte di Cassazione il 5 ottobre 2004 (1), la Commissione tributaria regionale ha concluso che «l’appello proposto dall’Ufficio deve essere respinto, in quanto inammissibile per le considerazioni su riportate».

3. La notifica per posta degli atti del processo tributario

La decisione del Collegio romano di respingere l’appello dell’Ufficio “in quanto inammissibile” appare condivisibile nella sua sostanza, ma è motivata da alcune asserzioni solo in parte conformi al diritto vivente in tema di notifica per posta nel processo tributario.
Come abbiamo premesso in limine, l’analisi delle suddette motivazioni e, soprattutto, il loro raffronto con i più recenti contributi della giurisprudenza di legittimità, costituiscono una buona occasione per dare conto delle questioni ormai definitivamente risolte in subiecta materia e di quelle, invece, ancora irrisolte e dibattute.
Cominciamo con l’osservare che a norma dell’art. 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, «Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all’art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3».
Dispone l’art. 20, ai commi primo e secondo, che «Il ricorso è proposto mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 del precedente art. 16. La spedizione del ricorso a mezzo posta dev’essere fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. In tal caso il ricorso s’intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate».
Il terzo comma del richiamato art. 16, come sappiamo, consente alle parti di eseguire le notificazioni «anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento», precisando, al successivo quinto comma, che «Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto».
Completiamo questa breve rassegna normativa ricordando che, a mente dell’art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992, il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità, deve depositare nella Segreteria della Commissione tributaria adita la copia del ricorso spedito per posta e la fotocopia della ricevuta della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.
Trattasi di inammissibilità, vale sottolinearlo, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, anche se la parte destinataria della notifica si costituisce in giudizio.
Da una rapida lettura delle richiamate disposizioni, sembra che il legislatore del 1992 abbia in qualche modo giocato d’anticipo rispetto alla Corte Costituzionale che, com’è noto, soltanto nel 2002, con la sentenza n. 477 (2), ha introdotto nel nostro sistema «il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione a seconda che l’effetto rilevi per il notificante o per il destinatario», dichiarando «l’incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma 3, legge n. 890/1982, nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario» (3).
Sottolineiamo, in tal senso, che il ricorso tributario notificato per posta «si intende proposto al momento della spedizione» (art. 20), disposizione del tutto coerente con quella di carattere generale in materia di notifica secondo la quale, nel processo tributario, «qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione», con la precisazione che «i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto» (art. 16).
Fatta tale premessa di ordine sistematico, torniamo alla vicenda esaminata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, nella quale l’Agenzia delle entrate aveva notificato l’appello mediante il servizio postale e si era costituita in giudizio depositando «l’elenco delle raccomandate consegnate all’ufficio postale in un dato giorno» e non l’avviso di spedizione della (singola) raccomandata contenente il ricorso in appello, né l’avviso di ricevimento della stessa.
I giudici di seconde cure, come abbiamo visto, hanno affermato che «la notifica eseguita per via postale, con raccomandata A/R, è provata soltanto con la produzione dell’avviso di ricevimento, unico documento idoneo ad attestare il compimento delle formalità di notificazione oltre che attestante le date in cui dette formalità sono state compiute. In mancanza di tale documento, la notifica deve ritenersi inesistente».
Ebbene, tale statuizione è corretta soltanto nella parte conclusiva poiché, diversamente da quanto hanno ritenuto quei giudici, l’elenco prodotto dall’Ufficio finanziario «delle raccomandate consegnate all’ufficio postale in un dato giorno», ove contenente il codice a barre identificativo delle singole raccomandate e il timbro postale, è certamente idoneo ad attestare la valida esecuzione della notifica per posta di un atto, che in tal caso «risulta proprio dalla formalità, direttamente compiuta dall’addetto all’Ufficio Postale cui viene consegnato il plico, che ne registra l’accettazione» (4).
In realtà, per essere precisi, il suddetto elenco non prova che la notifica per posta sia stata validamente eseguita, bensì che la suddetta notifica è stata validamente richiesta all’agente postale, adempimento idoneo a produrre soltanto «gli effetti interruttivi ad esso connessi per il notificante» e a dimostrare la tempestività della notifica rispetto ad un certo termine di decadenza, che può essere quello per la proposizione del ricorso, dell’appello, o di qualunque altro atto processuale o istanza, ovvero per il deposito in Segreteria degli stessi atti.
A tale riguardo è stato ripetutamente affermato che «in tema di notificazione a mezzo posta, nella specie relativa ad appello dell’Agenzia delle entrate avverso sentenza della Commissione tributaria provinciale, la prova della tempestività esige che, nel termine di cui all’art. 327 c.p.c., vi sia stata la presentazione dell’atto all’ufficio postale (Cass. 18551/2010); a tal fine è da ritenersi idonea a fornire siffatta prova la data di consegna dell’elenco dei pieghi raccomandati all’Agenzia Postale, ove detta data sia attestata da timbro di Poste Italiane, e quindi risulti da attestazione di soggetto terzo» (5).
Naturalmente, se il tempestivo avvio del procedimento notificatorio è idoneo per il notificante ad evitare una decadenza, occorre che lo stesso procedimento poi si perfezioni affinché la notifica produca definitivamente gli effetti che le riconnette la legge.
Ebbene, il solo documento idoneo a provare in giudizio il perfezionamento della notifica per posta è l’avviso di ricevimento della raccomandata spedita al soggetto notificatario.
Sul punto, pure, ci sembra opportuno richiamare il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui «la notifica a mezzo del servizio postale – anche se con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario si hanno per verificati, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, gli effetti interruttivi ad essa connessi per il notificante – non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ. e dalle disposizioni della legge 20 novembre 1982, n. 890 è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita. Ne consegue che, anche nel processo tributario, qualora tale mezzo sia stato adottato per la notifica del ricorso in appello, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta, non la mera nullità, ma l’inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.) e l’inammissibilità del ricorso medesimo, in quanto non può accertarsi l’effettiva e valida costituzione del contraddittorio, anche se risulta provata la tempestività della proposizione dell’impugnazione» (6).
Tornando al caso che ci occupa, dunque, possiamo ritenere conforme alla richiamata giurisprudenza di legittimità l’affermazione del Collegio laziale secondo cui, nel caso di notifica per posta dell’appello, ove non sia stato depositato in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata «la notifica deve ritenersi inesistente».
Qualche precisazione, invece, va fatta relativamente alle ulteriori considerazioni della Commissione tributaria regionale del Lazio che, facendo esplicito e ripetuto riferimento ai principi stabiliti nella citata sentenza n. 19854/2004 e all’efficacia sanante “soltanto ex nunc” che si può attribuire alla costituzione in giudizio del destinatario della notifica per posta, sembra che abbia dichiarato inammissibile l’appello perché sarebbe mancata la prova della sua tempestività.
Invero, la tempestività dell’appello ben poteva (e doveva) essere accertata verificando la data apposta dall’agente postale sull’elenco delle raccomandate prodotto in giudizio dall’Ufficio fiscale, salvo poi precisare che, non avendo l’appellante depositato l’avviso di ricevimento della raccomandata spedita alla controparte, mancava la prova che la notifica dell’appello si fosse effettivamente perfezionata e, di conseguenza, che il contraddittorio tra le parti si fosse validamente costituito.
È stato infatti ripetutamente affermato, in tal senso, che nel processo tributario «la notifica diretta del ricorso a mezzo posta si considera fatta nella data di spedizione anche per l’appellante, ai sensi del combinato disposto dell’art. 16, comma 5, art. 20, comma 2 e art. 53, comma 2, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fermo restando che l’avviso di ricevimento, pur non previsto dal citato art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 546, che fa riferimento soltanto al deposito dell’avviso della ricevuta di spedizione, costituisce prova indispensabile per dimostrare il suo perfezionamento» (7).

4. Le questioni ancora controverse

Come abbiamo anticipato in premessa, la presente nota offre anche l’occasione per segnalare che, in tema di notifica per posta del ricorso/appello nel processo tributario, si registrano ancora difformità di soluzioni rispetto ad alcune questioni giuridiche di grande rilievo, come ha evidenziato di recente la stessa Corte di Cassazione.
Ci riferiamo, in particolare, all’ordinanza n. 18000/2016 (8), con cui la Sezione Tributaria ha rimesso gli atti al primo presidente «per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite» di due «questioni di particolare importanza» in subiecta materia, rispetto alle quali, effettivamente, è auspicabile l’adozione di un orientamento univoco.
La prima questione riguarda l’interpretazione degli artt. 22, primo e secondo comma, e 53, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, il cui combinato disposto – applicabile ad entrambi i gradi del giudizio tributario di merito – prevede che «“il ricorrente” deve, “entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso” (termine, questo, della cui dubbia ricostruzione si dirà più avanti), depositare nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmettere ad essa a mezzo di plico raccomandato, “copia del ricorso … spedito per posta, con fotocopia della ricevuta … della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”; tale deposito è previsto “a pena d’inammissibilità”, essendo espressamente dettato che detta inammissibilità vada rilevata “d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce”» (9).
Imporre al ricorrente/appellante il deposito della fotocopia della ricevuta attestante la data della spedizione per raccomandata del ricorso introduttivo o dell’atto di impugnazione assolve a una duplice funzione: da un lato, consente la verifica dell’osservanza – nel giudizio di primo grado – del termine di decadenza dalla proposizione del ricorso introduttivo, ai fini dell’eventuale consolidamento del rapporto tributario sulla base del provvedimento oggetto di doglianza, ovvero – nel giudizio di appello – del termine di decadenza dall’impugnazione, ai fini del passaggio in giudicato della sentenza gravata; dall’altro lato, almeno secondo uno degli indirizzi interpretativi in essere, consente la verifica della tempestiva costituzione in giudizio del ricorrente/impugnante, in quanto, con specifico riguardo ai gradi di merito, la decorrenza del termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente sarebbe normativamente ancorata alla spedizione, e non alla ricezione del ricorso da parte del resistente, come si evincerebbe dal fatto che l’art. 22, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, prevede modalità di deposito che presupporrebbero solo la spedizione del ricorso, e non la sua ricezione, sottraendo in tal modo detto adempimento alla regola di cui all’art. 16, quinto comma, del medesimo decreto, a tenore del quale «i termini che hanno inizio dalla notificazione o comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto».
Su tale ultimo punto, tuttavia, si è formato anche un altro ed opposto orientamento, «ispirato dal progressivo affermarsi nell’ordinamento del principio di scissione degli effetti delle notificazioni, in una logica unitaria tra notificazioni a mezzo di p.u. notificatore e del servizio postale, oltre all’invio postale diretto del settore tributario, che valorizza l’art. 16, comma 5 per affermare, in sostanza, che lo stesso non conosce deroghe: del resto, l’art. 20, comma 2 (“il ricorso s’intende proposto al momento della spedizione”) riprodurrebbe l’esordio dell’art. 16, comma 5 cit. (“qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data di spedizione”), ma sarebbe significativo che quest’ultima norma prosegua stabilendo che “i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”; ne discenderebbe che, siccome il termine di trenta giorni fissato dall’art. 22 per la costituzione in giudizio del ricorrente ha inizio dalla “proposizione” – vale a dire dalla notificazione – del ricorso, esso non potrebbe – secondo tale filone giurisprudenziale – che decorrere dalla data di recapito postale dell’atto al destinatario».
Di qui l’opportunità di un intervento «chiarificatore delle Sezioni Unite» che, anche nell’ipotesi in cui privilegiassero il secondo degli orientamenti innanzi riepilogati, sono chiamate comunque a risolvere la questione connessa alla «verifica della tempestività del ricorso di primo grado rispetto al termine dell’art. 21 D.Lgs. cit. previsto per il consolidamento dell’atto impositivo e del ricorso in appello rispetto al termine dell’art. 51 del D.Lgs. cit. ai fini del passaggio in giudicato della sentenza gravata».
Infatti, ha proseguito la Corte di Cassazione, anche sul tema della «sanabilità del vizio di inammissibilità per mancato deposito – nei trenta giorni dalla spedizione (o ricezione, a seconda della soluzione della predetta prima questione) del ricorso in raccomandazione postale – della fotocopia della ricevuta di spedizione, si riscontra un contrasto giurisprudenziale» (10).
Secondo un primo indirizzo, la rituale costituzione in giudizio del ricorrente richiede il deposito, entro trenta giorni dalla proposizione, nella Segreteria della Commissione tributaria adita, dell’originale del ricorso notificato o di copia dello stesso spedito per posta, unitamente a una copia della ricevuta di spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale; in difetto il ricorso è inammissibile né esso è sanabile per via della costituzione del convenuto.
Secondo un altro indirizzo, «il deposito, all’atto della costituzione, della ricevuta di spedizione è surrogabile mediante il deposito, sempre all’atto della costituzione, della ricevuta di ritorno: si è argomentato in tal senso “atteso che anche l’avviso di ricevimento del plico raccomandato riporta la data della spedizione”, per cui “il relativo deposito deve ritenersi … perfettamente idoneo ad assolvere la funzione probatoria che la norma assegna all’incombente”».
In sostanza, la presenza o meno in atti della ricevuta di spedizione postale del ricorso sarebbe processualmente ininfluente ove sia comunque prodotto (tempestivamente) l’avviso di ricevimento della raccomandata, un documento al quale verrebbe così riconosciuta efficacia fidefacente – e connessa idoneità probatoria – non solo relativamente alla data di consegna del plico al destinatario, ma anche alla data di spedizione.
Di qui, la conclusiva presa d’atto del Supremo Collegio che sussistono contrasti giurisprudenziali rilevanti in ordine non solo alla portata e alle modalità applicative (anche quanto al computo del termine) della sanzione di inammissibilità per la costituzione nel processo tributario senza il deposito tempestivo della copia della ricevuta della spedizione del ricorso per posta raccomandata e del suo eventuale regime di sanabilità, ma anche, e soprattutto, per l’ipotesi di equipollenza rispetto a detto documento dell’avviso di ricezione, in ordine all’ambito di fidefacenza delle indicazioni, diverse dalla data e firma apposte dall’agente postale di distribuzione, riportate sull’avviso stesso, e in particolare della data di spedizione, «questione quest’ultima di interesse generale per tutto il contenzioso in cui rilevi la prova della data di spedizione di lettere raccomandate».
Non ci resta che attendere l’autorevole responso delle Sezioni Unite.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) In Boll. Trib., 2004, 1753.
(2) Corte Cost. 26 novembre 2002, n. 477, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Cass., sez. trib., 30 dicembre 2015, n. 26088, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 22 dicembre 2016, n. 26718, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. Cass., sez. VI, 26 gennaio 2016, ord. n. 1459, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass., sez. trib., 13 gennaio 2017, n. 717, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass., sez. trib., 30 settembre 2015, n. 19440, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 14 settembre 2016, ord. n. 18000, in Boll. Trib., 2017, 306, con nota di V. AZZONI, Due problemi in uno (e in un bicchier d’acqua).
(9) Così testualmente Cass. n. 18000/2016, cit.
(10) Cfr. Cass. n. 18000/2016, cit.

Procedimento – Ricorsi – Appello – Elementi essenziali – Mancanza del petitum – Inammissibilità dell’appello – Consegue.

Procedimento – Notificazioni – Notifica del ricorso o dell’appello a mezzo del servizio postale – Produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento – Necessità – Omissione – Inesistenza della notifica – Consegue – Tardiva costituzione in giudizio della controparte – Ha efficacia ex nunc non retroattiva – Effetto sanante sulla decadenza dai termini perentori d’impugnazione della sentenza – Esclusione.

Nel nuovo appello tributario l’art. 53 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è più severo e rigoroso nel prevedere, rispetto alla disciplina previgente di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, degli elementi essenziali, la cui mancanza o anche solo incertezza riguardo ad uno di essi rende l’atto inammissibile, di talché qualora l’appello sia privo della domanda, del c.d. petitum, ovvero di una conclusione in cui sia contenuta la richiesta rivolta alla Commissione adita, esso deve essere dichiarato inammissibile.

La notifica dell’atto di appello eseguita per mezzo del servizio postale, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, è provata soltanto con la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento, unico documento idoneo ad attestare il compimento delle formalità di notificazione oltre che attestante le date in cui dette formalità sono state compiute, in mancanza del quale la notifica deve ritenersi inesistente, di talché l’avvenuta costituzione in giudizio (tardiva) della controparte non può sortire alcun effetto sanante poiché l’inesistenza è un vizio radicale che non è soggetto ad essere sanato e, in ogni caso, la sanatoria per raggiungimento dello scopo a norma dell’art. 156 c.p.c. avrebbe efficacia ex nunc, non retroattiva, e perciò avrebbe effetti unicamente sulla notifica, ma non sulla decadenza dai termini perentori d’impugnazione della sentenza già spirati al momento della costituzione in giudizio della parte appellata.

[Commissione trib. regionale del Lazio, sez. XXXVIII (Pres. Fruscella, rel. Tozzi), 7 ottobre 2016, sent. n. 5833, ric. Agenzia delle entrate]

FATTO – La presente controversia ha come oggetto l’avviso di accertamento n. … emesso, per l’anno d’imposta 2007, nei confronti della V.H. Srl in liquidazione (già V. di V.V. e V.R. S.a.s.), e dei soci sig.ra R.A.R., sig.ra V.R., sig.ra V.V. e sig. V.O.
Con detto avviso veniva rideterminato il reddito di partecipazione della V.H. Srl – già V. di V.V. e V.R. Sas, da attribuire ai soci in proporzione alle quote associative.
L’Ufficio, a seguito dell’accertamento in capo alla società “M. Srl (già F. Sas di R.A.R.)” per l’anno 2007 accertava un maggior reddito di impresa per €. 9.010.367 (dichiarato €. 4.711.149,00) e di un reddito di capitale per €. 5.170.201,00 (dichiarato €. 0,00), e rideterminava, ai fini delle imposte dirette, il reddito di partecipazione della V.H. Srl – già V. di V.V. e V.R. Sas – società detentrice del diritto di usufrutto nella misura del 98% della M. Srl, elevandolo da €. 4.616.926 ad €. 13.896.957,00, reddito da attribuire ai soci in proporzione alle rispettive quote.
– Nell’anno 2007 la compagine sociale della “F. Sas di R.A.R.” (attualmente denominata “M. Srl”) era così strutturata:
• R.A.R. – quota di partecipazione 2%;
V.O. – quota di partecipazione 98% quale nudo proprietario;
• “V.H. Srl” (all’epoca dei fatti – 2007 – strutturata come società di persone avente la denominazione “V. di V.V. e V.R. Sas”) – quota di partecipazione 98% quale usufruttuario.
A sua volta, sempre nel 2007, la “V. di V.V. e V.R. Sas” era partecipata dai seguenti soggetti:
• R.A.R. – quota di partecipazione 3%;
• V.V. – quota di partecipazione 23%;
• V.R. – quota di partecipazione 23%;
• V.O. – quota di partecipazione 51%.
E ancor, sempre per l’anno 2007, la “F. Sas di RAR” (attualmente denominata “M. Srl”) è stata destinataria dell’avviso di accertamento n. … emesso dalla Direzione Provinciale di Avellino: avviso che può essere definito il “capostipite” di tutti gli altri accertamenti conseguenti.
In conseguenza delle quote di partecipazione detenute, i diversi soci sono stati destinatari di altrettanti provvedimenti impositivi, in proporzione alle quote da ciascuno di essi detenute.
I ricorrenti, società e soci, nell’atto introduttivo del presente procedimento eccepivano:
1) preliminarmente, l’esistenza di giudicati definitivi resi tra le parti sulle medesime questioni, per annualità diverse, con efficacia extra litem sulla presente vertenza, illegittimità delle verifiche condotte dalle direzioni regionali delle entrate, illegittimità degli atti preimpositivi e dei successivi avvisi di accertamento motivati per relationem,
2) l’impossibilità di imputare l’utile extra bilancio accertato ad una società di persone ai soci di altra società di persone detentrice del diritto di usufrutto sulle quote sociali della prima;
3) carenza di motivazione dell’atto impugnato in quanto l’usufruttuario non sarebbe stato coinvolto nelle diverse fasi della procedura di accertamento;
4) in via subordinata, l’estraneità alle vicende societarie che renderebbe inapplicabili le sanzioni, mancando il requisito della colpevolezza;
5) illegittimità e illogicità dei rilievi d’imposta.
L’Agenzia delle entrate D.p. III di Roma, si costituiva lo scrivente Ufficio sostenendo, con le proprie controdeduzioni:
1) la fondatezza dell’atto emesso nei confronti della società ricorrente, a seguito dei maggiori redditi accertati a carico della F., “capostipite”, erano da intendersi inconferenti in quanto riferibili unicamente all’avviso di accertamento emesso a carico della F.;
2) che il recupero a tassazione per l’anno 2006, fondato sullo stesso PVC, era stato oggetto di ricorso conclusosi con sentenza della CTP di Avellino 229/02/12 favorevole all’amministrazione, impugnata dal contribuente innanzi alla CTR Campania.
Da ricordare, in proposito, che anche il secondo grado di giudizio si è concluso nuovamente con sentenza favorevole all’Amministrazione emessa dalla CTR Campania n. 542/09/2015 (1) e attualmente è pendente ricorso per Cassazione;
3) l’inesistenza di giudicati favorevoli ai contribuenti in quanto le sentenze ex adverso richiamate erano state oggetto di impugnazione. Pertanto la situazione processuale non era e non è neppure oggi definitiva, risultando allo stato pendenti due ricorsi per cassazione;
4) la piena titolarità della Direzione Regionale delle Entrate ad eseguire ispezioni e verifiche, richiamando in proposito giurisprudenza di legittimità;
5) riguardo alla presunta illegittimità dell’avviso di accertamento a causa dell’imputazione dei maggiori utili extra bilancio accertati in capo ad una società di persone, ai soci di altra società di persone detentrice del diritto di usufrutto sulle quote sociali della prima, che il nudo proprietario aveva perso, a seguito della cessione, il diritto agli utili, acquisito dall’usufruttuario, divenuto soggetto passivo IRPEF per la tassazione dei redditi prodotti dalla società. Aggiungeva che l’inconsistenza giuridica dell’eccezione ex adverso sollevata sarebbe stata di lampante evidenza, ove solo si fosse considerata la compagine sociale delle due società, facenti entrambe capo alla famiglia V.;
6) la fondatezza dell’accertamento anche sotto il profilo della motivazione;
7) la fondatezza della pretesa dell’Amministrazione, esaminandola e valutandola punto per punto.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma pronunciava la sentenza n. 14820/48/2015 con la quale accoglieva il ricorso compensando le spese di giudizio.
La C.T.P., in particolare, riteneva fondata l’eccezione preliminare mossa dai ricorrenti in ordine alla asserita illegittimità dell’atto impugnato, in ragione della presunta irregolarità dell’atto istruttorio presupposto (P.V.C.), per essere era stato redatto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, organo ritenuto incompetente,
Avverso detta sentenza propone appello l’Agenzia delle entrate, per chiederne, con varie motivazioni la riforma.
Si costituiscono in giudizio la società V.H. srl e i soci sig.ri R.A.R., V.R., V.V. e V.O. per chiederne la riforma.
In particolare i contribuenti sostengono, in via preliminare e assorbente, l’inammissibilità dell’appello in quanto non notificato e comunque manchevole degli elementi essenziali, mancherebbe cioè la domanda.
La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.
All’udienza odierna sono presenti il difensore del contribuente e il rappresentante dell’Ufficio.

DIRITTO – Questa Commissione ritiene che l’appello dell’Agenzia delle entrate non possa essere accolto per i motivi di seguito esplicitati.
Il primo aspetto che rileva riguarda la completezza dell’atto e la rispondenza dello stesso ai requisiti previsti dall’articolo 53 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, norma che, al comma 1, stabilisce i contenuti minimi del ricorso in appello, la cui mancanza, o anche soltanto l’incertezza riguardo ad uno di essi è motivo di inammissibilità: “Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati”.
Tra gli elementi assunti come indispensabili, ai sensi del citato articolo 53, è menzionato “l’oggetto della domanda”, ovvero la formulazione chiara di cosa sia richiesto al Giudice di seconde cure dalla parte appellante.
Analizzando l’atto depositato dall’Ufficio, identico a quello ritirato dalla controparte e nuovamente depositato in allegato alle controdeduzioni, lo stesso appare incompleto e, in particolare, manca della domanda, ovvero di una conclusione in cui sia contenuta la richiesta rivolta alla Commissione adita.
La mancanza di uno degli elementi indicati nell’articolo 53 del D.lgs. n. 546 del 1992, nel caso di specie la mancanza della domanda, determina l’inammissibilità dell’appello.
Oltre al dato testuale della citata norma, tale interpretazione è sostenuta anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 12176/2005 (2)) che mette a confronto le differenze tra il vecchio processo tributario, disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972, e il nuovo processo, regolato dal D.lgs. n. 546 del 1992.
La vecchia norma che regolava la forma dell’appello prevedeva esclusivamente l’obbligo di indicazione dei “motivi dell’impugnazione”: per l’ammissibilità dell’appello, dunque, era sufficiente che dall’analisi complessiva dell’atto fosse possibile ricavare cosa in concreto la parte appellante volesse ottenere con l’impugnazione, senza alcun onere specifico di indicazione della domanda.
Nel nuovo appello tributario, invece, l’articolo 53 citato è più severo e rigoroso nel prevedere degli elementi essenziali, la cui mancanza (o anche la sola incertezza riguardo ad uno di essi) rende l’atto inammissibile.
Sotto altro profilo, poi, si deve considerare che l’atto di appello non risulta regolarmente notificato alla controparte, così come è dato rilevare dagli atti depositati nel fascicolo processuale.
In tal senso, la controparte risulta costituita nel giudizio, ma con atto di costituzione tardiva in data 8/3/2016, affermando dì aver avuto conoscenza dell’appello soltanto dopo aver richiesto alla segreteria della Commissione provinciale una copia della sentenza di primo grado con attestazione del passaggio in giudicato della stessa.
Dalla documentazione versata in atti, risulta soltanto l’elenco delle raccomandate consegnate all’ufficio postale in un dato giorno, ma non è presente l’avviso di ricevimento del plico, né tantomeno la ricevuta di spedizione della raccomandata stessa.
La notifica eseguita per via postale, con raccomandata A/R, è provata soltanto con la produzione dell’avviso di ricevimento, unico documento idoneo ad attestare il compimento delle formalità di notificazione oltre che attestante le date in cui dette formalità sono state compiute. In mancanza di tale documento, la notifica deve ritenersi inesistente.
Neppure, in tal senso, può sortire alcun effetto l’avvenuta costituzione in giudizio (tardiva) della controparte, poiché l’inesistenza è un vizio radicale che non è soggetto ad essere sanato e, ad ogni modo, la sanatoria per raggiungimento di scopo avrebbe effetti unicamente sulla notifica, ma non sulla decadenza dei termini d’impugnazione della sentenza.
Infatti, l’Ufficio afferma che la sentenza gravata dall’appello è stata notificata in data 8.7.2015, con termine ultimo per la notificazione dell’appello da individuarsi nella data del 7.10.2015.
La costituzione in giudizio della controparte, invece, è datata 8.3.2016, ovvero a termini per la proposizione dell’appello ampiamente decorsi.
Con la sanatoria per raggiungimento dello scopo, ex articolo 156 del codice di procedura civile, l’effetto sanante ha efficacia ex nunc, non retroattivo, ovvero si realizza nel momento in cui viene posto in essere il comportamento che lo determina.
In altri termini, la notifica risulterebbe sanata e quindi perfezionata al momento del verificarsi del comportamento sanante, in data 8.3.2016: ma a tale data, il termine per la proposizione dell’appello era già ampiamente spirato.
La sanatoria di una notifica nulla può porre rimedio al vizio che affligge la notifica, ma non anche alla decadenza e allo spirare dì termini perentori.
Il concetto è affermato nella sentenza n. 19854/2004 (3) della Corte di Cassazione, a sezioni unite, che tratta del caso in cui la notifica di un avviso di accertamento sia stata sanata dalla proposizione del ricorso, che tuttavia viene proposto quando è già spirato il termine per l’esercizio del potere d’accertamento dell’Ufficio (decadenza).
In tal caso, la proposizione del ricorso (comportamento sanante) rimedia al difetto della notifica, ma ha efficacia ex nunc, nel senso che la notifica si considera perfezionata al verificarsi del comportamento sanante: così che, essendo a tale momento già spirati i termini di decadenza, la sanatoria non produce alcun effetto e l’atto è comunque nullo.
In particolare, nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 19854 del 2004 si legge: “… se la sanatoria, costituita dalla proposizione del ricorso alle commissioni, sia intervenuta quando il termine per l’esercizio del potere di accertamento è scaduto. In tale ipotesi, infatti, il meccanismo della sanatoria deve essere combinato con quello, indefettibile, della decadenza dall’esercizio del potere, per cui la sanatoria può verificarsi solo se avvenuta prima del decorso del termine di decadenza.
Vi è da rilevare, infatti, che la notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell’amministrazione.
In altri termini, dall’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sé inidoneo ad evitare la decadenza.
Si tratta di una conseguenza dell’applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi.
In sostanza, per ritornare all’accertamento tributario, la nullità della sua notificazione può essere sanata relativamente al conseguimento della finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e consentirgli, così, un’adeguata difesa, ma non mai nel senso di attribuire ex tunc validità a un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio di tale potere”.
Anche per tale ragione, quindi, deve escludersi che la mancata notificazione dell’appello possa ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio della controparte.
In definitiva, l’appello proposto dall’Ufficio deve essere respinto, in quanto inammissibile per le considerazioni su riportate, mentre le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della natura delle questioni trattate e del fatto che la controparte non ha dovuto svolgere particolare attività difensiva.

P.Q.M. – La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione 38a, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone: “Respinge l’appello dell’Ufficio. Compensa le spese”.

(1) Comm. trib. reg. della Campania 21 gennaio 2015, n. 542, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 10 giugno 2005, n. 12176, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 5 ottobre 2004, n. 19854, in Boll. Trib., 2004, 1753.

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