27 Marzo, 2018

LA NOTIFICAZIONE A MEZZO PEC DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO E DEGLI ALTRI ATTI DELLA RISCOSSIONE

1. Premessa

Le tre sentenze in rassegna offrono l’occasione per affrontare alcune questioni legate alla validità ed efficacia della notifica tramite posta elettronica certificata (di seguito “PEC”) degli atti tributari.
Vale osservare che la “trasmissione telematica” dei suddetti atti è destinata a diventare, nell’arco dei prossimi anni, lo strumento che gli enti emittenti utilizzeranno ordinariamente per la loro notificazione, considerato che sono stati a tal fine specificamente modificati l’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che disciplina la notifica degli avvisi di accertamento, e l’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che disciplina la notifica delle cartelle di pagamento e degli altri atti della riscossione (1).
Nello specifico, con il sesto comma dell’art. 7-quater del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, introdotto in sede di conversione dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225 (2), è stato aggiunto all’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973, in fine, un lunghissimo comma ai sensi del quale «In deroga all’articolo 149-bis del codice di procedura civile e alle modalità di notificazione previste dalle norme relative alle singole leggi d’imposta non compatibili con quelle di cui al presente comma, la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC). All’ufficio sono consentite la consultazione telematica e l’estrazione, anche in forma massiva, di tali indirizzi. Se la casella di posta elettronica risulta satura, l’ufficio effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio. Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica risulta satura oppure se l’indirizzo di posta elettronica del destinatario non risulta valido o attivo, la notificazione deve essere eseguita mediante deposito telematico dell’atto nell’area riservata del sito internet della società InfoCamere Scpa e pubblicazione, entro il secondo giorno successivo a quello di deposito, del relativo avviso nello stesso sito, per la durata di quindici giorni; l’ufficio inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico. Ai fini del rispetto dei termini di prescrizione e decadenza, la notificazione si intende comunque perfezionata per il notificante nel momento in cui il suo gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio, mentre per il destinatario si intende perfezionata alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata del destinatario trasmette all’ufficio o, nei casi di cui al periodo precedente, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet della società InfoCamere Scpa. Nelle more della piena operatività dell’anagrafe nazionale della popolazione residente, per i soggetti diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, la notificazione può essere eseguita a coloro che ne facciano richiesta, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui sono intestatari, all’indirizzo di posta elettronica certificata di uno dei soggetti di cui all’articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero del coniuge, di un parente o affine entro il quarto grado di cui all’articolo 63, secondo comma, secondo periodo, del presente decreto, specificamente incaricati di ricevere le notifiche per conto degli interessati, secondo le modalità stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate. Nelle ipotesi di cui al periodo precedente, l’indirizzo dichiarato nella richiesta ha effetto, ai fini delle notificazioni, dal quinto giorno libero successivo a quello in cui l’ufficio attesta la ricezione della richiesta stessa. Se la casella di posta elettronica del contribuente che ha effettuato la richiesta risulta satura, l’ufficio effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio. Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica risulta satura oppure nei casi in cui l’indirizzo di posta elettronica del contribuente non risulta valido o attivo, si applicano le disposizioni in materia di notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, comprese le disposizioni del presente articolo diverse da quelle del presente comma e quelle del codice di procedura civile dalle stesse non modificate, con esclusione dell’articolo 149-bis del codice di procedura civile».
Trattasi di una disposizione che si applicherà «alle notificazioni degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati ai contribuenti effettuate a decorrere dal 1º luglio 2017» (3).
Per quanto riguarda le cartelle di pagamento, invece, la possibilità di eseguirne la notifica tramite PEC è stata introdotta per la prima volta dall’art. 38, quarto comma, lett. b), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) (4), che ha inserito un nuovo secondo comma nell’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973, una disposizione successivamente novellata ed integrata, prima dall’art. 14, primo comma, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159 (5) e, infine, indirettamente, attraverso la segnalata modifica dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973, che il suddetto art. 26 espressamente richiama (6).
Le pronunce che annotiamo si sono occupate, in particolare, della (in)validità della notifica mediante PEC di un atto della riscossione privo della «attestazione di conformità all’originale»; le Commissioni tributarie provinciali di Lecce e di Latina, inoltre, hanno riscontrato in quel tipo di notifica un vulnus al diritto di difesa del contribuente, rappresentato dal fatto che il procedimento notificatorio si perfeziona nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna dalla casella di posta elettronica del destinatario e, dunque, a prescindere «da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio».
Si tratta di questioni sulle quali ci sembra opportuno svolgere qualche riflessione, non prima, ovviamente, di avere riassunto i casi concreti sfociati nelle sentenze in commento.

2.1 La sentenza n. 611/2016 della Commissione tributaria provinciale di Lecce

Nella vicenda esaminata dal Collegio salentino, una società aveva impugnato «un ruolo portato da una cartella di pagamento asseritamente notificata a mezzo di pec», con la quale venivano richieste IRAP e IVA a seguito di liquidazione automatizzata della dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2007.
La ricorrente, per quanto qui rileva, aveva contestato la «illegittima funzione sostitutiva della pec con la raccomandata postale»; l’«inesistenza della notifica per mancanza della relata e di ulteriori elementi essenziali»; la «mancanza della garanzia dell’effettivo ricevimento da parte del destinatario con il sistema pec».
La Commissione tributaria provinciale di Lecce, preliminarmente, ha osservato che «il sistema della spedizione di documenti fiscali a mezzo pec, previsto dalle attuali norme, prevede che la validità della trasmissione e ricezione del messaggio di posta elettronica certificata sia attestata rispettivamente dalla ricevuta di accettazione e dalla ricevuta di consegna, sì che la prova dell’avvenuto invio del messaggio è nel fatto che il messaggio stesso sia pervenuto nella casella pec del destinatario e ciò indipendentemente dalla verifica da parte del destinatario dell’apertura e lettura del messaggio».
Dopo tale premessa, i giudici salentini hanno svolto alcune “considerazioni sostanziali” in materia di notifica mediante PEC, la prima delle quali ha riguardato il “documento informatico”, evidenziando che «con il sistema pec in realtà non viene inoltrato il documento informatico, ma la copia (informatica) del documento cartaceo ove il documento informatico rappresenta l’originale del documento giuridicamente valido».
Pertanto, «il destinatario riceve solo la copia (informatica) dell’atto e tale copia senza una attestazione di conformità apposta da soggetti all’uopo abilitati a norma del c.c. non può assumere alcuna valenza giuridica perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico in tutto il suo contenuto al documento originale».
Ebbene, ha evidenziato il Collegio leccese, nella cartella di pagamento impugnata «non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge e dunque si deve affermare che al più il ricorrente ha ricevuto una copia informale dell’atto inoltrato dal mittente».
La seconda “considerazione sostanziale” ha riguardato la «ricevuta di avvenuta consegna al destinatario» che, hanno affermato i giudici pugliesi, attestando la sola “disponibilità” dell’atto notificando nella casella di posta elettronica del destinatario, «non può equivalere ad avvenuta consegna» dello stesso atto al soggetto notificatario.
In definitiva, «il sistema pec non garantisce che il documento sia stato consegnato al destinatario», cosicché «rispetto al sistema raccomandata, la pec lascia incerto l’esito della sua ricezione oltre che la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio».

2.2 La sentenza n. 992/2016 della Commissione tributaria provinciale di Latina

La controversia decisa dai giudici latinensi riguardava l’impugnazione di una intimazione di pagamento rispetto alla quale si contestava, tra i diversi motivi di impugnazione, la «illegittima notifica a mezzo PEC in violazione della normativa prevista per la notificazione».
Il Collegio laziale, sostanzialmente, ha ripreso e condiviso le considerazioni svolte dalla Commissione tributaria provinciale di Lecce nella sentenza n. 611/2016, qui in rassegna, richiamandola espressamente in motivazione.
Quelle considerazioni, inoltre, sono state confortate dall’assunto secondo cui non è stata «ancora raggiunta certezza legale della conoscibilità degli atti in caso di notifica a mezzo PEC, ovvero la parte che ha eseguito la notifica deve produrre: la stampa dell’atto notificato con la relata, il certificato della firma digitale del notificante (nella fattispecie non necessario), il certificato di firma del gestore di PEC, le informazioni richieste dall’art. 18 D.M. 21.2.2011, n. 44, per il corpo dei messaggi, le ricevute della PEC, gli ulteriori dati di Certificazione».
In definitiva, «la nullità della cartella di pagamento (nel nostro caso dell’intimazione di pagamento e cartelle presupposte) notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia, ma solo una copia priva di attestazione di conformità».
Secondo la Commissione tributaria provinciale di Latina, «il sistema di notifica delle cartelle di pagamento e mezzo Pec (ma anche degli altri atti emessi dall’Agente della riscossione e/o dalle Agenzie delle Entrate), come attualmente disciplinati fanno ritenere che tale notifica sia affetta da nullità insanabile, contrariamente a quanto affermato nella normativa e dal codice dell’amministrazione digitale. La posta elettronica certificata non offre più le stesse garanzie della raccomandata tradizionale».
I giudici pontini, come in precedenza avevano fatto i colleghi leccesi, hanno evidenziato l’ulteriore criticità della posta elettronica certificata, ovvero che «essa non garantisce la piena prova dell’effettiva consegna del documento al destinatario», e anche se «sostiene l’Amministrazione finanziaria (e la normativa di riferimento) che la notifica a mezzo PEC equivale alla notifica a mezzo raccomandata», in realtà la stessa PEC «è sì una raccomandata, ma non sottoscritta (serve la firma digitale); la firma è sì una sottoscrizione ma non ha data certa e qualificata ai sensi dell’art. 2704 c.c.».
Di qui la conclusione secondo cui «l’intimazione opposta è stata irritualmente notificata e, quindi, è inesistente per i motivi sopra esposti».

2.3 La sentenza n. 100/2017 della Commissione tributaria provinciale di Savona

Dinanzi alla Commissione ligure era stato proposto ricorso avverso una intimazione di pagamento ma, per quanto sembra emergere dalla sentenza in epigrafe, la società ricorrente aveva chiesto soltanto «l’annullamento di alcune cartelle di pagamento richiamate nell’intimazione di pagamento asserendo che le medesime non sono mai state notificate».
In un secondo momento, con “memoria successiva”, la ricorrente aveva anche invocato la «nullità della intimazione di pagamento in quanto notificata via PEC».
La Commissione tributaria provinciale di Savona ha «accolto parzialmente il ricorso».
In particolare, è stata rigettata la richiesta di annullamento delle cartelle di pagamento indicate nell’impugnata intimazione, avendo l’agente della riscossione dimostrato che le stesse erano state «regolarmente notificate tramite il servizio postale ai sensi dell’art. 26 Dpr 602/73 o tramite PEC».
È stata invece accolta la richiesta di annullamento dell’intimazione di pagamento poiché, sulla base di una perizia tecnica depositata dalla società ricorrente, i giudici savonesi hanno potuto concludere che i documenti inviati via PEC dall’agente della riscossione sono risultati «del tutto carenti di quelle procedure atte a garantirne la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale, e non rispondenti a criteri di univocità ed immodificabilità, per cui non garantiscono il valore di certezza e corrispondenza, peraltro confortato dall’attestazione di conformità».

3. Una fuorviante sovrapposizione dei piani di indagine

Prima di occuparci specificamente della querelle sulla validità o meno della notifica mediante PEC degli atti esattivi, riteniamo opportuno fare chiarezza su alcune questioni pregiudiziali in materia di processo tributario, rispetto alle quali, all’evidenza, si riscontra ancora una preoccupante confusione nelle Corti di merito.
La prima delle questioni per la quale si impone un chiarimento (l’ennesimo) attiene al rapporto che sussiste tra la natura del processo tributario e i motivi di impugnazione (causa petendi).
In particolare, dalla lettura della sentenza n. 100/2017 della Commissione tributaria provinciale di Savona, apprendiamo che con il ricorso introduttivo del giudizio erano state impugnate soltanto alcune delle cartelle di pagamento richiamate in una intimazione di pagamento notificata dall’agente della riscossione, assumendosi che le stesse non erano mai state notificate.
Soltanto in una successiva memoria illustrativa la ricorrente aveva altresì «invocato la nullità dell’intimazione di pagamento in quanto notificata via PEC».
Ebbene, il Collegio savonese ha preso in esame quest’ultima eccezione, l’ha giudicata fondata e, per l’effetto, ha «accolto parzialmente il ricorso», mentre avrebbe dovuto dichiararla inammissibile perché non formulata ritualmente nell’atto introduttivo del giudizio.
La decisione del Collegio ligure, condivisibile o meno che la si voglia ritenere nel merito, è stata adottata in violazione del consolidatissimo orientamento giurisprudenziale secondo cui «il giudizio tributario in quanto caratterizzato in base alla disciplina dettata dagli artt. 18, coma 2, 19 e 24, coma 2, d.lgs. 546/1992, da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio (circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati), ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado, onde delimitare sin dalla nascita del rapporto processuale tributario le domande e le eccezioni proposte dalle parti. Con la conseguenza che … il mancato rilievo di un profilo d’illegittimità dell’atto di accertamento nel ricorso introduttivo rende l’atto medesimo definitivo, per quel profilo, sicché la successiva deduzione del vizio, comportando l’esame di una nuova causa petendi, deve essere dichiarata inammissibile, … restando irrilevante anche l’eventuale accettazione del contraddittorio sul merito, dato il rilievo di ordine pubblico del divieto di ius novorum (v. Cass. 25756/14, 22662/14, 15051/14, 19337/11, 13934/11, 28.680/05, 12147/04, 9754/03)» (7).
Il secondo chiarimento che ci sembra opportuno fare concerne il rapporto che esiste tra l’accertamento della validità della notifica e l’accertamento della validità dell’atto notificato.
Si tratta di due temi di indagine distinti, in alcun modo sovrapponibili né confondibili tra loro, sul piano logico prima che su quello giuridico.
Vale qui ricordare che per gli atti tributari la notificazione costituisce una «condizione integrativa dell’efficacia della decisione assunta dall’Ufficio finanziario, ma non requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto» (8).
Motivo per il quale la validità del procedimento notificatorio, garantendo la conoscenza o la conoscibilità dell’atto tributario, consente allo stesso di esplicare i propri effetti, sempre che quell’atto non risulti invalido perché affetto da “vizi propri”, come possono essere, a titolo esemplificativo, i vizi che attengono alla legittimazione dell’ente da cui promana, alla legittimazione del soggetto che l’ha formato o sottoscritto, alla sua conformità al modello legale, alla mancanza di un elemento essenziale previsto dalla legge.
Di conseguenza, e per semplificare, un atto perfetto e valido, totalmente conforme al modello legale, potrebbe non esplicare mai i suoi effetti ove non venga validamente notificato al destinatario; di contro, un atto ben potrebbe essere affetto da “nullità” (9) a causa di un “vizio proprio” che lo inficia, ancorché risulti validamente notificato al destinatario.
Tornando alle annotate sentenze, osserviamo che le Commissioni tributarie provinciali hanno sostanzialmente affermato, all’unisono, che poiché tramite la PEC non viene notificato l’originale della cartella di pagamento (o dell’intimazione di pagamento), né una copia attestata “conforme all’originale” nei modi di legge, la suddetta notifica deve considerarsi “nulla”.
In particolare, la Commissione tributaria provinciale di Latina ha statuito che «l’intimazione opposta è stata irritualmente notificata e, quindi, è inesistente per i motivi sopra esposti»; la Commissione tributaria provinciale di Savona ha deciso di «annullare l’intimazione di pagamento per nullità della notifica»; la Commissione tributaria provinciale di Lecce ha addirittura affermato che “accostando” la PEC alla raccomandata postale, si può concludere che con la prima viene trasmessa al destinatario soltanto una copia dell’atto che «non può assumere alcuna valenza giuridica», mentre con la seconda «il contribuente riceve sempre l’originale dell’atto inoltrato al mittente» (10).
Siamo dell’avviso che i giudici di prime cure abbiano sovrapposto (e confuso) i temi di indagine sottoposti al loro giudizio, poiché nessuno dei ricorrenti ha contestato il perfezionamento del procedimento notificatorio degli atti impugnati; tutti hanno avuto piena conoscenza di quegli atti, piena contezza del contenuto degli atti allegati ai rispettivi messaggi di posta elettronica certificata, tanto che ne hanno potuto riscontrare e contestare le carenze ed i difetti, primo tra tutti la «mancata attestazione di conformità all’originale».
Questione diversa è, lo ripetiamo, verificare se la “trasmissione” di una «semplice copia informatica» o “fotografica” di un atto sia o meno idonea a consentire che lo stesso produca i suoi effetti, ciò di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo.
Resta però innegabile che, nelle controversie decise con le sentenze in commento, degli atti impugnati (e annullati), ancorché trasmessi agli intimati tramite posta elettronica certificata e in copia “semplice”, i destinatari avevano incontestabilmente acquisito la “piena conoscenza”, circostanza che, ad avviso di chi scrive, neutralizza e vanifica ogni tentativo di negare (o contestare) che il procedimento notificatorio si fosse perfezionato.
L’osservazione che precede ci introduce all’ultima riflessione di carattere generale (e pregiudiziale) che ci sembra utile svolgere in questa sede, e attiene al rapporto tra i vizi che possono inficiare la notificazione e il regime di sanatoria degli stessi (11).
Occorre ricordare, preliminarmente, che la notifica può essere affetta da vizi che ne determinano la “inesistenza” e da vizi che ne determinano la “nullità”.
È noto agli addetti ai lavori che, secondo l’insegnamento del Supremo Collegio, la «categoria giuridica dell’inesistenza della notificazione è ulteriore e distinta dalla nullità», e che, in particolare, «la notificazione è inesistente quando manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea; mentre è affetta da nullità (sanabile con effetto ex tunc …), quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito dalla legge, un collegamento risulti tuttavia ravvisabile, così da rendere possibile che l’atto, pervenuto a persona non del tutto estranea al processo, giunga a conoscenza del destinatario» (12).
Trattasi di una distinzione di grande rilievo poiché l’inesistenza della notifica, a differenza della nullità, non è suscettibile di sanatoria per “raggiungimento dello scopo” (13).
Vale qui segnalare, come abbiamo fatto già in altra occasione (14), che nell’ultimo decennio l’orientamento della giurisprudenza di legittimità si è “rafforzato” in senso «favorevole alla marginalizzazione dell’area di inesistenza della notificazione, riducendone l’operatività a quelle sole ipotesi nelle quali, per una radicale estraneità delle modalità di esecuzione al modello processuale, non possa ragionevolmente ritenersi conseguito lo scopo prefissato e cioè il raggiungimento della sfera di conoscibilità del destinatario e, quindi, della possibilità per quest’ultimo di esercitare effettivamente il diritto di difesa: quando, cioè, non sia raggiunto nemmeno il risultato minimo di stabilire nel percorso dell’atto dal soggetto agente al destinatario un affidabile collegamento» (15).
Inoltre, con specifico riferimento agli atti impositivi, è stato recentemente ribadito che «l’atto amministrativo di imposizione tributaria è sottoposto a un regime procedimentale che distingue la fase di decisione (o di perfezionamento dell’atto) dalla fase integrativa dell’efficacia (v. Cass. n. 4760-09). La notificazione non è elemento costitutivo dell’atto (e v. del resto l’art. 19 del d.lgs. 546), ma rappresenta una mera condizione di efficacia (o, potrebbe dirsi nel solco della dottrina amministrativistica, di operatività). E, come le sezioni unite di questa corte hanno rilevato, tanto la nullità, quanto l’inesistenza della notifica dell’atto non rileva ove l’atto abbia raggiunto lo scopo, per il fatto di essere stato, in particolare, impugnato dal destinatario prima della scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (v. sez. un. n. 19854-04)» (16).
In definitiva, l’immediata impugnazione di un atto tributario che il contribuente ritenga invalidamente notificato, implica ex se che è stato «conseguito lo scopo prefissato e cioè il raggiungimento della sfera di conoscibilità del destinatario», attraverso il quale si realizza pienamente «il nucleo forte di tutela dell’esercizio del diritto di difesa cui sono parametrare tutte le garanzie offerte dall’ordinamento perché tale effetto sia davvero conseguito, senza dar rilievo ad aspetti puramente formali che ostacolino la pronuncia sostanziale di giustizia alla quale tende l’ordinamento» (17).

4. Criticità della notifica via PEC

Tornando al tema principale della presente nota, le considerazioni e le riflessioni che si possono fare sull’utilizzo della posta elettronica certificata per la notifica degli atti di imposizione come degli atti della riscossione sono tantissime e, ne siamo certi, non mancheranno le occasioni per approfondire la conoscenza e le criticità di tale particolare mezzo di trasmissione o comunicazione degli atti.
Si consideri, peraltro, che nel corso di quest’anno l’introduzione del processo tributario telematico (PTT) sarà estesa pressoché all’intero territorio nazionale (18) e, come sappiamo, nell’ambito di tale procedimento la PEC rappresenta l’unico strumento di notificazione degli atti processuali (19).
In questa sede vogliamo limitare la nostra indagine alle due principali considerazioni addotte dai Collegi di merito a supporto delle relative decisioni.
Sotto il profilo logico, la considerazione che va esaminata per prima è quella secondo la quale «il sistema PEC non garantisce che il documento sia stato consegnato al destinatario» così come testualmente affermato dai giudici leccesi.
La criticità della notifica mediante PEC, secondo i giudici leccesi e latinensi, deriverebbe dalla circostanza che essa si perfeziona, per il soggetto notificante «nel momento in cui il suo gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio, mentre per il destinatario si intende perfezionata alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata del destinatario trasmette all’ufficio» (20).
Ci sia consentito manifestare qualche perplessità sulla pertinenza di tale considerazione in processi nei quali era stato impugnato un atto notificato proprio tramite il «sistema pec» che, a parere di quei giudici, non garantirebbe l’effettiva consegna al destinatario.
Senza riprendere le osservazioni fatte in precedenza sugli effetti sananti dell’impugnazione rispetto ai (presunti) vizi della notifica, la circostanza (non contestata) che le parti avessero avuto conoscenza e contezza degli atti impugnati di certo non conforta, anzi sminuisce la tesi secondo cui la sola “disponibilità” dell’atto nella casella di posta elettronica del destinatario non garantirebbe la sua effettiva consegna al soggetto notificatario.
Ciò non di meno, la questione esiste e, ove ritualmente sollevata – ovvero con l’impugnazione di un atto successivo a quello notificato tramite PEC, di cui il ricorrente contesti l’invalida notifica – c’è la possibilità che più di qualche Commissione tributaria, nel futuro più prossimo, sarà chiamata a stabilire se la “ricevuta di consegna” emessa dal gestore PEC del destinatario sia sufficiente o meno a dimostrare l’effettivo ricevimento dell’atto presupposto da parte del soggetto notificatario.
Segnaliamo, tuttavia, che al momento la giurisprudenza di legittimità sembra orientata a ritenere che il “sistema” offra sufficienti garanzie circa la effettiva conoscibilità dell’atto notificato tramite posta elettronica certificata.
In tal senso vanno lette, a nostro avviso, le considerazioni svolte dalla Suprema Corte nella sentenza n. 24909/2016, e cioè che «una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali» (21).
Applicando tale principio al caso concreto, la Corte di Cassazione ha stabilito che «una volta che sia documentata l’accettazione della comunicazione telematica da parte della PEC del professionista, la stessa è valida, mentre è da imputarsi al professionista la sua mancata lettura in tempo utile per partecipare all’udienza».
Ci sarà tempo e modo per verificare se questo orientamento giurisprudenziale, che personalmente condividiamo, troverà successive conferme e si consoliderà.
Per ora è opportuno che gli addetti ai lavori ne abbiano contezza e ne tengano conto.
La seconda considerazione da approfondire, comune alle tre sentenze in rassegna, è quella secondo la quale con la PEC «il destinatario riceve solo la copia (informatica) dell’atto e tale copia senza attestazione di conformità apposta da soggetti all’uopo abilitati a norma del c.c. non può assumere alcuna valenza giuridica perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico in tutto il suo contenuto al documento originale».
Potremmo limitarci ad osservare semplicemente che l’utilizzo della PEC per la notifica degli atti della riscossione è previsto da una specifica disposizione di legge (art. 26 del D.P.R. n. 602/1973) e che ci sembra quantomeno bizzarra la decisione di alcuni giudici tributari di disattendere deliberatamente un precetto normativo.
Quando il giudice ritiene che una disposizione normativa contrasti con qualche principio di rango costituzionale ben può sollevare la relativa questione dinanzi alla Corte Costituzionale o, se lo ritiene, può cimentarsi in una interpretazione “costituzionalmente orientata” della stessa, ma non può scientemente ignorare la volontà del legislatore che quella disposizione ha introdotto (nella materia che ci occupa, peraltro, intervenendo con una specifica modifica del previgente art. 26 del D.P.R. n. 602/1973).
Ma veniamo al merito della questione.
Diversamente da quanto hanno ritenuto i Collegi giudicanti, siamo dell’avviso che la notifica tramite PEC di un atto in “copia informatica”, ovvero in “copia semplice” non attestata conforme all’originale nei modi di legge, non determini né l’invalidità, né l’inefficacia di quell’atto.
In primo luogo, osserviamo che esiste nel nostro ordinamento una disposizione di carattere generale (art. 2719 c.c.) secondo la quale «Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta» (22).
Vale osservare che la suddetta “regola”, per granitica giurisprudenza di legittimità, «trova applicazione generalizzata per tutti i documenti (e finanche, si è detto, per le scritture raccolte da notaio)» (23).
Altrettanto granitico, oltre che risalente, è l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di prova documentale l’onere stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere espressamente la copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura, implica necessariamente che il disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che contenga una inequivoca negazione della genuinità della copia, con indicazione puntuale dei motivi (24).
In ogni caso, oltre alla richiamata disposizione di carattere generale, in subiecta materia esiste un articolo del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale, in breve “CAD”), che ne riproduce alla lettera il contenuto.
L’art. 22 del citato CAD, che si occupa specificamente delle «copie informatiche di documenti analogici», dopo avere indicato ai commi primo e secondo le condizioni alle quali è subordinata la «piena efficacia» dei documenti informatici «contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere» (ovvero l’apposizione o l’associazione, da parte di colui che li spedisce o rilascia, di una firma digitale) e la «efficacia probatoria» delle «copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico» (ovvero la conformità all’originale attestata da un notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato), al terzo comma stabilisce che «Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta», con una formulazione del tutto analoga, vale ripeterlo, al ricordato art. 2719 c.c.
In definitiva, queste essendo le specifiche disposizioni normative in materia di «copie informatiche di documenti analogici» che, è opportuno sottolinearlo, consistono nella «scansione di un documento cartaceo» (25), ci sembra del tutto evidente che la copia della cartella di pagamento allegata al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale è notificata, non è difforme dall’originale (e perciò “nulla”, secondo i giudici) per il solo fatto che mancherebbe la relativa attestazione nei modi di legge, occorrendo in tal senso un formale e specifico disconoscimento da parte del destinatario, ciò che non pare essere stato esplicitamente opposto dai ricorrenti nelle controversie decise dalle annotate sentenze.
Per altro verso, anche nell’ipotesi in cui i contribuenti contestassero formalmente la non conformità della “copia semplice” all’originale dell’atto notificato tramite PEC o la mancata apposizione di una firma digitale sulla stessa copia, siamo del parere che tale contestazione non sia sufficiente ex se a determinare l’annullamento dell’atto impugnato.
Cominciamo da alcune considerazioni riguardanti le cartelle di pagamento, ma, come vedremo, si tratta di considerazioni che valgono anche per gli altri atti della riscossione.
In primo luogo osserviamo che la cartella di pagamento, anche nell’esemplare originale, e quindi a prescindere dalle modalità di notifica, non reca e non deve recare alcuna sottoscrizione.
Anche a tale riguardo non possiamo non richiamare il «consolidato insegnamento del diritto vivente (1425/13), autorevolmente ribadito tra l’altro dall’ordinanza 21.4.2000, n. 117 della Corte Costituzionale, che attinta proprio sullo specifico rilievo della legittimità costituzionale dell’art. 25 D.P.R. 602/73 nella parte in cui non prevedeva che la cartella di pagamento sia provvista di sottoscrizione autografa ha avuto modo di chiarire che “l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge”, l’affermazione secondo cui, per un verso, “la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, di là da questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo” (4757/09) e, per altro verso, che “la cartella esattoriale prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, come documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, dev’essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza nonché l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale, tramite apposito numero di codice” (14894/08)» (26).
Trattasi di un principio applicato in passato anche ai “vecchi” avvisi di mora (27) e, pertanto, certamente applicabile alle intimazioni di pagamento che tali avvisi hanno sostituito, oltre che a tutti gli altri atti successivi che emette l’agente della riscossione, come gli avvisi (o i preavvisi) di fermo amministrativo dei beni mobili registrati e le comunicazioni (o i preavvisi) di iscrizione ipotecaria.
Quanto poi all’assunto secondo cui, a prescindere dalla mancata sottoscrizione, sarebbe comunque invalida la cartella di pagamento ove notificata in “copia semplice” o “non autentica” invece che nell’esemplare originale, riteniamo ugualmente di non poterlo condividere per le considerazioni che seguono.
È ben vero che, come ha sottolineato ripetutamente il Supremo Collegio, la cartella di pagamento «non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificato alla parte» (28), ma questo non implica, a nostro avviso, che sussista l’obbligo per l’agente della riscossione, a pena di nullità, di notificare sempre e comunque l’originale di quell’atto o una sua copia «attestata conforme all’originale».
Ciò che rileva ai fini della validità ed efficacia dell’atto notificato dall’agente della riscossione è che esso sia «inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo», che sia predisposto secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, «che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza, nonché l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale tramite apposito numero di codice» (29).
L’affermazione che precede, anche su questa specifica questione, costituisce ormai «jus receptum», alla luce del quale è stato altresì chiarito, definitivamente, che l’esistenza e la validità della cartella di pagamento «non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, essa sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo» (30).
La Suprema Corte, invero, ha già avuto modo di pronunciarsi sulla contestazione di «illegittimità della cartella di pagamento notificata in copia fotostatica priva di sottoscrizione», nel presupposto, addotto dal ricorrente, che «la cartella dev’essere necessariamente notificata in originale o in copia conforme …, indipendentemente dall’utilizzazione del modello approvato con decreto ministeriale», ma ha giudicato infondata tale censura, chiarendo che l’efficacia della cartella di pagamento non possa ritenersi preclusa dal difetto di sottoscrizione «o dall’avvenuta notificazione dell’atto in copia non autentica, la cui conformità all’originale non potrebbe d’altronde essere contestata in virtù della mancata sottoscrizione da parte dell’esattore, trattandosi di un requisito non prescritto ai fini della validità della cartella» (31).

5. Conclusioni

Riteniamo, alla luce delle molteplici considerazioni che precedono, di avere sufficientemente motivato le ragioni del nostro personale dissenso rispetto alle decisioni in commento.
Ciò non toglie che, ad avviso di chi scrive, bene farebbe il legislatore a raccogliere il suggerimento proposto da una parte della dottrina (32), di imporre all’agente della riscossione, per la notifica tramite PEC, l’utilizzo di un indirizzo «inserito in un pubblico registro – come tale verificabile da parte dei contribuenti» – e l’allegazione di una “copia informatica” cui apporre o associare, da parte dello stesso notificante, «una firma digitale o altra firma elettronica qualificata» (ex art. 22, primo comma, del CAD).
Tale modifica non solo garantirebbe maggiormente il destinatario dell’atto notificato tramite PEC, ma eviterebbe sin d’ora la proliferazione di ricorsi che, nonostante l’orientamento espresso dalle sentenze annotate, non ci sembrano destinati al successo finale.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) A norma dell’art. 49, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, gli atti del procedimento di espropriazione forzata tributaria «sono notificati con le modalità previste dall’articolo 26».
(2) In Boll. Trib., 2016, 1716.
(3) Cfr. l’art. 7-quater, settimo comma, del D.L. n. 193/2016.
(4) In Boll. Trib., 2010, 851.
(5) In Boll. Trib., 2015, 1387.
(6) Una ricostruzione puntuale delle modifiche recentemente apportate agli artt. 60 del D.P.R. n. 600/1973 e 26 del D.P.R. n. 602/1973 è contenuta in G. DELLABARTOLA, Il difficile bilanciamento tra semplificazione dell’azione amministrativa e i diritti del contribuente nella notificazione degli atti esattivi tramite posta elettronica certificata, pubbl. in questo stesso fascicolo a pag. 433.
(7) Ved. Cass., sez. trib., 16 settembre 2016, n. 18235, in Boll. Trib. On-line. Riportiamo, altresì, i riferimenti per esteso delle sentenze in essa richiamate: Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 25756; Cass., sez. trib., 24 ottobre 2014, n. 22662; Cass., sez. trib., 2 luglio 2014, n. 15051; Cass., sez. trib., 22 settembre 2011, n. 19337; Cass., sez. trib., 24 giugno 2011, n. 13934; Cass., sez. trib., 23 dicembre 2005, n. 28680; Cass., sez. trib., 2 luglio 2004, n. 12147; Cass., sez. trib., 18 giugno 2003, n. 9754; tutte in Boll. Trib. On-line.
(8) Per un ampio approfondimento sullo specifico argomento sia consentito rinviare a D. CARNIMEO, La notifica degli atti in materia tributaria, in Boll. Trib., 2016, 811. Cfr., altresì, Cass. sez. trib., 6 febbraio 2015, n. 2197, in Boll. Trib., 2015, 851.
(9) Sulla «sostanziale equiparazione delle “nullità” tributarie ai vizi di legittimità (formali o sostanziali) dell’atto che, se riscontrati dal Giudice tributario, comportano una pronuncia di “annullamento” del provvedimento impositivo» cfr. Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18448, in Boll. Trib., 2015, 1582, con nota di V. AZZONI, Annullabilità, nullità e inesistenza dell’atto tributario. Di grande interesse, sullo stesso argomento, cfr. le successive sentenze rese da Cass., sez. trib., 31 gennaio 2016, n. 381, Cass., sez. trib., 16 dicembre 2015, n. 25280, e Cass., sez. trib., 11 dicembre 2015, n. 25017, tutte in Boll. Trib., 2016, 1049, con nota di L. LOVECCHIO, Si consolida l’orientamento della Suprema Corte sulla nullità dell’atto impositivo per difetto di sottoscrizione e sul rapporto di species a genus tra procedimento tributario e procedimento amministrativo.
(10) Quale sia l’elemento conoscitivo in base al quale il Collegio leccese ha potuto affermare che tramite la notifica per posta il destinatario riceve “sempre” l’originale (o comunque una copia attestata conforme all’originale) dell’atto notificando, resta per noi un mistero.
(11) Per un esaustivo approfondimento dell’argomento ved. D. CARNIMEO, op. cit.
(12) Cfr., tra le numerose sull’argomento, Cass., sez. trib., 21 luglio 2015, n. 15306; Cass., sez. trib., 10 settembre 2014, n. 19035; Cass., sez. trib., 27 luglio 2012, n. 13477; tutte in Boll. Trib. On-line.
(13) È stato affermato, in tal senso, che «gli effetti conseguenti alla inesistenza della notificazione non possono essere impediti invocando gli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., inerenti alla rilevabilità e alla sanatoria della nullità, poiché le circostanze ivi previste possono valere a sanare una notificazione irregolare, viziata o nulla, ma pur sempre esistente e realizzatasi come tale, mentre non può porsi rimedio ad una situazione nella quale l’atto, imperfetto o radicalmente viziato, non sia affatto venuto in essere nel mondo giuridico» (così Cass., sez. un., 23 agosto 2007, n. 17914, in Mass. Giust. civ., 2007, fasc. 7-8).
(14) Il riferimento è ancora a D. CARNIMEO, op. cit.
(15) Ved. Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22642, in Boll. Trib., 2007, 1018, con nota di V. AZZONI, La rinnovazione della notificazione nulla del ricorso per cassazione, ibidem, 1023.
(16) Così Cass., sez. trib., 15 gennaio 2014, n. 654; e cfr. altresì Cass., sez. trib., 24 aprile 2015, n. 8374, entrambe in Boll. Trib. On-line. La sentenza resa da Cass., sez. trib., 5 ottobre 2004, n. 19854, è rinvenibile in Boll. Trib., 2004, 1754.
(17) Cfr. Cass., sez. trib., 13 marzo 2015, n. 5057, in Boll. Trib. On-line.
(18) Cfr. D.M. 15 dicembre 2016, in Boll. Trib., 2017, 123.
(19) Cfr. l’art. 9, primo comma, del D.M. 23 dicembre 2013, n. 163 (Regolamento recante la disciplina dell’uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario in attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 39, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), in Boll. Trib., 2014, 284.
(20) Cfr. l’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973, richiamato espressamente dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973.
(21) Cfr. Cass., sez. trib., 6 dicembre 2016, n. 24909, in Boll. Trib. On-line.
(22) Sulla possibilità di considerare la «copia informatica» di un documento «alla stregua di una “copia fotografica” cui si riferisce l’art. 2719 c.c.», cfr. R. BORRUSO, Il documento informatico, la firma elettronica e la firma digitale alla luce delle ultime norme (D.Lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, D.P.R. 7 aprile 2003 n. 137 e legge 29 luglio 2003 n. 229), in Giust. civ., 2004, fasc. 3, 143.
(23) Tra le numerose citiamo Cass., sez. trib., 24 febbraio 2017, n. 4801; Cass., sez. trib., 11 novembre 2016, n. 23039; Cass., sez. trib., 2 luglio 2014, n. 15062; Cass., sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5964; tutte in Boll. Trib. On-line.
(24) Cfr. Cass., sez. trib., 6 agosto 2014, n. 17654, in Boll. Trib. On-line; nonché Cass., sez. trib., 13 agosto 2004, n. 15856, e Cass., sez. trib., 19 agosto 2004, n. 16232, entrambe in Boll. Trib., 2005, risp. 1243 e 1244.
(25) Così sintetizza efficacemente G. DELLABARTOLA, op. cit.
(26) Cfr. Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 25773, in Boll. Trib. On-line.
(27) Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4757, in Boll. Trib. On-line.
(28) Cfr., tra le più recenti, Cass., sez. trib., 11 novembre 2016, n. 23046, in Boll. Trib. On-line. Si veda altresì, volendo, Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704, in Boll. Trib., 2015, 1566, con nota di D. CARNIMEO, Gli atti tributari, ancorché invalidamente notificati, sono sempre impugnabili dal contribuente che sia venuto comunque a conoscenza della loro esistenza, ibidem, 1574; nonché M. CICALA, Gli atti impugnabili e i presupposti dell’impugnazione: considerazioni sparse alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 19704/2015 sulla impugnabilità del ruolo, ibidem, 1525.
(29) Cfr., tra le numerose, Cass., sez. trib., 27 marzo 2015, n. 6199, in Boll. Trib. On-line. Si veda altresì Corte Cost. 21 aprile 2000, n. 117, in Boll. Trib., 2000, 1033.
(30) Cass., sez. trib., 20 novembre 2015, n. 23759, in Boll. Trib. On-line.
(31) Cass., sez. I, 5 marzo 2015, n. 4483, in Boll. Trib. On-line.
(32) Cfr. G. DELLABARTOLA, op. cit.

I

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Mancanza di garanzia sulla paternità, univocità e immodificabilità dell’atto notificato – Mancanza di firma informatica e/o digitale e di attestazione di conformità all’originale – Nullità – Consegue.

Deve essere annullata l’intimazione di pagamento notificata dall’agente della riscossione a mezzo PEC qualora dalla perizia tecnica prodotta dal contribuente e non contestata dall’Ufficio finanziario risulti che i documenti inviati via PEC siano carenti di quelle procedure atte a garantirne la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale, e non rispondenti a criteri di univocità ed immodificabilità, per cui non garantiscano il valore di certezza e corrispondenza, peraltro confortato dall’attestazione di conformità, del tutto assente, previsti invece indefettibilmente dalle vigenti disposizioni normative sulla firma digitale.

[Commissione trib. provinciale di Savona, sez. I (Pres. Zerilli, rel. Botteri), 10 febbraio 2017, sent. n. 100]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Trattasi di ricorso avverso intimazione di pagamento emessa da Equitalia, stante la quale, la società ricorrente chiede l’annullamento di alcune cartelle richiamate nell’intimazione di pagamento asserendo che le medesime non sono mai state notificate.
Con memoria successiva la Società ricorrente invoca la nullità della intimazione di pagamento in quanto notificata via PEC.
A supporto di detta tesi produce una relazione tecnica che attesterebbe che la notifica via PEC non avrebbe garantito il valore di certezza e corrispondenza e sarebbe oltretutto mancante della firma digitale.
La precedente udienza è stata rinviata su richiesta della Società che avrebbe inoltrato domanda di transazione fiscale ai sensi dei D.Lgs. 169/2007.
All’udienza del 15/11/2016 il Collegio si è riservato la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE – La Commissione esaminati gli atti ritiene che il ricorso debba essere parzialmente accolto.
Le cartelle esattoriali di cui si chiede l’annullamento, asserendo la mancata notifica delle medesime, in realtà, come dimostrato da Equitalia sono state regolarmente notificate tramite il servizio postale ai sensi dell’art. 26 Dpr 602/73 o tramite PEC. Detta eccezione deve pertanto essere rigettata.
Sull’annullamento dell’intimazione di pagamento, stante il fatto che la materia trattata è stata recentemente introdotta e non vi è giurisprudenza univoca a tal riguardo, questa Commissione ritiene che nel caso in esame la Società, abbia con una perizia tecnica seppur di parte, attestato che “dall’esame dei documenti inviati via PEC da Equitalia Nord spa, scrupolosamente analizzati, si conclude che gli stessi sono del tutto carenti di quelle procedure atte a garantirne la genuina paternità, nonché mancanti della firma informatica e/o digitale, e non rispondenti a criteri di univocità ed immodificabilità, per cui non garantiscono il valore di certezza e corrispondenza, peraltro confortato dall’attestazione di conformità, del tutto assente, invece previsti indefettibilmente dalle disposizioni normative sopra richiamate” (per quanto concerne la firma digitale vedasi quanto previsto dalla Legge n. 59 del 1997, dal Decreto di attuazione n. 513 del 1999 poi confluito nel Decreto n. 445 del 2000, dal Decreto Presidenziale del febbraio 1999 modificato ed integrato dal dpcm 13 gennaio 2004, nonché dalla Direttiva 1999/93/CE recepita in Italia dal Decreto legislativo n. 10 del 23 gennaio 2002 e dal regolamento di attuazione DPR n. 137 del 7 aprile 2003).
L’argomento relativo alla firma digitale e dei requisiti informatici è stato da ultimo ben dettagliato nella Deliberazione n. 45 del 21 maggio 2009 da parte del Centro Nazionale informatica nella pubblica amministrazione nonché dal Decreto del Presidente del Consiglio del 22 febbraio 2013.
Stante le conclusioni della relazione tecnica, avverso la quale Equitalia nulla eccepisce, si ritiene di annullare l’intimazione di pagamento per nullità della notifica.
Stante la natura della controversia e la reciproca parziale soccombenza, si giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M. – A scioglimento della riserva, in parziale accoglimento del ricorso, annulla la sola intimazione di pagamento. Conferma nel resto. Spese compensate.

II

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Invalidità della notifica per mancanza di certezza legale sulla conoscibilità dell’atto notificato a causa della mancata produzione delle certificazioni digitali e delle altre informazioni richieste dal D.M. n. 44/2011 – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Mancanza di certezza legale sulla conoscibilità degli atti notificati a mezzo PEC – Necessità di effettuare una specifica ricerca on-line per avere la piena conoscenza del messaggio originale – Adempimento non previsto dalla normativa – Invalidità della notifica – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Non contiene l’originale dell’atto della riscossione, ma solo una copia informatica priva di attestazione di conformità – Nullità insanabile della cartella di pagamento o dell’intimazione di pagamento notificate a mezzo PEC – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Mancanza delle garanzie tipiche della raccomandata tradizionale – Non contiene l’originale della cartella di pagamento, ma solo una copia informatica priva di attestazione di conformità – Nullità insanabile dell’atto notificato a mezzo PEC – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Necessità di sottoscrizione, di certificazione della conformità all’originale e del rispetto di tutte le forme di garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti – Obbligo dell’Amministrazione finanziaria di garantire al destinatario della pretesa tributaria la sua piena conoscenza attraverso una regolare e legittima procedura notificatoria – Sussiste – Sistema di notificazione a mezzo PEC – È affetto da nullità insanabile per la mancanza delle garanzie di conoscibilità, conformità e autenticità proprie della raccomandata tradizionale.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Attestazione di spedizione e d’immissione del messaggio nella casella del destinatario – È fornita solo da un sistema informatico automatizzato, privo di garanzia di certezza per il contribuente – Equipollenza tra la semplice disponibilità di un documento nella casella PEC e l’avvenuta consegna del documento al destinatario – Non sussiste – Incertezza sull’esito della ricezione e sulla data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, ed alterazione del dies a quo per eventuali contestazioni – Conseguono.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Equipollenza della PEC con la raccomandata e della firma digitale con la sottoscrizione dell’atto, ma mancanza di data certa e qualificata ex art. 2704 c.c. – Sussistono – Irritualità della notifica e inesistenza dell’atto notificato – Conseguono.

È invalida la notificazione a mezzo PEC dell’intimazione di pagamento eseguita dall’agente della riscossione di cui non sia stata raggiunta la certezza legale della conoscibilità dell’atto a causa della mancata produzione in giudizio della stampa dell’atto notificato con la relata, del certificato della firma digitale del notificante, del certificato di firma del gestore di PEC, delle informazioni richieste dall’art. 18 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, per il corpo del messaggio, delle ricevute della PEC e degli ulteriori dati di certificazione.

Allo stato attuale non pare ancora raggiunta la certezza legale della conoscibilità degli atti in caso di notificazione a mezzo PEC, tanto che la conoscenza piena del messaggio originale presuppone una specifica ricerca on-line che non pare prevista nella fattispecie.

È insanabilmente nulla la cartella di pagamento o l’intimazione di pagamento notificata con posta elettronica certificata qualora il messaggio di posta non contenga l’originale dell’atto della riscossione, ma solo una copia informatica priva di attestazione di conformità.

Le cartelle di pagamento notificate tramite PEC sono nulle, in quanto la posta elettronica certificata non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, perché non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità.

La notificazione di una cartella di pagamento e/o di un altro atto esecutivo da parte dell’agente della riscossione non può ritenersi legittima se l’atto non sia sottoscritto, non ne sia certificata la conformità all’originale e non siano rispettate tutte le forme di garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti, in quanto si tratta della notifica di atti che incidono sulla sfera patrimoniale del cittadino contribuente il quale ha costituzionalmente diritto alla piena e legittima conoscenza di ogni atto che riporti una pretesa tributaria, di conoscere l’an e il quantum della pretesa e di approntare, eventualmente, le proprie difese, di talché l’Amministrazione finanziaria, affinché la pretesa tributaria diventi certa ed esigibile, deve garantirne al suo destinatario la conoscenza attraverso una regolare e legittima procedura notificatoria, mentre il sistema di notifica delle cartelle di pagamento a mezzo PEC, come pure degli altri atti emessi dall’agente della riscossione e/o dall’Agenzia delle entrate, come attualmente disciplinati, fanno ritenere che tale notifica sia affetta da nullità insanabile, contrariamente a quanto affermato dalla normativa e dal codice dell’amministrazione digitale, poiché la posta elettronica certificata non offre più le stesse garanzie della raccomandata tradizionale, atteso che con la notifica a mezzo PEC viene trasmesso al contribuente non l’originale della cartella di pagamento, ma solo una copia informatica, peraltro priva di alcuna attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale, la quale quindi non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani dell’agente della riscossione, i cui dirigenti, funzionari e dipendenti non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non possono nemmeno apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di pagamento emesse.

Con il sistema tradizionale della notificazione cartacea della cartella di pagamento e degli altri atti della riscossione la piena prova dell’effettiva consegna del documento al destinatario è garantita dal postino, dall’Ufficiale giudiziario o dal messo notificatore in quanto pubblici ufficiali e, come tali, capaci di dare fede privilegiata alla propria attestazione di consegna, mentre nel caso della PEC l’attestazione di spedizione e d’immissione del messaggio nella casella del destinatario è fornita solo da un sistema informatico automatizzato, privo quindi di alcuna garanzia di certezza per il contribuente, atteso che il gestore della posta certificata garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario, a prescindere da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio, ma la semplice disponibilità di un documento nella casella PEC non equivale all’avvenuta consegna del documento al destinatario, il quale potrebbe non leggerla per svariate ragioni non sempre dipendenti dalla propria volontà, di talché rispetto al sistema della raccomandata la PEC lascia incerto l’esito della sua ricezione oltreché la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.

Secondo l’Amministrazione finanziaria e in base alla normativa di riferimento la notificazione a mezzo PEC di un atto della riscossione equivale alla notifica a mezzo raccomandata, ma se è vero che la PEC è qualificabile alla stregua di una raccomandata essa risulta però non sottoscritta in quanto necessitante della firma digitale, la quale è sì una sottoscrizione ma non ha data certa e qualificata ai sensi dell’art. 2704 c.c., di talché l’intimazione di pagamento notificata a mezzo PEC risulta irritualmente notificata e, quindi, inesistente.

[Commissione trib. provinciale di Latina, sez. I (Pres. Ventriglia, rel. Antoniani), 1° luglio 2016, sent. n. 992, ric. D.F.C. Costruzioni s.r.l. c. Equitalia Sud s.p.a.]

FATTO – La società D.F.C. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal dott. L.L., giusta delega in atti, ha proposto ricorso avverso l’intimazione di pagamento n. …, comunicata a mezzo PEC l’8 settembre 2015 da Equitalia Sud S.p.A., agente della riscossione per la provincia di Latina, per la somma di euro 15.044,41 in forza delle cartelle di pagamento, come da dettaglio, assunte notificate tra il 4 novembre 2011 e il 9 settembre 2014.
Precisa parte ricorrente che l’intimazione impugnata è illegittima perché non ha ricevuto regolare notifica delle cartelle suindicate; per violazione del diritto di difesa non avendo potuto controllare la legittimità della sottoscrizione dei ruoli; che l’intimazione opposta è stata illegittimamente notificata a mezzo PEC in violazione della normativa prevista per tale notificazione; l’illegittimità dell’intimazione per omessa indicazione dei tributi di riferimento e omessa allegazione degli atti presupposti. Fa presente che a distanza di due giorni dalla notifica dell’intimazione opposta, alla ricorrente, in data 10 settembre 2015 è stato notificato atto di pignoramento presso terzi per il quale è stata richiesta, e concessa, la rateizzazione.
Chiede, per le eccezioni sollevate, l’annullamento del provvedimento impugnato ed in particolare per l’illegittimità e irregolarità della notifica dell’intimazione. Vittoria di spese e trattazione della controversia in pubblica udienza.
Con memoria depositata il 25 gennaio 2016, si è costituita in giudizio Equitalia Sud s.p.a. la quale chiede, in via preliminare, dichiararsi il ricorso inammissibile per mancata impugnazione delle cartelle di pagamento regolarmente notificate; dichiararsi il parziale difetto di giurisdizione della Commissione adita; dichiararsi il difetto di legittimazione passiva per le eccezioni riferibili agli Enti impositori. Rileva il mancato pagamento della rateizzazione concessa; dichiarare la legittimità della notifica a mezzo PEC; dichiarare la non sussistenza delle altre eccezioni proposte; disporre l’integrazione del contraddittorio. Vittoria di spese.
In data 11 maggio 2016 la ricorrente ha depositato memoria contestando le motivazioni esposte da Equitalia e, in particolare, contesta la documentazione depositata da Equitalia che non è idonea a dimostrare l’avvenuta notifica delle cartelle presupposte. Insiste nelle eccezioni spiegate in sede di ricorso.
La data della trattazione è stata tempestivamente notificata alle parti costituite nel domicilio eletto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 31 del d.lgs. 546/92, come verificato preliminarmente dalla Commissione.
La trattazione è avvenuta in pubblica udienza ed il Collegio ha deciso come da dispositivo.

DECISIONE – Il Collegio visti gli atti, sentito il relatore e le parti presenti che hanno concluso come dai rispettivi atti difensivi, ritiene di dover esaminare preliminarmente le eccezioni in diritto sollevate dalle parti.
L’inammissibilità del ricorso sollevata da parte di Equitalia è infondata perché la ricorrente contesta, preliminarmente, l’omessa regolare notifica degli atti presupposti e della stessa intimazione di pagamento opposta.
Sull’illegittimità della notifica a mezzo PEC il Collegio rileva che l’eccezione è fondata in relazione agli atti (intimazioni di pagamento) notificati a mezzo PEC, perché non è stata raggiunta la certezza legale della conoscibilità degli atti, ovvero la stampa dell’atto notificato con la relata, il certificato della firma digitale del notificante, il certificato di firma del gestore di PEC, le informazioni richieste dall’art. 18 D.M. n. 44 del 2011 per il corpo del messaggio, le ricevute della PEC nonché la mancata produzione degli ulteriori dati di certificazione.
La società ricorrente si duole della mancata allegazione delle cartelle presupposte, mentre Equitalia ha dichiarato di averle notificate parte a mezzo servizio postale con raccomandata r/r di cui allega copia e parte via PEC come da copia della ricevuta di consegna del messaggio inviato per posta elettronica.
Tale circostanza, ad avviso di questa Commissione, assolve la società ricorrente per le cartelle notificate a mezzo PEC, la quale può essere incorsa nella non riconoscibilità dell’intera cartella, ovvero la notifica può non aver raggiunto lo scopo, elemento necessario e sufficiente per la validità del predetto incombente (cfr. S.C. Sez. 5^ n. 654 del 15.1.2014 (1)).
Devesi, infatti, tener conto della ancora non raggiunta certezza legale della conoscibilità degli atti in caso di notifica a mezzo PEC, ovvero la parte che ha eseguito la notifica deve produrre: la stampa dell’atto notificato con la relata, il certificato della firma digitale del notificante (nella fattispecie non necessario), il certificato di firma del gestore di PEC, le informazioni richieste dall’art. 18 D.M. 21 febbraio 2011 n. 44 per il corpo dei messaggi, le ricevute della PEC, gli ulteriori dati di Certificazione (TAR Napoli 9.4.2013 n. 1756 (2)). D’altra parte la conoscenza piena del “messaggio” originale (cfr. notifiche prodotte da Equitalia) presuppone una specifica ricerca on line, che non pare prevista nella fattispecie.
Giova affermare che la nullità della cartella di pagamento (nel nostro caso dell’intimazione di pagamento e cartelle presupposte) notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia, ma solo una copia priva di attestazione di conformità (cfr. CTP Lecce sent. n. 611 del 7.07.2015).
Le cartelle di pagamento di Equitalia notificate tramite Pec sono nulle. La posta elettronica certificata, infatti, non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, perché non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità.
Tanto per fare un raffronto: l’atto di citazione notificato da un legale alla controparte deve essere sottoscritto con firma digitale dello stesso legale e notificato, sempre via Pec alla cancelleria competente, la notifica di una cartella di pagamento e/o di altro atto esecutivo da parte di Equitalia non può ritenersi legittima se questo non sia sottoscritto, non ne sia certificata la conformità all’originale e non siano rispettate tutte le forme di garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti.
Trattasi di notifica di atti che incidono sulla sfera patrimoniale del cittadino contribuente il quale ha, costituzionalmente, diritto alla piena e legittima conoscenza di ogni atto che riporti una pretesa tributaria, di conoscere l’an e il quantum della pretesa e di approntare, eventualmente, le proprie difese.
Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, affinché la pretesa tributaria diventi certa e esigibile, deve garantire, al destinatario della stessa, la conoscenza attraverso una regolare e legittima procedura notificatoria degli atti impositivi.
Il sistema di notifica delle cartelle di pagamento a mezzo Pec (ma anche degli altri atti emessi dall’Agente della riscossione e/o dalle Agenzie delle Entrate), come attualmente disciplinati fanno ritenere che tale notifica sia affetta da nullità insanabile, contrariamente a quanto affermato nella normativa e dal codice dell’amministrazione digitale. La posta elettronica certificata non offre più le stesse garanzie della raccomandata tradizionale.
Come sopra detto, con la Pec è trasmesso al contribuente non l’originale della cartella di pagamento, ma solo una copia informatica, peraltro priva di alcuna attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Equitalia. Invece, con la notifica a mezzo di raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente.
Dunque, se nella fotocopia della cartella di pagamento allegata alla Pec non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge, si deve affermare che il ricorrente ha ricevuto solo una copia informale dell’originale della cartella di pagamento, al pari di una volgare fotocopia. Nel qual caso l’Agente della riscossione non ha giustificazione alcuna per affermare di non essere in possesso dell’originale della cartella di pagamento e/o di altro atto (intimazione, pignoramenti, iscrizione ipotecaria, fermo amministrativo e quant’altro) che non può essere depositato agli atti del giudizio a seguito di contestazione del contribuente/ricorrente.
Peraltro, è bene ricordare che – secondo la giurisprudenza consolidata – dirigenti, funzionari e dipendenti di Equitalia non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non spetta ad essi apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di Equitalia.
La seconda criticità della posta certificata è che essa non garantisce la piena prova dell’effettiva consegna del documento al destinatario. Invece, con il sistema tradizionale della notifica cartacea, tale circostanza è garantita dal postino, dall’ufficiale giudiziario o dal messo notificatore in quanto pubblici ufficiali e, come tali, capaci di dare “fede privilegiata” alla propria attestazione di consegna (sia essa la relata di notifica o il registro di consegne delle raccomandate a.r.).
Nel caso della Pec, l’attestazione di spedizione e d’immissione della mail nella casella del destinatario è fornita solo da un sistema informatico automatizzato, privo quindi di alcuna garanzia di certezza per il contribuente. Il gestore della posta certificata garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario, a prescindere da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio. Ebbene, la semplice disponibilità di un documento nella casella Pec non equivale all’avvenuta consegna del documento al destinatario, il quale potrebbe non leggerla per svariate ragioni non sempre dipendenti dalla propria volontà.
Rispetto al sistema raccomandata, la pec lascia incerto l’esito della sua ricezione oltre che la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.
Va ancora precisato che qualora sulla cartella di pagamento non sia riportato l’indirizzo della sede legale della società o della residenza del contribuente, la spedizione via pec non può essere eseguita proprio per la non corrispondenza dell’indirizzo di destinazione del destinatario con quello apposto sulla cartella di pagamento.
Sostiene l’Amministrazione finanziaria (ma anche la normativa di riferimento) che la notifica a mezzo PEC equivale alla notifica a mezzo raccomandata.
La PEC è sì una raccomandata, ma non sottoscritta (serve la firma digitale); la firma digitale è sì una sottoscrizione ma non ha data certa e qualificata ai sensi dell’art. 2704 c.c..
Da quanto sopra ne consegue che l’intimazione opposta è stata irritualmente notificata e, quindi, è inesistente per i motivi sopra esposti.
L’Agente della riscossione nella memoria di costituzione in giudizio rileva il parziale difetto di giurisdizione della Commissione adita e l’incompetenza territoriale per quanto alla tassa automobilistica. Invero, rileva il Collegio che dalla copia dell’intimazione di pagamento depositata in atti dalla ricorrente, si rilevano solo i numeri delle cartelle di pagamento e la data della (presunta) notifica ma non anche a quali tributi esse si riferiscono. Ne consegue che il Collegio, allo stato, non deve dichiarare alcun parziale difetto di giurisdizione e incompetenza territoriale.
Le eccezioni sopra esaminate sono preliminari ed assorbenti di ogni altra questione ed eccezione sollevata dalle parti.
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto e le spese di giudizio, stante la particolarità delle questioni trattate, vanno compensate tra le parti

P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso e compensa le spese.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) TAR Campania, sez. VI, 3 aprile 2013, n. 1756, in Boll. Trib. On-line.

III

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Notifica di una copia informatica del documento cartaceo – Mancanza di attestazione di conformità da parte di soggetti abilitati a norma di legge – Costituisce una semplice copia informale dell’originale cartella di pagamento – Nullità del ruolo portato dalla cartella di pagamento – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento e altri atti della riscossione – Notificazione a mezzo PEC – Certezza dell’avvenuta consegna dell’atto al destinatario – Non sussiste – Disponibilità del documento nella casella di PEC – Non equivale alla consegna dell’atto al destinatario – Incertezza sull’esito della ricezione del documento e sulla data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, ed alterazione del dies a quo per eventuali contestazioni successive – Conseguono.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento – Obbligo di motivazione – Sussiste – Indicazione di una serie di codici e di numeri dai quali non sia comprensibile il reale contenuto del ruolo – Nullità del ruolo – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento – Liquidazione delle imposte in base alla dichiarazione – Cartella di pagamento emessa a norma dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di motivazione – Sussiste – Indicazione di una serie di codici e di numeri dai quali non sia comprensibile il reale contenuto del ruolo – Nullità del ruolo – Consegue.

Con il sistema PEC non viene inoltrato il documento informatico, ma la copia informatica del documento cartaceo ove il documento informatico rappresenta l’originale del documento giuridicamente valido, di talché il destinatario riceve solo la copia informatica dell’atto e tale copia, senza una attestazione di conformità apposta da soggetti all’uopo abilitati a norma del codice civile, non può assumere alcuna valenza giuridica perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico in tutto il suo contenuto al documento originale, e qualora nella cartella di pagamento notificata a mezzo PEC non appaia alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge si deve affermare che al più la parte interessata abbia ricevuto una copia informale dell’originale della cartella stessa, mentre con la spedizione postale a mezzo di raccomandata il contribuente riceve sempre l’originale dell’atto inoltrato dal mittente.

Il sistema PEC non garantisce che il documento oggetto della notificazione sia stato consegnato al suo destinatario, dato che il gestore del sistema garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario e ciò prescinde da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio, ma la semplice disponibilità di un documento nella casella PEC non può equivalere all’avvenuta consegna del documento al destinatario perché un tale assunto pretenderebbe di dare alla casella PEC una funzione sostanziale che invece può spettare soltanto al soggetto destinatario, e ciò senza trascurare che il destinatario e titolare della casella PEC per una quantità innumerevole di ragioni potrebbe essere impossibilitato a controllare la propria PEC per tempi non quantificabili, di talché rispetto al sistema della raccomandata la PEC lascia incerto l’esito della sua ricezione oltreché la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.

Allorquando la cartella di pagamento contenga semplicemente una serie di codici e di numeri dai quali non sia comprensibile il reale contenuto del ruolo, essa deve essere annullata per mancanza di motivazione, soprattutto nel caso che si tratti di liquidazione ex art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per la quale il contribuente abbia precedentemente avuto accesso alla rateazione, poi decaduta, così da necessitare il ruolo di una chiara, semplice e specifica motivazione a chiarimento di tutte le richieste, degli importi effettivamente versati, delle differenze a credito eventualmente maturate dall’Amministrazione finanziaria, e di tutti gli altri elementi all’uopo rilevanti.

[Commissione trib. provinciale di Lecce, sez. II (Pres. Fiorella, rel. Gargano), 25 febbraio 2016, sent. n. 611]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Il ricorso è proposto contro il ruolo portato dalla cartella di pagamento n. … asseritamente notificata da Equitalia Sud Spa Lecce a mezzo di pec in data 9/10/2014 e con la quale vengono richieste IRAP, IVA, oltre accessori ed interessi a seguito di liquidazione ex art. 36-bis DPR 600/73 ed ex art. 54-bis DPR 633/72 per l’anno di imposta 2007.
Il ricorrente espone le seguenti contestazioni:
– Illegittima funzione sostitutiva della pec con la raccomandata postale;
– Inesistenza della notifica per mancanza della relata e di ulteriori elementi essenziali;
– Mancanza della garanzia dell’effettivo ricevimento da parte del destinatario con il sistema pec;
– Mancanza dì motivazione e prova;
– Mancato riconoscimento di importi già versati;
– Intestazione errata per indicazione di luogo diverso della sede legale della società.
Per ognuno dei punti elencati il ricorrente espone larghe argomentazioni a sostegno delle proprie tesi e conclude chiedendo l’annullamento del ruolo impugnato.
Equitalia Sud Spa Lecce è costituita in giudizio e ritenendo illegittimo ed infondato il ricorso di parte chiede il rigetto del ricorso.
Sentite le parti nella pubblica udienza odierna la Commissione trattiene la causa per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Esaminati gli atti e verificata la normativa di riferimento la Commissione espone le seguenti osservazioni.
Alla errata intestazione della cartella di pagamento che quale indirizzo indica …, Equitalia Sud Spa Lecce ha inteso sostituire ad altri sistemi di notifica con la notifica a mezzo pec individuata negli atti del registro delle imprese, notifica per la quale è stata lamentata la mancanza di relata e la mancata attestazione della avvenuta ricezione.
Invero il sistema della spedizione di documenti fiscali a mezzo pec, previsto dalle attuali norme, prevede che la validità della trasmissione e ricezione del messaggio di posta elettronica certificata sia attestata rispettivamente dalla ricevuta di accettazione e dalla ricevuta di consegna, sì che la prova dell’avvenuto invio del messaggio è nel fatto che il messaggio stesso sia pervenuto nella casella pec del destinatario e ciò indipendentemente dalla verifica da parte del destinatario dell’apertura e lettura del messaggio.
Le considerazioni sostanziali sul punto possono riassumersi in quanto segue.

Documento informatico
Con il sistema pec in realtà non viene inoltrato il documento informatico, ma la copia (informatica) del documento cartaceo ove il documento informatico rappresenta l’originale del documento giuridicamente valido.
La questione ha rilievo perché in ogni caso il destinatario riceve solo la copia (informatica) dell’atto e tale copia senza una attestazione di conformità apposta da soggetti all’uopo abilitati a norma del c.c. non può assumere alcuna valenza giuridica perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico in tutto il suo contenuto al documento originale.
Va annotato che accostando questo tipo di spedizione con quello che prevede la raccomandata postale si sostanzia che con la raccomandata postale il contribuente riceve sempre l’originale dell’atto inoltrato dal mittente.
Nel caso di specie da quanto si evidenzia nella fotocopia della cartella di pagamento allegata agli atti, in essa non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge e dunque si deve affermare che al più il ricorrente ha ricevuto una copia informale dell’originale della cartella di pagamento.
Ricevuta di avvenuta consegna al destinatario
Il sistema pec non garantisce che il documento sia stato consegnato al destinatario.
Infatti il gestore del sistema garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario e ciò prescinde da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio.
Ritiene evidente la Commissione che la semplice disponibilità di un documento nella casella pec non può equivalere ad avvenuta consegna del documento al destinatario perché un tale assunto pretenderebbe di dare alla casella pec una funzione sostanziale che invece può spettare soltanto al soggetto destinatario e ciò senza tenere conto che il destinatario e titolare della casella pec per una quantità innumerevole di ragioni potrebbe essere impossibilitato a controllare la sua pec per tempi non quantificabili.
Rispetto al sistema “raccomandata”, la pec lascia incerto l’esito della sua ricezione oltre che la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.
Nel caso di specie inoltre rilevato che sulla cartella di pagamento non è riportato l’indirizzo della sede legale della società, la spedizione via pec non poteva essere eseguita proprio per la non corrispondenza dell’indirizzo di destinazione del destinatario con quello apposto sulla cartella di pagamento e ciò anche se la casella pec non evidenzia tali differenze sostanziali.
Per ultimo deve essere confermata l’eccepita mancanza di motivazione perché pur contenendo la cartella di pagamento una serie di codici e di numeri non è comprensibile il reale contenuto del ruolo.
Anche perché trattasi di liquidazione ex art. 36 bis per la quale il ricorrente aveva avuto accesso alla rateazione, il ruolo necessitava di una chiara semplice e specifica motivazione a chiarimento di tutte le richieste degli importi effettivamente versati, delle differenze a credito eventuale dell’amministrazione finanziaria, ecc.
Le violazioni della Legge 212/2000 e della Legge 241/90 sono gravi e ripetute e l’atto non può essere confermato.
La complessità dell’interpretazione della materia e la novità della stessa sono validi motivi per compensare interamente tra le parti in causa le spese di questo giudizio.

P.Q.M. – La Seconda Sezione della CTP di Lecce così dispone:
accoglie il ricorso e dichiara nullo il ruolo portato dalla cartella di pagamento impugnato; compensa le spese.

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